sabato 11 marzo 2017

Due storie, una sola morale. - Carlo Bertani




Quando mio fratello mi racconta una storia, sto sempre ad ascoltarlo attentamente perché raramente non ha un senso profondo: ha la capacità di vedere oltre gli eventi, come se una vicenda apparentemente banale – nella sua mente – andasse ad incasellarsi in un disegno universale. 
Per questa ragione lui non scrive, ma fa delle vignette che sono più taglienti di una lama di Damasco, e spesso qualche politico si è lamentato della sua “troppa” bravura.
Così, una sera come un’altra, mi racconta che è andato a comprare le sigarette, nella stessa tabaccheria dove vado io. 
Il negozio in oggetto ha vicino un piccolo slargo, che dovrebbe servire come fermata dell’autobus, ma è sempre occupato da automobili dei clienti che vanno a comprare le sigarette: un continuo via vai.
Proprio di fronte, ci sono due posteggi riservati: uno per i disabili e l’altro per la sosta carico/scarico di merci. Mentre il secondo, talvolta, è “invaso” (per breve tempo) da comuni automobili, quello per i disabili è “sacro” e sempre sgombro. Anche perché i vigili non scherzano.

Arriva, dunque, al negozio e posteggia l’auto nel solito slargo che i vigili tollerano che sia invaso, a patto di non lasciarci la macchina per più dei minuti che servono per andare alla rivendita. Mentre arriva, nota che un’auto dei Carabinieri s’è piazzata nel posteggio dei disabili: magari un’urgenza, roba importante, avranno i loro motivi…
Subito dopo, giunge l’auto di un disabile che, costernato, vede che il posteggio è occupato: scende e, claudicando vistosamente, chiede al Carabiniere sull’auto se può spostarsi. Apriti cielo! Il militare scende e lo investe con un diluvio d’improperi: ma cosa vuole? Se ne vada! Noi stiamo facendo il nostro dovere! Forza, via! Circolare!

Bah, meglio lasciarli ai loro diverbi…entra in tabaccheria (che ha, ovviamente, le infernali macchinette da gioco) e, appena entrato, nota subito l’altro Carabiniere: tranquillamente di fronte ad una slot-machine, che infila soldi e tira la leva. C’è coda, e deve aspettare qualche minuto che lo servano: il Carabiniere – mio fratello nota sempre tutto – è tranquillo come un angelo, non tradisce la minima emozione mentre infila soldi, osserva lo schermo, tira la leva.
Compra le sigarette ed esce: il Carabiniere continua a giocare mentre il disabile è fermo con l’auto nello slargo (è una zona a forte traffico, nemmeno pensare di trovare un posto “normale”), l’altro Carabiniere è risalito in macchina. Se ne va, e la scena che lascia è questa.

La sera, a letto, apro un vecchio libro di Sepulveda: “Il generale e il giudice” che non avevo mai letto. Diciamo subito che non è il meglio che l’ottimo scrittore cileno ha pubblicato, ma c’è una spiegazione: è stato scritto mentre Pinochet era stato fermato a Londra giacché il giudice spagnolo Garzòn lo aveva incriminato per i suoi delitti. Ovvio che, per Sepulveda, la vicenda dell’aguzzino poi tornato libero in Cile – fu, ancora una volta, la Camera dei Lord ad esprimersi contro la sua estradizione in Spagna, con l’apporto decisivo di Margareth Tatcher – scatenò dapprima speranze, poi una rabbia feroce. Si può capire.

Si tratta, ovviamente, di vicende cilene; ci sono, però, alcuni paragrafi che mi hanno colpito, come – ne sono certo – non m’avrebbero toccato profondamente, diciamo…10-15 anni fa. Vi propongo alcuni estratti:

“Il grande pericolo per la stabilità politica e la pace sociale del Cile si chiama “modello economico neoliberista”, si chiama “darwinismo economico”, si chiama “cultura del ‘si salvi chi può’”…proporre una riforma costituzionale che restituisca ai cittadini il diritto d’eleggere liberamente i loro parlamentari, affrancandoli dall’odiosa tutela dei senatori designati a vita…finché non si saprà quando e come è morto, chi è stato il suo assassino…la ferita rimarrà aperta ed è compito degli uomini onesti tenerla aperta e pulita, perché quella ferita è la nostra memoria storica.”

Il Cile, dopo il golpe del 11 Settembre 1973, ebbe una democrazia “sotto tutela” militare, finché Pinochet sedette come senatore a vita: una riforma da lui voluta e fatta approvare dal Parlamento sotto la minaccia delle armi. Dall’epoca, poco è cambiato: le antiche formazioni politiche cilene – una specie di DC e le sinistre – si sono prontamente adattate al “nuovo” che avanzava, ossia un simulacro di democrazia. Rimane l’enorme masso, pesantissimo, di dare un nome ed un volto certo agli assassini, a coloro che fecero la mattanza dell’11 Settembre 1973 e nei mesi seguenti. Il Cile, tanto per capire ciò che afferma Sepulveda sui temi economici, è la nazione al mondo con il più alto indice di Gini, ossia la terra dove c’è più sperequazione nella distribuzione della ricchezza.
Torniamo in Italia.

Marco Biagi è correttamente individuato come colui che stabilì le basi dell’odierna giurisprudenza del lavoro: poco importa se, col trascorrere del tempo, si è andati ben oltre il suo pensiero. La “rottura” dei tradizionali “contrappesi” fra mondo del lavoro e capitale, in giurisprudenza, prese il “La” proprio dal suo pensiero: quando si rompono certi principi – il valore dei contratti nazionali, le tutele del lavoratore, ecc – si è imboccata una china che non ha fine. Per ora siamo giunti alla legalizzazione del lavoro nero – tramite i voucher – domani s’arriverà alla schiavitù (mascherata), che in certi ambienti (caporalato in agricoltura, soprattutto nel Sud) già viene usata, dapprima con gli immigrati, oggi anche con gli italiani.
Il 9 Dicembre 2002 Biagi viene ucciso dalle Brigate Rosse.

Poi, inizia una strana stagione, nella quale i morti ammazzati fioccano dal calendario. Federico Aldrovandi viene ucciso il 25 Settembre del 2005: seguono gli altri.
Riccardo Rasman, Giulio Comuzzi, Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Stefano Consiglio, Gabriele Sandri, Stefano Frapporti, Simone La Penna, Katiuscia Favero, Aldo Scardella, Giuliano Dragutinovic, Riccardo Boccaletti…e, senz’altro, sfuggono alla triste conta altri nomi.

Così, i latino-americani hanno i desaparecidos, noi gli ammazzati: cambiano le proporzioni (e sono molto diverse le società dove i fatti avvengono) ma non si può che constatare un fatto evidente: qualcuno ha conferito alle forze dell’ordine la licenza di uccidere e la conseguente impunità.
Qui, c’è un parallelismo impressionante fra le madri (ora nonne) di Plaça de Mayo ed i parenti delle vittime italiane: la stessa protervia, lo stesso disgusto che si prova di fronte al palleggiamento delle responsabilità, la medesima sordità nell’applicazione di leggi chiare e semplici, i mille tentativi di affossare, insabbiare, deviare verità inconfutabili. Un essere umano viene preso in consegna dalle forze dell’ordine – che hanno il compito di proteggerlo fino al giusto processo (se viene rilevato un reato) ossia il principio stabilito con l’Habeas Corpus inglese del 1679 – e ne esce cadavere.

Le caserme, le prigioni, od altro ancora – allora – ci ricordano la tristemente famosa Escuela de Mecánica de la Armada (ESMA) di Buenos Aires, dove i detenuti venivano torturati, uccisi, o gettati dagli aerei in Atlantico.
E non mancano neppure in Italia i personaggi – veramente squalificati e squalificanti – che proteggono in Parlamento questi assassini: il figlio di Pinochet ebbe a dire, di fronte alle madri degli “scomparsi” “Mio padre uccise solo delle bestie”, che non è molto diverso dai tanti sproloqui di un Giovanardi qualunque in Parlamento.

Torno a ricordare che le modalità sono state molto diverse: oltretutto, gli eccidi in Latino America sono avvenuti in epoca pre-Internet, che consentiva più garanzie di farla franca, di far trascorrere molto tempo fra gli eccidi e le giuste proteste, mentre oggi – cito solo un caso – poche ore dopo l’uccisione di Gabriele Sandri tutta l’Italia ne era a conoscenza.
Ma, nella cultura di Internet, se vuoi far dilagare la paura e chiarire chi ha il potere d’ucciderti senza pagare il fio, non servono migliaia di morti: ne bastano pochi, poiché il concetto si diffonde rapidamente.
Cosa vogliono ottenere con questa strategia?

La paura, soltanto il terrore verso la divisa, che si materializza in uno sparare nel mucchio – di là delle appartenenze politiche – per aumentare il senso di strapotere di chi ci governa. In altre parole, se a qualcuno saltasse in testa di ribellarsi, ecco pronto il trattamento che vi riserveremo, senza sconti. Abbiamo anche chi ci difende in Parlamento.
Così nasce il disprezzo per l’altro, per la popolazione, che si materializza per la banale questione di un disabile che ha diritto a quel parcheggio, mentre dall’altra parte – per formazione – ci si sente autorizzati a spregiare qualsiasi diritto, nel nome di una divisa che rappresenta la collettività. Chiaramente una percezione distorta che è stata inculcata, ma così è: siamo solo “forza lavoro”, “risorse umane”, e poi vai a sostenere che le parole non sono pietre!
Vi chiederete chi sono i mandanti.

Nel 1997 Marco Biagi è nominato Rappresentante del Governo italiano nel Comitato per l'occupazione e il mercato del lavoro dell'Unione europea, dunque si pongono le basi per stravolgere l’impianto di diritti e doveri che regnava dagli anni ’50 e, soprattutto, si mettono in discussione le conquiste dei lavoratori dei decenni seguenti.
Il liberismo, per avviare la fase di globalizzazione – ossia investo dove costa di meno (o ci sono meno diritti) e vendo dove voglio – ha bisogno di un terreno tranquillo, senza scossoni sociali. L’Italia, non dimentichiamo, è la nazione europea che più ha avuto organizzazioni terroristiche: è un sorvegliato speciale.
E poi c’è l’annosa questione della democrazia parlamentare: può convivere con il turbo-capitalismo? No di certo.
Ecco, allora, che – al pari dei cileni – anche noi abbiamo ricevuto il nostro Parlamento di “senatori nominati” e non c’è verso di scalzarli (come si vede nei sondaggi) perché l’uso della giustizia ad orologeria colpisce ora l’uno ora l’altro, secondo la bisogna. Al resto, pensa l’immobilismo dei “senatori” stessi: e chi gliela farà mai fare una legge elettorale dove si scelgano delle persone e non dei vuoti “Logo”?

Il M5S – grande speranza degli italiani – è diventato il primo partito, ma si troverà di fronte gli altri 2/3 dei parlamentari, che si coalizzeranno nel nome dell’Europa: visto quante ammuine stanno già compiendo? D’altro canto, il non voler stringere alleanze, li condanna ad un imperituro isolamento dal quale non riescono ad uscire.
Il compito del M5S è quello d’attrarre lo scontento di larghi strati di popolazione, ma finisce tutta lì: non ho mai sentito nessuno, da quella parte, chiedere con forza l’abolizione delle mille leggi sul lavoro e la previdenza emanate dai vari governi liberisti e fortemente europeizzati.

Scusate, ma qui mi voglio togliere un sassolino che mi fa “calciare” male…ma Roma, non ha due stadi di grandi dimensioni? Uno dei quali versa in stato d’abbandono? Perché il Comune non stipula un contratto con le due società, una all’Olimpico ed una al Flaminio, trovate un accordo fra le due società, metteteci i soldi voi e restaurateli come volete. Non vorrete mica dirmi che l’Olimpico è uno stadio inagibile?!? Al Comune, rimarrebbero i diritti per gli altri sport.
Ma in questa Italia, che non trova i soldi per gli ospedali e le scuole, dovete proprio buttare i soldi (perché ce li mettono, eccome!) per costruire un altro stadio?!?

Nel 2013, interruppi la lunga stagione dell’astensionismo e votai il M5S: perché? Poiché, anche se non ti sembra il modo di far politica, concedere una prova è giusto. Ma dovetti subito ricredermi.
Ancora una volta, chiedo a Beppe Grillo di raccontare perché, poco prima delle consultazioni per formare il governo, si recò a Roma, ma la prima visita fu per l’ambasciatore statunitense.
Io, prima di tornare a votare il M5S, desidero due cose:
-sapere perché decise la visita;
-sapere, a grandi linee, quale fu il tono del colloquio.

In un movimento dove “uno vale uno” la chiarezza deve essere specchiata, altrimenti non servono torrenti di parole e mille rassicurazioni il giorno. La gente, Beppe, deve crederti, altrimenti avremo tanti Renzi o Gentiloni per i secoli a venire, nell’attesa del fatidico 51%.

La rivelazione più scioccante non è lo Scandalo dello Spionaggio della CIA… - Simon Black

E’ successo di nuovo – un altro scandalo di spionaggio nella terra della Libertà.
Ieri  Wikileaks ha rilasciato  8,761 documenti della CIA che rivelano in dettaglio l’atto di hackeraggio fatto dall’agenzia su telefoni intelligenti, router, computer e persino su televisori.
Questi file rivelano che la CIA può e ha violato dispositivi che dovevano essere sicuri – come iPhone, iPad e dispositivi Android.
I documenti rivelano inoltre che la CIA sta deliberatamente contaminando, con spyware, i personal computer, tra cui Windows, Mac OS / X, Solaris, Linux e altri sistemi operativi.
Stanno contaminando anche router WiFi per diffondere software che controlla le attività su Internet, ed è stato trovato anche come aggirare il software anti-virus in modo che il loro spyware non possa essere rilevato. Ma sono anche riusciti a far credere al resto del mondo,  che ci siano gli hacker russi, non la CIA,  dietro a tutto questo malware e spyware.
E’ una specie di ritorno alla vecchia Mission Impossible – “Se uno qualsiasi dei vostri agenti della Mission Impossible fosse  catturato o ucciso … daremo tutta la colpa alla Russia”.
La CIA è piuttosto senza vergogna nelle sue attività, tanto da dare nomi  – ai suoi vari programmi di hacking  come “Assassino”, “Medusa” e “Brutal Kangaroo”.
Una delle rivelazioni più inquietanti è che l’agenzia è in grado di entrare nei televisori connessi a Internet, come  il Samsung Smart TV, per mezzo di  un programma chiamato “Weeping Angel”.
Fondamentalmente la CIA può trasformare un televisore in un dispositivo di ascolto, registrando le conversazioni che avvengono nella sala e  trasmettendo l’audio a un server della CIA.
Anche se pensate che il televisore sia spento, il televisore non lo è mai.
Gli hacker della CIA sono riusciti a modificare il segnale dei tasti  ON-OFF  e ad impostare il televisore in modalità di “falso off”.
Quindi : nessun dispositivo collegato con il mondo esterno è veramente al sicuro.
E prossime pubblicazioni di Wikileaks possono dimostrare che la comunità dell’Intelligence sta hackerando gli apparecchi automatici della casa e delle automobili collegati a Internet (compreso il pilota-automatico), e le intelligenze artificiali come Alexa di Amazon.
E’ difficile stupirsi quindi se il governo sta spiando anche gli alleati e i suoi propri cittadini.
Questi sono solo gli ultimi esempi dei modelli di sorveglianza e delle violazioni costituzionali in cui è stata colta in flagranza la Comunità di Intelligence degli Stati Uniti.
Ma quello che mi sembra assolutamente più preoccupante  è la mancanza di preoccupazione della gente per la pubblicazione di questi nuovi documenti della CIA.
Ora la gente ha una aspettativa tanto bassa dal governo ed è diventata tanto abituata alle sistematiche violazioni delle loro libertà civili da parte del governo stesso , che questi scandali di spionaggio non sollevano quasi più l’ indignazione di nessuno.
Ancora più importante è  il significato che dobbiamo dare a questa mancanza di preoccupazione  sul valore della “Libertà” nella Land of the Free.  La Terra delle Libertà
Eccone un esempio-
I giovani sono tradizionalmente gli attivisti politicamente più impegnati del paese.
Ma dove sono le proteste dei tanti campus universitari che chiedono libertà e privacy?
Non sta succedendo niente.
Questo perché gli studenti universitari sono troppo occupati a protestare contro le idee di cui non vogliono nemmeno sentir parlare.
Al Middlebury College, la scorsa settimana, una piccola scuola d’arte nel Vermont, un gruppo di studenti che protestavano ha aggredito fisicamente un lettore conservatore perché si sentiva offeso dalle sue idee.
Avrebbero potuto semplicemente saltare la lezione e lasciar partecipare solo gli studenti interessati . No, hanno dovuto mostrare la loro violenta censura, sopraffacendo qualsiasi idea non conforme al loro rigido pensiero.
L’unica cosa che vogliono sentire  questi cry-bullies  sono degli apologetici uomini bianchi che si umiliano per il loro privilegio di essere bianchi.
Questa è la nuova realtà nella Terra della Libertà: la libertà si è deteriorata in qualche fantasia socialista di qualche professore che studia il gender.
Le libertà costituzionalmente garantite sono diventate irrilevanti.
Dimenticatevi della “libertà di parola”.
Ogni dissenso intellettuale che non è d’accordo con un unico intollerante punto di vista della giustizia sociale è ormai considerato  “libertà di odio”.
E il Quarto Emendamento, quello che stabilisce “il diritto del popolo ad essere sicuro nella propria persona, in casa, nei suoi documenti, negli effetti personali contro perquisizioni e sequestri ingiustificati” è diventato un lontano ricordo.
Io immagino che se un bambino, cresciuto negli anni ’80, al culmine della guerra fredda, si fosse trovato in mezzo ad uno scandalo simile, avrebbe provato un gran disgusto .
Spiare i propri cittadini e gli alleati? Questo è quello che si faceva  in Unione Sovietica!
Ma oggi, qualsiasi altra cosa  è più importante.
Bagni transgender. Mettere a tacere i discorsi di odio. Obbligare i bambini delle scuole elementari a sentirsi in colpa per il loro privilegio di essere bianchi. Il polically correct portato ai massimi limiti. #everyone-else-but-white-people’s-lives-matter (#per tutti, eccetto per i bianchi, la vita conta).
Questi sono gli argomenti che dominano la conversazione sociale, adesso nella terra della libertà.
La Privacy non è più un valore dell’Occidente.
Dopo tutto, la gente narcisisticamente mette in mostra tutta la sua vita sui social media (come se qualcuno avesse voglia di sapere quello che c’è per cena) così  Mark Zuckerberg può vendere all’asta i nostri dati al miglior offerente.
Ed è proprio questo declino dei valori che trovo più inquietante.
Tanta gente  ha la convinzione idiota che, “se non ho nulla da nascondere, non ho nulla da temere”. Questa la logica è pericolosa, per molte ragioni.
Anche l’uso della parola ‘nascondere’ è ridicolo … come se il fatto che io non carichi foto delle mie parti basse su Instagram significhi che sto “nascondendo” qualcosa.
Tutti noi abbiamo delle cose private. E’ per questo che indossiamo i vestiti, che non parliamo dei nostri soldi in una compagnia non intima e ci preoccupiamo quando il nostro numero di previdenza sociale viene rubato.
Ma ancora più importante: se non ci importa che la CIA stia monitorando i momenti più intimi delle persone, che cosa veramente deve importarci?
Continuano a camminare sul filo, e sondano sempre più a fondo nella nostra vita e stanno avvolgendo tutto il paese in uno stato di sorveglianza orwelliana.
E non si fermano … perché siamo proprio nel bel mezzo di un crollo assoluto di tutti i valori occidentali.
(autore della traduzione Bosque Primario)

Sole 24 Ore, indagati il direttore Napoletano, l’ex presidente Benedini, il deputato Quintarelli e altri 6.

Sole 24 Ore, indagati il direttore Napoletano, l’ex presidente Benedini, il deputato Quintarelli e altri 6

I dieci devono rispondere di false comunicazioni sociali e appropriazione indebita. Al centro dell’inchiesta della Procura di Milano c'è la vicenda degli oltre 109mila abbonamenti digitali al quotidiano economico, sottoscritti tra il 2013 e il 2016 tramite la società inglese Di Source Limited. Per i pm si tratta di account fantasma, attivati solo per far sembrare i conti della casa editrice controllata da Confindustria meno in crisi e gonfiare il bilancio 2015.

False comunicazioni sociali e appropriazione indebita. Sono queste le ipotesi di reato con cui la procura della Repubblica di Milano ha iscritto dieci persone nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sui conti del Sole 24 Ore. A essere coinvolti sono nomi di spicco nel quotidiano controllato da Confindustria. Dopo tre mesi di indagini, la Procura di Milano ha individuato due diversi filoni collegati tra loro. Nel primo sono indagati per false comunicazioni al mercato il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, responsabile anche di Radio 24 e dell’agenzia di stampa Radiocor, l’ex presidente del gruppo, già numero uno della Fondazione Fiera Milano, Benito Benedini, e Donatella Treu, ex amministratore delegato e direttore generale dell’editrice. Il secondo troncone riguarda invece il rapporto tra il gruppo di via Monte Rosa e la società inglese Di Source Limited e vede indagati per appropriazione indebita di una cifra che si aggirerebbe intorno ai 3 milioni di euro altre cinque persone: l’ex direttore dell’area digitale, Stefano Quintarelli, che attualmente siede alla Camera nei banchi di Scelta Civica, suo fratello Giovanni Quintarelli, il commercialista Stefano Poretti, Massimo Arioli (ex direttore finanziario del gruppo), Alberti Biella (ex direttore dell’area vendite) e Filippo Beltramini (direttore della società inglese Fleet Street News Ltd).
Le Fiamme Gialle venerdì mattina hanno eseguito perquisizioni nell’ufficio di via Monte Rosa del direttore del quotidiano, negli appartamenti di Treu e Benedini e nell’ufficio del commercialista Stefano Poretti. I finanzieri del Nucleo Valutario, guidati dal colonnello Procucci, hanno eseguito perquisizioni anche sul posto di lavoro di altri cinque indagati. Al centro dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Gaetano Ruta, come detto c’è la vicenda degli oltre 109mila abbonamenti digitali al quotidiano economico, sottoscritti tra il 2013 e il 2016 tramite la società inglese Di Source Limited. Per i pm milanesi si tratterebbe in realtà di account fantasma, attivati solo per far abbellire i disastrati conti della casa editrice di Confindustria e gonfiare il bilancio 2015.
Secondo gli inquirenti Quintarelli, Arioli e Biella sarebbero stati “soci occulti” della società inglese e si sarebbero appropriati, ai danni delle casse del gruppo editoriale, di circa “3 milioni di euro” in tre anni, tra il 2013 e il 2015. Oltre ai 3 ex manager, anche il fratello del deputato, Poretti, Beltramini e una quarta persona, si sarebbero spartiti la cifra contestata dalla Procura. Nella presunta appropriazione indebita il Sole 24 Ore figura come parte offesa. Stando all’ipotesi degli inquirenti, Di Source, società inglese che in pratica acquistava copie digitali dal Sole 24 Ore per poi rivenderle agli utenti su mandato dello stesso gruppo, avrebbe esercitato in realtà un’attività di vendita soltanto virtuale (i presunti dati falsi sulle copie vendute, però, sarebbero poi stati messi a bilancio del gruppo) e avrebbe avuto alla fine un saldo positivo tra entrate (incassi per la sua attività) e uscite (costi) di tre milioni di euro in tre anni. La cifra che, appunto, secondo l’accusa, si sarebbero spartiti i 7 indagati del filone sull’appropriazione indebita.
Mentre l’accusa di false comunicazioni sociali (altra tranche dell’indagine), contestata agli ex vertici del gruppo e al direttore del quotidiano, riguarda i presunti dati falsi sulle copie che hanno impattato sul bilancio del 2015. Non a caso nel decreto di perquisizione, si parla di “gravi anomalie” nell’andamento “economico della società”, di “vendite” di copie digitali “tanto enfatizzate” ma poi accertate come “false” e anche di una parte “significativa di copie” cartacee finita “dritta al macero”. Da quanto si è saputo, il Nucleo speciale di Polizia Valutaria della Gdf, che ha eseguito le attività di indagine anche nella sede del quotidiano, per quanto riguarda la posizione di Napoletano, ha effettuato un “invito alla consegna” di materiale, anche informatico, e non un sequestro. Cautela utilizzata perché si tratta di un giornalista. Stando agli atti, attraverso i presunti dati falsi sulle vendite “si è veicolato – hanno scritto i pm – un messaggio largamente positivo sull’andamento economico” del gruppo che, invece, non era tale.
Di prammatica la posizione ufficiale di Confindustria, che in una nota ha confermato “piena fiducia alla magistratura nella sua azione e ribadisce la necessità che venga fatta la più ampia chiarezza sui fatti passati relativi al Sole 24 Ore“. L’associazione degli industriali, poi, scarica sul cda dell’editrice il compito di valutare “nella sua autonomia le azioni da prendere”. Dal canto suo Confindustria “valuterà tutte le azioni necessarie a tutela propria e degli altri azionisti“. Invece i vertici dell’editrice freschi di nomina “ribadiscono la propria volontà a fornire agli organi inquirenti la massima collaborazione per l’accertamento dei fatti, confermando che agiranno con determinazione a tutela degli interessi della società”. Silenzio assoluto sul futuro del direttore.

Trovata statua gigante di Ramses II in una baraccopoli al Cairo.



Vicino a un tempio dove sorgeva antica heliopolis.


Gli archeologi egiziani hanno rinvenuto una statua gigante, lunga otto metri, in un quartiere popolare del Cairo che si ritiene raffigurasse il Faraone Ramses. Lo riferisce al Ahram.
Accanto alla statua gigante anche un'altra di circa un metro di Seti II. Il ritrovamento è avvenuto in un'area nei pressi di un tempio di Ramses II dove sorgeva l'antica Heliopolis.

venerdì 10 marzo 2017

A14, crolla ponte sull'autostrada, morti marito e moglie. Testimoni sotto choc: "Noi miracolati".

A14, crolla ponte sull'autostrada © ANSA

E' accaduto al km 235+800, tra Loreto e Ancona Sud.

E' stato demolito e rimosso durante la notte il troncone del cavalcavia crollato ieri mattina sull'autostrada A14 a Camerano (Ancona), causando la morte di due coniugi e il ferimento di tre operai. L'autostrada è stata riaperta in entrambe le carreggiate. L'area resta sottoposta a sequestro. La società Autostrade ''ha chiesto con estrema urgenza alle aziende che hanno progettato ed eseguito i lavori sul cavalcavia crollato una relazione dettagliata su quanto accaduto, per accertare eventuali errori umani e valutare possibili azioni a tutela''. Il cantiere, dice la società, ''era stato avviato il 7 febbraio e si sarebbe dovuto concludere, per quanto riguarda le attività sulle pile finalizzate all'innalzamento del cavalcavia, il 31 marzo''.
Le vittime sono Emidio Diomede, 60 anni, e la moglie Antonella Viviani. La coppia, marito e moglie, viveva a Spinetoli (Ascoli Piceno) e viaggiava a bordo di una Nissan Qashqai, travolta dal crollo del ponte, lungo il quale erano in corso lavori di manutenzione. Nel cedimento del cavalcavia sono rimasti feriti tre operai della Delabech, che eseguiva i lavori. Ricoverati nell'ospedale di Ancona, non sarebbero in gravi condizioni. E' accaduto al km 235+800, all'altezza di Camerano (Ancona). 
"Erano due persone eccezionali - ricorda commosso Daniele, il figlio della coppia morta nel cedimento - che il Signore ha chiamato troppo presto a sé". Daniele Diomede, ex team manager della Sambenedettese, è  in procinto lui stesso di diventare papà ed ha ricordato che il padre era "un uomo molto riservato". 
La Procura di Ancona ha aperto un'inchiesta sul crollo. L'ipotesi di reato è, per il momento, di omicidio colposo plurimo. "Mi riservo di valutare se esistano i presupposti per ipotizzare il reato di disastro colposo. L'errore umano? Per definizione un reato colposo comprende anche l'errore umano, ma l'indagine è appena iniziata", dice il pm Irene Bilotta. I lavori di manutenzione del ponte sono stati appaltati dalla Pavimental (controllata da Autostrade) alla Delabech di Roma.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sta predisponendo l'istituzione di una commissione ispettiva di esperti per valutare quanto accaduto.
I feriti sono tre operai romeni di 56 e 46 anni. Sono precipitati da un'altezza di circa sei-sette metri ma non sono in pericolo di vita: il più anziano si è fratturato un polso e ricorda tutto quanto è accaduto, un altro invece apparentemente non avrebbe riportato fratture, ma non ricorda gli attimi dell' incidente. Il terzo ha riportato lesioni lievi tanto che è stato trasportato all'ospedale di Osimo, dove è stato medicato e tenuto in osservazione.
Il ponte crollato era una struttura provvisoria posizionata a sostegno del cavalcavia, che era chiuso al traffico. Il ponte si è spezzato ai lati, schiantandosi a terra proprio mentre transitava la Nissan con i due coniugi rimasti uccisi.  
''Me lo sono trovato davanti caduto, all'improvviso, siamo tutti sotto choc. Poi abbiamo capito che sotto c'era una macchina con delle persone. Terribile...''. E' quanto riferisce all'Ansa Francesco, un giovane calabrese residente a Reggio Emilia che è stato tra i primi a fermarsi davanti al ponte crollato. ''Siamo salvi per miracolo: una signora davanti a me era scossa davvero, ha fatto una frenata e si è fermata a 10 mt dal ponte. E' successo tutto di colpo'', racconta.
Si sente "miracolata" Anna Maria Mancinelli, di Porto Sant'Elpidio (Fermo), che stava viaggiando sull'autostrada A14 su un'automobile che si è fermata "un centinaio di metri prima del ponte crollato. Prima abbiamo visto della macchine ferme - racconta all'ANSA -, poi un autoveicolo schiacciato e abbiamo capito che cosa era successo. Sono laica, ma stavamo tornando da un conferenza stampa di presentazione ad Ancona della Festa delle Pro Loco che si terrà il 12 marzo a Loreto, dove verranno benedetti i gonfaloni dell'Unpli. Questo e il fatto che ci troviamo nel territorio di Loreto mi fanno sentire una miracolata". 

La manutenzione straordinaria che ha fatto crollare il cavalcavia sull'autostrada. Un errore umano la causa del disastro. - Giuseppe Caporale


La manutenzione straordinaria che ha fatto crollare il cavalcavia sull'autostrada. Un errore umano la causa del disastro

Secondo fonti vicine alle ditte coinvolte, potrebbe aver basculato il pulvino che collega il martinetto in acciaio al cemento armato.


Era in corso una manutenzione straordinaria sul cavalcavia che è crollato lungo l’autostrada A14, all’altezza di Castelfidardo (Ancona) causando la morte di due persone rimaste schiacciate con la loro auto. La società incaricata dei lavori, la Pavimental spa (totalmente controllata dal gruppo Autostrade per l’Italia) aveva intenzione di sostituire gli appoggi di cemento armato che reggono il ponte, probabilmente logori dopo quasi cinquant’anni dalla messa in opera. 
Per questo, aveva incaricato la ditta specializzata Delabech con lo scopo di intervenire con apparecchi di appoggio e procedere al sollevamento e alla manutenzione degli appoggi in cemento armato. Ma una volta inseriti i “martinetti” e sollevata la campata del cavalcavia qualcosa deve essere andato storto.
Secondo fonti vicine alle ditte coinvolte, potrebbe aver basculato o leggermente ceduto il pulvino che collega il martinetto in acciaio al cemento armato. 
“Potrebbe essere stato persino colpa del vento” ragionano. “Quando la campata è sollevata e senza appoggi basta davvero poco perché si verifichi il cedimento. E in quel momento c’era davvero molto vento e le condizioni non erano le migliori”.  

Le tecniche di sollevamento dei ponti

Le tecniche di sollevamento proposte sono le seguenti a seconda della tipologia dell’opera. 
Sollevamento della campata metallica.
Il peso massimo a punto di sollevamento è di 100 ton. La testata viene sollevata un lato per volta mediante speciali puntelli modulari a testa filettata con travi di ripartizione da posizionare direttamente sull’asfalto autostradale. Ogni puntello dispone del suo martinetto idraulico di carico nominale 25 ton e della trave di ripartizione. Sono previsti fino a 6 puntelli per ogni trave di testata. Le riprese di corsa vengono effettuate inserendo spessori in corrispondenza degli appoggi esistenti fino al raggiungimento della quota di progetto.
Sollevamento delle campate laterali.
Il peso massimo a punto di sollevamento è di 20 ton. La testata viene sollevata un lato per volta posizionando martinetti idraulici sotto i traversi di testata delle campate in c.a.. Sul lato di pila vengono posizionati i martinetti sul lato delle travi (un martinetto per le travi di bordo e due martinetti per le travi centrali. Sul lato di spalle vengono create apposite nicchie al centro dei traversi in corrispondenza dei quali vengono posizionati i martinetti. Anche in questo caso le riprese di corsa vengono effettuate spessorando sugli apparecchi di appoggio.
Le fasi di lavorazione.
1.     Preparazione della zona di lavoro in corrispondenza degli appoggi con adeguati ponteggi;
2.     Eventuale desolidarizzazione delle campate, pulizia dei giunti, creazione di nicchie e distacco delle barriere di sicurezza;
3.     Installazione dei puntelli, martinetti e dei collegamenti oleodinamici;
4.     Installazione dei trasduttori di livello e del sistema di sollevamento;
5.     Sollevamento sincronizzato e spessoramento della campata fino a quota di progetto;
6.     Messa in sicurezza dell’impalcato sollevato su ghiere di sicurezza;
7.     Lavori di adeguamento dei baggioli e lavorazioni intorno agli appoggi;
8.     Abbassamento della campata e trasferimento del carico su appoggi definitivi.

La versione di Autrostrade: “Ditta qualificata”.


Secondo poi quanto precisa la Società Autostrade, a cedere è stato un ponteggio provvisorio che era stato montato a sostegno del ponte nell’ambito di lavori di ampliamento della terza corsia dell’autostrada; la struttura provvisoria serviva al sollevamento del cavalcavia. I lavori erano affidati a due diverse ditte. Al momento del crollo il cavalcavia, che ha ceduto su entrambe le estremità, era chiuso al traffico. 
“Sulla base delle informazioni al momento acquisite” afferma Autostrade per l'Italia “le attività di sollevamento del cavalcavia interessato dal crollo erano state completate alle ore 11:30. Al momento dell'incidente, alle 13 circa, il personale stava realizzando attività accessorie. Sul cantiere, peraltro, era presente l'ingegnere responsabile tecnico dei lavori per la Delabech''.
La società in questione, prosegue Autostrade, ''è una società specializzata con qualifiche di legge per i lavori in oggetto e munita di certificazione delle società Protos, Bureau Vertitas e Accredia. La stessa società aveva eseguito analoghi lavori su altri cavalcavia della stessa tratta. Autostrade per l'Italia ha già messo a disposizione della magistratura tutti gli elementi contrattuali relativi all'affidamento dei lavori''.
Si stanno acquisendo ''tutti gli elementi per ricostruire la dinamica dell'evento, partendo dai documenti progettuali elaborati dalla Delabech stessa''. 

Il sindaco: “Inconcepibile i lavori senza chiudere l’autostrada”

Il sindaco di Castelfidardo, Roberto Ascani, ha aggiunto dettagli sulla dinamica dell’incidente: «Gli operai stavano sollevando la campata del ponte con dei martinetti, quando la struttura ha ceduto: evidentemente qualcosa è andato storto; è, inconcepibile eseguire lavori di questa natura senza chiudere la A14».

La Procura: "Errore umano"

«Di certo siamo di fronte ad un errore umano e non ad un cedimento strutturale, ma per stabilire chi saranno gli indagati — rivelano fonti dalla procura di Ancona —, bisognerà accertare per prima cosa la causa meccanica che ha fatto venir giù il cavalcavia. Soltanto dopo si potrà risalire a che livello è stato commesso l’errore». S’indagherà, dunque, anche sulla qualità del calcestruzzo che reggeva i pilastri. Autostrade per l’Italia, responsabile dell’infrastruttura, parla però solo di «un tragico incidente non prevedibile» ed esclude «un cedimento strutturale». 

Mario Sabatelli: "Io, medico e cattolico spengo le macchine ai malati che lo chiedono". - Caterina Pasolini


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Mario Sabatelli - primario Gemelli - Roma

Fine vita. Per il primario del "Gemelli" il rifiuto delle cure per chi soffre di Sla non è eutanasia: "C'è un diritto a morire in tutta serenità, lo dicono la legge e la Chiesa".

ROMA. "Piergiorgio Welby e Walter Piludu? Fossero stati miei pazienti, avrei seguito le loro decisioni senza bisogno di tribunali. Perché il rifiuto delle cure non è eutanasia ma una questione di buona prassi medica. Già oggi la legge, la Costituzione e il codice deontologico lo consentono. Anche il Magistero della Chiesa è chiaro: non c'è un diritto di morire ma sicuramente un "diritto a morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana". Dopo la sentenza di Cagliari che autorizzava Piludu, malato di Sla, a vedersi togliere il respiratore sedato, andandosene senza soffrire, parla Mario Sabatelli, primario al Gemelli di Roma, un ospedale di forti tradizioni cattoliche. Guida "Nemo", il reparto all'avanguardia per i malati di sclerosi laterale amiotrofica: 10 letti,140 nuovi pazienti ogni anno, 250 in cura.

Scegliere allunga la vita?
"Sì. Lo vedo nella mia esperienza. I malati da noi sanno che potranno rinunciare al respiratore, quando per loro dovesse diventare intollerabile. Solo con questa sicurezza il 30 per cento accetta oggi la tracheotomia".

Chi deve decidere?
"Solo il malato può valutare se la ventilazione meccanica è trattamento proporzionato alla propria condizione e quindi non lesivo della propria dignità di vita. Chi accetta ha diritto ad essere assistito a casa, aiutato dalle istituzioni. Chi rifiuta ha diritto a morire con dignità".

Parla di abusi negli ospedali.
"Conosco il calvario di chi vive con la Sla, per questo trovo scandaloso che in molti pronto soccorso i medici si arroghino il diritto di intubare malati che hanno detto di no, o minaccino di mandarli a casa se non accettano la ventilazione forzata. Una follia. Il compito del medico è seguire le scelte del paziente, alleviare le sofferenze. Troppi non lo fanno per paura, ignoranza della Costituzione e dei documenti della Chiesa".

Qual è l'opzione?
"Tra morire senza dolore con una sedazione o accettare l'ausilio delle macchine. Con l'arrivo dei ventilatori portatili la scelta è tra una maschera collegata al macchinario, oppure la tracheotomia".

Scelta etica o medica?
"Sicuramente etica, dipende dalla visione esistenziale che ha il paziente, dalle sue idee, dalla sua persona. A noi medici spetta il compito di informarlo in modo approfondito. Al "Gemelli" studiamo un piano di cura coi malati, ascoltiamo i voleri di chi vive con un tubo in gola, un sondino per nutrirsi. Li seguiamo nel cammino, sino all'ultimo. Perché io non li lascio andare, non li lascio morire. Li accompagno sino alla fine. Mi assicuro che venga seguite la loro volontà e non soffrano".

Li addormenta e toglie il respiratore?
"Sì l'abbiamo fatto a pazienti che, stanchi di vivere immobili, attaccati alle macchine, hanno detto basta. Sono stati sedati profondamente e solo a quel punto spenta la macchina che soffiava aria nei polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo".

C'è chi dice: è eutanasia.
"C'è una differenza abissale con l'eutanasia, sia negli obiettivi che nelle procedure. Qui parliamo di scelte terapeutiche, lo dice la legge, la Costituzione nell'articolo 32 sottolinea che nessuno può essere obbligato a subire cure. Sceglie il paziente e il rifiuto della respirazione forzata rientra nel consenso informato. Certo, il risultato finale è la morte, ma è cosa diversa dal dare un farmaco che provoca la fine. Sceglie la persona e il principio che ci guida è la proporzionalità".

Cosa dice la Chiesa?
"In un documento del 1980 c'è scritto: "È lecito interrompere l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi". Il medico deve assistere chi soffre, eliminare il dolore. Io, medico, riconosco il diritto a rifiutare la cura e assisto il sintomo, il senso di soffocamento, con la sedazione".

C'è chi parla di omicidio.
"Negli anni '50 Pio XII disse: "Compito del medico è lenire le sofferenze e se anche il farmaco dovesse accelerare la fine, il nostro obiettivo è togliere la sofferenza". Quindi la sedazione profonda è eticamente accettabile".

I malati decidono di morire?
"Le persone che rinunciano alle cure non decidono di morire, decidono come vivere. La vita è un valore inestimabile, ma bisogna farsene carico, aiutare le famiglie. Invece vedo malati di Sla, dalle cure costose e complesse, lasciati soli. Ci sono differenze enormi nella qualità dell'assistenza a seconda della città".

Manca una legge su fine vita?
"I cinque a cui abbiamo staccato i respiratori lo avevano chiesto a voce. Il problema è che aggravandosi molti, l'8 per cento, restano lucidi ma non possono comunicare. L'Aisla, l'associazione dei pazienti, sta lavorando a disposizioni anticipate di trattamento che consentano il rispetto della volontà quando non potranno dirla". Perché la legge è ancora un'utopia.


http://www.repubblica.it/cronaca/2016/12/08/news/mario_sabatelli_io_medico_e_cattolico_spengo_le_macchine_ai_malati_che_lo_chiedono_-153716849/

giovedì 9 marzo 2017

Accade oggi, appena dall'altra parte del mare. - Davide Enia


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quando ho visto sbarcare al molo Favaloro circa 400 ragazzine per lo più nigeriane - erano quasi le 2 di notte - un brivido mi ha azzannato la schiena. 
Erano infreddolite, quasi tutte scalze, spaesate. «È quello che penso?», chiesi a Paola ma lei era al telefono, in modalità viva-voce. 
Ascoltai quella telefonata. «Sono arrivate adesso», disse Paola. Stava parlando con un amico siciliano che si occupa proprio dei minori sbarcati. 
«Quante sono?», chiese l'amico. «Assai», rispose Paola. Inspirò con forza e aggiunse: «Hanno dodici, tredici, quattordici anni». All'altro capo, un silenzio di piombo. Poi, una sola parola: «Minchia». Non ci fu bisogno di aggiungere altro. La telefonata si concluse così. Lo avevamo capito tutti, su quel molo: erano merce. È la legge della domanda e dell'offerta. Era partita dall'Europa una richiesta di carne da marciapiede ed ecco un carico di ragazzine sui gommoni. Le ragazzine sul molo, confuse, si stringevano alla coperta termica e attendevano che capitasse loro ciò che sarebbe stato. C'era freddo quella notte di febbraio a Lampedusa. 

Quando si pensa a quanto sta accadendo oggi sul Mediterraneo, bisogna sempre tenere presente che quasi la totalità delle donne sono vittime di abusi sessuali nei carceri libici. Sono le visite ginecologiche ricevute dai nostri medici a dircelo, oltre alle evidenti ferite e mutilazioni di cui sono state vittime. Anche le bambine sono vittime di violenza sessuale. L'enorme quantità di ragazze incinte sui barconi è la stimmate del ripetuto stupro subito: la gravidanza, in un certo senso, le salva, perché la donna incinta si stupra con minore regolarità, allora viene messa sul barcone e la si affida al mare, ìdda e la sua pancia. Il dottor Bartolo me lo disse senza mezzi termini: «Manco all'armàli ci fanno i cose che fanno a i fimmini». Manco agli animali.
Accade oggi, appena dall'altra parte del mare.


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