domenica 10 marzo 2019

Tav, Palazzo Chigi scrive a Telt: rinviati i bandi. Conte: “I gruppi di potere non ci condizionano. Ora tavolo con Parigi e Ue”.

Tav, Palazzo Chigi scrive a Telt: rinviati i bandi. Conte: “I gruppi di potere non ci condizionano. Ora tavolo con Parigi e Ue”

La lettera del premier chiede di bloccare i capitolati di gara. La società risponde: "La pubblicazione relativa ai lavori principali è stata fermata, ma un nuovo rinvio oltre il mese di marzo comporterebbe la riduzione dei 300 milioni di fondi Ue". Poi propone la clausola di dissolvenza, ovvero la possibilità per il governo di revocare la procedura in qualunque momento.

” Telt mi ha appena risposto confermandomi che i capitolati di gara non partiranno senza l’avallo del mio governo e del governo francese e che, al momento, si limiteranno esclusivamente a svolgere mere attività preliminari, senza alcun impegno per il nostro Stato”. Così su Facebook il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, pubblicando la lettera da lui inviata alla società italo-francese sul Tav e la risposta ricevuta da Telt, chiarisce che i bandi per i 2,3 miliardi di lavori del tunnel di base della Torino-Lione sono stati rinviati e non partiranno lunedì: è il frutto del compromesso giuridico trovato per mediare tra le posizioni di M5s e Legacon i due vicepremier che ora si intestano entrambi la vittoria politica. “Lavoriamo in piena trasparenza perché non ci lasciamo condizionare dalle pressioni opache di gruppi di potere o comitati di affari. Fino a quando questo Governo sarà in carica, per quanto mi riguarda, sarà così. Sempre”, rivendica il premier. E così, insieme ai bandi, sembra rinviato anche lo scontro tra i due partiti di maggioranza. Di sicuro, la crisi di governo è ora lontana.

Conte aggiunge anche che il governo ha intenzione di “interloquire con la Francia e con l’Unione europea alla luce delle più recenti analisi costi-benefici da noi acquisite. Ovviamente non vogliamo che nel frattempo si perdano i finanziamenti europei già stanziati”, spiega il premier. È propria questa infatti la richiesta che inserisce nella sua lettera a Telt in cui invita a “evitare di assumere impegni di spesa gravanti sull’erario italiano” ma allo stesso tempo a “non pregiudicare gli stanziamenti finanziari posti a disposizione dall’Unione europea“. Da qui la risposta della società: “La pubblicazione dei bandi di gara relativi ai lavori principali è stata rinviata“, ma “un nuovo rinvio di tali pubblicazioni oltre il mese di marzo comporterebbe la riduzione della sovvenzione europea di 300 milioni di euro“.
Conte scrivendo a Telt cita prima il contratto di governo e poi l’analisi costi-benefici effettuata dagli esperti nominati dal Mit. Alla luce del fatto che “la corrispondenza all’interesse pubblico” dell’opera “non appare affatto scontata”, il premier invita la società “a soprassedere dalla comunicazione dei capitolati di gara“, ovvero la prima fase di raccolta delle disponibilità delle imprese. Richiesta a cui Telt risponde appunto positivamente, seppur ricordando il limite del 31 marzo. Per questo motivo, si legge nella replica della società, “il Consiglio di amministrazione fissato per l’11 marzo 2019 (lunedì, ndr)” autorizzerà la direzione a pubblicare gli inviti a presentare candidatura ma solo “relativamente agli interventi dei lotti francesi del tunnel di base”.
Nel concludere la sua risposta al governo italiano, Telt ripropone poi quanto aveva già avanzato in precedenti lettere del dicembre e del febbraio scorso: da una parte “l’avvio della prima fase di candidatura“, quindi sbloccare almeno l’avvio dei bandi, sottoponendo poi “all’avvallo dei due Governi” la “successiva fase di trasmissione dei capitolati per la presentazione delle offerte”. Dall’altra parte propone anche quella che viene definita clausola di dissolvenza e che inizialmente Sole 24 Ore e Huffington Post avevano erroneamente attribuito a un’iniziativa del premier Conte. È la “facoltà per la stazione appaltante in qualunque momento di non dare seguito alla procedura senza che ciò generi oneri per la stazione appaltante stessa, né per gli Stati”, si legge nella lettera di Telt. In pratica, consentirebbe all’Italia di ritirarsi in qualsiasi momento se sono venute meno le volontà politichedi procedere.

L’opposizione – La lettera di Palazzo Chigi invita Telt “a non fare i capitolati d’appalto, lasciando aperto uno spiraglio non chiarissimo. Vedremo lunedì”, commenta il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, a margine del flash mob delle madamin a favore della Torino-Lione. “È come se il governo dicesse di far partire le manifestazioni d’interesse, sapendo già che i capitolati d’appalto non saranno mai affidati – aggiunge – una roba da Repubblica delle banane”. Il neo-segretario Pd Nicola Zingaretti parla di “un pasticcio indecente e un danno immenso alla credibilità dell’Italia. Così si distrugge la fiducia. Il governo si tiene insieme solo per un patto per la gestione del potere. Spero provino vergogna. È tempo di cambiare”.
La clausola di dissolvenza – Era una delle ipotesi messa in campo venerdì dal leghista Armando Siri. La clausola di dissolvenza consente di dichiarare all’occorrenza “senza seguito” una procedura di gara già pubblicata, ma per cui nel frattempo siano venute meno le volontà politiche di procedere. La facoltà è prevista nel capitolo 5 del nuovo codice unico degli appalti francese, senza onori né obblighi per la stazione appaltante, né per gli azionisti, né per gli Stati. Seguendo questa via, in pratica il governo non ostacolerebbe la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea dell’avvio della ricognizione tra le aziende, ma allo stesso tempo chiederebbe alla Ue e alla Francia di aprire il tavolo per rivedere il trattato. Invitando il cda di Telt a mettere nero su bianco la clausola di dissolvenza, prevista dal diritto francese, i bandi “nonostante la pubblicazione, possono essere revocati in qualsiasi momento“, aveva spiegato Siri.

sabato 9 marzo 2019

Genitori Renzi, Tribunale del Riesame revoca gli arresti domiciliari. Interdetti per 8 mesi dall’attività imprenditoriale.

Genitori Renzi, Tribunale del Riesame revoca gli arresti domiciliari. Interdetti per 8 mesi dall’attività imprenditoriale

Tiziano Renzi e Laura Bovoli non potranno esercitare alcuna attività imprenditoriale fino al prossimo dicembre, ma possono tornare in libertà. È la decisione del Tribunale del Riesame di Firenze, che accogliendo la richiesta della difesa, ha alleggerito la misura cautelare nei loro confronti.

Tiziano Renzi e Laura Bovoli non potranno esercitare alcuna attività imprenditoriale per un arco di tempo di otto mesi, ma possono tornare in libertà. È la decisione del Tribunale del Riesame di Firenze, che accogliendo la richiesta della difesa dei genitori dell’ex premier, ha revocato gli arresti domiciliari e disposto allo stesso tempo l’interdizione dall’esercizio dell’attività imprenditoriale. Il padre e la madre dell’ex segretario del Partito democratico erano ai domiciliari nella casa della figlia Matilde a Rignano sull’Arno dal 18 agosto scorso, ovvero da quando il gip Angela Fantechi ne aveva ordinato la reclusione su richiesta del pubblico ministero Luca Turco. I Renzi sono accusati di bancarotta e fatturazioni per operazioni inesistenti nell’ambito dell’inchiesta della procura fiorentina sul fallimento di alcune cooperative collegate alla loro azienda di famiglia, la Eventi 6. “Tiziano Renzi e Laura Bovoli sono tornati liberi, da legale esprimo soddisfazione, alla quale si aggiunge quella dal punto di vista umano per i coniugi Renzi” ha detto l’avvocato FedericoBagattini, commentando la scelta del Riesame.
In merito alla decisione dei giudici, va sottolineato un aspetto non di poco conto: la misura cautelare resta, ma viene attenuata, passando da coercitiva a interdittiva. Una circostanza che di fatto confermerebbe il quadro probatorio a carico dei Renzi, i quali nel frattempo non rivestono più cariche societarie nell’azienda coinvolta nell’inchiesta: Laura Bovoli si è dimessa da ogni incarico in Eventi 6, Tiziano Renzi ha cancellato la sua iscrizione dal registro degli agenti di commercio. Il 13 febbraio scorso, nel motivare gli arresti domiciliari a loro carico, il gip Angela Fantechi aveva scritto: “Avendo gli stessi rivestito ruoli di amministratori di fatto e avendo gli stessi agito tramite ‘uomini di fiducia‘ non è possibile ritenere sufficiente una misura quale il divieto di esercitare uffici diretti di persone giuridiche ed imprese atteso che essa consentirebbe di impedire agli indagati di rivestire solo cariche formali, lasciandoli invece liberi di agire con condotte assai più subdole e pericolose perché di più difficile accertamento“. 
La richiesta di revoca dei domiciliari “per la totale insussistenza delle esigenze cautelari” era stata depositata dapprima al gip Angela Fantechi dall’avvocato Federico Bagattini, difensore dei coniugi, durante l’interrogatorio di garanzia, motivandola anche con il fatto che i genitori dell’ex premier hanno lasciato ogni carica nella Eventi 6. Il gip, tuttavia, aveva respinto l’istanza l’1 marzo scorso. I legali di Renzi senior e della moglie hanno presentato la stessa richiesta al Tribunale del Riesame corredandola con una memoria di 25 pagine con numerosi allegati e, durante l’udienza del 6 marzo scorso, hanno contestato uno per uno i capi d’imputazione, in particolare la bancarotta.
Ai genitori dell’ex premier (leggi gli articoli del Fatto) vengono contestate dall’accusa fatture false e gonfiate per circa 250mila euro. Le ha emesse, secondo i magistrati della procura di Firenze, la Marmodiv, una delle cooperative coinvolte nell’inchiesta. Ma la Marmodiv, per la quale è stato chiesto il fallimento nell’ottobre scorso, secondo l’accusa sarebbe stata utilizzata per “alleggerire” degli oneri previdenziali e fiscali la società della famiglia Renzi, la Eventi6Sempre secondo l’accusa, i coniugi Renzi sarebbero gli amministratori di fatto di questa cooperativa, come lo sarebbero stati di altre due cooperative coinvolte nell’inchiesta e già fallite, ovvero la Delivery Service Italia e la Europe Service.
Contestualmente alla decisione sui genitori dell’ex premier, il tribunale del Riesame di Firenze ha revocato anche i domiciliari per l’imprenditore Mariano Massone, arrestato il 18 febbraio scorso insieme a Tiziano Renzi e Laura Bovoli. Nei confronti di Massone i giudici hanno disposto l’obbligo di dimora nel territorio del Comune di Campo Ligure (Genova) con divieto di allontanarsi dalla propria abitazione dalle 22 alle 6.
Il fatto che il Tribunale del Riesame abbia revocato gli arresti domiciliari ai coniugi Renzi non significa che le loro responsabilità siano diminuite o decadute, ma solo che è stato loro impedito di distruggere la documentazione probante dei loro reati. Il fatto che sia stato vietato loro di intraprendere ogni attività imprenditoriale è la conferma che i reati sussistono.

Roma, svelato al Celio il labirinto di laghi sotterranei. - Laura Larcan



Nel ventre del Celio, a pochi metri dal Colosseo, è stato scoperto un patrimonio sotterraneo inaspettato: un labirinto di laghi di oltre due km

Il silenzio riempie lo spazio. Una volta entrati, non si percepisce più nulla della città caotica che vive in superficie a dieci metri d’altezza sopra le teste. La temperatura oscilla intorno ai 12 gradi e si riesce a cogliere tenue e ritmico solo un gocciolio d’acqua: sono le percolazioni naturali che da 1600 anni stanno plasmando stalattiti di cristalli cangianti, per poi alimentare autentici laghetti.
«È acqua limpida, le analisi chimiche hanno rivelato che è batteriologicamente purissima», racconta Carlo Cusin, architetto dell’associazione di speleologi Roma Sotterranea. E davvero, nel buio tagliato dalle luci delle torce, questi bacini d’acqua appaiono come uno spettacolo. Siamo nel ventre del Celio, a pochi metri dal Colosseo, sotto le fondamenta del convento dei Padri Passionisti che abbraccia la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Ma soprattutto, siamo sotto le ciclopiche strutture architettoniche del Tempio dell’imperatore Claudio della metà del I secolo d.C. inglobate dal convento a partire dal 1100 (tanto per capirne la portata, basti considerare che la platea di questo santuario di 200 per 180 metri poteva contenere tutto il Colosseo di 180 per 156 metri).
È qui sotto che l’équipe di speleologi guidata da Cusin, insieme agli archeologi della Soprintendenza diretta da Francesco Prosperetti, in sinergia con il Rettore della chiesa, padre Augusto Matrullo, sta portando avanti l’esplorazione e lo studio di un patrimonio sotterraneo inaspettato. Un sistema di cave romane, scavate fin dal IV secolo avanti Cristo, che si sviluppa per oltre due chilometri in una sequenza di “sale” dove le volte variano da picchi di otto metri a passaggi di appena un metro e mezzo. Un labirinto, dove è facile perdere l’orientamento, che custodisce una rete insospettata di laghetti dove l’acqua raggiunge i 10 gradi costanti: «L’origine è legata indubbiamente ad una falda acquifera superficiale, alimentata nel tempo anche dalle infiltrazioni d’acqua, purificata dallo strato di tufo – avverte Carlo Cusin durante il sopralluogo – Per questo il livello dei bacini varia in base alle stagioni e alle piogge. La siccità infatti ne ha prosciugato alcuni».
I COLORI
Se ne possono vedere quattro ora, spettacolari negli effetti cromatici, dove spiccano gli strati lattiginosi dei depositi di carbonato di calcio. Sembrano patine di ghiaccio. Sono i tesori naturali di un sistema caveale che ha il valore di un libro di storia. La Soprintendenza e Roma Sotterranea hanno cominciato a documentarlo dal 2004, ma da poco è stata intercettata una fessura da cui accedere ad un altro settore inedito, ancora tutto da esplorare: «Queste cave sono un unicum, perché scavate nel cuore di Roma, nella parte più antica della città, entro le Mura Serviane», sottolinea Simona Morretta, funzionario della Soprintendenza responsabile del Celio. Perché, come è noto, le “coltivazioni” di cave avvenivano sempre in zone periferiche.
La storia del Celio riaffiora. «Lo sfruttamento delle cave parte in età repubblicana per continuare almeno fino al tardo impero – riflette Morretta – Non è escluso che lo stesso santuario di Claudio sia stato costruito con questo materiale». Il percorso è ricco di sorprese. Gli speleologi si emozionano nell’indicare tutte le curiosità di questo piccolo mondo antico. Sulle volte si leggono nitidi, come fossero stati incisi ieri, i solchi degli scalpelli dei “fossores”, gli scavatori. Sulle pareti si trovano piccole fessure dove gli operai poggiavano le lucerne a olio lampante (sono visibili persino le bruciature dopo duemila anni). Mentre rimangono un mistero alcune nicchie: «Forse le riempivano d’acqua per rinfrescarsi durante il lavoro», ipotizza Cusin. Pensare che antichi fili elettrici rievocano oggi l’uso delle cave come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale.

venerdì 8 marzo 2019

Sicilia, 8 Marzo macchiato di sangue: massacrata di botte dal fidanzato per un post.

https://www.tp24.it/immagini_articoli/08-03-2019/1552026319-0-sicilia-marzo-macchiato-sangue-massacrata-botte-fidanzato-post.jpg

"Non permettere a nessuno di spegnere il suo sorriso". Per questo post una giovane di 30 anni è stata uccisa dal suo fidanzato. Massacrata di botte. 
Alessandra aveva 28 anni e amava la cucina. Viveva con Christian, 26 anni, in un piccolo appartamento in una borgata di Messina, Santa Lucia Sopra Contesse. I genitori di Alessandra abitano nello stesso edificio, al piano di sotto, ma non hanno sentito né le urla dell’ennesima lite scoppiata tra i due fidanzati, né le grida della ragazza, colpita più volte alla testa, sbattuta a terra fino a morire. A scoprire il delitto è stato il padre della giovane vittima. Con la moglie avevano più volte provato a chiamarla e, non avendo avuto risposta, si erano allarmati. Così ha deciso di salire in casa per capire cosa fosse accaduto. Entrato da una finestra rimasta aperta, ha trovato Alessandra sul letto in una pozza di sangue. Era morta probabilmente da qualche ora. Il viso tumefatto, il corpo pieno di lividi. Segni inequivocabili di una violenza bestiale. I sospetti degli inquirenti - le indagini sono state coordinate dal procuratore di Messina Maurizio De Lucia - sono caduti presto sul fidanzato. Le cose nella coppia non andavano più bene. Christian era geloso di un ex ragazzo della vittima e temeva che i due si fossero riavvicinati. Era diventato ossessivo, lei aveva deciso di lasciarlo.
Ieri sera l’ultima discussione. Christian ha perso la testa e l'ha massacrata di botte. Poi si è allontanato. Interrogato dalla polizia, ha prima negato. Poi è crollato e ha confessato l’omicidio, raccontando agli investigatori di aver agito in preda a un raptus di gelosia. La Procura l’ha fermato in serata.
«Non c'era stato mai nessun segnale e per questo non è stato possibile evitare questo gesto fatto eclatante» ha spiegato questa sera in una conferenza stampa, nella Questura di Messina, il Procuratore aggiunto Giovannella Scaminaci. «Gli strumenti oggi ci sono per prevenire questi fatti - aggiunge - ma non c'era mai stata una denuncia. Mi auguro che chiunque in futuro sia vittima di questo tipo di episodi li denunci». Il pm Marco Accolla titolare dell’inchiesta presente alla conferenza stampa osserva: «quanto è avvenuto è molto grave. A prescindere da quello che l’indagato ha dichiarato abbiamo continuato l’interrogatorio fino a quando ha ammesso le sue responsabilitá. La relazione inizia meno di un anno fa. Convivevano da maggio del 2018 spesso litigavano e interrompevano relazione ma si continuavano a frequentare. Ultimamente non dormiva a casa della ragazza. L’omicidio è avvenuto in tarda serata. Inizialmente ha tentato di allontanare da se ogni sospetto. Ha mandato una sms dal telefono della ragazza al padre di lei chiedendo aiuto. Nel messaggio dava la colpa all’ex ragazzo della giovane dicendo che era presente in casa e che le impediva di aprire la porta. Dopo alcune verifiche è emerso che l’ex fidanzato non c'entrava nulla e Ioppolo ha confessato. Il movente è la gelosia e le condizioni economiche molto difficili».

Ennesimo massacro il cui motivo non è, come vorrebbero far credere, la gelosia, ma la presunzione di possedere la donna come un bene del quale usufruire a piacimento. L'uomo difficilmente ama altri che non siano se stesso.
Il suo ego gli impedisce di amare, perché vuole sentirsi libero di volare di fiore in fiore pur continuando ad usufruire della stabilità del focolare domestico dove il suo "bene acquisito" gli garantisce una continuità, della quale non riuscirebbe a fare a meno; fermo restando, però, che questo bene-acquisito, essendo assurto all'onorifico ruolo di mamma-adottiva, non può permettersi la libertà di mollarlo, mettendolo in difficoltà anche nei confronti di parenti ed amici, per cui, durante una "tempesta emotiva", può capitargli di mettere in mostra .....il mostro che è!
bycetta.

L’altra verità sulla Tav. - Roberto Schena



In Italia il tratto Torino-Lione è in mano a un mega consorzio di note mega aziende: FIAT, Impregilo, Gruppo Gavio, Gruppo Marcegaglia, Gruppo Benetton autostrade, Fincantieri, Gruppo della Valle, Cooperativa Cmc legata al Pd (soprattutto a Bersani), Rocksoil legata all’ex ministro Lunardi (centrodestra), l’immobiliare lombarda di Ligresti, in sostanza c’è tutto il vertice di Confindustria, compresi piccoli industriali dell’Api di Torino.
E ci sono tutti i partiti, Lega compresa, che pure inizialmente era contraria al progetto (Borghezio negli anni 90 faceva i comizi in val di Susa sparando contro). Belusconi e An le hanno fatto cambiare idea con l’adesione alla coalizione di centrodestra.
L’azienda più interessante, però, è l’LTF (Lyon-Turin Ferroviaire), la società madre responsabile della realizzazione dell’opera. Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, nel 2011 è stato condannato in primo grado a otto mesi per turbativa d’asta, la metà di quanto chiesto dal pm; oggetto: la gara per la direzione dei lavori per il tunnel esplorativo della Torino-Lione. L’avvocato difensore di Comastri era Paola Severino, ministro della Giustizia del Governo Monti. L’appello a quanto pare non si è mai fatto.
Si comprende così l’enorme pressione mediatica degli interessi in gioco, lo sfacciato coacervo di lucro e politica, nonché la vera e propria disinformazione di regime che punta soprattutto a liquidare i 5 stelle dal governo, gli unici che resistano davvero a un simile comitato d’affari costruito su una grande, miliardaria opera senza utilità.
D’altra parte, se è fallita la linea av che collega le due maggiori città turistiche del continente, la Parigi-Barcellona, e in particolare il tratto Perpignan-Barcellona, le due maggiori città catalane, indebitando sino al fallimento le due maggiori aziende di costruzione francese e spagnola, è plausibile che possa funzionare la Torino-Lione?

Mi riscatto per Roma, i detenuti curano le strade della Capitale

Voto di scambio, Forza Italia all’attacco della legge: “Così stop a campagna elettorale. Parlamento sarà in galera”. - Giuseppe Pipitone

Voto di scambio, la Camera approva con 280 sì. Fdi vota con M5s e Lega. Contrari Pd e Forza Italia. La legge torna al Senato

Alla Camera dei deputati si discute la nuova legge sulle preferenze dei boss alla politica e i berlusconiani è in fibrillazione. La norma uscita dalla commissione giustizia di Montecitorio ai parlamentari di Silvio Berlusconi proprio non piace. E gli azzurri intervengono in ordine sparso: "Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l'ha scritto in faccia?". "Questo disegno di legge scoraggia l'attività politica sul territorio. E rischia di coinvolgere anche la Lega. Poi rimane solo Rousseau".


Qualcuno dice di essere pronto a “chiudere la segreteria politica“. Qualcun altro profettizza: “Così si svuoteranno i comuni“. Di più: “Si rischia di trasferire il Parlamento dentro a una galera“. Tutti o quasi sono d’accordo: se davvero passasse questa riforma “si smetterebbe di fare campagna elettorale“. “Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l’ha scritto in faccia?“, è la più retorica delle domande. Già come si fa? “Questo disegno di legge scoraggia l’attività politica sul territorio. E rischia di coinvolgere anche voi della Lega. Poi rimane solo Rousseau“.
Alla Camera dei deputati si discute la nuova legge sul voto di scambio e Forza Italia è in fibrillazioneLa norma uscita dalla commissione giustizia di Montecitorio ai parlamentari di Silvio Berlusconi proprio non piace. La colpa è soprattutto di un emendamento approvato in commissione per punire tutti quei politici che prendono voti da mafiosi o intermediari di mafiosi. Non è necessario che l’appartenenza ai clan di questi “grandi elettori” sia nota oltre ogni ragionevole dubbio, come invece prevedeva la legge uscita dal Senato. Del resto – è il ragionamento dei 5 stelle – gli accordi tra politici e boss si giocano sul filo dell’ambiguità. Nessuno va ad offrire voti presentandosi come esponente di Cosa nostra, ‘ndrangheta o camorra: “Buongiorno, sono un mafioso, li vuole i miei voti?”. In questo modo il politico potrà sempre dire: ma io come facevo a sapere chi erano? Chi li conosce? Faccio politica, vedo gente, prendo voti. È per questo motivo che a Palazzo Madama un emendamento di Fdi aveva annacquato il ddl originario, con il bene placido dello stesso Mario Giarrusso, che tra l’altro è relatore del provvedimento. Con la legge approvata al Senato si poteva punire solo il politico che accetta voti “da parte di soggetti la cui appartanenza alle associazioni di cui all’articolo 416 bis sia a lui nota“. A Montecitorio, dunque, hanno fatto saltare quelle tre parole, quel “sia a lui nota“. Tanto è bastato per scatenare i berlusconiani, intervenuti in ordine sparso. “Come si fa a sapere che uno è mafioso se non ce l’ha scritto in faccia? Io non sono tenuta a sapere se uno è mafioso. Vuol dire non potere più fare campagna elettorale. Si farà solo su Rousseau“, dice l’onorevole Giusi Bartolozzi, che prima di entrare a Montecitorio faceva la giudice in Sicilia.  “Questa è la seconda puntata di un film dell’orrore”, aggiunge la collega Matilde Siracusano. Ma quale era la prima? “L’anticorruzione“, spiega la deputata azzurra, proponendo un emendamento per tornare alla formulazione del Senato, inserendo quel “sia a lui nota” che salverebbe i politici presunti inconsapevoli del voto dai clan. “Chi non lo vota, mafioso è“, dice Vittorio Sgarbi. Quell’emendamento non lo votano e quindi non passa.
Jole Santelli è un fiume in piena. “Ma chi sono i soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis?, si chiede. Rispondendosi da sola: “Ipoteticamente con questa legge è un problema parlare con una persona che magari ha dei legami ma che poi non è indagato. La verità è che quest’aula è sempre influenzata dall’accento di chi interviene. Ci sono colleghi eletti in Lombardia che ritengono di non essere toccati da questi problemi. Ma non è così”, continua appellandosi agli alleati a corrente alternata del Carroccio. “La Lega non può assistere inerme a questo scempio. I colleghi della Lega, avendo incassato la legittima difesa ritengono di doversi prendere questo schifo”, si lamenta, visto che i banchi del governo sono occupati solo da esponenti del Movimento 5 stelle. Quelli di Matteo Salvini non partecipano al dibattito: hanno ottenuto l’approvazione della legittima difesa e dunque disertano in blocco i lavori per il voto di scambio politico mafioso.
Ci sono solo i grillini, che spingono per la riforma. Ma per Carlo Fatuzzo, storico leader del partito dei Pensionati, con una legge così “il rischio è quello di fare il Parlamento dentro una galera“. Più moderata Daniela Ruffino: “Con questa legge si svuoteranno le aule dei consigli comunali. Non avete mai fatto la fatica per andare ad amministrare un piccolo comune”. Per Mario Occhiuto la legge del voto di scambio “scoraggia l’attività politica sul territorio e condanna molte zone all’isolamento. Chi andrà ad avvicinare certi cittadini, a fare campagna elettorale in zone come la Sicilia, la Campania, la Calabria?”. Sembra quasi che nel Sud Italia siano tutti mafiosi.  “Io chiuderò la segreteria politica“, annuncia quindi Felice D’Ettore. Il sardo di Fratelli d’Italia Salvatore Deidda fa un esempio pratico: “ Se siete in un bar di Orgosolo (in provincia di Nuoro, ndr) provate a non stringere la mano a uno dell’Anonima sequestri. Come fate a riconoscerlo? Come fate a rifiutargli il saluto? Perché non ci provate a farlo? Questo vuol dire mettersi d’accordo con una persona?”.
Secondo Luigi Casciello la legge avrà un effetto opposto a quello previsto: “Consegnerà alla criminalità organizzata la selezione della classe dirigente”. Ma in che senso, visto che la legge punisce con il doppio della pena i politici eletti con i voti dei clan? In teoria, dunque, è vero il contrario: sarà sempre più pericoloso avvicinarsi ai mafiosi. E infatti Casciello non si riferisce ai mafiosi ma  “ai pentiti“, cioè agli eventuali collaboratori di giustizia che da boss si trasformano in accusatori dei politici. “Inserire quel consapevolmente vuol dire mettere in mano ognuno di noi ai gruppi mafiosi”, sostiene. L’onorevole Pierantonio Zanettin invita i colleghi all’umiltà: “Non riteniamoci immuni all’infiltrazione dei mafiosi. La prima garanzia che dobbiamo avere rispetto a certe cose che ci possono arrivare dalle procure è la consapevolezza“. Certe cose che ci possono arrivare dalle procure si intuisce essere gli avvisi di garanzia. Qui l’onorevole portavoce Andrea Colletti dei 5 stelle è costretto a replicare con una punta di malizia: “Questo discrimine tra consapevolezza e inconsapevolezza è curioso farselo ricordare da Forza Italia, di cui uno dei fondatori è un soggetto condannato per concorso esterno in associazione mafiosa“.  Il riferimento ovviamente è per Marcello Dell’Utri. Il Pd Enrico Borghi non condivide la valutazione del pentastellato e interviene per difendere Forza Italia: “Smemorato collega che ha votato con un partito definito in quei termini – afferma rivolto a Colletti – Si sciacqui la bocca prima di parlare“. E in effetti i 5 stelle hanno appena votato con Forza Italia la legittima difesa. Il riferimento a Dell’Utri, però, fa perdere le staffe a Giorgio Mulè: “Questo è un dibattito incardinato sui binari della miseria. Stiamo bestemmiando la verità. L’intermediario non ha la coppola e la lupara. E anche il migliore ministro dell’Interno finisce in galera. Le campagne elettorali così non si potranno più fare. Vi dimenticate i mercati. Chiunque farà il kamikaze dell’antimafia. Rendetevene conto”.
Ce l’ha con gli intermediari politici-boss anche Francesco Paolo Sisto: “Questa cosa dà la possibilità di perseguire senza sosta chiunque. In questo Paese basta una notizia su facebook per essere cacciati da un partito. Bene, in questo Paese noi inseriamo la figura dell’intermediario nello scambio politico elettorale di voti di matrice mafiosa. Nella passata legislatura noi avevamo una norma migliore. Puniva i voti raccolti con matrice mafiosi, non i contatti mafiosi”. Però secondo la Cassazione quella legge approvata dal centrosinistra ha reso il voto di scambio più favorevole al reo.  L’onorevole bolognese Galeazzo Bignami, quindi, decide di inserire nel dibattito una fattispecie mai citata da nessuna riforma, di destra, sinistra o centro: la stretta di mano.  “Conoscono tanti colleghi della Lega – dice –  che sanno perfettamente cosa significa stringere le mani“. Quali mani? Il ddl punisce il voto di scambio, solo quello. E infatti Erasmo Palazzotto di Liberi e Uguali cerca di conferire (con scarso successo) un minimo di serietà al dibattito: “Questa è un provvedimento delicato. Qui non si sta parlando di chi stringe la mano a chio siete in malafede o non sapete di cosa state parlando”. Tra i berluscones, però, l’umore è molto diverso. Lo fa notare il grillino Filippo Perconti, che interviene ma non sul merito della legge: “Ci dicono che non abbiamo senso delle istituzioni, ma quale è il senso delle istituzioni del collega Cannizzaro che dice alle nostre colleghe di stare a cuccia? Sarà che siamo vicini alla festa della donna?“.