mercoledì 14 ottobre 2020

Vaticano, arrestata a Milano Cecilia Marogna: ordine di cattura internazionale per la “dama del cardinale” Becciu.

 

La 39enne, originaria di Cagliari titolare di una società di missioni umanitarie con sede in Slovenia, è diventata nota per aver ricevuto 500mila euro dalla Segreteria di Stato, per volontà dell’allora sostituto Angelo Becciu, al quale il Papa ha recentemente tolto i diritti connessi al cardinalato. Bloccata dagli uomini della Guardia di Finanza.

A una settimana dalla sua comparsa nelle cronache sempre più ingarbugliate del caso Angelo Becciu è stata arrestata a Milano, con un ordine di cattura internazionale, Cecilia Marogna, denominata la dama del cardinale. La 39enne, originaria di Cagliari titolare di una società di missioni umanitarie con sede in Slovenia, è diventata nota per aver ricevuto 500mila euro dalla Segreteria di Stato, per volontà dell’allora sostituto Angelo Becciu, al quale il Papa ha recentemente tolto i diritti connessi al cardinalato. Ufficialmente il denaro elargito da Becciu a Marogna aveva lo scopo di sostenere missioni umanitarie in Africa e in Asia. Ma i soldi sono stati usati per rinnovare il guardaroba e l’arredamento di casa: borse, scarpe, accessori lussuosi, tra i quali una costosissima poltrona in pelle. L’accusa nei confronti di Marogna è peculato per distrazione di beni. La donna sarà estradata e messa a disposizione dell’autorità giudiziaria vaticana.

Ma c’è di più. La “dama del cardinale”, come è stata subito ribattezzata nei sacri palazzi, poteva contare su una presentazione su carta intestata della Segreteria di Stato: “Il sottoscritto, Sua Eccellenza monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, dichiara di conoscere la signora Cecilia Marogna e di riporre in lei fiducia e stima per la serietà della sua vita e della sua professione. La signora Marogna presta servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne per la Segreteria di Stato-sezione affari generali”. Il cardinale, però, sostiene di essere stato all’oscuro dei rapporti di Marogna. La donna, infatti, ha ammesso legami con faccendieri in odore di servizi segreti, coinvolti nei misteri dell’ultimo mezzo secolo. Come Flavio Carboni , che Marogna ha sostenuto di aver “voluto conoscere per avere informazioni sulla storia dell’Anonima sequestri”. Di Francesco Pazienza, il collaboratore del Sismi negli ’70 e 80, invece, ha detto: “Sono la figlia che non ha mai avuto”. Nel 2010 Marogna era stata denunciata per appropriazione indebita, mentre nel 2002 per furto: precedenti di cui Becciu era all’oscuro.

In una intervista a "Libero" Carboni ha sostenuto di non conoscere Becciu: “Il Papa si sta occupando, con notevole rigore, di alcuni movimenti finanziari e non solo, ovviamente nell’ambito del suo Stato. Di questo nuovo rigore, credo che il cardinale Becciu stia pagando il prezzo più alto. Eppure, fino a qualche tempo fa, di lui sentivo parlare un gran bene. Il cardinale Becciu, nella gerarchia vaticana, era praticamente il numero 3, un papabile. Ora alla gogna, un crucifige mediatico senza pietà, ancor prima di un qualunque esito giudiziario. Io ne so qualcosa e mi fa rabbia assistere a tale bestiale accanimento, che va via aumentando senza che nessuno intervenga per cercare, quantomeno, di contenere l’orda scatenata che vuole sbranare una preda quando ormai gli è impossibile ogni difesa”, sottolinea Carboni. Poi, parlando di Cecilia Marogna, ha affermato: “Cosa posso dire di una persona che ho visto due volte alcuni anni fa? Ricordo di averla incontrata nel mio ufficio romano, su segnalazione del mio amico Gianmario Ferramonti, affinché l’aiutassi a procurarle un lavoro. Ma, in quel periodo, non potevo assumere nessuno e oberatissimo di lavoro come ero, neanche ebbi modo di occuparmene presso altri. Forse a Roma oppure in Sardegna, ma non ne sono certo, la incontrai una seconda volta e sempre per lo stesso motivo. L’impressione che ne ebbi, nonostante la brevità degli incontri, fu abbastanza positiva. In questa giovane signora, notai una certa disinvoltura nel parlare, sicura di sé, di buone maniere e di un certo buon gusto nel vestire”.

Becciu, dopo aver fatto sapere di sentirsi “truffato” e pronto a sporgere denuncia nei confronti della signora, ha anche precisato, attraverso il suo legale, l’avvocato Fabio Viglione, che “i contatti con Cecilia Marogna attengono esclusivamente questioni istituzionali”. Quanto a lei, ha rivendicato “il risultato di aver costruito una rete di relazioni in Africa e Medio Oriente per proteggere Nunziature e Missioni da rischi ambientali e da cellule terroristiche”, spiegando che “i fondi in Slovenia erano di garanzia per le operazioni in Africa”. E sulle spese in beni di lusso ha chiarito alle Iene: “Era una po’ una restituzione degli anticipi che io avevo utilizzato come mie risorse…”. D’altra parte, “svolgo una professione sensibile, particolare, non è che noi paghiamo via bonifico o ritenuta d’acconto…”, e, nei “due anni prima” dei bonifici, “ho anticipato risorse per 220mila pound…

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/13/vaticano-cecilia-marogna-arrestata-a-milano-dalla-finanza-con-ordine-di-cattura-internazionale/5965206/

Gli striscioni, le spedizioni punitive e la pax per non lasciare “la curva vacante”: così la mafia si muoveva tra i tifosi del Palermo calcio. - Dario De Luca

 

Nelle carte dell’ultima operazione antimafia che ha messo sotto torchio la storica famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, i magistrati della procura di Palermo ricostruiscono il costante legame tra Cosa nostra e pezzi della tifoseria. Compresi gli scontri tra gruppi di ultras: "Ti devi fare 20 anni di carcere ma loro non devono montare più, ci dobbiamo ammazzare con tutti".

Un concetto Massimiliano Jari Ingarao lo aveva chiaro in testa: i disordini allo stadio non dovevano esistere, “perché si arriva al punto che la curva resta vacante”. Lo diceva anche al telefono durante un confronto con il capo ultras del Palermo Rosario Lupo, deciso nell’impedire l’esposizione di uno striscione appartenente a un altro gruppo del tifo organizzato rosanero. Non ci sono soltanto le estorsioni e la gestione dei cantanti neomelodici durante la festa di Sant’Anna nelle carte dell’ultima operazione antimafia che ha messo sotto torchio la storica famiglia mafiosa di Borgo Vecchio. I magistrati della procura di Palermo sono certi del costante legame tra Cosa nostra e pezzi della tifoseria. Un binomio emerso già nel 2005, quando da spartirsi c’erano i biglietti omaggio messi a disposizione dalla società. Quindici anni dopo non ci sono contestazioni nei confronti dei vertici del club, impegnati in una difficile risalita nel calcio che conta dopo la promozione nel campionato di serie C. Sotto la lente d’ingrandimento è finita invece la costante influenza di Cosa nostra “su tutto ciò che gravita attorno al mondo del calcio palermitano”, scrivono nel provvedimento di fermo i procuratori Amelia Luise e Luisa Bettiol.

La gestione dei tifosi all’interno dello stadio Renzo Barbera – Per capire le dinamiche del tifo organizzato rosanero bisogna tornare indietro al 2013. Anno in cui gli ultras decidono di dividersi in due fazioni: una parte rimane nella parte superiore della curva nord, mentre il resto passa in quella inferiore. In questo contesto avrebbe cominciato a farsi strada Massimiliano Ingarao, finito in manette nell’ultimo blitz e figlio dell’ex reggente del mandamento di Porta Nuova Nicolò, ucciso in un agguato mafioso. Ingarao, classe 1994, ha vissuto pure una parentesi nelle giovanili del club, a quanto pare dopo una riunione tenuta dal padre insieme all’ex direttore sportivo Rino Foschi. Per i magistrati il 26enne sarebbe “l’anello di congiunzione tra il mondo che ruota attorno al Palermo Calcio e i referenti mafiosi palermitani”. A lui, come emerge dai documenti, in più occasioni si rivolge Giovanni Johnny Giordano. Volto storico della tifoseria, non indagato ma con precedenti per favoreggiamento della prostituzione e lesioni personali, e con un passato da custode del club durante l’era del presidente Maurizio Zamparini. Alla vigilia della partita con il Marina Di Ragusa di novembre 2019 al gruppo di Giordano, gli Ultras Palermo 1900, sarebbe stato vietato di esporre il proprio striscione dai rivali della Curva Nord 12. Per risolvere la questione Giordano si reca a casa di Ingarao, all’epoca ai domiciliari, con l’obiettivo di incontrare lo zio Angelo Monti, ritenuto il reggente mafioso di Borgo Vecchio. Il faccia a faccia non avviene ma il problema viene comunque risolto dal nipote con una telefonata.

Gli scontri a Nola e Palmi: “Ci dobbiamo ammazzare con tutti”- Tra gli episodi ricostruiti dagli inquirenti ci sono anche alcune trasferte dello scorso campionato di serie D. La prima di queste a Nola, in provincia di Napoli, quando un autobus con alcuni tifosi del Palermo viene fermato per essere depredato di maglie e sciarpe dai tifosi campani. Un affronto che mette sul banco degli imputati ancora una volta Giordano e il suo gruppo colpevole di non avere reagito. La punizione sarebbe stata il divieto all’ingresso durante le successive partite casalinghe del Palermo. A entrare in scena sono nuovamente gli uomini di Cosa nostra e la loro linea della non belligeranza per evitare di “svuotare la curva”. Più complesso invece il post partita del match contro la Palmese, in Calabria. Caratterizzato per gli scontri, a fine primo tempo, tra i tifosi dello stesso Palermo. Sul tavolo c’è la corsa alla leadership e la forte rivalità tra gruppi. I fatti lasciano pesanti conseguenze anche al termine della trasferta, con gli inquirenti che monitorano l’organizzazione di due spedizioni punitive, probabilmente con armi al seguito, nei pressi del teatro Politeama e di piazzale Giotto. Qualcosa però non funziona e uno dei due gruppi non si presenta per lo scontro. “Se comandi Palermo dovete prendere posizione – suggeriva un tifoso al capo del gruppo sconfitto nei tafferugli in Calabria – ti devi fare 20 anni di carcere ma loro non devono montare più, ci dobbiamo ammazzare con tutti”. La guerra però rimane solo nelle parole e con il derby siciliano con il Messina alle porte si decide, secondo i magistrati grazie alla regia di Cosa nostra, di evitare lo scontro.

La festa e i neomelodici – Nonostante gli arresti domiciliari, per alcune rapine in trasferta, Massimiliano Jari Ingarao sarebbe stato particolarmente attivo anche per l’organizzazione dei festeggiamenti di Sant’Anna, la patrona di Borgo Vecchio. Al clan non sarebbe sfuggito nulla. Dalla disposizione delle bancarelle a quella dei tavolini. Pretendendo il pizzo anche da coloro che vendevano il ghiaccio lungo la strada. L’appuntamento clou del 2019 è però quello legato ai cantanti neomelodici, secondo la procura di Palermo ingaggiati con soldi frutto di estorsioni mascherate come sponsorizzazioni da parte dei commercianti del quartiere. Dalla partenopea Giusy Attanasio, passando per Marco Calone e Gianni Celeste, tutti nomi di spessore per il settore che sarebbero stati “indicati” dal boss Angelo Monti in persona. In una serata canora si sarebbe dovuto esibire, come già fatto nel 2018, anche il catanese Niko Pandetta, nipote del capomafia ergastolano Salvatore Turi Cappello e amico personale di Ingarao. Nelle carte dell’inchiesta gli inquirenti annotano decine di intercettazioni in cui boss e gregari discutono di compensi e organizzazione. “Gli ho detto a mio zio facciamo cambio e prendiamo Pandetta […] vuole due e cinque ma ci leva qualche cosa”, diceva Ingarao cercando di sostituire un cantante con cui il comitato dei festeggiamenti aveva già preso l’impegno. Per Pandetta però erano settimane tribolate. Colpa delle frasi pronunciate in un servizio andato in onda all’interno del programma televisivo Realiti, su Rai 2. Parole, insieme a una diretta Facebook pubblicata successivamente, che gli costarono una serie di divieti per esibirsi in pubblico e che in quel periodo fecero saltare anche l’esibizione a Borgo Vecchio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/14/gli-striscioni-le-spedizioni-punitive-e-la-pax-per-non-lasciare-la-curva-vacante-cosi-la-mafia-si-muoveva-tra-i-tifosi-del-palermo-calcio/5965260/

martedì 13 ottobre 2020

Conte: 'Non manderemo la polizia a casa, ma serve responsabilità'.

 

Il premier riepiloga le misure di contenimento nel nuovo Dpcm. 'Stop alle feste se non legate ai matrimonio'.

La curva sta risalendo lo vediamo negli ultimi giorni in tutta l'Ue sta risalendo. Non ci possiamo permettere distrazioni e abbassare il livello di attenzione e concentrazione".Lo afferma il premier Giuseppe Conte nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi. 

Le nuove regole" anti contagio "comporteranno sacrifici ulteriori ma siamo convinti che rispettando queste misure potremo adeguatamente affrontare questa nuova fase. Il nostro obiettivo è molto chiaro: evitare di far ripiombare il Paese in un lockdown generalizzato. L'economia sta ricominciando a correre, per tutelare l'economia e insieme la salute dobbiamo rispettare queste regole" sottolinea il premier

"Dobbiamo migliorare i comportamenti anche in abitazioni private, l'evoluzione della curva si è innalzata soprattutto per dinamiche in ambito famigliare e amicale. Dobbiamo indossare mascherine se ci si avvicina a persone fragili, se si ricevono ospiti e vi invitiamo a limitare il numero di ospiti non più di sei e di non svolgere feste e party in casa, sono situazioni di insidie pericolose". Così Giuseppe Conte.

"I locali chiuderanno alle 24: dalle 21 si potrà solo consumare ai tavoli e non si potrà più consumare fuori per evitare assembramenti. Discoteche e sale da ballo il governo non le ha mai aperte: resteranno chiuse. Nei locali pubblici non saranno più consentite feste a meno che non siano connesse a cerimonie come matrimoni o battesimi e anche in questi casi con il limite di trenta partecipanti". Lo dice il premier Giuseppe Conte in un punto stampa a Palazzo Chigi.

"Non saranno consentite partite calcetto e di basket che tanto ci piacciono, non sarà consentito lo sport da contatto amatoriale mentre proseguirà per le società professionistiche e dilettantistiche che rispettano le linee guida" precisa.

Il presidente del consiglio conferma poi la disponibilità verso le opposizioni, poi, che Non è vero che non abbiamo accolto le obiezioni" e verso "l'opposizione c'è la massima disponibilità a condividere". Così il premier Giuseppe Conte che ha aggiunto: "a breve tornerò in Parlamento per dettagliare le prospettive sulla pandemia" e sul Recovery plan. "La nostra linea di azione è sempre la stessa: seguire e monitorare costantemente la curva, monitorare e studiare i dati e poi adottare le misure nel segno dell'adeguatezza e proporzionalità. Misure molto più restrittive sarebbero sproporzionate e rischierebbero di non essere rispettate. Ci impegniamo a non adottare misure più severe di quelle necessarie e tenere sotto controllo la curva. Sono misure mirate analizzando tutti i dati". 

Infine la scuola. "Le cose vanno abbastanza bene, lo diciamo incrociando le dita mentre l'evoluzione peggiore è nell'ambito delle relazioni amicali e familiari. Vogliamo scongiurare un lookdown generalizzato, dobbiamo rispettare le regole e muoverci in modo fiducioso". 'Non ci sono i presupposti per le lezioni a distanza'

"Cosa significa torsione della democrazia? Noi abbiamo fatto tutto quello che è necessario fare compatibilmente con la Costituzione per far fronte a una pandemia, noi abbiamo il dovere prioritario di tutelare la vita e la salute dei cittadini oltre a evitare che l'economia vada a rotoli. Le nostre misure sono nel segno dell'adeguatezza e della proporzionalità"dice il premier.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/10/13/conte-curva-sta-risalendo-consaiglio-europeo-recovery_49c33d56-2cd2-41e6-b31e-86a3a0b1c173.html

La Raggi e l’alleanza col Pd. - Tommaso Merlo

 

Dopo Mafia Capitale il Pd avrebbe dovuto azzerare il partito laziale e non solo, cospargersi il capo di cenere davanti al Campidoglio e chiedere scusa all’Italia intera per la vergogna con cui ha ricoperto non solo la capitale ma l’intero paese. Ed invece il Pd ha fatto spallucce in attesa che passasse la tempesta e nel frattempo si è messo a far sgambetti alla Raggi nella speranza di riprendersi le poltrone perdute. Zingaretti è stato tra i primi a tuonare contro la ricandidatura di Virginia Raggi e allo stesso tempo a lagnarsi che il Movimento non si alleava alle regionali con statisti alla De Luca. Da allora il Pd sta cercando un malcapitato che rischi l’osso del collo sfidando la sindaca di Roma. Nonostante tutto il fango con cui l’hanno ricoperta, la Raggi è infatti politicamente molto più solida di quello che han sempre blaterato e fa paura a molti. Virginia Raggi è un simbolo del Movimento perché ne incarna la storia e la cultura più genuina. Anni di persecuzione, l’impegno e il coraggio quotidiano senza mai scimmiottare atteggiamenti e vizietti dei vecchi politicanti. La Raggi ha poi tracciato una linea politica nuova. Dopo i sindaci fanfaroni del passato che han sommerso la capitale di chiacchiere e di debiti facendogli perdere decenni. La Raggi ha intrapreso la strada più complessa della legalità, della sobrietà e della concretezza con gli scarsi mezzi a disposizione. Da un comune infiltrato dai mafiosi ad una sindaca antimafia. Se non si fossero fottuti tutti i soldi la Raggi avrebbe potuto fare di più, ma a livello politico ha comunque drasticamente voltato pagina dopo anni di malapolitica e può vantare una serie di risultati che spetterà ai romani valutare a fine mandato. Ma Virginia Raggi ha tracciato una nuova linea politica anche nel rapporto tra Movimento e Pd. Ha detto cioè “no” ad un partito che prima ha ridotto Roma in macerie e poi si è messo a far la guerra a chi come la Raggi sta cercando di ricostruirla. La linea è chiara. Ci si allea col Pd solo se quel vecchio partito di marpioni poltronistici si dimostra degno, altrimenti ciao. Una linea sacrosanta. È il Pd col suo curriculum da film horror che si deve dimostrare all’altezza di cooperare col Movimento. Non viceversa. È il Pd col suo curriculum da film horror che deve dimostrarsi all’altezza del nuovo corso politico aperto dal Movimento. Non viceversa. A Roma come in tutta Italia. Altrimenti torniamo indietro invece di andare avanti. Il Pd è il passato e il Movimento nasce anche dalle sue ceneri. Se si vuole alleare è il Pd che deve aggiornarsi ai tempi. È il Pd che deve darsi una ripulita, una svecchiata e già che c’è tirar fuori uno straccio d’idea se ne è capace. È questo il nodo politico fondamentale. Non se fare l’alleanza o meno, ma a quali condizioni farla. Il quadro politico nazionale non offre molte alternative al Movimento. Le porte a destra sono chiuse e i numeri scarsi. Se vuole governare e incidere sulla realtà il Movimento deve allearsi con la fu sinistra. Ma “alleanza organica” sono quelle parolacce politichesi che fan venire l’orticaria e scatenano rissosi malintesi. Proseguire a braccetto del Pd ad ogni costo giusto per raccattar poltrone significherebbe non solo la fine del Movimento ma anche la fine della fase politica che ha aperto nel paese. Un danno enorme. Diversa è la linea tracciata dalla Raggi. Se il Pd si dimostra all’altezza bene, altrimenti ognuno per la sua strada. Punto. E non contano solo i programmi e le cose da fare con cui un accordo alla fine si trova sempre. Conta anche quello che c’è dietro ai finti sorrisi e alle cravatte di sartoria. E cioè la volontà del Pd di mettersi alle spalle una volta per tutte facce e logiche e pagine buie del suo passato che han devastato Roma come l’Italia intera. Solo così il Movimento manterrà la sua integrità e quindi la sua forza politica e quindi il suo ruolo storico di motore del cambiamento della vecchia politica come del paese.

https://repubblicaeuropea.com/2020/10/12/la-raggi-e-lalleanza-col-pd/

Vite rubate, negate. - Cetta

 

Ebbene, si, negate e rubate.
Rubate da chi non ha rispetto della vita altrui anteponendo il proprio egoismo al diritto degli altri ritenendo che gli altri non avessero uguali desideri o aspettative di vita.
C'è ci crede di essere in eterno stato di diritto ignorando di avere anche doveri da assolvere e va avanti per la sua strada, inconsapevole o cosciente di ciò che va perdendo per ogni attimo di vita rubato agli altri;
ogni attimo di vita rubato agli altri è un attimo di umanità calpestata ed abbandonata per strada, un attimo di vita che apre la strada ad uno stato di assoluto nichilismo, perchè chi ruba la vita degli altri perde un pezzettino alla volta di se stesso, annichilendo.
E un poco alla volta, l'essere del diritto assoluto, scompare alla vista ed all'affetto di chi ha derubato.
Nessun onore, nè gloria, solo buio e solitudine.
cetta.

Mafia: denunciano racket, 20 fermi a Palermo.

 

Nel quartiere Borgo Vecchio i commercianti rompono il silenzio.

Dopo anni di silenzio i commercianti del quartiere Borgo Vecchio di Palermo si sono ribellati al racket e hanno denunciato gli estortori mafiosi: 20 tra boss, gregari ed esattori del clan fermati dai carabinieri. Accuse a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti. Secondo le indagini, per la festa della patrona del Borgo Vecchio, Madre Sant'Anna, Cosa nostra aveva il monopolio dell'organizzazione delle serate musicali.

Oltre 20 le estorsioni accertate nel corso dell'indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore Francesco Lo Voi, 13 delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime. In 5 casi invece i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti. L'indagine che ha portato ai fermi è la prosecuzione di inchieste passate sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/10/13/mafia-20-fermi-a-palermo_9ef06046-9e86-4b66-995b-23f75da1eb5b.html


Finalmente Palermo si risveglia dal letargo e si ribella all'oppressione!



Saras-Isis, indagini fino a Ubi. - Nicola Borzi

 

Contrabbando - Greggio preso dai jihadisti, inchiesta sui crediti ceduti a Ubi factor.

L’inchiesta della Direzione distrettuale antiterrorismo di Cagliari non è la sola a coinvolgere la Saras. Gli inquirenti sardi accusano la società di raffinazione, quotata e controllata al 40% dalla famiglia Moratti, di avere comprato tra il 2015 e il 2016 petrolio iracheno contrabbandato dai curdi e poi dall’Isis a prezzi stracciati e di avere evaso il Fisco per almeno 130 milioni. Ma c’è anche la Procura di Brescia: secondo alcuni atti sui sistemi antiriciclaggio nel gruppo Ubi, sotto la lente dei magistrati lombardi sono finiti possibili profili di rilevanza penale di un’operazione di cessione di credito per svariati milioni, finiti in Ubi Factor tra Natale e Capodanno del 2016, che erano vantati dalla società svizzera Saras Trading nei confronti di Petraco Oil Company. L’operazione è avvenuta dopo consistenti trasferimenti di denaro tra Saras Trading e Petraco. Le società sono al centro dell’inchiesta cagliaritana che il 30 settembre ha portato alle perquisizioni negli uffici Saras in Sardegna e a Milano per ipotesi di reato che vanno dal riciclaggio al falso ai reati tributari.

Secondo alcune ricostruzioni, Saras avrebbe comprato petrolio di contrabbando da un’azienda di trading, la Petraco, che se lo sarebbe procurato tramite una sua controllata delle Isole vergini britanniche, la Edgewaters Falls. Edgewaters avrebbe comprato il petrolio in Iraq, prima dai curdi e poi dall’Isis, falsificando i documenti per farlo risultare proveniente dalla Turchia. Saras Trading, costituita a Ginevra a settembre 2015 e attiva dal 2016, è stata amministrata dai vertici della capogruppo: tra questi Dario Schiaffardi, attuale ad di Saras e in precedenza dg, consigliere e vicepresidente esecutivo, insieme al direttore finanziario Franco Balsamo e al responsabile commerciale Marco Schiavetti. Balsamo e Schiavetti sono indagati a Cagliari. Saras risponde che “l’operazione è un’ordinaria cessione pro soluto tra Saras Trading e Ubi Factor di crediti, derivanti dalla vendita di prodotti petroliferi, vantati da Saras Trading nei confronti di Petraco Oil, società di primario standing operativa a livello mondiale. Responsabilità e trasparenza sono tra gli attributi fondamentali del gruppo e delle nostre persone che hanno sempre operato in conformità alle norme, senza conflitti di sorta con alcuno”. Letizia Brichetto Arnaboldi, vedova di Gian Marco Moratti che fu presidente di Saras, nel 2016 era presidente del consiglio di gestione e dal 2019 fino a pochi mesi fa è stata presidente di Ubi Banca. Contattata, Ubi non ha risposto.

Ma Saras ha anche altri problemi. In Borsa il titolo era risalito dai minimi storici di fine settembre a 43 centesimi sino a 52, con un rialzo del 20% spinto dalle voci di un’Offerta pubblica di acquisto di un potenziale investitore, ma ieri ha chiuso a -5,14%. Sul tonfo pesa il perdurare della crisi scatenata dalla pandemia che ha spinto la raffineria sarda a mettere in cassa integrazione a rotazione i 1.300 dipendenti dal 26 ottobre fino al prossimo 30 giugno.

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