mercoledì 12 agosto 2020

Il salame disseta. - Marco Travaglio

BorderlineZ I segni più bugiardi dello zodiaco - BorderlineZ, blog
Chi pensa che i colpevoli dello scandalo bonus-povertà siano i ricchi che l’hanno chiesto è totalmente fuori strada.
Alessandro Sallusti ha scoperto che è tutto un “trabocchetto organizzato da Di Maio e soci con la complicità del loro uomo all’Inps, quel Tridico”: “Siamo sotto elezioni regionali e i partiti di governo (5Stelle e Pd) sono in affanno nei sondaggi”. Insomma “è un’invenzione di quel genio di Casalino” e altri “scagnozzi di Conte” che “scovano 5 parlamentari disgraziati dell’opposizione che hanno chiesto il bonus povertà”. E, astuti come sono, per risollevare le sorti dei 5Stelle, fanno in modo che uno dei cinque furbastri sia dei 5Stelle. Ammazza che volpi. Del resto “a Di Maio e alla sua famiglia (come si evince dalle disavventure del padre), gli euro non hanno mai fatto orrore”. E, se non avete capito che cazzo c’entrino il padre di Di Maio e lo scandalo dei laterizi abbandonati su una carriola nel suo orto, non sapete cos’è la logica. Ah, il titolo dell’editoriale sallustiano è “Non scriviamo sotto dettatura”. Si ride di gusto.
Per Vittorio Sgarbi, è tutta colpa di una “legge idiota fatta da cretini come Fico” (che non scrive leggi, essendo il presidente della Camera, e poi quello è un decreto del governo). L’altro è Feltri: “Non me la sento di accanirmi contro coloro che hanno incassato furbescamente gli oboli, perché in fondo essi (gli oboli, ndr), e anche in cima (qualunque cosa voglia dire, ndr), erano concessi in ossequio a una legge firmata dagli amministratori dello Stato”. Quindi la colpa è di “un esecutivo talmente inetto da permettere a cani e porci di incamerare quattrini” e chi deve “liberarci della loro mefitica presenza” non sono i percettori indebiti del bonus, ma chi l’ha previsto per quelli debiti. Analogamente la colpa delle pensioni ai falsi invalidi non è di chi si finge invalido per intascarle, ma di chi le ha volute per gl’invalidi veri.
Stefano Folli, su Repubblica, teme che lo scandalo “potrebbe gonfiare le vele ai fautori del ‘sì’ nel referendum sul taglio dei parlamentari”. Ma poi si rassetta il riportino e si rassicura da solo: “Il punto è la qualità di chi viene mandato in Parlamento, non la quantità di deputati e senatori che oggi (senza i tagli) è in linea con i principali Paesi europei” (falso, ma fa niente). Dunque “il ‘sì’ alla sforbiciata non cura nessuno di questi mali, anzi li aggrava”. Se ne deduce che, per curare “lo squallore dei 600 euro”, il numero dei parlamentari non andrebbe ridotto, ma aumentato: da 945 a 1.890 o, perché no, 5mila cifra tonda. Vuoi mettere, a quel punto, la qualità. È la legge del circo: “Più gente entra, più bestie si vedono”.
Dimenticavo: “Il salame fa bere, bere disseta, dunque il salame disseta” (Montaigne).

Gli smemorati del taglio dei parlamentari. - Lorenzo Giarelli

Gli smemorati del taglio dei parlamentari

C’è riforma e riforma, quando si parla di tagliare il numero dei parlamentari. E soprattutto c’è chi – politici, opinionisti, giuristi – oggi filosofeggia sui “rischi per la democrazia” qualora gli eletti dovessero passare da 945 a 600 (come da riforma voluta dai 5 Stelle e già approvata in Parlamento e in attesa di conferma al referendum del 20-21 settembre) ma appena quattro anni fa digeriva senza indugi il progetto di revisione costituzionale Renzi-Boschi. Quello che aboliva il bicameralismo paritario mandando in Senato cento tra consiglieri regionali e sindaci nominati dai partiti. Ma i tempi son cambiati e oggi c’è da gridare al pericolo per la Nazione e guai, come ha scritto Mattia Feltri sull’Huffington Post, a “buttare il Parlamento” per colpa “di 5 rubagalline”, ovvero i furbetti del bonus partita iva. Ecco una rassegna da ieri (2016) e oggi (2020) per farsi un’idea di chi e come abbia cambiato idea.
Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta.
Ieri: “L’assetto costituzionale che esce dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa fare un passo avanti, consolidandola”.
Oggi: “Le motivazioni sono solo quelle di dare un segno al Parlamento: tu conti di meno. Il risultato sarà rafforzare i partiti, il sistema diventa più oligarchico”.
Matteo Orfini, Pd.
Ieri: “La vittoria dei No significa far trionfare il Paese dei bronci e del pessimismo. Votiamo Sì, diamo forza alla speranza e al cambiamento”.
Oggi: “La riforma fa schifo. Era accettabile in un contesto con il proporzionale e altri contrappesi. Non si può dare indicazione di voto per il Sì”.
Mario Lavia, giornalista.
Ieri: “La domanda è se si vuole un sistema istituzionale più semplice o più complicato. Secondo me, se si sta al merito, l’elettorato preferisce il Sì”.
Oggi: “Zingaretti rischia di passare alla storia come il leader che avalla uno strappo alla Costituzione in cambio della sussistenza del governo. In gioco c’è la qualità della nostra democrazia”.
Luciano Violante, già presidente della Camera.
Ieri: “Il prossimo referendum ricorda quello del 1946 sull’alternativa tra Monarchia e Repubblica. Anche lì si decideva l’Italia del futuro. I sostenitori della riforma costituzionale hanno una visione realistica: non è perfetta ma fa funzionare meglio il Paese”.
Oggi: “Il taglio dei parlamentari senza il proporzionale e la fine del bicameralismo paritario potenzierebbe enormemente l’esecutivo e condannerebbe il Parlamento all’immobilismo o al disordine”.
Graziano Delrio, Pd.
Ieri: “Il Sì al referendum vuol dire puntare sulla crescita. Se prevalesse il No l’Italia tornerebbe dentro le sacche delle politiche di austerity ”.
Oggi: “La riduzione dei deputati e dei senatori, abbinata all’attuale legge elettorale ipermaggioritaria, crea uno squilibrio serio per l’assetto istituzionale del Paese: rischia di produrre maggioranze in grado di cambiare da sole, senza il necessario dialogo con le opposizioni, la Costituzione”.
Emma Bonino, +Europa.
Ieri: “Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio”.
Oggi: “Io ho paura dei danni irreparabili per la democrazia italiana che deriveranno sul piano istituzionale dalla mera amputazione della rappresentanza democratica”.
Tommaso Nannicini, Pd.
Ieri: “Se dovesse vincere il No perderemo una bella occasione per poter continuare sul percorse delle riforme, di cui si parla da 30 anni senza fare niente”.
Oggi: “Il taglio dei parlamentari piace a chi vuol sostituire le Camere con Rousseau. Senza i correttivi richiesti a questa riforma malfatta e mal pensata si lascerebbe il Parlamento in balia del trasformismo. La riforma andava fermata prima”.
Riccardo Magi, +Europa.
Ieri: “Non è la nostra riforma ma permette di superare il bicameralismo e il disastroso regionalismo italiano”.
Oggi: “Mi preoccupa l’assurdità di questa riforma. Motivi fondati per questa amputazione del Parlamento non ce ne sono”.
Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia.
Ieri: “Considerato tutto, ritengo che la riforma si meriti un 8 pieno, perché nessuna riforma costituzionale è perfetta essendo figlia di un compromesso politico. Tuttavia questa risponde, con rispetto e giudizio, ai problemi che in questo Paese si porta appresso da almeno 40 anni”.
Oggi: “Una riduzione dei parlamentari senza i necessari interventi di riequilibrio significherebbe sacrificare pesi e contrappesi sull’altare di un populismo illiberale. Sarebbe in gioco la democrazia rappresentativa”.
Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo.
Ieri: “Abbiamo bisogno di una democrazia più efficiente, più semplice e più capace di prendere le decisioni”.
Oggi: “Non è questione di correttivi. Se anche si dovesse arrivare in extremis al proporzionale la sostanza non cambia. Il Pd ha fatto un errore madornale nel piegarsi al populismo e alla cultura antiparlamentare dei 5 Stelle. La riforma mina i fondamenti della nostra democrazia rappresentativa”.
Carlo Calenda, Azione.
Ieri: “Il referendum è uno snodo fondamentale per avere istituzioni più forti e più efficienti”.
Oggi: “Sono molto contrario, sono favorevole a un monocameralismo secco. Questa è una riforma fatta coi piedi”.
Ernesto Carbone, Iv.
Ieri: “Sono ottimista e sono convinto che vincerà il Sì. Se dovesse vincere il No, l’Italia rimarrebbe nella palude”.
Oggi, retweettando Gori: “Le leggi elettorali si fanno e si disfano. Dobbiamo pensare che il taglio dei parlamentari diventi a quel punto pericoloso per la democrazia?”.
Pierluigi Castagnetti, Pd.
Ieri: “Qusta è una riforma che modernizza il Paese”.
Oggi: “Non voglio assecondare pulsioni populiste”.
Beppe Fioroni, Pd.
Ieri: “Gli italiani sapranno scegliere il Sì al referendum perché serve al Paese”.
Oggi: “Voterò No perché senza un’adeguata legge elettorale non si fa altro che alterare la qualità della democrazia. Non si può inseguire il sentimento del tempo dei grillini”.

martedì 11 agosto 2020

Bonus: Garante Privacy, nessun ostacolo a pubblicità dei beneficiari.

Tridico ©

Istruttoria sulla metodologia seguita dall'ente.

"La privacy non è d'ostacolo alla pubblicità dei dati relativi ai beneficiari del contributo laddove, come in questo caso, da ciò non possa evincersi, in particolare, una condizione di disagio economico-sociale dell'interessato". Lo sottolinea, in relazione alla vicenda del bonus Covid, il Garante per la protezione dei dati personali. Ciò vale a maggior ragione rispetto a coloro che svolgono una "funzione pubblica", aggiunge il Garante, che aprirà un'istruttoria sulla metodologia seguita dall'Inps.
"In relazione alla vicenda del bonus Covid, il Garante per la protezione dei dati personali - si legge in una nota diffusa dall'Autorità - precisa che, sulla base della normativa vigente, la privacy non è d'ostacolo alla pubblicità dei dati relativi ai beneficiari del contributo laddove, come in questo caso, da ciò non possa evincersi, in particolare, una condizione di disagio economico-sociale dell'interessato (art. 26, comma 4, d.lgs. 33 del 2013)". "Ciò vale, a maggior ragione, rispetto a coloro per i quali, a causa della funzione pubblica svolta, le aspettative di riservatezza si affievoliscono - spiega il Garante - anche per effetto dei più incisivi obblighi di pubblicità della condizione patrimoniale cui sono soggetti (cfr., ad es., artt. 9 L. 441/1982 e 5 d.l. 149/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2014)". Il Garante contestualmente comunica che "sarà aperta una istruttoria in ordine alla metodologia seguita dall'Inps rispetto al trattamento dei dati dei beneficiari e alle notizie al riguardo diffuse".
"Come promesso, se qualcuno ha preso un bonus verrà sospeso, anche se quei soldi sono stati dati in beneficienza". Lo dichiara il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. 
Ex sfidante Nardella,preso bonus per darlo beneficenza  - Anche Ubaldo Bocci, coordinatore del centrodestra in Palazzo Vecchio che nel 2019 sfidò Dario Nardella nella corsa a sindaco di Firenze, ha chiesto, e percepito, il bonus per i professionisti in difficoltà a causa dell'emergenza Covid. Bocci, ex dirigente Azimut, come riportano oggi i quotidiani locali, spiega di non aver problemi di finanze ma di averlo fatto "per dimostrare che il governo stava sbagliando non dando soldi ad hoc per disabili e tossicodipendenti" e di aver "dato tutto in beneficenza". "E' vero ho preso quei soldi ma non li ho tenuti per me - aggiunge Bocci -. Il commercialista mi disse che avrei potuto averli anche io visto che si trattava di denari a pioggia, dati in maniera sbagliatissima, senza distinguere reddito e posizione di ciascuno. E allora pensai che potevo richiederli per donarli a chi ne aveva davvero bisogno. E così ho fatto". "Ho i bonifici che lo testimoniano - conclude -. Lo dichiarai anche in una riunione dei capigruppo in Palazzo Vecchio".

Il bonus dei furbetti: una mezza notizia confezionata ad arte. - Corrado Ocone - Filosofo, liberale

Il bonus dei furbetti: una mezza notizia confezionata ad

Debbo dire che la storia dei bonus chiesti, e in alcuni casi sembrerebbe ottenuti, da cinque parlamentari non mi appassiona. Né sollecita in me spiriti anti-casta. Che fra nille deputati ce ne siano cinque “furbetti”, per quanto disdicevole sia la faccenda (e sicuramente lo è perché concerne l’etica personale di chi abbiamo delegato a rappresentarci), mi sembra dopo tutto un caso da considerarsi marginale e prevedibile.
Quello che assolutamente non mi sembra accettabile è il modo e i tempi in cui il caso è stato costruito e fatto esplodere e che, a mio avviso, mostra come in Italia, se verranno confermate le responsabilità dell’INPS, non esista più un senso dello Stato e delle istituzioni. E come la lotta politica, piccola e meschina, senza nemmeno più l’attenuante dei grandi ideali, di un tempo,  sia trasbordata oltre ogni limite. Agosto, come è noto, è un mese “vuoto” per i giornali, che, orfani del “teatrino della politica”, sono alla ricerca di una qualche sorta di surrogato. Ma agosto è anche, quest’anno, il mese di una campagna elettorale che approderà ad un election day che vedrà accorpati, il 20 settembre, il voto amministrativo di ben sette regioni e un referendum confermativo della legge “taglia-parlamentari”. Si tratta, come è noto, di una legge-bandiera, cioè tutta forma e poca sostanza, voluta da sempre dai Cinque Stelle. I quali, sicuramente ridimensionati drasticamente secondo le previsioni dal voto nelle regioni, dovranno assolutamente vincere per non implodere la battaglia del referendum (lo stesso accorpamento, a ben vedere, è stato voluto per fare un piacere al Movimento e attutire la forza comunicativa e sostanziale della sonora e prevedibile sconfitta). Il fatto è che, pur essendo il taglio dei parlamentari molto popolare, qualche possibilità di una vittoria del no sarebbe potuta di qui al voto maturare. Il Pd, per esempio, che, dopo varie votazioni contrarie aveva favorito il taglio in cambio di una legge elettorale che non è mai arrivata (e che per questo e altri motivi si trova sempre più nel ruolo di “utile idiota” di un governo che ha il baricentro altrove), manifesta più di un mal di pancia. E qualcuno, come Renato Brunetta, si è pure auspicato un voto contrario dei leghisti, che invece avevano votato a favore ai tempi del primo governo Conte.
Occorreva ai grillini in qualche modo rinfocolare la campagna anti-casta, che, al di là dei posizionamenti dei partiti, catalizza facilmente lo scontento e il rancore della popolazione. Ed ecco servito lo “scandalo”, così ben confezionato che esso è destinato ad accompagnarci per più giorni. Una vera e propria “campagna elettorale da ombrellone”. A parte le responsibilità vere e deplorevoli del legislatore, che non ha previsto un tetto reddituale per usufruire del bonus, fa specie che la notizia della “truffa” sia stata diffusa indicando il partito dei “colpevoli” e non il nome, coperto  dal dirito alla privacy. La notizia, presentata quindi come  una mezza notizia, è  fatta per scatenare la curiosità e le inchieste dei media, che si son già messi alla ricerca dei furfantelli, facendo trapelare soffiate, documenti, testimonianze più o meno attendibili.
L’indicazione della provenienza leghista di ben tre degli accusati (probabilmente la privacy non vige per i partiti!) porterà l’attenzione soprattutto sul partito di Matteo Salvini, cioè del più implacabile oppositore del governo, che si troverà a giocare un’ulteriore partita sulla difensiva. I commenti ipocriti e moralistici abbonderanno e, più che sulla sostanza dei fatti e sulla riprovazione morale per quattro furbetti, ci si concenterà sui misfatti della casta e si picconeranno ancora di più quelle istituzioni che invece andrebbero preservate e nettamente distinte da chi, più o meno degnamente, viene nel tempo ad occuparle. Poco degno sicuramente è anche chi le usa in modo spregiudicato per i più biechi interessi politici. 
Al filoso, liberale, la notizia non suscita scalpore, non lo appassiona... Crede, piuttosto, che sia uno scoop creato ad arte in prossimità del referendum sul taglio dei parlamentari. Ma Ocone crede davvero che l'italiano medio, anche il più liberale possibile, voglia ancora mantenere una pletora di "personaggi prestati alla politica" che bypassano e calpestano i dettami della Costituzione, arrogandosi il diritto di usufruire solo dei diritti, anche quelli destinati a soggetti più bisognosi? Ed emarginando noi, loro datori di lavoro, a semplici pedine manovrabili a loro piacimento? A noi demandano i doveri, a noi demandano il rispetto delle leggi, leggi che poi fanno, ma non rispettano... Aumentando a dismisura il divario che esiste tra noi e loro, a dispetto di quanto sancisce la Costituzione!!!! Il filosofo pensa davvero che l'italiano medio abbia ancora voglia di essere preso per i fondelli? Pensa davvero che non abbia una voglia matta di andare ad esprimere il suo si al taglio dei parlamentari? Pensa davvero che dal suo pulpito possa farci cambiare idea? E' più probabile, per noi comuni mortali, pensare che il suo pensiero sia uno scoop tendente a farci cambiare idea. In quanto a Tridico, io credo che avrebbe DOVUTO comunicare anche i nomi dei furbacchioni in questione, perché è un nostro diritto sapere ciò che fanno i nostri dipendenti. E che ne pensa, filosofo, delle scuse addotte da alcuni di essi? "E' stato il mio commercialista" "Ho fatto beneficenza". E' in queste frasi che avrebbe dovuto concentrare la sua filosofia e smontarle. - Il primo omette di dire che senza il suo benestare e la sua firma il commercialista non avrebbe potuto chiedere nulla. - Il secondo ha fatto una beneficenza riciclata, arraffando una beneficenza a nostre spese, ribeneficandola pro domo sua senza uscire un centesimo....

Coronavirus: Putin, Mosca ha registrato primo vaccino.



Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che Mosca ha registrato il primo vaccino contro il Covid-19, sviluppato dall'istituto Gamaleya.

"Stamattina per la prima volta al mondo un vaccino contro la nuova infezione da coronavirus è stato registrato", ha affermato Putin. La fase 3 dei test clinici è iniziata la settimana scorsa.

Putin ha dichiarato che anche a una delle sue figlie è stato somministrato il vaccino sperimentale russo contro il Covid-19 e sta bene. Lo riporta la Tass. Secondo il presidente russo, sua figlia, dopo la prima dose ha avuto la febbre a 38, che il giorno dopo è scesa poco sopra i 37 gradi. "Poi, dopo la seconda dose, ha avuto di nuovo una leggera febbre, e dopo tutto tutto era a posto, si sente bene e ha un alto numero di anticorpi".

Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la vaccinazione deve essere effettuata "a condizioni assolutamente volontarie" in modo che tutti coloro che lo desiderano possano "sfruttare le conquiste degli scienziati russi". Lo riporta la Tass. Putin si aspetta poi che la Russia inizi la produzione di massa del vaccino contro il coronavirus "nel prossimo futuro". "So che altre istituti stanno lavorando su vaccini simili in Russia. Auguro successo a tutti gli specialisti. Dovremmo essere grati a coloro che hanno fatto questo primo passo estremamente importante per il nostro Paese e per il mondo intero", ha concluso Putin.


https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/08/11/coronavirus-putin-mosca-ha-registrato-primo-vaccino_549ed094-15da-4f75-bbe8-a00649e526d1.html

Da notare che la Russia ha mandato il primo uomo nello spazio, ora ha pronto il primo vaccino; 
- gli Usa hanno il primato della prima atomica sganciata sui civili di Hiroshima...

Chi imbroglia e arraffa non è mai un “furbetto”. - Antonio Padellaro

Difendersi dai Ladri in Casa - Mr.Loto
A proposito dei cinque “bonus malus” di Montecitorio cerco sul dizionario i sinonimi dell’aggettivo “furbetto” e trovo: birichino, impertinente, malizioso, insolente, disobbediente, dispettoso, cattivello, e così via. Prima di entrare nel merito c’è da domandarsi, infatti, perché mai nella titolazione giornalistica si insista nell’accomunare i protagonisti di qualsiasi porcata e/o mascalzonata a simpatici bricconcelli da sanzionare tuttalpiù con uno scappellotto o una pedata nel sedere. Quando invece negli articoli successivi saranno dipinti come porci e mascalzoni. L’assuefazione pigra dei titoli (questo giornale usa la parola “furbastri”, più confacente in quanto sinonimo di briccone e imbroglione) precede le reazioni della politica, tutte così prevedibili e scontate da risultare perfino spassose.
Prevale, naturalmente, l’effetto codone di paglia. Pianto e stridor di denti nei partiti (Lega, M5S, Italia Viva) indiziati di essersi accompagnati a quei rifiuti umani. Rispetto ai quali un Matteo Salvini “incazzato e deluso”, prima si para le terga (“ma la responsabilità è dei singoli non della Lega”). Per poi retrocedere l’eventuale sanzione da comminare ai reietti verdi, dalla espulsione alla semplice “sospensione” (metti che nel mazzo ci sia qualche amichetto suo). Nel complesso un indignatissimo coro di sdegno che sulle spiagge e i resort dove il Palazzo riposa prorompe nel grido: “Fuori i nomi” (principalmente onde allontanare da sé l’orrido sospetto). Effetto chissà cosa c’è dietro. “Regolamento di conti”, sentenzia il Giornale, poiché “il fatto che Di Maio sia stato il più lesto a saltare nello scandalo è un indizio in tal senso” (eh Sallusti ne sa una più del diavolo). Sulla possibile manina del ministro grillino si esercita anche Repubblica secondo cui “certo” il M5S userà lo scandalo “spudoratamente per la campagna per il taglio dei parlamentari” (molto peggio lui dei mariuoli). Effetto modeste proposte. Per esempio, pubblicare i nomi di tutti i percettori del bonus partita Iva (sono appena alcuni milioni). Strepitosa l’ipotesi di autodenuncia virtuosa di tutti i parlamentari non “furbetti”, cosicché quelli che non si dichiarano avranno fatto l’uovo. Effetto odio vigilante. Chi diavolo è il “presentatore tv di successo” accomunato ai cinque farabutti? Alta e forte si leva la voce di questa implacabile rubrica: fuori il nome!

Bonus malus. - Marco Travaglio

La società del futuro tra valanghe di soldi e politiche rigoriste ...
Ormai qualunque cosa accada, anche la più misteriosa o imprevedibile, una certezza matematica ci conforta: la cazzata più enorme la dirà Salvini, peraltro opposta a quelle sparate fino a un attimo prima. É capitato sul lockdown, da lui chiesto a gran voce il 10 marzo (“Tutta Italia zona rossa, tutta Europa zona rossa, chiudere tutto!”), cinque mesi prima di invocare l’arresto di Conte per aver “sequestrato tutta Italia contro il parere del Comitato tecnico scientifico” (che ovviamente era d’accodo). É ricapitato per lo scandalo dei cinque deputati (più 2mila politici locali e un esercito di professionisti) che han chiesto e ottenuto il bonus da 600-1000 euro per partite Iva in difficoltà pur guadagnando 13-14 mila euro netti al mese. Noi pensiamo che le regole della privacy non valgano per gli eletti: i cittadini elettori hanno il diritto di conoscerne i nomi e le spiegazioni, per decidere se rivotarli o mandarli a casa. Perciò oggi il Fatto invierà una richiesta di accesso agli atti all’Inps sostenuta da una petizione fra i lettori sul sito, pronto anche a ricorrere al Tar. Ma nell’attesa, torniamo al Cazzaro Verde, che neppure stavolta ha deluso le attese. Prima, a botta calda, ha strillato: “Vergogna, dimissioni subito!”. Poi ha saputo che tre su cinque sono suoi e allora ha virato sulla “sospensione subito”. E ha incolpato “il governo che ha fatto il decreto che lo permette e l’Inps che ha dato quei soldi” (e ha scoperto i profittatori).
Ora, quel bonus era una misura di pronto soccorso per tutte le partite Iva impoverite dal lockdown e, per raggiungerne il maggior numero nel minor tempo possibile, doveva essere per tutti: altrimenti, a furia di carte bollate e controlli, avrebbe mancato lo scopo. Com’è accaduto per la Cig straordinaria, che ha le sue regole pluridecennali e infatti non è ancora arrivata a tutti; e per la nuova norma sui prestiti bancari garantiti dallo Stato che, provenendo da istituti privati, richiedono un’istruttoria minima su solvibilità, bilanci, garanzie, con tempi spesso lunghi. La logica del bonus Iva è l’“elicopter money” di Milton Friedman che, per raggiungere tanta gente, non va troppo per il sottile. Ci si affida al buon senso, al buon cuore e al buon gusto dei cittadini. Poi, a posteriori, si controlla. E, se qualcuno fa il furbo, è colpa sua, non del governo o dell’Inps: a meno che il quoziente intellettivo dei parlamentari che ha in mente Salvini (i suoi) sia così basso da non capire che un deputato con partita Iva che prende 13-14 mila euro al mese il bonus non deve proprio chiederlo, anche se il decreto non glielo vieta. Il bello è che, quando il bonus fu varato, Salvini e tutta la destra al seguito accusavano il governo di bonus troppo bassi e controlli troppo severi.
Come ricorda Emiliano Rubbi su Fb, il 30 marzo Salvini girava per tv e dirette social a strillare: “La Svizzera, compilando un foglio, ti mette a disposizione fino a 500mila euro. Servono aiuti subito! Io mi fido degli italiani!”. Naturalmente la Svizzera non s’è mai sognata di regalare mezzo milione a chicchessia in cambio di un foglio compilato, ma questo era il mantra del Cazzaro e dei suoi trombettieri. Gli stessi che ora incolpano il governo di non aver escluso i politici, come se fossero tutti uguali (ci sono sindaci e consiglieri comunali sottopagati che lavorano per mantenersi, diversamente dai governatori, consiglieri e assessori regionali che viaggiano dai 5-6 ai 13 mila euro netti al mese). “Ovviamente –scrive Rubbi– se per il bonus il governo avesse previsto parametri più stringenti, i tempi si sarebbero allungati per i controlli. E Salvini avrebbe urlato che il governo non si fidava degli italiani, diversamente da lui, e che di quei soldi c’era bisogno subito, non dopo mesi. Io mi chiedo come facciano gli elettori leghisti a sopportare di essere presi per il culo ogni giorno, costantemente, dal loro leader. Forse non capiscono, o forse gli sta proprio bene così, boh”.
Forse il suo calo di consensi, tanto clamoroso quanto tardivo, dipende anche da questo. Se vuole rialzarsi, o almeno provarci, il Cazzaro dovrebbe fare come i 5Stelle: chiedere a tutti i suoi eletti una rinuncia alla privacy da consegnare all’Inps per sapere chi ha ottenuto il bonus; e magari anche le dimissioni in bianco, per mandare a casa gli accattoni. Se non lo farà, provvederemo noi a ottenere le informazioni a cui tutti i cittadini hanno diritto. Anzi, non tutti: solo quelli che non hanno fatto i furbi. Perchè, oltre ai politici nazionali e locali, nelle stesse condizioni ci sono migliaia fra imprenditori, notai, avvocati, professionisti con conti in banca milionari che hanno pensato bene di arraffare pure i 600 e poi i 1000 euro con la scusa del Covid. Anch’essi non hanno violato alcuna norma, a parte quelle dell’etica e della decenza. É grazie a gente come loro (e sono milioni) che in Italia ogni misura di Welfare diventa una potenziale truffa, ogni bonus un malus: evasori fiscali e contributivi, prenditori che mandano i dipendenti in cassa e li fanno lavorare lo stesso, schiavisti del lavoro nero, falsi invalidi, finti disoccupati. Anziché farsi lapidare con ridicole scuse scajoliane (“è stato un disguido”, “è una vendetta di mia moglie da cui mi sto separando”, “è stato il il commercialista che ha chiesto il bonus a mia insaputa”), i cinque onorevoli furbastri potrebbero dire così: “Siamo rappresentanti del popolo e il nostro popolo ruba come noi”. Verrebbero lapidati lo stesso, ma per aver detto la verità.