venerdì 14 febbraio 2020

Ruby ter, pm di Siena: “Condannate Silvio Berlusconi a 4 anni e due mesi per corruzione in atti giudiziari”.

Ruby ter, pm di Siena: “Condannate Silvio Berlusconi a 4 anni e due mesi per corruzione in atti giudiziari”

Per l’accusa il Cavaliere ha pagato il pianista senese Danilo Mariani per indurlo a falsa testimonianza sul caso Olgettine. Per Mariani il pubblico ministero ha chiesto 4 anni e 6 mesi, anche per il reato di falsa testimonianza oltre a quello di corruzione in atti giudiziari.
Quattro anni e due mesi di reclusione per corruzione in atti giudiziari. È la richiesta del pm di Siena, Valentina Magnini, nei confronti di Silvio Berlusconi nell’ambito del processo Ruby ter in corso nella città del Palio. Per l’accusa il Cavaliere ha pagato il pianista senese Danilo Mariani per indurlo a falsa testimonianza sul caso Olgettine. Per Mariani il pubblico ministero ha chiesto 4 anni e 6 mesi, anche per il reato di falsa testimonianza oltre a quello di corruzione in atti giudiziari. Dopo la richiesta dell’accusa, sono previste le arringhe dei difensori dell’ex presidente del Consiglio, avvocati gli Federico Cecconi ed Enrico De Martino, di fronte al collegio del tribunale di Siena presieduto dal giudice Ottavio Mosti. Questo stralcio del processo Olgettine era stato trasferito a Siena dopo lo ‘spacchettamento’ deciso dal gup di Milano nell’aprile 2016. Il filone principale resta a Milano mentre altre posizioni, con sempre l’ex premier imputato, sono state trasferite a Torino, Pescara, Treviso, Roma e Monza.
Il 12 settembre scorso il tribunale di Siena aveva respinto la richiesta della procura di ascoltare come testimoni alcune giovani che avevano preso parte alle feste ad Arcore. Tra le giovani, in tutto cinque, che la procura aveva chiesto, mesi fa, che testimoniassero, figurava anche Imane Fadil, morta a marzo scorso. Il pm Valentina Magnini aveva chiesto di ammetterle affinché potessero testimoniare la presenza effettiva di Mariani ad Arcore. Ma il collegio cinque mesi fa aveva respinto la richiesta perché la loro testimonianza è stata ritenuta “non necessaria, avendo già testimoniato in altri processi con sentenze passate in giudicato“. Nell’udienza del 12 settembre venne ascoltato anche un perito di parte della difesa di Berlusconi, il commercialista Andrea Pierini, che, dopo aver analizzato i documenti contabili e gli accertamenti di Gdf e Agenzia delle Entrate, aveva confermato la tesi difensiva secondo cui i bonifici effettuati da Berlusconi a Mariani erano dovuti a prestazioni professionali di musicista e, in quanto tali, portati a tassazione come proventi da lavoro. La difesa dell’ex premier aveva poi rinunciato ad ascoltare in aula tutti i testimoni previsti in lista.
Il successivo 10 ottobre, poi, venne ascoltato Giuseppe Spinelli, contabile dell’ex premier. Alla domanda di uno degli avvocati difensori se ci fossero “state erogazioni a Mariani, in relazione alla sua testimonianza“, Spinelli ha negato categoricamente: “Assolutamente no”. Secondo l’accusa, come detto, i bonifici effettuati da Berlusconi a Mariani come rimborsi spese per circa 170mila euro in tre anni, dal 2011 al 2013, sarebbero stati pagamenti per indurre il pianista a falsa testimonianza sul caso delle ragazze che partecipavano alle feste di Arcore. Oltre al ragioniere Spinelli, il 10 ottobre 2019 venne stato sentito Marco Ciacci, attualmente comandante dei vigili urbani di Milano che già era stato chiamato come testimone lo scorso 13 giugno. All’epoca delle indagini che hanno portato al processo era capo della sezione di polizia giudiziaria e si occupava delle intercettazioni sulle telefonate delle ragazze a Spinelli nel periodo tra agosto 2014 e giugno 2015. Telefonate riguardanti richieste di denaro dopo che i pagamenti a loro favore erano stati interrotti. Ciacci, riguardo alla posizione del pianista ha precisato che nelle telefonate intercettate “non c’è qualcosa di riferibile a Mariani”.

giovedì 13 febbraio 2020

MADi: la nuova casa modulare Made in Italy che resiste ai terremoti, si costruisce in 8 ore e con costi accessibili.


Scritto da Gino Favola il . Pubblicato in Bioedilizia.

Al giorno d’oggi, in molti siamo attratti dalla possibilità di avere delle soluzioni abitative meno invasive, più sostenibili, e soprattutto economiche. A dare una risposta a questa esigenza, pare essere riuscito Renato Vidal, un architetto italiano  che ha creato MADi ( acronimo appunto di Modulo Abitativo Dispiegabile), di fatto un nuovo modo di intendere le costruzioni edilizie.
MADI: Leggerezza e Versatilità.
Una casa MADi può essere installata senza fondazioni posizionando l’unità su un terreno livellato. Tuttavia, per un uso a lungo termine, vi consigliamo un sistema di fondazione per pali a vite, facilmente rimovibile con un impatto minimo sul sito o una base di cemento. In un modo o nell’altro sarai comunque in grado di ripiegare l’edificio e spostarlo dove vuoi.
E’ possibile creare spazi sicuri e accoglienti che possono crescere, muoversi o cambiare con le esigenze del proprietario. Progettato per un soggiorno estremamente confortevole ed economico, ti assicura anche una struttura innovativa da adattarsi al proprio budget a disposizione.
Una casa da costruire ovunque.
MADi ti offre l’opportunità di possedere una casa conveniente ovunque tu voglia: grande città o zona rurale, fino alle montagne o al villaggio sul mare, MADI si adatta perfettamente in ogni contesto. Puoi aggiungere i tuoi tocchi personali scegliendo le dimensioni e i materiali preferiti, in base alle tue esigenze specifiche e alle circostanze finanziarie. MADi può essere abitabile in due giorni e godrai di tutta questa libertà riducendo i costi di costruzione.
Una nuova concezione dello spazio abitativo.
MADi utilizza metodi di costruzione tradizionali e materiali standard in un’abitazione modulare innovativa che si sviluppa per fornire uno spazio abitativo economico e di alta qualità in modo rapido e semplice. Antisismica e resistente ai terremoti, è la soluzione perfetta per ogni tipo di scopo: da case residenziali, villaggio sportivo e resort e per emergenze post-disastri naturali.
Il sistema MADi offre molte opzioni di costruzione basate su più moduli e materiali. La disponibilità di moduli di varie dimensioni e la possibilità di aggiungerli lateralmente ti consente una serie infinita di scelte creative. Inoltre, con il suo processo di produzione altamente standardizzato e la struttura di assemblaggio a secco, è possibile risparmiare sia tempo che denaro.
MADi casa modulabile in legno
Efficenza energetica superiore.
La versione standard di MADI è di classe energetica B e può essere facilmente aggiornata in classe A e A ++. Aggiungendo pannelli solari e accumulatore si può persino rendere le strutture MADi indipendenti dall’energia.
Ricordiamo le caratteristiche principali per parlare di una Casa in Classe A e ad alta efficenza energetica:
1- massima permeabilità dei materiali da costruzione (avvantaggiati sono tutti quelli naturali e tra quelli di derivazione possiamo annoverare le lane minerali)
2 -  pareti e coperture ventilate al fine di asciugare più velocemente i materiali isolanti e ombreggiare nella fase estiva le strutture sottostanti;
3 - trasmittanza delle pareti almeno inferiori a U 0,20w/mqK;
4 - sfasamento non inferiore a 12/14 ore in base alle zone;
madi casa modulabile
MADi: i costi delle strutture.
L’appartamento base di 27 metri quadrati dotato di cucina e servizi igienici, una scala e un soppalco, riscaldamento centralizzato e aria condizionata, costa 28 mila euro. La struttura, personalizzabile, è assemblata da 3 operai ed è energeticamente autonoma grazie alla presenza di pannelli solari, fotovoltaici e illuminazioni a LED. Esistono 5 versioni di questa casa pieghevole e la più grande, «ideale per l’uso residenziale», raggiunge gli 84 metri quadrati e costa 62 mila euro.
Il paradosso della burocrazia italiana.
La casa Madi, successo italiano nel mercato internazionale, a causa degli spioventi del tetto a 60 gradi con cui è stata progettata, sta però riscontrando difficoltà proprio in Italia, perché i regolamenti riguardanti la pendenza dei tetti delle case non sono uniformi. Come in altri settori della green economy e delle soluzioni sostenibili, si dovrebbe provvedere con legislazioni semplici e uniformi, e non delegare sempre ai territori. Ancora oggi, purtroppo, in Italia progresso e burocrazia non vanno di pari passo.

https://www.ambientebio.it/permacultura/casa-bio-edilizia/madi-nuova-casa-modulare-terremoti-costi/?fbclid=IwAR0F47EJyeRH5-PDLak9NoDFMpqdXyrNH1dwdC6IrwN9HR9xZWm509rW60A


Il cazzaro verde.

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Il propagatore di odio, seriale assenteista in Parlamento, ma ieri presente per difendere se stesso, ha tenuto un inatteso comizio elettorale mettendo in evidenza il fatto che lui ha difeso il suo paese da immigrati armati fino ai denti che volevano sbarcare da una nave italiana, la Gregoretti, sulle nostre coste senza neanche lavarsi la faccia e i piedi.
Ciò che più mi ha colpito è stato il continuo intervento della Casellati Serbelloni Mazzanti Viendalmare che difendeva lapalissianamente il cazzaro verde al quale i suoi sodali, inebetiti dalla sua baldanzosa eloquenza, battevano le mani ad ogni frase proferita pubblicamente.

C.

E ora, tutti fuori. - Marco Travaglio

In sintonia con questo clima di restaurazione da Congresso di Vienna all’amatriciana, la Consulta ha deciso di salvare dalla galera i corrotti eccellenti, tipo Formigoni, che una norma sacrosanta della Spazzacorrotti aveva escluso dalle pene alternative al carcere. I soliti falsari si sono affrettati a dire che dunque la legge di Bonafede è incostituzionale: nulla di più falso. La Corte ha dichiarato illegittima la sua applicazione da parte di molti giudici ai condannati per reati commessi prima della sua entrata in vigore: quella che qualcuno chiama “interpretazione retroattiva”, come se le regole dell’esecuzione della pena fossero norme penali sostanziali, dunque applicabili solo per i reati commessi dopo la loro approvazione (in base al principio della “norma più favorevole al reo”). Balla sesquipedale: nessuno può essere condannato per un reato e a una pena non previsti quando commise il reato; ma poi il luogo e le modalità dell’espiazione della pena dipendono dalle norme in vigore al momento della condanna (in base al principio “tempus regit actum”). Così ha sempre stabilito la giurisprudenza della Consulta e della Cassazione, ogni qual volta il Parlamento inseriva nuovi reati “ostativi” ai benefici penitenziari: prima quelli di mafia e terrorismo, poi via via le violenze sessuali, i sequestri di persona a scopo di estorsione, il contrabbando, il traffico d’esseri umani, la riduzione in schiavitù, la prostituzione minorile, la pedopornografia e la violenza sessuale.
Trattandosi di reati tipici dei delinquenti di strada e non dei colletti bianchi (a parte B., che spesso sconfina), nessuno eccepiva nulla. E, se qualcuno eccepiva sulla “retroattività” e la mancanza di norme transitorie per i reati “vecchi”, veniva bacchettato. Ora dalla Consulta, per i mafiosi sul 41-bis (nel 1993, 1997, 1998 e 2017). Ora dalla Cassazione, per gli altri condannati: per esempio, con la sentenza n. 24561/2006, le Sezioni Unite confermarono il divieto di misure alternative agli stupratori: “Le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio ‘tempus regit actum’”. O con la 24767/2006 che consacrava il divieto di benefici ai condannati recidivi. O con la n. 11580/2013 che confermava il divieto di permessi premio ai sequestratori. I ricorrenti venivano amorevolmente invitati a farsi la galera senza rompere i coglioni.
Poi i 5Stelle hanno osato l’inosabile: infilare anche la corruzione, la concussione e il peculato fra i reati gravi da espiare in carcere senza eccezioni. E, alla sola idea di veder finire dentro anche politici e imprenditori, il sistema è impazzito. Il primo eccellente ad assaggiare il carcere vero grazie alle nuove norme è stato Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per oltre 6 milioni di mazzette in cambio del dirottamento indebito di 200 milioni di fondi regionali a cliniche private. Dopo 70 giorni era già fuori, perché ci si è messa pure una parte della magistratura: da allora una decina di tribunali hanno eccepito sulla “retroattività” dinanzi alla Consulta. Cosa mai accaduta per mafiosi, terroristi, sequestratori, stupratori, contrabbandieri, pedopornografi e schiavisti. L’Avvocatura dello Stato, anziché difendere la legge dello Stato, ha festosamente partecipato al massacro della Spazzacorrotti sostenendone la non “retroattività”. E la Consulta le è andata dietro, ribaltando decenni di giurisprudenza costante (a parte un caso isolato), sua e della Cassazione. Il ragionamento è strepitoso: quando il corrotto e/o il corruttore o il concussore rubavano, sapevano di commettere un reato, ma davano per scontato che le pene detentive previste per i loro delitti fossero finte (bastava tenersi sotto i 4 anni di pena o sopra i 70 anni di età, e sarebbero finiti ipso facto ai domiciliari o ai servizi sociali). E quando furono condannati, sapevano che la parola “reclusione” in calce alla sentenza era uno scherzo. Poi la Bonafede ha stabilito che era tutto vero: e quelli, a saperlo prima, non avrebbero rubato.
Dunque per loro la reclusione resta finta: diventa vera solo per chi delinque dopo l’approvazione della Spazzacorrotti. Quindi Formigoni, in barba al ricorso del Pg contro la sua scarcerazione, sconterà i restanti 5 anni e passa comodamente a casa sua. E così tutti i suoi simili, compresi i pregiudicati del processo Mondo di Mezzo, che usciranno tutti alla spicciolata se hanno più di 70 anni di età o meno di 4 anni di pena residua. Purtroppo la Consulta s’è scordata di abrogare l’articolo 3 della Costituzione, in base al quale “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”: dunque lo stesso principio deve valere per mafiosi, terroristi, sequestratori, stupratori, contrabbandieri, pedopornografi e schiavisti. Si provveda dunque a scarcerare al più presto anche loro e soprattutto a risarcire tutti quelli che per 30 anni si sono visti applicare “retroattivamente” trattamenti penitenziari più duri di quelli previsti quando avevano commesso i reati. A cominciare dal 41-bis, varato il 6 agosto 1992, all’indomani di via D’Amelio: subito dopo, 532 mafiosi furono prelevati dai penitenziari ordinari e tradotti su aerei militari nei supercarceri di Pianosa e Asinara. Cosa che non sospettavano fino a pochi giorni prima. Dopo la sentenza di ieri, vanno subito risarciti e possibilmente scarcerati con tante scuse. Sennò saremmo di fronte alla solita, vecchia, vomitevole giustizia di classe immortalata da Trilussa: “La serva è ladra, la padrona è cleptomane”.

Un Mosaico Greco immacolato scoperto nella Città di Zeugma in Turchia. - Matteo Rubboli



Un team di archeologi guidati dal professor Kutalmış Görkay, dell’università di Ankara in Turchia, ha portato alla luce tre antichi mosaici greci nella città turca di Zeugma, vicino al confine con la Siria. Il progetto di scavo, iniziato nel 2007, è stato velocizzato dalle inondazioni nella zona a causa della costruzione di una diga.
Temendo che gli antichi tesori di Zeugma finissero perduti per sempre, gli archeologi si sono precipitati a scavare, proteggere e conservare le reliquie del passato, compresi i mosaici di vetro risalenti al 2° secolo avanti Cristo. Anche se una parte della città è ormai sommersa dall’acqua, gli scavi continuano nella speranza di scoprire altri reperti.
Secondo Görkay, i mosaici colorati erano parte integrante delle case dell’antica città. Raffiguranti varie figure mitologiche come déi o eroi antichi, i mosaici venivano posizionati nella stanza in modo che gli ospiti potessero ammirarli mentre chiacchieravano e bevevano col padrone di casa. I soggetti venivano accuratamente selezionati in base alla funzione di ogni specifica camera.
Per esempio, in una camera da letto trovavano posto un mosaico con degli amanti come Eros e Telete. I mosaici riflettevano anche i gusti del proprietario dell’abitazione e dei suoi interessi: “Erano un prodotto della fantasia del patrono. Non era semplicemente una scelta da un catalogo, ma servivano a dare una buona impressione ai propri ospiti” afferma Görkay al sito Archaeology.org.

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L’antica città di Zeugma ha una storia che risale al 3° secolo aC, quando fu istituito come insediamento greco chiamato Seleucia da Seleuco I, uno dei comandanti di Alessandro Magno. Nel 64 aC, i Romani la conquistarono e la ribattezzarono “Zeugma”, una parola che significa “ponte” o “incrocio” in greco antico. Per molti secoli, Zeugma servì come uno dei centri di commercio più importanti dell’Impero Romano d’Oriente, grazie alla sua posizione geografica al confine tra il mondo greco-romano e l’impero persiano.

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Thalia, la musa della commedia e della poesia idilliaca.

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Oceanus, la personificazione divina del mare, e la sorella/consorte Tethys, l’incarnazione
 delle acque del mondo.

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  Tethys e Oceanus.

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Poseidone, il Dio del Mare.

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Il Mosaico di fronte alle autorità.

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Altri resti della città.

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Il ritrovamento di fronte alle autorità.

https://www.vanillamagazine.it/un-mosaico-greco-immacolato-scoperto-nella-citta-di-zeugma-in-turchia/

Si spera che non sia la Lega a liberarci dal bullo pokerista. - Antonio Padellaro


In un eccesso di avventurismo e irresponsabilità, questo diario arriva a desiderare che il premier Conte, e Nicola Zingaretti con il Pd compatto (lo so, esagero), e le cinque correnti dei 5Stelle, e il ministro Roberto Speranza insieme alla sinistra sanitaria debellino una volta per tutte il coronavirus del ricatto politico e vadano a vedere il bluff di Matteo Renzi: ciccio, presenti la mozione di sfiducia al ministro Alfonso Bonafede per fare cadere il governo sul blocco della prescrizione?, accomodati.
C’è del metodo in questa follia e cerco di spiegarlo.
1. Come abbiamo già scritto domenica scorsa, il bullo fiorentino è un maldestro pokerista sull’orlo di una crisi di nervi. Si gioca le ultime fiches pregando il dio dell’azzardo che nessuno venga a vedergli il punto che non ha. Se il bluff gli riesce avrà in suo potere il resto della maggioranza che da quel momento in poi taglieggerà a ogni occasione pavoneggiandosi come un redivivo (via Hammamet) Ghino di Tacco. Viceversa, se gli sarà chiesto di mostrare le carte avrà di fronte due possibilità. Si arrende, perde la faccia soprattutto davanti ai suoi ma almeno evita il buco nero delle elezioni anticipate e del disastro annunciato di Italia Viva. Oppure, rovescia il tavolo, insiste per l’immediata cacciata del ministro della Giustizia e mette in moto, al buio, la crisi di governo e una serie di conseguenze imprevedibili per la sua stessa sopravvivenza politica.
2. Mettiamo che il Ghino di Rignano vada fino in fondo, sfidando le ire di quanti (tanti) nel partitino virtuale sanno che difficilmente torneranno in Parlamento stante soprattutto l’esito scontato a favore del sì del referendum sul taglio dei deputati e senatori del prossimo 29 marzo. Mettiamo che Giuseppe Conte non riesca a raccattare un numero sufficiente di “responsabili” disponibili a puntellare la scricchiolante maggioranza al Senato. Mettiamo che non ci provi neppure e che dopo la bravata renziana si rechi al Quirinale con le dimissioni in tasca. Mettiamo che il presidente Mattarella non abbia, come dicono, nessuna intenzione di tentare la formazione di una nuova maggioranza (a questo punto ancora più precaria e raccogliticcia di quella uscente). Mettiamo che si vada, presto in primavera, al voto anticipato. Dove sarebbe la tragedia?
3. Da un anno ormai il martellante frastuono della Bestia salviniana ha generato, soprattutto a sinistra, la psicosi collettiva del si salvi chi può sulla base della vittoria annunciata e inevitabile dei sovranisti. Ma chi l’ha detto? Se osserviamo gli ultimi sondaggi (da Pagnoncelli al tg di La7) si noterà che il blocco del centrosinistra (Pd + M5S + LeU + Verdi + Bonino e Calenda) non è lontano dal centrodestra (Lega + Meloni + Berlusconi). Più o meno 49 a 51%. Vero è che nel centrosinistra regnano i protagonismi di troppe primedonne, e che cercare di mettere insieme, per esempio Luigi Di Maio e Carlo Calenda è come essere convinti che Morgan e Bugo abbiano solo fatto finta di litigare per meschine ragioni di visibilità (per quanto in fondo…). Però siamo davvero sicuri che sul versante opposto Silvio Berlusconi abbia questa gran voglia di reggere la coda a Matteo e Giorgia, a cui un tempo faceva fare anticamera? Sia come sia, dove sta scritto che con una campagna elettorale stile Emilia-Romagna, e dunque con un programma serio, leader credibili e annesse Sardine, il fronte del bene debba per forza soccombere?
4. Ipotesi peggiore. La destra-destra trionfa e Matteo Salvini sale a Palazzo Chigi dove ottiene i pieni poteri. Squadristi in azione, olio di ricino à gogo, ma almeno ci siamo liberati del bullo. Oppure se lo sorbetta lui.

Adesso anche il Consiglio d’Europa stronca il Jobs act: “Violati i diritti.” - Roberto Rotunno – Il Fatto Quotidiano



Le tutele previste dal Jobs act per chi è licenziato ingiustamente sono deboli. Insufficienti a riparare il danno subito dal lavoratore e a scoraggiare gli imprenditori dal cacciare persone senza valida ragione. Un nuovo colpo alla riforma del lavoro varata dal governo Renzi nel 2015: questa volta viene dal Comitato europeo dei Diritti sociali, organo del Consiglio d’Europa, per il quale la legge italiana vìola la Carta sociale europea. 
Quando cinque anni fa l’esecutivo a guida Pd ha cancellato l’articolo 18, sperando così di aumentare l’occupazione, ha sostituito il diritto alla reintegrazione con i risarcimenti in denaro. Se l’allontanamento del lavoratore è illegittimo, in pratica, l’obbligo di riassumere è rimasto solo quando c’è discriminazione o il motivo riportato dall’azienda è inesistente. Per gli altri casi, il datore è tenuto a pagare un indennizzo di massimo 36 mensilità di stipendio. Proprio questo dettaglio è alla base della decisione del Ceds: l’esistenza di un tetto – le 36 mensilità, appunto – lega le mani ai giudici anche quando i danni creati al lavoratore richiederebbero somme più alte. Ecco perché il Comitato ha dato ragione al ricorso della Cgil, curato dall’avvocato Carlo De Marchis. A difendere invece il Jobs act in questa causa c’era anche il governo francese.
Il problema, per il Ceds, non è aver cancellato l’articolo 18, ma non averlo rimpiazzato con norme altrettanto efficaci a disincentivare i licenziamenti ingiusti. Non è la prima pronuncia che sancisce la violazione di diritti da parte del Jobs act. La prima versione della legge prevedeva un risarcimento che andava da un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità, ed era agganciato solo all’anzianità del lavoratore. Poi è arrivato il decreto Dignità che ha aumentato a sei il minimo e a 36 il massimo, mantenendo il meccanismo ancorato all’anzianità. Nel 2018, la Corte costituzionale ha travolto entrambe le leggi: il sistema degli indennizzi fissi non è adeguato perché non considera il danno effettivo che ha subito il lavoratore. Ora i giudici hanno discrezionalità nel quantificare i risarcimenti, con il limite minimo e massimo.
Per il Comitato europeo dei Diritti sociali è ancora troppo scarso; la decisione di questo organo, però, non è vincolante. “È un’opinione tecnica autorevole”, ha detto la Corte costituzionale. Quindi da un lato potrebbe orientare future sentenze, dall’altro rafforzerà i partiti che, d’accordo con la Cgil, chiedono di rivedere il Jobs act e far tornare l’articolo 18. A breve, arriverà la sentenza della Corte di Giustizia europea su due ricorsi che chiedono di ripristinare l’obbligo di reintegrazione almeno per i licenziamenti collettivi illegittimi.