giovedì 16 luglio 2020

Ghislaine si veste da suora ma il giudice non la libera. - Sabrina Provenzani

Ghislaine si veste da suora ma il giudice non la libera

Caso Epstein. L’ereditiera per la prima volta in aula, i suoi avvocati evocano inutilmente la scarcerazione. Le vittime: “Senza di lei Jeffrey non faceva niente”.
Richiesta respinta. Nonostante i suoi legali l’abbiano dipinta come vittima di un complotto mediatico, il giudice non ha concesso la scarcerazione a Ghislaine Maxwell, unica protagonista del caso Espstein dopo che Jeffrey è stato trovato morto in carcere nell’agosto 2019. La donna resterà dentro fino all’inizio del processo. “Vostro Onore, mi dichiaro non colpevole”. Ieri, distretto di New York South, ore 13 locali. Udienza per la richiesta di cauzione di Ghislaine, 58 anni, ex compagna e presunta ape regina di Jeffrey Epstein, accusata di 6 reati, fra cui trasporto di minore a scopo di sfruttamento sessuale e spergiuro. Fugge dal 10 agosto 2019, il giorno del suicidio, al Metropolitan Correction Centre di New York di Epstein, inchiodato da pesanti e concordi accuse di sfruttamento della prostituzione minorile. Maxwell parla in collegamento dal carcere di Brooklyn, dove è rinchiusa dal 2 luglio, giorno del suo arresto. È la caduta di un’altra Dea, una intoccabile, per decenni protetta prima da una nascita privilegiata, poi denaro, conoscenze, potere. Che oggi la condannano. L’avvocato dello Stato di New York Audrey Strauss chiede al giudice Alison Nathan di rigettare la richiesta di rilascio su cauzione perché, si legge nei documenti del processo, “l’accusata presenta un alto rischio di fuga, è cittadina di un paese – la Francia – che non permette l’estradizione dei propri cittadini, ha accesso a considerevole ricchezza, le sue finanze sono completamente opache e si è dimostrata molto abile nel nascondersi”. Bandiere rosse, le definisce Strauss.
Come il fatto che quando gli agenti dell’FBI che la cercavano da un anno si sono qualificati alla porta della villa milionaria di Bradford, New Hampshire dove si nascondeva, lei non abbia risposto: l’hanno vista da una finestra rifugiarsi in un’altra stanza, chiudersi dietro la porta. O che, hanno testimoniato gli agenti, tenesse il cellulare avvolto nella carta stagnola, “nel maldestro tentativo di sfuggire al tracciamento”. O che dichiari di non guadagnare un soldo, che il tenore di vita che si puo permettere lo deve alla generosità di amici, gli stessi non identificabili ma disposti a pagare i 5 milioni della cauzione e, chissà, anche il conto dell’hotel di lusso di Manhattan dove promette di restare in attesa del processo fissato al 21 luglio 2021. Ma l’accusa ha identificato 15 conti correnti, una ricchezza di almeno 20 milioni di dollari. Non regge nulla, nella difesa. Nemmeno la tesi di base: “Lei non è Jeffrey Epstein” ripetuta da uno degli avvocati difensori. Perché le vittime dicono altro. In aula vengono lette due testimonianze scritte, non attribuite: “Ghislaine è un mostro e una predatrice. Era capace di manipolarci emotivamente per adescarci e soddisfare Epstein. Senza di lei lui non avrebbe potuto fare quello che ha fatto”. Una racconta un ulteriore dettaglio raggelante: le sarebbero arrivate minacce alla vita del figlio di due anni per dissuaderla dal deporre contro la Maxwell in una causa precedente. Poi c’è Annie Farmer, che ci mette faccia e voce. Voce tremante. Racconta di essere stata adescata a 16 anni. Definisce la Maxwell pericolosa per gli altri, “una predatrice sessuale” che non ha mai mostrato rimorsi, e che ha contatti in tutto il mondo. Tocca alla difesa recuperare, parlare di campagna mediatica, umanizzare Ghislaine, raccontarne famiglia e amici, spiegare che si è nascosta per proteggere la propria privacy ma non c’è alcun pericolo di fuga, visto che in questo anno ci sono stati contatti con gli investigatori. Parla di ossessione mediatica: sarebbe giustificata, visto che Ghslaine, se volesse, sarebbe determinante per ricostruire il reticolo di rapporti con gli altri presunti predatori, uomini molto in alto, altri intoccabili, a cui Epstein avrebbe fornito le ragazze. Come il principe Andrea, accusato dalla sopravvissuta Virginia Giuffre di aver abusato di lei proprio nella casa londinese della Maxwell.

Ora anche Repubblica e Carlo De Benedetti riabilitano il Caimano. - Gianni Barbacetto

Ora anche Repubblica e Carlo De Benedetti riabilitano il Caimano

Doppio endorsement.Sognando il governissimo di Draghi.
Doppio colpo del Foglio, in onore e gloria del pregiudicato Silvio. In un giorno solo, pubblica una gemellare riabilitazione di Berlusconi, pronunciata da due che dovrebbero essere per definizione rigorosi e severi con l’ex capo del centrodestra, nonché condannato definitivo per frode fiscale, indagato per strage mafiosa e plurisalvato via prescrizione da una lunga serie di reati. I due sono il neodirettore di Repubblica, Maurizio Molinari, e l’ex arcinemico di Berlusconi, Carlo De Benedetti, neoeditore di Domani. Sottile perfidia, quella dei foglianti: mettono in pagina, uno accanto all’altro, due che dovrebbero essere agli antipodi, zenit e nadir. Cdb si è opposto alla vendita di Repubblica, la sua Repubblica, al gruppo Gedi di John Elkann, che l’ha strappata dalle sue radici e dalla sua storia, come stanno constatando i lettori che l’abbandonano. Sconfitto dai figli, Cdb ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo, fondando un nuovo giornale. Aveva addirittura rotto con Eugenio Scalfari, quando il Fondatore aveva detto che giù dalla torre, tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, avrebbe gettato il secondo, tenendosi il primo. Tanta fatica annullata nello spazio di un mattino: i registi foglianti addetti alla Grande Riabilitazione infilano Cdb (“Sono pronto a trangugiare un governo col Caimano”) sopra il Molinari strappatore di radici del suo ex giornale. Se è così, poteva anche risparmiare l’investimento nel Domani.
Salvini il selvaggio e Meloni Fascista.
“Se si tratta di isolare Salvini e Meloni, trangugio anche Berlusconi al governo con la sinistra”, dichiara De Benedetti infilandosi dritto dritto nell’imboscata di Salvatore Merlo. “Ma accompagnato anche dal benservito a Conte che rappresenta il vuoto pneumatico”. Il Berlusconi che gli ha sfilato la Mondadori grazie a una sentenza comprata e venduta diventa colui che in un colpo solo ci può liberare da Salvini, Meloni e Conte. “Mai avrei immaginato di dire che al mondo esiste qualcosa di peggiore di Berlusconi. E sia chiaro, continuo a pensare che il livello di corruzione morale che lui ha introdotto nel Paese abbia costituito un periodo nero della nostra storia. Se non era per Scalfaro avremmo avuto Previti ministro della Giustizia”. Ma c’è un eppure: “Eppure sono pronto a trangugiare il rospo. Meloni è figlia del fascismo, e io il fascismo me lo ricordo da bambino con orrore. Salvini invece è un selvaggio privo di qualsiasi cultura. E quanto a Conte, basta il caso Autostrade per qualificare la sua nullità”. Alla fine, cade nel tranello che non ha perdonato a Scalfari: al gioco della torre, tra Silvio e Giuseppi, salva il primo.
Meglio il pregiudicato del premier Conte.
I foglianti gongolano. Incassano volentieri la telefonata del Fedele Confalonieri, che protesta per i giudizi, ritenuti duri e inaccettabili, sull’amico Silvio, creatore delle tv private e inventore di Forza Italia. Ma conta il titolo: Cdb riabilita il Nemico. E lo sdogana come protagonista della politica di domani (minuscolo): “Se Berlusconi si stacca dalla destra sovranista è possibile che si formi una maggioranza in grado di esprimere un presidente del Consiglio finalmente capace di fare il suo mestiere”. 
E Merlo evoca il solito nome: Mario Draghi? “Magari. Se tutto va bene è in arrivo nel nostro Paese una quantità di denaro che non si vedeva dal primo dopoguerra. Un’occasione unica. E c’è bisogno di un governo, e di una personalità al governo, che questa occasione storica la sappia cogliere. Ora o mai più”. L’eterna illusione italiana: Mussolini usato dai liberali che poi furono invece mangiati in un sol boccone; Berlusconi considerato disponibile a dare gratis il suo soccorso, lui che gratis non ha dato mai niente. Ma poiché “Giuseppe Conte non è adatto”, porte aperte al Caimano, che pure Cdb conosce bene. Ricordate il marito che si evira per far dispetto alla moglie? Perché mai il Cavaliere che “non ha idee, ma calcoli personali” dovrebbe contribuire a fare oggi le mirabolanti riforme (fisco e “modernizzazione del Paese”) che piacciono a De Benedetti? Per il paradosso del suo stesso conflitto d’interessi, sostiene Cdb: per salvare la sua roba (Mondadori e Mediaset) può contribuire a far sì che non siano sprecati i soldi pubblici e quelli in arrivo dall’Europa. Tanti auguri.
Più facile Molinari: alle ortiche la Repubblica delle dieci domande a Berlusconi, per fare un altro giornale, “sulle notizie e non sul colore delle notizie”. Un foglio “verde e blu”, una “palestra di idee” che non divida più “il mondo nelle vecchie categorie destra-sinistra”. Basta “asprezze ideologiche”, porte aperte a giornalisti “non prigionieri del passato”: dunque fuori dalla storia di Repubblica.

Truffa sui farmaci, pillole vendute a stranieri e ricette false. 44 perquisizioni in tutta Italia: coinvolti medici e aziende farmaceutiche.

Truffa sui farmaci, pillole vendute a stranieri e ricette false. 44 perquisizioni in tutta Italia: coinvolti medici e aziende farmaceutiche

L'ipotesi è che attraverso una serie di ricette prescritte "a carico di pazienti ignari" e spedite alle farmacie convenzionate sul territorio, i medicinali (rimborsati dallo Stato) venissero rivenduti o "bruciati in aperta campagna". Nel corso delle indagini i Nas hanno rinvenuto anche migliaia di pillole "gettate tra i rifiuti", tra cui antivirali e anticancro. Il ministro della Salute Speranza: "Voglio esprimere il mio apprezzamento ai carabinieri dei Nas per l’importante operazione svolta a Bari. Ogni risorsa sottratta illegalmente alla nostra sanità è un danno alla salute dei cittadini".

Aziende farmaceutiche sparse in tutta Italia, promotori, farmacisti e “medici compiacenti” hanno ideato “un articolato meccanismo corruttivo” per truffare il Servizio sanitario nazionale. Attraverso una serie di ricette prescritte a carico di pazienti ignari e spedite alle farmacie convenzionate sul territorio, le pillole e i medicinali (rimborsati dallo Stato) venivano ricettati e venduti a cittadini stranieri o buttati nei campi. Lo hanno scoperto i carabinieri del Nas di Bari che – su delega della procura del capoluogo pugliese – hanno eseguito 44 perquisizioni nelle province di Bari, Brindisi, Bat, Foggia, Napoli, Roma, Avellino, Salerno, Milano, Imperia, Torino, Ancona, Potenza e Catania. Per 17 aziende è stato disposto inoltre l’obbligo di presentare una serie di documenti alle autorità. L’ipotesi è che alla base della truffa ci sia un giro d’affari da almeno 20 milioni di euro, anche se il danno erariale è ancora da quantificare.
L’operazione, ribattezzata “Shameless”, è partita “del rinvenimento di alcune confezioni di farmaci – prescritti con ricette false – presso uno studio associato di medici di medicina generale”, hanno dichiarato gli inquirenti. Le successive indagini hanno consentito di individuare “un gruppo associativo composto da una serie di personaggi” e le perquisizioni di oggi “serviranno a verificare le ipotesi investigative e rafforzare gli elementi acquisiti dai militari”. I Nas hanno rinvenuto anche migliaia di medicinali “gettati tra i rifiuti o bruciati in aperta campagna“, tra cui diversi antivirali e anticancro. A raccontarlo all’Adnkronos è il tenente colonnello Giovanni Battista Aspromonte, spiegando che le indagini “sono ancora in corso”.
“Voglio esprimere il mio apprezzamento ai carabinieri dei Nas per l’importante operazione svolta a Bari”, ha commentato il ministro della Salute Roberto Speranza. “Non sono ammissibili truffe ai danni del Servizio sanitario nazionale, specialmente in questa fase così delicata”. A suo parere, “ogni risorsa sottratta illegalmente alla nostra sanità è un danno alla salute dei cittadini”.

Andrea Scanzi.

L'immagine può contenere: 1 persona, il seguente testo "Matteo Salvini @matteosalvinimi 1h A furia di pensare solo agli immigrati, il sindaco Orlando dimentica cittadini di #Palermo: basta un temporale e la città finisce sott'acqua. Roy Paci @RoyPaci In risposta a @matteosalvinimi Ho sempre ritenuto superfluo commentare qualsiasi suo post ma di fronte alla morte di due miei concittadini per questa immane tragedia le dico semplicemente una cosa: lei è turpe e miserabile sciacallo. Spero che le nostre lacrime diventino per lei gocce della tortura cinese"

Salvini, ma non ce l’hai un amico? Qualcuno che ti vuol bene, che ti aiuta, che ti dice quando fermarti? Vuoi davvero somigliare a Renzi in tutto e per tutto anche nel suicidio politico? Ce l’hai qualcuno accanto col coraggio (gli amici “servono” anche a questo) di dirti che da agosto 2019 in poi le sbagli tutte, che il tuo sciacallaggio puerile ha frantumato le gonadi e che il tuo urlare a caso è tanto patetico quanto sommamente colpevole?

Non se ne può più di questa escalation abietta. Questo tuo post, francamente irricevibile, è l’ennesimo tassello insensato e sgradevole della tua suburra propagandistica. Roy Paci, nella sua risposta accorata, è stato sin troppo garbato. Basta!!!


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Monumento ai caduti. - Marco Travaglio

Come mai i pennivendoli del Corriere pubblicano continuamente ...
Quando, 23 mesi fa, crollò il Ponte Morandi seppellendo 43 morti, Autostrade era figlia di NN. Per i giornaloni, i colpevoli del crollo non erano i concessionari Benetton che lucravano da 19 anni su un bene pubblico con l’impegno di manutenerlo e invece l’avevano mandato a ramengo. Ma i 5Stelle e gli ambientalisti anti-Gronda: il faraonico passante autostradale da 5 miliardi di euro che, anche se fosse stato realizzato in tempo utile (10 anni di cantieri), si sarebbe aggiunto al viadotto pericolante senza sostituirlo e comunque era stato bloccato dall’inettitudine di chi aveva governato Genova, la Liguria e l’Italia (centrodestra e centrosinistra). Ai funerali, il premier Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini, acclamati dalla folla, promisero che mai più i Benetton avrebbero gestito Autostrade. E lì i giornaloni tutti, seduti su montagne di milioni regalati dai Benetton in forma di pubblicità (maglioni, bimbi e pecore multicolor), sponsorizzazioni (le feste Rep Idee e le guide turistiche di Repubblica) e gettoni di presenza (nel board Atlantia sedevano Cassese, giurista del Corriere&C, e la Mondardini, amministratore di Repubblica), iniziarono a nominare i Benetton. Ma per difenderli. Cantavano tutti la stessa canzone alla Squallor, scritta direttamente a Ponzano Veneto: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, fino alla Cassazione non si può dire se la colpa è dei manager Benetton o del destino cinico e baro, chissà mai chi è stato.
Nel giro di una settimana Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero e Giornale riuscirono a scrivere che chiunque incolpasse Atlantia per le colpe di Atlantia era affetto dalle seguenti patologie: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina, ansia da Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice no a tutto, pericolosa deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, esplosione emotiva, punizione cieca, pressappochismo, improvvisazione, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, aggiotaggio, decrescita, oscurantismo. 
Francesco Merlo intervistò su Repubblica il capofamiglia Luciano, quello coi capelli turchini, definendolo “imprenditore di sinistra” (nelle foto di famiglia sta sempre da quella parte). Prima domanda, e ho detto tutto: “È vero che il crollo del Ponte Morandi con i suoi 43 morti ha ferito lei e ha ucciso suo fratello?”. Mancò poco che chiedesse ai parenti dei 43 morti di pagargli i danni. Intanto Salvini, a cui forse qualche vecchio leghista aveva rinfrescato la memoria, diventò il miglior alleato dei Benetton.
E rovesciò il Conte 1. Così, per l’alternanza all’italiana, toccò al Pd difendere gli United Colors. Ai Trasporti andò Paola De Micheli che, coi suoi modi ruspanti da cassiera di drogheria e la cultura consociativa da ex-Pci Vecchia Romagna, riprese a inciuciare. I giornaloni intanto pubblicavano sempre lo stesso pezzo dettato da Ponzano Veneto: finirà a tarallucci e vino, Conte rinvierà alle calende greche e il M5S ingoierà anche quel rospo. Ancora il 5 luglio quel genio di Claudio Tito sparava su Repubblica: “Il governo spera nella Consulta per lasciare la concessione ad Aspi”. Come sempre, era vero il contrario: Conte sperava nella Consulta per levare la concessione ad Aspi o levare i Benetton da Aspi. L’ha annunciato lunedì al Fatto e martedì notte in Cdm l’ha fatto. Ora si contano i caduti. De Benedetti, due giorni fa, con tempismo pari alla perspicacia, definiva Conte “una nullità” proprio per Autostrade. E tutti i giornaloni, ancora ieri, non riuscivano a immaginare un governo che caccia a pedate un potere forte anziché chinarsi a 90 gradi. 
Repubblica: “Conte lavora a un patto coi Benetton”. Sì, ciao, buonanotte. 
Il Foglio: “Su Aspi l’unica strada è il rinvio”. Certo, come no. 
Giornale: “Governo bloccato. Cdm rinviato. La linea dura vacilla. Revoca suicida, pagheremo 17 miliardi”. Le pazze risate.
Corriere, Repubblica, Stampa e Verità sparavano la lettera “riservata personale” della De Micheli a Conte del 13 marzo, fatta uscire per salvare in extremis i Benetton e tornata alla mittente come un boomerang: doveva screditare Conte per aver ignorato per 4 mesi una ghiotta transazione, invece ha screditato la ministra per non aver capito (o aver capito fin troppo bene) la boiata che era. 
Una patacca che, per la Verità, “sbugiarda Conte”. 
E, per Paolo Baroni de La Stampa, dimostra i “quattro mesi persi” dal premier, che “in tutto questo tempo ha dormito” perché “il 13 marzo era la giornata mondiale del sonno”: questo frescone dimentica che il 13 marzo il premier aveva appena chiuso l’Italia e si occupava full time di Covid (250 morti e 2.547 contagiati solo quel giorno), ma trovò il tempo con Gualtieri di respingere l’ennesimo accordo-trappola caldeggiato da madama. 
Ma il Premio Nostradamus va a Stefano Folli, l’oracolo di Repubblica, che martedì sera è andato a nanna giulivo dopo aver consegnato il quotidiano De Profundis per il governo: “Una stagione al tramonto”, “Autostrade può essere l’incidente su cui il governo inciampa”, “una stagione politica si sta concludendo”, “l’esaurimento del Conte2 è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere”, “la decadenza di una formula politica”, “l’agonia”. Poi ieri, forse, si è svegliato. Una prece.

I Benetton, Benetton Edizone Holding, Atlantia e Aspi (Autostrade per l'Italia). - Massimo Erbetti

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Cerchiamo di capire come stanno realmente le cose e come i Benetton controllano le autostrade: i Benetton tramite la loro cassaforte "familiare" la "Benetton Edizone Holding" detengono il 30% di Atlantia, che a sua volta controlla circa l'88% di Aspi (Autostrade per l'Italia), per cui i Benetton non sono i soli proprietari di Aspi, ma ne detengono circa il 25/26%, praticamente un quarto, ma essendo i soci di maggioranza (quelli con più quote), ne tengono le redini e ne decidono le strategie operative. Perché dico queste cose? Lo dico perché alcuni ieri hanno voluto strumentalizzare il salto in avanti del 23% (teorico) in borsa di Atlantia. Il "favore" se di favore si vuol parlare non è stato fatto ai Benetton che ne detengono solo il 30%, ma a tutti gli azionisti, che nulla c'entrano con le decisioni scellerate della gestione di Aspi e che non hanno certo colpe su quanto avvenuto al Ponte Morandi. L'accordo raggiunto ieri, è un incredibile successo e un servizio a tutti i cittadini italiani, mai nessun governo nella storia della Repubblica italiana ha agito nel solo interesse del popolo, tutti quelli precedenti, hanno sempre chinato la testa davanti al potente di turno e proprio sulle concessioni autostradali, tutti, ma proprio tutti...destra, sinistra, centro...dovrebbero avere la decenza di tenere la bocca chiusa...da Prodi che stipuló un contratto capestro, a Berlusconi e tutto il centro destra, Lega compresa, che resero addirittura legge dello Stato i vantaggi per i Benetton. Cosa prevede l'accordo?:
-1) Un risarcimento danni allo Stato di 3,4 miliardi di euro.
-2) L'uscita dal CdA di Aspi da parte dei Benetton e la riduzione delle quote al 10%
-3) La trasformazione di Autostrade per l’Italia in una compagnia pubblica
-4) La riduzione di tutte le tariffe autostradali.
-5) La rinuncia a tutte le cause contro lo Stato.
-6) Il mantenimento di tutti i posti di lavoro.
-7) La rinuncia ad ottenere fino a 23 miliardi in caso di scioglimento del contratto anche per gravissimi inadempimenti contrattuali.
-8) La possibilità di revoca anche per "lievi" inadempimenti.
-9) Maggiori investimenti per la manutenzione e la sicurezza.


E per ultimo, ma non certo ultimo, aver fatto passare il messaggio ai cittadini, che in questo paese, non basta più essere ricchi e potenti per poter essere al di sopra della legge, tutti, (nessuno escluso) , da oggi in poi, pagheranno per gli errori commessi.
Ahh...ancora un paio di cosette...la prima: a tutti quelli che avrebbero voluto veder fallire i Benetton, ricordo, come scritto sopra, che i Benetton posseggono solo il 30% di Atlantia e non sarebbero stati gli unici a pagare, lo avrebbero fatto anche le migliaia di lavoratori Aspi e ben 750 mila piccoli investitori italiani che magari in Autostrade per l'Italia, avevano investito i loro pochi risparmi.
La seconda è per quelli che dicono che dalla revoca siamo passati all'acquisto, vorrei far presente che revocare, non significava, diventare poi proprietari della concessione...ma solo toglierla a chi la aveva...lo so per voi è difficile, anzi incomprensibile, da capire...me ne farò una ragione.


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mercoledì 15 luglio 2020

Lettera di Di Maio al Fatto Quotidiano: “Letta, Draghi, Mion: è lavoro, parlo con chi non la pensa come me”. - Luigi Di Maio

Lettera di Di Maio al Fatto Quotidiano: “Letta, Draghi, Mion: è lavoro, parlo con chi non la pensa come me”

Di Maio risponde al “Fatto”.
Gentile Direttore, la seguente perché da qualche giorno ho notato che sta facendo notizia la mia agenda di appuntamenti, con ricostruzioni fuorvianti che con dispiacere ho letto – in parte – anche dalla sua penna.
Sia ben chiaro, la stampa fa il proprio mestiere. Diceva qualcuno che il dovere dei giornalisti fosse quello di “girare la penna nella piaga”. E quindi il mio non vuole essere un attacco a chi dà le notizie. Come prima cosa voglio dire che confermo gli incontri che ho avuto e personalmente da Ministro degli Esteri credo proprio che ne avrò tanti altri. Perché da quando sono Ministro ho sempre tenuto un contatto diretto con membri di maggioranza e opposizione, come ho sempre tenuto incontri con coloro che rappresentavano e rappresentano istituzioni internazionali e nazionali. Ognuna di queste persone si rivela preziosa per uno scambio di opinioni, soprattutto quando finiamo a discutere con forza perché non la pensiamo allo stesso modo.
Ciò che sta diventando insopportabile invece è il livello di retropensiero che in questi giorni si cela dietro ad ognuno dei miei incontri. Come ad esempio l’ipotesi che sarebbe stato il mio staff a far trapelare la notizia. I giornalisti che hanno firmato gli articoli e i loro direttori possono facilmente testimoniare il contrario.
Sia con l’ex presidente della Bce Mario Draghi, sia con Gianni Letta non ci eravamo mai incontrati prima e il tutto rientra in un sano e tradizionale spirito dialogante. Nella fattispecie, peraltro, come lei ben sa, l’Italia si appresta ad affrontare una delle più importanti partite mai giocate sui tavoli europei e la Farnesina lavora in prima linea sul negoziato Ue.
In questa cornice, e in virtù del particolare momento che stiamo attraversando, non trovo sconvolgente che io veda l’ex presidente della Banca Centrale Europea, visto anche il ruolo svolto dall’Eurotower negli ultimi anni a sostegno della zona euro. Per quanto riguarda il dottor Letta, invece, smentisco categoricamente i contenuti riportati nel retroscena pubblicato su La Stampa. D’altronde, Direttore, lei stesso nel suo editoriale ha parlato di numerose “chiacchiere politichesi dei retroscenisti”…
Riguardo ad Autostrade, colgo l’occasione per riferirle che corrisponde al vero anche il mio incontro con il manager Gianni Mion, al quale ho ribadito la posizione espressa dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, secondo cui “le autostrade non possono più essere gestite dalla famiglia Benetton”. Posizione, questa, che non viene espressa o improvvisata oggi, ma che io per primo ho portato sui tavoli governativi e in Parlamento.
Nell’ambito dell’esperienza di governo, io per primo, infatti, ho combattuto contro la famiglia Benetton. Io per primo sono finito nel mirino della speculazione mediatica per portare avanti una battaglia che nessun altro aveva il coraggio di intraprendere. Sono stato accusato di aver fatto crollare il titolo in borsa di Atlantia, il M5S è stato deriso e colpito solo per aver difeso un principio fondamentale che, dopo la tragica morte di 43 persone, a nostro avviso equivale al senso di giustizia.
L’encefalogramma, mi permetta, non è stato piatto. E lo dimostra anche la mia uscita pubblica in serata sui miei profili social a supporto delle parole del Presidente Conte. Ho forse peccato per non essermi palesato prima delle 21? Me ne dispiaccio, ma ero a Trieste con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al rientro ho effettuato un punto sull’incontro tenuto ieri pomeriggio con il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, e il giorno prima ero a Bruxelles per un mini vertice a 4 con i colleghi Le Drian, Mass e l’Alto rappresentante Borrell sempre sulla Libia. Insomma, possiamo dire che non ci si annoia mai.
Infine, e concludo, lei ha anche scritto che io due anni fa mi giocai la premiership per non stringere la mano pubblicamente a Silvio Berlusconi. Devo ringraziarla, perché indirettamente mi riconosce lo sforzo di aver contribuito a costruire due governi. Le confesso tuttavia che la mia rinuncia fu motivata dalla convinzione che non sono i volti a cambiare un Paese, bensì i fatti e le idee (ed è per questo motivo che per ben due volte ho rinunciato al ruolo di premier e una terza a quello di vicepremier). Non le so dire se oggi ci stiamo riuscendo. Le posso dire però che stiamo facendo il massimo e qualche risultato, me lo conceda, a casa lo abbiamo portato.