venerdì 11 marzo 2016

ITALIA, LIBIA, GUERRA, INTELLIGENCE. - Marco Della Luna

ArtiglieriaCammellataItaliana


Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia.
Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli USA e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani.

La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli USA in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre.

Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele. 
In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) saranno tenute segrete anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo.

La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. 
E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.

Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’ONU e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere.

Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.

Fonte: http://marcodellaluna.info
Link: http://marcodellaluna.info/sito/2016/03/04/italia-libia-guerra/
4.03.2016

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16312

giovedì 10 marzo 2016

Popolare Vicenza, un milione a Zonin nell’annus horribilis della banca. - Mario Gerevini

Gianni Zonin

Il compenso 2015 all’ex presidente per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. I soci perdevano in media 42 mila euro a testa. Passata ai figli la quota di maggioranza della casa vinicola.

Un milione. L’ex presidente Gianni Zonin, dimessosi il 23 novembre scorso, indagato dalla procura vicentina per presunti reati nella gestione della Banca Popolare di Vicenza, incassa un milione di euro di compenso (in linea con il 2014) per il lavoro fatto nell’anno più disastroso nella storia dell’istituto. Quello in cui i soci hanno visto letteralmente sparire 5 miliardi di risparmi (42mila euro a testa), famiglie rovinate, aziende distrutte, la banca tramortita, la reputazione ai minimi termini e un drastico piano di salvataggio, appena approvato.

I dettagli degli stipendi saranno resi noti nell’assemblea di bilancio convocata ieri dal consiglio per il 26 marzo. 
Ma il milione a Zonin, come tutti gli emolumenti del vertice, è già contabilizzato. Sempre ieri si è saputo che l’Antitrust ha aperto un procedimento contro la Popolare, ora spa, per presunta pratica commerciale scorretta, cioè l’aver condizionato, in passato, l’erogazione di prestiti all’acquisto di azioni. Subito dopo le dimissioni, Zonin, con una manovra sulle sue holding, ha assicurato il controllo del gruppo vinicolo ai tre figli. Tre bonifici per un totale di 2,5 milioni sono arrivati nel conto dell’accomandita «Gianni Zonin Vineyards» alla sede storica della Popolare in Contrà Porti. Denaro per ricapitalizzare la sas, retta da un intreccio di titoli in proprietà e usufrutto tra il capostipite e i figli. L’aumento, però, viene sottoscritto solo dai figli che salgono così al 50,02% garantendosi, a cascata, il controllo del gruppo. 

Forse era previsto o forse è un’operazione dettata dalla prudenza: con l’aria che tira non si sa mai che un ipotetico sequestro vada a toccare la Casa Vinicola Zonin.
Il vertice della banca, tuttavia, si muove con grande prudenza. Del resto è noto che gran parte del consiglio (13 su 18) è tuttora espressione della vecchia gestione. Si può chiedere, per esempio, a Marino Breganze (68 anni) di agire eventualmente contro sé stesso o contro chi gli ha garantito la poltrona di vicepresidente per 16 anni, di consigliere per 29, 590mila euro di stipendio, compreso quello da attuale presidente di Banca Nuova? 
E il segretario del consiglio Giorgio Tibaldo (66) che è lì esattamente da 30 anni, e prende 220mila euro? Di uomini cresciuti fianco a fianco con Zonin è pieno il cda. «Io non parlo e lei non mi citi — dice al telefono uno dei nomi nuovi al vertice — ma ho visto cose che voi umani ...».
E il collegio sindacale, che avrebbe titolo per avviare autonomamente azioni di responsabilità? Due su tre sono professionisti di fiducia di Zonin. Il numero uno, Giovanni Zamberlan (in servizio da 28 anni, 200mila euro di emolumenti, quasi il doppio dei sindaci Eni), è ben conosciuto anche dal nuovo presidente della banca, Stefano Dolcetta che lo ritrova alla guida del collegio della «sua» Fiamm e di altre 6 aziende del gruppo. All’assemblea del 26 solo il bilancio è all’ordine del giorno. Nessun ricambio nel consiglio. E la Fondazione Cassa di Prato, che ha fatto un bagno di sangue con azioni di Vicenza, preannuncia battaglia.

Wuppertal, Germania, monorotaia sospesa.



Monorotaie sospese a Tokio e a Shonan in Giappone.



Shonan



Tokio

TRIVELLE FUORILEGGE: ECCO COME LE PIATTAFORME ITALIANE INQUINANO ACQUA E AMBIENTE (E PERCHÉ VOTARE SI). - Germana Carillo

trivelle rapporto greenpeace

Contaminazioni ben oltre i limiti di legge e sostanze chimiche pericolose che inquinano l’ambiente e non fanno altro che nuocere agli essere umani: nei sedimenti (ma anche nelle cozze!) che vivono in prossimità di piattaforme offshore presenti in Adriatico si trova questo e molto altro. 
A rivelarlo è il rapporto “Trivelle fuorilegge” pubblicato da Greenpeace in cui vengono resi pubblici per la prima volta i dati ministeriali relativi all’inquinamento generato da oltre 30 trivelle operanti nei nostri mari.
I dati elaborati da Greenpeace mostrano una contaminazione che supera i limiti previsti dalla legge per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme (76% nel 2012, 73,5% nel 2013 e 79% nel 2014). E non solo: i parametri ambientali sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% dei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità.
Il quadro che emerge è di una contaminazione grave e diffusa – afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace –. Laddove esistono dei limiti fissati dalla legge, le trivelle assai spesso non li rispettano. Ci sono contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, molte di queste sostanze sono in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani. Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro. La situazione si ripete di anno in anno ma ciò nonostante non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il Ministero abbia preso altre iniziative per tutelare i nostri mari”.
trivelle fuorilegge
Lo scorso luglio Greenpeace aveva chiesto al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, tramite istanza pubblica di accesso agli atti, di ottenere i dati di monitoraggio delle piattaforme presenti nei mari italiani.
Il Ministero fornì allora solo i dati di monitoraggio di 34 impianti, relativi agli anni 2012-2014, dislocati davanti alle coste di Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Delle altre 100 e più piattaforme operanti nei nostri mari, Greenpeace non ha ricevuto alcun dato: o il Ministero non dispone di informazioni in merito (e dunque questi impianti operano senza piani di monitoraggio), oppure lo stesso Ministero ha creduto bene di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso.
Alla scarsa trasparenza del Ministero e al quadro ambientale critico si aggiunge il fatto non proprio confortante che i monitoraggi sono stati eseguiti da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale che è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente, su committenza di ENI, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.
Con questo rapporto dimostriamo chiaramente che chi estrae idrocarburi nei nostri mari inquina, e lo fa oltre i limiti imposti dalla legge senza apparentemente incorrere in sanzioni o in divieti – dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. Quel che a nessun cittadino sarebbe concesso, è concesso invece ai petrolieri, il cui operato è fuori controllo, nascosto all’opinione pubblica e gestito in maniera opaca. Sono motivi più che sufficienti per spingere gli italiani a partecipare al prossimo referendum sulle trivelle del 17 aprile, e a votare Sì per fermare chi svende e deturpa l’Italia”.
Mappa piattaforme
Ecco, allora, un motivo in più perché il 17 aprile prossimo andremo a votare SI, per cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.
Certo è, e torna a sottolinearlo Legambiente, la decisione del governo di fissare il referendum il 17 aprile, e di non averlo voluto accorpare alle elezioni amministrative che si terranno più avanti, limiterà molto le possibilità di coinvolgimento e quindi di partecipazione degli italiani a una consultazione che interessa tutto il Paese.
trivelle si
Secondo la legge, la propaganda elettorale inizia infatti dal 30° giorno antecedente la votazione; in questo caso il 18 marzo. “Sarebbe stato necessario avere più tempo a disposizione per spiegare che tutto il petrolio presente sotto il mare italiano basterebbe al nostro Paese per sole 7 settimane – spiega Rossella Muroni, presidente di Legambiente – mentre già oggi produciamo più del 40% di energia da fonti rinnovabili. E che se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare Sì, perché così le attività petrolifere in mare entro le 12 miglia andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni”.
Insomma, i margini di informazione su questa consultazione popolare sono davvero ristretti, ma noi ce la metteremo tutta affinché sempre più persone prendano consapevolezza dell’importanza di partecipare a questo referendum e dire SI!
trivelle referendum greenpeace

Spaccio di droga e tratta sessuale, la mafia nigeriana in Italia.




Migliaia di migranti arrivano in Europa, spinti da sogni e false promesse. Il reportage di Vice on SkyTG24 

Ogni anno dalla Nigeria arrivano in Italia decine di migliaia di migranti, spinti da grandi sogni e false promesse, indebitandosi per pagare il viaggio. Una volta in Italia, però – in assenza di documenti e opportunità di lavoro legale – alcuni finiscono in strada, a spacciare droga o a prostituirsi, nelle reti di una organizzazione criminale nigeriana, sempre più potente, che inizia ad assumere le sembianze di una ‘mafia’.

I reporter di Vice hanno indagato sullo spaccio di droga e la tratta sessuale a partire da alcuni punti di snodo principali: dall’aeroporto di Malpensa, dove hanno assistito al fermo di un presunto corriere, al blitz della squadra mobile dei ‘Falchi’ di Palermo, che perlustrano in moto le piazze di spaccio di Ballarò. Vice ha incontrato anche alcune giovani donne sfruttate per la prostituzione, che stanno trovando il coraggio di rompere il muro di omertà e uscire dalla tratta sessuale, e ascoltato la denuncia di Emeka, giovane nigeriano aggredito e sfregiato con un’ascia – simbolo del Secret Cult dei Black Axe, una delle organizzazioni segrete della Nigeria a cui si appoggiano le organizzazioni criminali nigeriane anche in Italia.


http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2016/03/09/vice-on-sky-tg24-mafia-nigeriana.html

Le mafie sono le uniche "aziende" che attecchiscono in Italia. 
....e non mi pare che lo stato le ostacoli, perchè, se lo facesse, non si espanderebbero, verrebbero respinte.

Cetta

Da casa all’ufficio in auto blu? Da sei mesi a tre anni di reclusione. - Fabrizio Caccia

Auto di rappresentanza nel cortile della prefettura di Milano (Fotogramma)

Diventerà reato penale l’abuso delle autovetture di servizio. Il via libera della Camera è previsto per la prossima settimana. Palazzi in allarme: si rischia il peculato d’uso. Il M5S: «Eliminare l’anacronistico status symbol».

Non si potrà neanche compiere il percorso da casa all’ufficio: si rischieranno da sei mesi a tre anni di reclusione per peculato d’uso. 
Palazzi in allarme, la notizia è questa: diventerà reato penale l’abuso dell’utilizzo delle auto blu. Lo prevede un emendamento del Pd alla proposta di legge sull’acquisto e la dismissione delle autovetture di servizio, attualmente in discussione in Commissione affari costituzionali di Montecitorio.

Il M5S: «Eliminarle del tutto»
L’esecutivo ha dato parere favorevole alle modifiche dem, opponendosi invece ad alcuni cambiamenti proposti dalla Lega. Si comincerà a votare il 9 marzo in Commissione affari costituzionali e il via libera dell’Aula è previsto per la settimana prossima. Si è stabilita inoltre la proroga al 31 dicembre 2017 del divieto di acquisizione di nuove autovetture e continueranno ad essere comminate le sanzioni amministrative fino a 10mila euro per chi non rispetta i limiti d’acquisto e non fornisce i dati che vengono richiesti dal ministero della Pubblica amministrazione. Ma il M5s chiede di fare di più. «Occorre eliminare l’anacronistico e dispendioso status symbol», è l’appello dei grillini perché «è inaccettabile che lo Stato sperperi 400 milioni di euro».

I numeri del «dimagrimento»
Il dimagrimento del parco macchine comunque è progressivo. 
Nel 2012 la spesa totale era stimata per 1.050 milioni, 128 milioni in meno rispetto all’anno precedente. Il governo nei giorni scorsi ha fornito gli ultimi dati. Lo scorso anno il numero di auto delle pubbliche amministrazioni si è ridotto notevolmente, passando dalle 66.619 autovetture del 2014 alle 23.203 del 2015. Per le amministrazioni centrali dello Stato le autovetture in uso sono passare dalle 567 del 2014 alle 274 del 2015. Diminuite anche le auto blu con autista dei ministeri, passate dalle 159 del 2014 alle 59 del 2015: quasi i due terzi in meno. Nel corso dell’ultimo anno, poi, anche le regioni hanno più che dimezzato il parco auto passando dalle 2.883 autovetture del 2014 alle 1.277 del 2015, di cui 759 sono di proprietà. Ed ora ecco in arrivo ulteriori restringimenti anche per il puro e semplice utilizzo: sarà meglio evitare, così, i tragitti impropri. auto blu, reato penale, 
Andare a fare la spesa in auto blu potrebbe costare carissimo.


Ma se non consentono l'arresto per motivi più gravi, come potremo mai credere che lo facciano per questo motivo?

Cè da pensare che, se hanno approvato l'emendamento, dovrebbero anche aver previsto anche l'escamotage per bypassarlo.

Infatti, la LEGGE 28 aprile 2014, n. 67, per i reati per i quali e’ prevista  la  pena  dell’arresto  o della reclusione non superiore nel massimo a tre anni, secondo quanto disposto dall’articolo 278 del codice di procedura penale,  prevedere che la pena sia quella della reclusione  domiciliare  o  dell’arresto domiciliare.

Cetta