venerdì 19 giugno 2020

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito. - Antonella Mascali

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito

Tre anni e mezzo sulla graticola. Sullo sfondo, le accuse a mezzo stampa di condurre indagini politiche contro Matteo Renzi, “colpendo” il babbo Tiziano e petali del Giglio magico come Luca Lotti, vedi Consip, l’inchiesta finita da Napoli a Roma. 
Ma per Henry John Woodcock, difeso da Marcello Maddalena, ieri è arrivata l’assoluzione dalla sezione disciplinare del Csm, chiesta anche dall’accusa, dal neo avvocato generale della Cassazione, Luigi Salvato. 
Il pm ha così riavuto il suo “onore” invocato nelle dichiarazioni spontanee. 

Il filone trattato ieri è quello di un’intervista, mai autorizzata, a Repubblica nei giorni roventi del caso Consip. Ieri, il collegio Csm composto da Stefano Cavanna, presidente, Paola Braggion, relatrice, Sebastiano Ardita, Loredana Micciché e Ciccio Zaccaro ha assolto Woodcock per “essere risultato il fatto di scarsa rilevanza”, cioè non è stato commesso alcun illecito. Si è trattato di un riesame dopo il rinvio delle sezioni unite della Cassazione, il 27 novembre scorso, che avevano annullato la severa condanna alla censura, il 4 marzo per mancato dovere di riserbo e comportamento “gravemente scorretto” verso l’ex procuratore reggente di Napoli, Nunzio Fragliasso: non gli aveva detto di aver parlato con Liana Milella di Repubblica che, tradendo la fiducia del pm, suo vecchio amico, come lei stessa ha testimoniato, pubblicò un articolo sul caso Consip malgrado avesse dato la sua parola al pm che non avrebbe scritto. 
Sempre il 4 marzo, Woodcock e la collega Celeste Carrano furono assolti, invece, dall’accusa più grave, la violazione dei diritti di difesa nei confronti dell’ex consigliere di Palazzo Chigi, Filippo Vannoni, interrogato a dicembre 2016 come teste, quindi senza un avvocato. 

“La lealtà, la correttezza, la sincerità – ha detto Woodcock ai giudici – è una caratteristica e una qualità che mi riconosco. È un debito che riconosco a chi questi valori mi ha impartito, i miei genitori”. Poiché era stato accusato di scorrettezza verso Fragliasso, ricorda che l’ex reggente, “collega e amico”, quando la Procura di Roma, tra giugno e luglio 2017, lo ha indagato e poi archiviato, “mi confermò la fiducia” e non gli tolse le indagini. Ma Woodcook non serba rancore neppure verso i pm romani: “Lavoriamo gomito a gomito”. Quando fu avviato il procedimento disciplinare e fu aperta pure una pratica per possibile trasferimento dalla Prima commissione presieduta da Luca Palamara, un unico consigliere chiese l’apertura di una pratica a tutela di Woodcock e Carrano, sotto attacco politico: Piergiorgio Morosini. Invece, l’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini andava persino in tv a parlar male dei pm partenopei senza alcun imbarazzo per il suo ruolo anche di presidente della disciplinare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/19/tre-anni-di-noie-per-aver-fatto-il-suo-lavoro-woodcock-non-ha-commesso-alcun-illecito/5840239/

Gli Incompiuti. - Marco Travaglio

Confindustria: cinque nomi in pole per la presidenza - Giornale di ...
L’altro giorno, dopo le ultime performance del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, un amico mi ha girato il video (disponibile sul web) di una conferenza di Mino Martinazzoli, che descriveva la nostra classe imprenditorial-manageriale con un apologo: quello del capo-azienda che regala al suo direttore del personale, un nerd efficientista bocconiano con master a Londra, un biglietto per il concerto dell’Incompiuta di Schubert. L’indomani il giovanotto gli consegna una relazione della serata in 5 punti 
“1. Durante considerevoli periodi di tempo i 4 oboe non fanno nulla. Si dovrebbe ridurne il numero e distribuirne il lavoro tra il resto dell’orchestra, eliminando i picchi d’impiego. 
2. I 12 violini suonano le medesime note. Quindi l’organico dei violinisti dovrebbe essere drasticamente ridotto. 
3. Non serve a nulla che gli ottoni ripetano suoni già eseguiti dagli archi. 
4. Se tali passaggi ridondanti fossero eliminati, il concerto potrebbe essere ridotto di almeno un quarto. 
5. Se Schubert avesse tenuto conto di queste mie osservazioni, avrebbe terminato la sinfonia…”. 
Conclusione di Martinazzoli: “Io vorrei vivere in un mondo nel quale si possa continuare a sentire l’Incompiuta di Schubert così com’è”.
Ora, chi legge il Fatto e Millennium sa bene che Bonomi sta alla vera impresa come il sottoscritto all’astrofisica: questo ragioniere di Crema con un corso di economia a San Diego, in 51 anni di vita è riuscito a investire in attività produttive la miseria di 31mila euro. Ma è interessante che gl’imprenditori veri si facciano rappresentare da lui. Peggio per loro, si dirà. Sì, se non fosse che il rag. Bonomi, specializzato nell’italica arte del prendi i soldi e piangi, se la tira come un Pirelli o un Del Vecchio, insegna ciò che si dovrebbe fare, scuote il capino implume perché Conte aiuta anche chi ha bisogno, e auspica la caduta del governo per metterne su uno di larghe imprese, manco fosse Tejero. Ieri Salvatore Cannavò ha ricordato le precedenti lezioni dei numeri 1 confindustriali e la loro miseranda fine. Avevano tutte, come quelle di Bonomi, la consistenza di un oroscopo di Branko e l’attendibilità di una profezia del divino Otelma, tant’è che si pensò di ribattezzare Viale dell’Astronomia in Viale dell’Astrologia. La Marcegaglia, che se la rideva quando B. la chiamava “velina”, annunciò il Regno di Saturno se si fossero tagliate le pensioni. Monti & Fornero provvidero, coi risultati a tutti noti. Poi Squinzi ripartì con la tarantella: sgravi fiscali, soldi a pioggia, licenziamenti più facili e mai una sillaba sull’evasione, in cambio di mirabolanti “investimenti”. Che, certificò l’Ue nel 2018, erano addirittura diminuiti.
Sempre e comunque “nettamente sotto la media europea”. Invece i licenziamenti facili e i soldi pubblici arrivarono, grazie al Jobs Act e altre boiate dell’Innominabile, spalmato su Confindustria come la Nutella sul pane e ricambiato da Boccia con un tifo da stadio al Sì nel referendum del 2016. L’Ufficio studi di Confindustria pareva la direzione strategica delle Br, per il livello di terrorismo contro chi avesse osato votare No: giù il Pil del 4%, crollo degli investimenti del 20%, meno 600 mila posti di lavoro (non uno di più né di meno); mancava solo l’invasione delle cavallette. Poi vinse il No e tutti i parametri migliorarono. Boccia riprese a profetare sventure col nuovo governo giallo-verde in caso di blocco del Tav Torino-Lione: inventò “rivolte del Nord”, sbandierò un fantomatico “partito del Pil”, vaneggiò di “40mila nuovi posti di lavoro” (quando persino le carte dei Sì Tav non vanno oltre i 400), mandò avanti improbabili madamine fra gli applausi dei giornaloni e ovviamente di Salvini. Ora persino la Corte dei Conti dell’Ue ha certificato che quell’opera è inutile, costosa, inquinante ed eterna (non sarà pronta neppure nel 2030, cioè non si farà mai).
Quando il povero Boccia aveva consumato anche l’ultimo centimetro quadrato di lingua e di faccia, è arrivato Bonomi. Che s’è subito distinto come la parodia di Cetto La Qualunque (“questa politica fa più danni del Covid”), poi ha tuonato contro gli aiuti ai ceti più deboli (lui li chiama “sussidi a pioggia”, a meno che non vadano ai ricchi), infine ha annunciato che il grande piano per la ricostruzione dell’Italia l’avrebbe scritto con le sue manine e donato al governo. L’altroieri, accolto con rulli di tamburi, trombette e tromboni come il salvatore della Patria agli Stati generali, ha cagato la perla: “Rivogliamo i soldi delle accise sull’energia”. Ammazza che ideona. Il SuperPiano di SuperBonomi ha avuto grande audience su tutti i giornaloni, tranne uno: il suo, cioè il Sole 24 Ore, purtroppo in sciopero per il taglio degli stipendi del 25% e l’annuncio della cassa integrazione con la scusa del Covid (in realtà per una lunga malagestione: 340 milioni di perdite in dieci anni, taroccando pure le copie vendute e gli abbonamenti). Il che ci ha ricordato, ove mai non fossero bastate le performance dei nostri prenditor&magnager su Telecom, Parmalat, Cirio, Merloni-Indesit, case di moda, Sai-Ligresti, Ilva, Mps e altre banche decotte, che ne sarebbe dell’Italia se fosse gestita come Confindustria gestisce la roba sua. Eppure queste Cassandre con le tasche degli altri continuano a predicare la “cultura della crescita”, come se ne sapessero qualcosa. E, quel che è più comico, nessuno li ha ancora presi a pesci in faccia.

giovedì 18 giugno 2020

Cantone procuratore di Perugia, ma il Csm si divide. Di Matteo: ‘Ha avuto incarico di natura politica. Inopportuno indaghi su Palamara’.



Cantone procuratore di Perugia, ma il Csm si divide. Di Matteo: ‘Ha avuto incarico di natura politica. Inopportuno indaghi su Palamara’

Decisivo per eleggere l'ex presidente dell'Anticorruzione il voto bipartisan di tutti i consiglieri eletti dalla politica: è la prima volta che succede durante questa consigliatura. Otto preferenze al procuratore aggiunto di Salerno Masini. Con la riforma de ministro Alfonso Bonafede, tra l'altro, la nomina dell'ex presidente dell'Anac a procuratore di Perugia sarebbe stata impossibile. Al suo interno, infatti, la bozza di riforma prevede una norma che vieta a chi è stato fuori ruolo di candidarsi a incarichi direttivi per i due anni successivi.
Sarà Raffaele Cantone a guidare l’inchiesta – e l’eventuale processo – su Luca Palamara e i rapporti tra magistrati e politica. L’ex presidente dell’Anticorruzione, infatti, è il nuovo procuratore di Perugia. Sulla scelta di affidargli le redini della procura titolare dell’inchiesta che ha terremotato il Csm, però, il plenum di Palazzo dei marescialli si è diviso. Il consigliere indipendente Nino Di Matteo ha definito “inopportuno” l’incarico di Cantone al vertice della procura umbra. Il motivo? Ha diretto l’Anac, incarico che è di natura politica. L’ex pm di Palermo ha votato insieme ala minoranza per Luca Masini, procuratore aggiunto a Salerno, che ha preso otto voti: quelli dei togati di Autonomia e Indipendenza e di Magistratura Indipendente. Si sono invece astenuti i togati “moderati” di Unità per la Costituzione. Dodici le preferenze per l’ex presidente dell’Anac: a suo favore hanno votato le toghe progressiste di Area e i laici di tutto lo schieramento politico. È la prima volta che durante questa consigliatura che tutti i consiglieri eletti dal Parlamento – e quindi in quota M5sLegaPd e Forza Italia – convergono su un unico candidato.
Un particolare – quello dei sostegno politico bipartisan a Cantone- che ha provocato un’altra riflessione tra i corridoi del Consiglio superiore: con la riforma del Csm del ministro Alfonso Bonafede la nomina dell’ex presidente dell’Anac a procuratore di Perugia sarebbe stata impossibile. Al suo interno, infatti, la bozza di riforma prevede una norma che vieta a chi è stato fuori ruolo di candidarsi a incarichi direttivi per i due anni successivi. Cantone ha lasciato l’Anticoruzzione nel settembre scorso: prima dell’ottobre 2021 non potrebbe concorrere per la guida di alcun ufficio. La riforma Bonafede, però, non è ancora stata approvata: Cantone, dunque, può prendere il posto di Luigi De Ficchy, andato in pensione lo scorso anno. Quindi per nominare il procuratore capo che dovrà indagare sulle imbarazzanti trame del mondo della magistratura, il Csm ha eletto un magistrato che con la nuova riforma – creato proprio per cancellare gli eventuali imbrarazzi del futuro – non sarebbe stato eleggibile. E lo ha fatto col voto fondamentale e bipartisan di tutti i consiglieri eletti dalla politica.
In questo senso un peso specifico nel dibattito al Csm lo ha giocato anche il fatto che la procura umbra è competente dei reati contestati ai magistrati romani. Primo tra tutti Palamara, simbolo dei legami tra toghe e politica e indagato principale dell’inchiesta nomine che ha terremotato il Csm. Le chat e le intercettazioni di Palamara, in cui il magistrato parlava anche con Luca Lotti delle nomine ai vertici delle procure, sono state citate durante il dibattito a Palazzo dei Marescialli. Il presidente della Commissione Direttivi Mario Suriano, della corrente “di sinistra” Area, era il relatore della proposta su Cantone: “Non si può dubitare della indipendenza di Cantone. Dalle chat – ha detto riferendosi a quelle emerse nell’inchiesta – vediamo che Cantone non doveva andare a Perugia secondo persone vicine al presidente del Consiglio che lo nominò all’Anac”. Gli replica a stretto giro di posta Piercamillo Davigo, relatore della proposta a favore del candidato di minoranza: “Di Masini nelle chat non si parla proprio e questo è ancora meglio“.
Ma è l’indipendente Di Matteo a ribaltare le argomentazioni di Suriano e a richiamare l’inchiesta di Perugia come ostacolo alla nomina di Cantone: “Ritengo che non sia opportuno che Cantone vada a dirigere proprio quella procura che è competente su ipotesi di reato commesse dai colleghi che lavorano negli Uffici di Roma e che possono investire procedimenti che a vario titolo riguardano i rapporti tra magistrati e politici vicini o appartenenti alla stessa compagine politica decisiva per la nomina all’Anac”. Il riferimento diretto dell’ex pm di Palermo è evidentemente anche al caso di Palamara.
Di Matteo, pur manifestando la sua stima nei confronti di entrambi i candidati, non nega che Cantone all’Anac “abbia perfezionato la propria professionalità in materia di contrasto alla corruzione, se non altro attraverso i rapporti con le procure”, ma il punto è che “noi abbiamo il dovere di decidere in funzione dell’esigenza di garantire nei confronti dei cittadini l’apparenza di imparzialità. Io – ha spiegato – avrei sostenuto la candidatura di Cantone a una Procura diversa, ma non a Perugia. L’incarico all’Anac ha una fortissima connotazione politica, una connotazione che si è perfino accentuata, almeno quanto alla sua apparenza, quando per più volte Cantone è stato indicato come possibile premier della nuova compagine governativa”. Di Matteo ha poi sottolineato che il testo unico sulla dirigenza giudiziaria esige una “prudenziale” valutazione degli incarichi fuori ruolo “in modo che mai possa ingenerarsi nell’opinione pubblica il sospetto di mancanza di imparzialità“. Per questo Di Matteo ha sostenuto Masini “che ha sempre saputo coltivare il valore della indipendenza”.

Una galassia fra le galassie. - Inserito da Francesca Cherubini.

Una galassia fra le galassie

Con lo sguardo puntato nello spazio profondo, il telescopio spaziale di Nasa/Esa Hubble cattura l’immagine della galassia Ngc 2608. Una galassia a spirale barrata, con numerose braccia ancorate alla barra centrale, che sembra una Via Lattea in miniatura. 
Le stelle in primo piano appartengono alla Via Lattea e nell’immagine appaiono come brillanti punti luce, un effetto dovuto all’ottica del telescopio, come quella nell’angolo in basso a destra e l’altra appena sopra il centro della galassia. 
Sullo sfondo dell’immagine, in lontananza, migliaia di galassie con caratteristiche affini a Ncg 2608, come nella foto scattata sempre da Hubble del Deep Field, che ha registrato oltre tremila galassie in un campo visivo.

La parodontite potrebbe aggravare la sindrome del colon irritabile.

La parodontite potrebbe aggravare la sindrome del colon irritabile © Ansa

I batteri della bocca migrano nell'intestino causando infiammazione.

(ANSA) - ROMA, 18 GIU - La parodontite potrebbe esacerbare le sindromi dell'intestino irritabile, malattie come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa.
Lo suggerisce uno studio su animali pubblicato sulla rivista Cell e coodinato da Nobuhiko Kamada dell'Università del Michigan.
La parodontite è una malattia gengivale caratterizzata da stato infiammatorio e da un biofilm batterico patologico; se non curata può portare a perdita di denti. Ormai negli ultimi anni è stato un susseguirsi di studi che dimostrano come chi soffre di parodontite sia più a rischio di sviluppare malattie sistemiche importanti quali il diabete, le malattie cardiovascolari ed addirittura l'Alzheimer.
Gli esperti americani sono andati a studiare il microbiota (il pool di batteri che colonizzano l'intestino) intestinale di topolini come modello di studio per la sindrome da intestino irritabile, ed hanno individuato alterazioni nella composizione del microbiota con presenza di specie microbiche patogene, proprie del cavo orale. Gli esperti hanno visto che la presenza di specie batteriche legate alla parodontite inasprisce i sintomi intestinali della sindrome da colon irritabile. Gli scienziati pensano che la parodontite e, in particolare, la migrazione di batteri patogeni dalla bocca al colon contribuisca a esacerbare lo stato infiammatorio intestinale. Allo stesso tempo le cellule immunitarie pro-infiammatorie attivate nella bocca affetta da parodontite possono migrare nell'intestino e esacerbare reazioni immune patogene. Secondo gli esperti questo studio pone le basi per inserire nel percorso di cura di pazienti con colon irritabile anche la cura del cavo orale, in modo da prevenire l'esacerbarsi dei sintomi intestinali.
"Si tratta di un lavoro molto interessante perché conferma una volta di più l'esistenza di 'correlazioni pericolose' tra parodontite e malattie sistemiche - sottolinea all'ANSA Nicola Marco Sforza, Presidente Eletto della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP). In questo caso viene dimostrata una duplice azione eziopatogenetica per la correlazione specifica tra parodontite e infiammazione intestinale - continua l'esperto; ciò avviene attraverso l'azione diretta dei batteri conseguente alla migrazione nel tratto intestinale, per ingestione, di alcuni microbi del biofilm batterico del cavo orale presenti comunemente nel paziente con parodontite; inoltre si manifesta attraverso un meccanismo indiretto dato dalla stimolazione di cellule deputate alla risposta infiammatoria nel tratto intestinale in grado di esacerbare lo sviluppo di sintomi connessi alle coliti". "Naturalmente questi risultati dovranno essere confermati anche sull'uomo oltre che su modello animale, e pertanto dobbiamo essere prudenti prima di trarre conclusioni definitive.    
Tuttavia lo studio pone le basi per approfondire la correlazione tra parodontite e malattie infiammatorie intestinali con possibili ricadute nella prevenzione e terapia delle stesse", conclude Sforza.

In villa? No. In parlamento? Nemmeno... - Massimo Erbetti

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10 giugno 2020 Stati Generali il centrodestra non partecipa: "Confronto solo in sedi istituzionali".

17 giugno 2020 Conte informativa alle camere: Fratelli d'Italia assenti e Lega abbandona l'aula, non prima però del lapsus di Salvini che dice: "i porti aperti salvano vite. I porti chiusi condannano a morte migliaia di persone"...il bello è che nonostante abbia detto il contrario di quello che realmente pensa, i suoi lo applaudono comunque...perche diciamocelo francamente, non conta cosa dica il leader, quello che conta è sostenerlo a prescindere, ascoltare costa troppa fatica, lui si sostiene per fede, mica con l'intelletto.


Ma come mai, FdI e Lega, non hanno partecipato ai lavori d'aula, nonostante avessero chiesto loro il passaggio in sedi "istituzionali"? Semplice, a loro non interessa nulla di apportare miglioramenti, idee o quant'altro, quello che interessa loro è la totale contrapposizione con l'attuale governo. A loro non interessa uscire dalla crisi devastante che stiamo vivendo, anzi, vogliono che il paese vada a fondo e il più velocemente possibile, per poi poter puntare il dito, contro quelli che, secondo loro, sono gli autori del disastro e per poi arrivare a guidare il paese. Se veramente avessero voluto il bene dell'Italia, avrebbero votato il Recovery Fund, invece di astenersi, se veramente avessero avuto a cuore il bene degli italiani, avrebbero fatto pressione verso quegli stati guidati dai loro alleati in Europa, che sono contro gli aiuti al nostro paese. 

E invece niente...in Villa no perché è una "passerella", ma in televisione a confrontarsi con Orietta Berti si...ma si sa la Berti è una economista di fama internazionale..."finche la barca va, lasciala andare"... Non è mica una canzoncina, assolutamnte no, è una metafora economica ormai usata da tutti gli esperti internazionali.
Lega e FdI, basano la loro attività politica su rabbia, odio, rancore e contrapposizione totale e per l'ennesima volta, hanno dimostrato che solo questo sanno fare...beh almeno in questo sono coerenti.


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Bonomi: “Ridateci le accise”. Conte: “Voliamo più in alto”. - Salvatore Cannavò

Bonomi: “Ridateci le accise”. Conte: “Voliamo più in alto”

“Tutto qui?”, diceva Muhammad Ali a George Foreman mentre quello lo riempiva di pugni sul ring di Kinshasa, in Zaire, nel 1974. Incontro per la corona mondiale dei pesi massimi restituita in un celebre film, Alì, con Will Smith a interpretare il campione.
“Tutto qui?” sembra il commento di Giuseppe Conte dopo aver ascoltato – abbastanza seccato, confessa chi era presente all’incontro – l’intervento del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, agli Stati generali di Villa Pamphilj. E di fronte alla più veemente richiesta di Bonomi (il rimborso delle accise sull’energia) il premier ha gioco facile a rispondere: “Oggi il tema è il piano di rilancio. Voliamo un po’ alto”.
La partita, in effetti, è molto tecnica perché Bonomi si riferisce a una sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di accise sull’energia, “impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo Stato nonostante la sentenza della Corte di Cassazione che ne impone la restituzione” come lui stesso ha scritto su Twitter. Solo che la restituzione alle imprese dipende non dallo Stato, ma dalle società di vendita di energia elettrica.
Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, risponde che “Confindustria sa benissimo che lo Stato farà la sua parte” aggiungendo che il caso sollevato “riguarda una vecchissima accisa” che risale al 1998 e sarà “senz’altro” risolta.
Eppure Conte aveva proposto un terreno di discussione all’altezza di quella che sembrava essere la sfida con molte concessioni e una piccola frecciata. “Nessun pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica”, ha spiegato nell’introduzione. Nessuna concezione “collettivista”, anzi “condividiamo anche la filosofia di Milton Friedman: per noi l’obiettivo di un’impresa è produrre guadagno”.
Però pensiamo, ha aggiunto, che l’impresa abbia una responsabilità “sociale” e “un impatto sull’ambiente” con lo Stato in una funzione “regolatore”. A questa Confindustria, però, questo approccio sembra dare fastidio, continuando a ripetere slogan un po’ usurati (vedi articolo in basso) e che, quando applicati, hanno portato a guai seri (vedi Fornero).
Oltre alla richiesta delle accise, Bonomi ha elencato una serie di richieste come il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, una maggiore e più puntuale liquidità alle imprese che ne hanno bisogno, fino all’accusa al governo di non aver saputo onorare gli impegni sulla cassa integrazione, scaricata, per quanto riguarda gli anticipi, sulle imprese.
Conte gli ha contrapposto l’ampio numero di provvedimenti a favore delle imprese facendo notare che è del governo una proposta che “Bonomi ci avrebbe voluto rubare”, l’Industria 4.0 plus per investimenti in tecnologia digitale e green. I due non si amano anche perché, come titolava ieri Il Messaggero, Bonomi vuole “un governo diverso”. Conte non ci pensa proprio. La sfida continua.