mercoledì 23 dicembre 2020

Passione legittimo impedimento, così slittano i processi. - Gianni Barbacetto

 

Sono tornati i bei tempi del “legittimo impedimento”, quelli in cui i processi a Silvio Berlusconi erano bloccati all’infinito. Ieri, a Milano, era in calendario un’udienza del processo Ruby ter, in cui il leader di Forza Italia è imputato di corruzione in atti giudiziari, con l’accusa di aver pagato una trentina di testimoni affinché non raccontassero che cosa succedeva davvero durante (e dopo) le “cene eleganti” di Arcore, nella bollente estate 2010 del bunga-bunga.

L’udienza non si è tenuta: rinviata al 27 gennaio 2021, su richiesta dell’avvocato Federico Cecconi. Per un cavillo. Innescato già il 30 novembre, quando Cecconi aveva presentato un’istanza per chiudere in anticipo l’udienza: l’accusa aveva sostenuto che le due ville di Bernareggio progettate da Mario Botta, date in uso gratuito da Berlusconi a due testimoni – Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli – hanno un valore non di 900 mila euro ciascuna, ma di 1,1 milioni di euro. Allora bisogna cambiare il capo d’imputazione, ha chiesto il legale. Il Tribunale ha accolto la richiesta e sospeso l’udienza. Riconvocata ieri. Ma andata a vuoto: perché il cambio del capo d’imputazione deve essere notificato agli imputati, che devono avere 20 giorni per prenderne atto. Ieri di giorni ne erano passati solo 19. Ecco scattare la richiesta di rinvio da parte della difesa, che la settima sezione penale del Tribunale di Milano ha dovuto concedere.

Questa volta è scattato il cavillo. Ma da mesi i processi a Berlusconi vanno a rilento. C’è stato il blocco dei tribunali per la pandemia, le udienze saltate perché Berlusconi era risultato positivo al Covid-19, lo stop per i problemi di cuore dell’ex presidente del Consiglio. Prima ancora, i “legittimi impedimenti” erano stati politici. Tutto questo in una fase in cui il fondatore di Forza Italia si è riaccreditato presso i partiti come leader dell’opposizione “responsabile” e dialogante, o addirittura come interlocutore della maggioranza di governo.

I processi Ruby ter in corso sono tre: oltre a quello di Milano, con 28 testimoni coimputati, ci sono quello di Roma, dove coimputato è Mariano Apicella, il cantante che allietava le cene eleganti, accusato di aver ricevuto 157 mila euro dall’ex presidente del Consiglio; e quello di Siena, dove è processato in compagnia di Danilo Mariani, il silenzioso pianista delle serate del bunga-bunga, che ha ricevuto generosi bonifici per circa 170 mila euro.

A Roma, il processo è ancora nella fase iniziale. L’avvocato Franco Coppi aveva chiesto lo stop nel 2019 per la campagna elettorale per le Europee, poi per il Covid, infine per i “seri problemi cardiologici” dell’imputato. Il dibattimento partirà sul serio solo a maggio 2021. A Siena, dove il processo era invece quasi a sentenza, tutto è stato bloccato fino all’anno nuovo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/22/passione-legittimo-impedimento-cosi-slittano-i-processi/6044747/

Magrini (dg Aifa): “Mai proposti gratis”. Le email lo smentiscono. - Thomas Mackinson

 

“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Giorgio Palù ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione”. Lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10 mila dosi del farmaco sviluppato da Eli Lilly, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero. Nicola Magrini, dg dell’Aifa, si intesta la smentita di una trattativa che il Fatto ha ricostruito e di cui proprio nulla, prima, si sapeva. Magrini parla di “una generica disponibilità a collaborare”. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto proposte di sperimentazione ma di acquisto. E che in ogni caso, “non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.

La documentazione in nostro possesso racconta altro. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare la proposta di un trial clinico-pragmatico gratuito che avrebbe garantito una delle poche cure disponibili al mondo. Stesso oggetto ha la riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly (il vicepresidente Ajay Nirula), il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e il professor Guido Silvestri, virologo della Emory University di Atlanta che ha dato impulso all’iniziativa. Lo conferma lo stesso Ippolito, in una lettera al Fatto in cui parla di “sperimentazione”, non vendita. Il comunicato gioca con le parole. Aifa non ha ricevuto la proposta, ma perché dopo la riunione l’ha lasciata cadere per dichiarato disinteresse. Sottolinea però d’aver ricevuto quella d’acquisto. Certo, ma è stata chiesta dall’Italia il 16 novembre perché il 9 l’Fda Usa autorizza il farmaco per l’emergenza e Lilly non può più regalarlo. Tanto che l’Italia torna al tavolo con Arcuri per trattare il prezzo. Si sostiene poi che l’intoppo è l’Ema, ma l’Ungheria ha autorizzato e si sta muovendo la Germania. Potevamo essere primi, rischiamo d’esser gli ultimi. Questa è la storia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/magrini-dg-aifa-mai-proposti-gratis-le-email-lo-smentiscono/6045931/

Artiglio Fontana. - Marco Travaglio

 

Miseramente fallito come presidente di Regione, Artiglio Fontana diventa editorialista del Corriere, diretto dal suo omonimo Luciano Fontana, che anziché correre all’anagrafe per cambiare cognome gli pubblica una lettera in cima alla pagina dei commenti. Spazio ben meritato, viste l’autorevolezza del mittente e l’acutezza dell’analisi. L’incipit è folgorante: “Caro direttore, il Covid ha cambiato il mondo”. Perbacco. “Ha stravolto il nostro modo di vivere”, tipo quando rischiò di strozzarsi con una mascherina. “Bisogna immaginare la Lombardia e l’Italia del domani”, dal che si deduce che la Lombardia non è in Italia (infatti lui i soldi li aveva alle Bahamas e i conti in Svizzera). “Sarà dura per tutti quando finiranno le misure che vietano i licenziamenti”: tipo il suo e quello di Gallera, peraltro già consentiti. “Occorre mettere mano alla legislazione dei contratti e degli appalti”, perché ora “servono tre anni solo per aggiudicare un’opera” (ma per suo cognato bastano un paio di giorni). Sennò addio “opere per le Olimpiadi Invernali del 2026”: e questo, visto che mancano 6 anni, più che mettere mano alle leggi, è mettere le mani avanti.

E la sua Regione? Possono definirla “pasticciona” e parlare di “disastro Lombardia” sulla sanità solo “commentatori distratti o faziosi”, incapaci di accorgersi che “il sistema ha retto”. Infatti, anche grazie alle mancate zone rosse e all’ordinanza che mandava gl’infetti nelle Rsa, ha sterminato 25mila persone (un terzo dei morti di tutta Italia, che sarebbe sotto la media europea se i morti lombardi fossero nella media nazionale). Ma l’editorialista Fontana, anziché scusarsi, dimettersi e andare a nascondersi, avverte: “Non siamo disposti a mettere in discussione il principio di libera scelta dell’individuo di farsi curare dove vuole a carico del sistema sanitario”: lo Stato paga e i privati intascano. Segue minaccia terrificante sul Recovery: ”Le Regioni devono giocare un ruolo da protagonista (sic, ndr)”: così pure quello finisce come i vaccini e le Rsa. Bisogna “lasciarle più libere” (di fare altri danni). Così alla fine gli sgovernatori potranno “essere premiati o puniti dai cittadini” (un chiaro tentativo di suicidio). Il crescendo fontaniano tocca l’acme con una perla di cultura: “Siamo chiamati a scorgere l’alba dentro l’imbrunire”. Citazione a cazzo da Prospettiva Nevskij di Battiato, che non meritava lo sfregio. Noi avremmo optato per “Quante squallide figure che attraversano il Paese, com’è misera la vita negli abusi di potere”. O “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore”. O meglio: “E perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/artiglio-fontana/6045922/

martedì 22 dicembre 2020

Ponte Morandi, la perizia: “I controlli e la manutenzione avrebbero impedito il crollo. Dal 1993 nessun intervento sul pilone caduto”. - Paolo Frosina

Ponte Morandi, la perizia: “I controlli e la manutenzione avrebbero impedito il crollo. Dal 1993 nessun intervento sul pilone caduto”










Il documento, di circa 500 pagine, è stato redatto nell’ambito del secondo incidente probatorio, quello che dove stabilire le cause del crollo. La procura aveva formulato 40 quesiti a cui i super esperti hanno risposto.

A far crollare il ponte Morandi il 14 agosto del 2018 sono state la scarsa manutenzione e l’assenza di controlli. Lo scrivono i quattro periti incaricati di individuare le cause del disastro, nelle 476 pagine depositate alla gip Angela Maria Nutini. “Sono identificabili – si legge nell’atto firmato dagli ingegneri Giampaolo Rosati, Massimo Losa, Renzo Valentini e Stefano Tubaro – le carenze nei controlli e gli interventi di manutenzione che non sono stati eseguiti correttamente”. Si rafforza così la tesi dei pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, secondo cui il collasso del ponte è da imputare a negligenze di Autostrade per l’Italia – la società concessionaria – mentre le difese puntano sull’esistenza di difetti strutturali nell’esecuzione dell’opera.

La perizia rappresenta la tappa fondamentale del secondo incidente probatorio disposto durante le indagini, che deve far luce, appunto, sulle cause del cedimento. Il primo incidente probatorio, concluso ad agosto 2019, aveva evidenziato uno stato diffuso di corrosione dei cavi d’acciaio degli stralli, i tiranti che collegavano la piattaforma stradale alla sommità della pila 9, quella crollata.

A questo proposito, sottolineano i periti, l’esecuzione dell’intervento di retrofitting che avrebbe dovuto rinforzare gli stralli delle pile 9 e 10 – deliberato nel 2017 ma mai eseguito – “avrebbe elevato il crollo con elevata probabilità”. “È paradossale – si legge – rilevare che tanti dei difetti che hanno determinato l’esecuzione degli interventi dal 1982 al 1993”, cioè, secondo la prima perizia, le ultime manutenzioni efficaci, “siano stati riscontrati nuovamente dai Periti nell’ambito delle attività svolte nel primo incidente probatorio per la valutazione dello stato di conservazione e di manutenzione del viadotto”. E cioè “danni al calcestruzzo con distacchi per effetto della ossidazione delle armature, passaggi di umidità, difetti di esecuzione”, nonché “aggressione di natura fisico-chimica delle superfici esterne del calcestruzzo” e “fessurazioni o lesioni di solette, pareti e tiranti”.

Il documento ridimensiona anche un altro caposaldo della strategia difensiva di Autostrade: la teoria che da un camion, in transito in quei minuti sul Morandi, sia caduta una bobina (coil) di acciaio da 3,5 tonnellate capace di dare il via al cedimento della struttura. “Le analisi svolte – scrivono i periti – portano ad escludere con elevata probabilità l’ipotesi che il coil possa essere caduto dal tir mentre quest’ultimo transitava a cavallo del giunto tra la pila 9 e il tampone 10”. Inoltre, “la posizione a terra del semirimorchio e del coil sono pienamente compatibili con l’ipotesi che i due corpi siano precipitati entrambi insieme fino a giungere al suolo”.

Per quanto riguarda il “reperto 132C”, cioè la parte sommitale dello strallo di sud-est della pila 9 – quella che secondo la Procura sarebbe stata la prima a spezzarsi causando il crollo – le analisi “hanno confermato quel che si poteva visivamente osservare, e cioè una forte corrosione in corrispondenza delle zone di rottura con un grado peggiore per i trefoli dei cavi secondari rispetto ai primari”. Lo strallo, insomma, ha ceduto per la corrosione dei cavi che lo costituivano, non per altre cause. “La causa scatenante” del crollo del ponte, sintetizza la relazione rispondendo al primo dei quaranta quesiti posti dal giudice, “è il fenomeno di corrosione a cui è stata soggetta la parte sommitale del tirante Sud-lato Genova della pila 9; tale processo di corrosione è cominciato sin dai primi anni di vita del ponte ed è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo, determinando una inaccettabile riduzione dell’area della sezione resistente dei trefoli (i cavi d’acciaio, ndr) che costituivano l’anima dei tiranti, elementi essenziali per la stabilità dell’opera”.

“Le cause profonde dell’evento – proseguono i periti – possono individuarsi in tutte le fasi della vita del ponte, che iniziano con la concezione/progettazione dell’opera e terminano con il crollo Lungo questo periodo temporale, si collocano le cause, relative alle diverse fasi della vita dell’opera, che hanno contribuito al verificarsi del crollo. Esse sono identificabili nei momenti dei controlli e degli interventi manutentivi che, se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento. La mancanza e/o l’inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive costituiscono gli anelli deboli del sistema; se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l’evento non si sarebbe verificato”.

Secondo gli ingegneri incaricati dal gip, quindi, non c’è stato caso fortuito o incidenza di fattori esterni: il Morandi era destinato a crollare per carenza di manutenzione. “Il punto di non ritorno, oltre il quale l’incidente si è sviluppato inevitabilmente, è da individuarsi nel momento in cui, per effetto della corrosione, si è innescato un fenomeno evolutivo che ha determinato un elevato tasso giornaliero di rottura dei fili, che avrebbe portato inevitabilmente al collasso della struttura anche per effetto dei soli carichi permanenti”, precisa la relazione. “Con riferimento allo stato di manutenzione – si legge ancora -, si deve rilevare che sulla Pila 9 in generale, l’ultimo intervento di manutenzione rilevato dai Periti, sotto il profilo strutturale, risale al 1993 e che, comunque, nella vita dell’opera, non sono stati eseguiti interventi di manutenzione che potessero arrestare il processo di degrado in atto”.

Si giunge così al quesito decisivo per la difesa di Aspi, quello in cui il gip chiede agli esperti “se vi siano fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo”. La risposta è lapidaria: “Non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo, come confermato anche dalle evidenze visive emerse dall’analisi del filmato Ferrometal”, il video della telecamera di sorveglianza di un’azienda ai piedi del viadotto, acquisito agli atti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/21/ponte-morandi-la-perizia-del-gip-i-controlli-e-la-manutenzione-avrebbero-impedito-il-crollo/6044625/

Padre videochiama la figlia di 6 anni e s’uccide. Era stato denunciato per maltrattamenti, moglie e figli allontanati grazie al codice rosso.

 

"Mi voleva ammazzare" aveva fatto mettere a verbale la donna al momento della denuncia per maltrattamenti. Lei con i suoi tre figli era stata trasferita in una comunità per vittime di violenza. L'uomo, che aveva diverse armi, si è suicidato con una pistola detenuta illegalmente. Ha lasciato un biglietto di offese contro la ex compagna.

Ha videochiamato la figlia di 6 anni e, quando la bambina ha risposto, si è portato la pistola alla testa e ha sparato, suicidandosi davanti a lei. È successo nella serata di domenica 20 dicembre a Ivrea in provincia di Torino. L’uomo di 53 anni, che era stato denunciato per maltrattamenti in famiglia, si è tolto la vita con una pistola detenuta illegalmente, dopo aver lasciato un biglietto sul tavolo in cui spiegava la ragione del suo gesto: vendicarsi della sua ex compagna, madre dei suoi tre figli. La donna, con i bambini, era stata trasferita in una comunità per vittime di violenza, dopo che circa un anno fa aveva denunciato l’uomo.

“Mi vuole ammazzare“, aveva fatto mettere a verbale la donna quando il 9 gennaio 2020 si era recata dai carabinieri per denunciarlo. Durante la perquisizione dell’abitazione, i militari avevano trovato delle armi, detenute legalmente dall’uomo: una pistola e un fucile ad aria compressa. Era scattato il “Codice rosso” e la donna e i figli erano stati allontanati da lui per proteggerli. Si erano trasferiti all’inizio dell’estate in una comunità.

Ma l’allontanamento non ha fermato le violenze: non più fisiche, data la lontananza, ma verbali e psicologiche, con minacce e insulti che il 53enne ha continuato a rivolgere alla donna. L’uomo aveva perso il lavoro e faceva il bibliotecario nella libreria del paese, impiego dal quale ricavava un piccolo sussidio. Domenica sera il gesto estremo, la decisione di colpire la figlia più piccola per colpire la donna, il biglietto pieno di accuse e insulti alla madre dei bambini. A dare l’allarme è stata una vicina che ha sentito il colpo, ma a nulla sono serviti i soccorsi. I carabinieri hanno sequestrato il biglietto e la pistola con cui si è tolto la vita, che, a differenza delle altre armi in suo possesso, non era registrata.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/22/videochiama-la-figlia-di-6-anni-e-si-suicida-era-stato-denunciato-per-maltrattamenti-moglie-e-figli-allontanati-grazie-al-codice-rosso/6044888/

Italia Virus. - Marco Travaglio

 

Siccome va di moda la variante inglese, ho fatto una variante travagliese del sogno di Padellaro. Fino a qualche settimana fa l’avrei classificato fra gli incubi: ora invece mi pare bellissimo. La prima parte del sogno è quella di Antonio. Stufo marcio della seconda ondata di ItaliaVirus, Conte decide di prevenire la terza, data per certa dagli esperti a gennaio, con un antidoto più efficace di qualunque vaccino: un dibattito parlamentare. Lì il premier dice in parole semplici la verità e così smentisce automaticamente tutte le balle renziane: la cabina di regia sul Recovery Plan è stata chiesta dall’Ue e decisa in 16 riunioni ministeriali; per la sanità non ci sono 9 miliardi, ma 16, più i 10 già stanziati quest’anno e mai spesi dalle Regioni, cioè fin troppi su un bilancio annuo di 115 (se poi manca qualcosa, lo si leva alla sanità privata); indebitarsi vieppiù col Mes sanitario è inutile, anzi dannoso, perché non ci sono problemi di cassa; il rimpasto non lo vuole nessuno; i servizi segreti rispondono per legge al premier, che può delegare alcune funzioni a un ministro/sottosegretario, o tenersele tutte; il governo ha cose più importanti (vaccini, Next Generation Eu, nuovi ristori alle categorie colpite, Ilva, riforme già concordate ma rinviate per l’emergenza) dei ricattucci di un partitucolo. Poi enuncia il programma emerso dalla verifica per governare fino al 2022. E ricorda all’Innominabile i doveri e le responsabilità di ogni partito di maggioranza, con una breve lezione di educazione civica e democrazia parlamentare simile a quella impartita il 20.8.19 all’altro Matteo Cazzaro. Infine chiede la fiducia e si va alla conta.

Qui si innesta la mia variante. L’Innominabile, che indossa una polo col colletto alzato per coprire l’incipiente pappagorgia, strepita come un ossesso e annuncia che stacca la spina a Conte. Ma metà dei suoi 30 deputati e 18 senatori votano la fiducia e staccano la spina a lui, replicando l’ardua impresa della scissione dell’atomo. Alla Camera, dove Iv non è determinante, Conte ottiene la fiducia. Al Senato gli mancano una decina di voti, ma a colmare il vuoto lasciato dai renziani superstiti provvede una pattuglia di ex centristi, ex forzisti ed ex grillini in cambio di null’altro che il seggio sino a fine legislatura. Un tornaconto che in tempi normali sarebbe indigeribile, ma che in quest’emergenza molti perdoneranno come il male minore al nobile scopo di liberare il governo dal racket: come quando si paga il riscatto all’Anonima per strapparle dalle grinfie un proprio caro. Senza contare la gioia universale nel vedere quei quattro guastatori finalmente ridotti a peli superflui. Come diceva il Gianfranco Funari di Corrado Guzzanti: “È tanto liberatorio”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/22/italia-virus/6044732/

Monoclonali e mancato trial, riunione straordinaria Aifa per capire chi si è opposto alla sperimentazione. - Thomas Mackinson

 

Il “trial mancato” svelato dal Fatto finisce questa mattina sul tavolo di una riunione urgente dell’Aifa, l’agenzia del farmaco che a ottobre respinse la proposta di sperimentazione gratuita del Bamlanivimab (LY-CoV-555), l’anticorpo neutralizzante monoclonale sviluppato dalla multinazionale Eli Lilly e prodotto proprio in Italia. E su quel tavolo si potrebbe riaprire in tempi rapidissimi la strada ai monoclonali in uso all’estero, finora lasciata cadere nel vuoto.

A metterla all’ordine del giorno è stato il neopresidente dell’Agenzia del farmaco Giorgio Palù, che lo conferma al Fatto. Nel periodo in cui la sperimentazione veniva proposta e cassata, tra il 7 e il 29 ottobre, vestiva ancora i panni del virologo di fama mondiale e già sosteneva pubblicamente la necessità che l’Italia guardasse con attenzione non solo ai vaccini ma anche alle terapie anticorpali sperimentate all’estero con risultati promettenti. Come abbiamo raccontato, a inizio ottobre ne erano state offerte all’Italia 10 mila dosi: gratis e prodotte qui.

Il nostro Paese, già schiacciato dalla seconda ondata, avrebbe potuto essere il primo in Europa a sperimentarlo, somministrando ai malati l’unica cura al mondo autorizzata contro il Covid. Il farmaco riduce la carica virale e per i pazienti ad alto rischio diminuisce i ricoveri del 72%: in proporzione alle fiale, sarebbero stati risparmiati almeno 950 ricoveri.

Ora si vuole capire sulla base di quali valutazioni scientifiche e regolatorie è stato deciso di accantonarlo. Chi si è opposto? Perché? Il Bamlanivimab viene somministrato da un mese e mezzo negli Stati Uniti con risultati incoraggianti. La sperimentazione in Italia avrebbe potuto confermare i dubbi degli esperti italiani, oppure dimostrare che il farmaco è più efficace della Tachipirina che l’Aifa consiglia ai non ospedalizzati. A quanto risulta al Fatto, nella riunione chiave del 29 ottobre tra la multinazionale, Aifa, ISS e Cts, era stato proposto di non fermarsi agli ai risultati delle ricerche condotte su campioni limitati ma di usare i dati clinici degli ospedali americani che lo stavano già somministrando. Sul fronte regolatorio appare ormai certo non fosse necessario aspettare l’autorizzazione dell’Ema.

In Italia è stata fatta una legge apposta: la 648/96 consente l’uso di farmaci non autorizzati dall’Ema per i quali non esista una terapia alternativa. Accade nel 2005, ad esempio, col Trastuzumab (tumore alla mammella), un altro monoclonale. La condizione necessaria – dice la legge – è che esistano “studi conclusi, almeno in fase II, che dimostrino un’efficacia adeguata con un profilo di rischio accettabile a supporto dell’indicazione richiesta”. Nel caso del farmaco di Eli Lilly queste condizioni ci sono. “Sono farmaci molti importanti”, dice il presidente della Società Italiana di Farmacologia, Giorgio Raccagni. “Si dimostrano efficaci se somministrati precocemente a pazienti ad alto rischio perché riducono considerevolmente la carica virale e di conseguenza i ricoveri che saturano gli ospedali. Confido che l’Aifa prenda una decisione nella direzione di altri paesi europei”. Questo sarebbe anche l’indirizzo del ministro Speranza che non ha mai avuto preclusioni alla via dei monoclonali, non solo patrocinando quello italiano in fase di studio ma anche verso quelli sviluppati all’estero.

Il paradosso è che il ministro ha firmato una formale manifestazione di interesse all’acquisto da parte dell’Italia in una riunione con la multinazionale – presente anche Arcuri – il 16 novembre, cioè quando era già stata lasciata cadere l’opzione delle 10 mila dosi gratis. Il loro controvalore era 10milioni di euro, che avremmo potuto risparmiare insieme a molte vite.

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