Se a qualcuno serviva la prova che B. non conta più nulla, gliel’ha fornita ieri Giuseppe Graviano. Erano 15 anni che minacciava di cantare, ma poi non si decideva mai: B. poteva ancora rendersi utile, meglio tenerlo vivo e sotto ricatto. Ora non più. Per capire la sua improvvisa conversione da stragista a cantante basta questa frase lancinante: “Adesso sto dicendo solo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose”. Il boss di Brancaccio non è un collaboratore di giustizia, tenuto a dire tutta la verità e, se non la dice, punito con la revoca del programma di protezione per sé e i suoi cari. È un mafioso condannato a vari ergastoli per le stragi del 1992-’94, sentito al processo “’Ndrangheta stragista” come imputato di reato connesso con la facoltà di mentire; e, se mente, rischia la condanna per calunnia, cioè il solletico per chi di galera uscirà solo da morto. Ma, come per tutti gli imputati che parlano (fatto eccezionale, per i mafiosi irriducibili), non basta il suo status per togliere credibilità alle sue parole: prima di affermare che mente (o dice la verità), bisogna dimostrarlo.
Delle tre cene “eleganti” con B., non sapremo forse mai. Ma certo mente sulle stragi, di cui dice di non saper nulla e invece furono opera sua; ma ne aveva già parlato in carcere, intercettato a sua insaputa, a proposito della “cortesia” chiesta da B. nel luglio ’92 quando “voleva scendere” in politica e saltò in aria Borsellino. Mente negando l’incontro col suo killer Gaspare Spatuzza al bar Doney di Roma nel gennaio ’94, vigilia della fallita strage dell’Olimpico e della discesa in campo di B., ormai assodato. Mente per omissione su Dell’Utri, decisiva “cerniera” fra Cosa Nostra e B. Mente sul nonno “commerciante di ortofrutta” che investe 20 miliardi nei cantieri e nelle tv di B.. Non per gli investimenti: dei valigioni di contanti di Bontate&C. parlò già 30 anni fa Rapisarda, l’amico-nemico di Dell’Utri. Ma per il mestiere del nonno, impegnato in ben più lucrose attività. Gli elementi già accertati da sentenze irrevocabili (sulle stragi e su Dell’Utri) insegnano però che Graviano dice anche cose vere e verosimili. Pure quando usa abili accorgimenti, come lo schermo del defunto cugino Salvatore (un morto su cui scaricare qualcosa fa sempre comodo). Il fatto già accertato che B. versasse semestralmente centinaia di milioni a Cosa Nostra, dal 1974 al ’92 (sentenza definitiva Dell’Utri) o al dicembre ’94, quand’era già premier (sentenza Trattativa di primo grado), rende probabile che fosse socio in affari dei clan mafiosi. Il fatto che B. pensasse a Forza Italia già nel ’92, l’aveva già raccontato il testimone Ezio Cartotto.
Cioè il consulente ingaggiato da Dell’Utri dopo Capaci per studiare il progetto del partito Fininvest. Ora Graviano data il progetto politico addirittura a prima della strage di Capaci (23 maggio 1992): il che, se confermato, getterebbe una luce nuova sull’omicidio Falcone, ritenuto finora sganciato dalla trattativa e dai “mandanti esterni”. La cui esistenza, dopo le parole di Graviano, diventa ancor più probabile di quanto già non fosse sulla scorta di decine di mafiosi pentiti ed elementi fattuali, visti i rapporti personali e societari che il boss racconta (e solo in minima parte). Anche la seconda fase della trattativa Stato-mafia, quella gestita – secondo i giudici di primo grado – da Dell’Utri per agevolare a fine ’93 e poi ricattare nel ’94 il governo B. con la minaccia di riprendere le stragi interrotte, riceve una formidabile conferma: anche Graviano, dopo tanti pentiti, ribadisce la promessa berlusconiana di “modificare il Codice penale”, poi mantenuta solo in minima parte. Sull’ergastolo e il 41-bis, peraltro, il boss condivide la posizione di gran parte dei politici e opinionisti, oltreché della Consulta ultimo modello e della Corte di Strasburgo: “Sono state fatte leggi incostituzionali, perché la Corte costituzionale li sta dichiarando incostituzionali… Le leggi fatte per non farci uscire dal carcere…”. Parole che lo iscrivono d’ufficio nel fronte “garantista” in ottima compagnia. Su altri punti ricorda male: tipo quando dice che “Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e di abolizione dell’ergastolo, un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale e Berlusconi aveva detto di non inserire quelli coinvolti nelle stragi”. In realtà l’ergastolo lo abolì il centrosinistra, scavalcando B., nel 1999 estendendo il rito abbreviato (con relativi sconti di pena) anche ai reati di strage; e lo ripristinò solo due anni dopo, in seguito alle proteste dei pm antimafia e delle vittime delle bombe. Ora, tra le “tante altre cose” che Graviano potrebbe raccontare, potrebbe esserci l’indirizzo dell’appartamento a Milano 3 usato per gli incontri fra lui, il cugino e B.. E magari esibire la “carta privata”, cioè il presunto contratto societario fra i Graviano e B.: volete che non l’abbia conservata come arma di ricatto?
Noi molte di queste cose le abbiamo sempre scritte o sospettate. E una certezza l’abbiamo sempre avuta: che B. sia consapevolmente ricattato e ricattabile da Cosa Nostra da quasi mezzo secolo. Bastava leggere la sentenza Dell’Utri, la più rimossa da politici e giornalisti che hanno sempre finto di non vedere e non sapere, anche dopo la condanna a 7 anni per mafia, continuando a spacciare la verità per “teorema” e a buttare in politica una storia che è stata sempre e soltanto criminale. Ora, in attesa delle puntate successive, tocca alle Procure indagare sulle parole di Graviano: quella di Firenze che ha già riaperto l’indagine su B. e Dell’Utri per le stragi del ’93; e quella di Caltanissetta che dovrà farlo per quelle del ’92. L’unica inchiesta che non si può più riaprire è quella di Palermo su B. per concorso esterno. Sapete perché? Perché è caduta in prescrizione.