sabato 27 febbraio 2021

Pinocchiocrazia. - Marco Travaglio

 

Al netto di tutti i Peggiori che lo compongono, l’aspetto peggiore del Governo dei Migliori è che d’ora in poi nessuno crederà più alla parola di alcun politico. Non che prima la categoria apparisse granché sincera, ma qualcuno ancora si salvava. Per esempio, Mattarella: ora, dopo aver detto e fatto filtrare mille volte “dopo Conte c’è solo il voto” e averci poi regalato Draghi&C., fa onore al suo predecessore Napolitano, che giurò e spergiurò “no al secondo mandato” e poi si fece rieleggere dopo lunghi tormenti durati 10 minuti. Pensate poi a tutte le campagne del centrosinistra contro la Lega fascista, razzista, sovranista, populista, lepenista, orbanista, trumpista, bolsonarista, casapoundista ecc.: ora gli ex partigiani del Pd e LeU ci governano insieme e devono ringraziare la Meloni che s’è tirata via. Tutto ciò che avevano detto di Salvini (e dei 5Stelle suoi “complici” nel Conte-1) era pura propaganda e, si spera, eviteranno di ripeterlo alle prossime elezioni. Idem per le tirate del Cazzaro Verde contro la sinistra che tradisce i sacri confini e fa i soldi coi migranti, anzi va a prenderli in Africa. E per i 5Stelle, che almeno un limite se l’erano dato: tutti, ma non B. Infatti governano con B. e digeriscono senza neppure un ruttino il suo avvocato Sisto sottosegretario alla Giustizia (dove non hanno neppure tentato di far confermare Bonafede) e il suo prestanome all’Editoria.

Gli unici che possono dire qualcosa agli elettori senza essere sputacchiati sono – come ha scritto Moni Ovadia – la Meloni e Fratoianni. Ai quali aggiungerei i “dissidenti”, anzi i coerenti 5Stelle che si son fatti espellere pur di non ingoiare il rospo. Ma anche un altro personaggio. Quello che si “candida al Senato alle suppletive di Sassari per blindare il suo governo” (Repubblica, 5.6). Vuole “un ministero o il suo partito per restare in gioco” (Giornale, 4.2). Anzi “Draghi lo nomina commissario europeo” (Repubblica, 4.2). “Ministro degli Esteri o vicepremier nel governo Draghi” (Tpi, 4.2). “Punta alla Nato” (Libero, 6.2). “Cerca protezioni con Casalino per sopravvivere alla caduta” (Domani, 4.2). “Potrebbe correre a sindaco di Roma” (Repubblica, 4.2). “Mendica poltrone: ministro o sindaco di Roma” (Giornale, 7.2). “Cerca poltrone ma perde pure la cattedra” (Giornale, 11.2). “Correrà alle suppletive di Siena per entrare alla Camera” (Corriere, 9.2). “Cerca un’exit strategy: ministro, sindaco o presidente M5S” (Domani, 9.2). “Diventa un caso umano: che fare di lui?”, “Le paturnie del Conte in cerca di poltrona (Verità, 10.2). Lui è interessato a restare in politica, ma dice: “Non cerco poltrone, torno a fare il professore”. E tutti giù a ridere. Ieri ha tenuto la sua prima lezione all’Università di Firenze.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/27/pinocchiocrazia/6115448/

Quando c’era Conte i dpcm erano un “golpe giuridico”. Ora li firma anche Draghi e Forza Italia, Lega, renziani tacciono. - Marco Procopio

 

Dopo la firma del primo decreto del neopresidente del Consiglio, nessun commento dal Carroccio o da Renzi che prima parlava di "diritti costituzionali calpestati". Mentre l'azzurra Gelmini è passata dal definirlo uno “strumento discutibile” a trattarne i contenuti con le Regioni.

È stato utilizzato come arma contundente contro il governo Conte durante tutta la gestione della pandemia. Il leghista Riccardo Molinari ha più volte gridato al “golpe giuridico“, Matteo Renzi ha parlato di “diritti costituzionali calpestati” e poi c’è chi, come Sabino Cassese, ha auspicato l’intervento della Consulta o chi ha strattonato direttamente il capo dello Stato. Tutti contro i famigerati dpcm, provvedimenti emanati d’urgenza dal presidente del Consiglio per rispondere in modo tempestivo al coronavirus e bollati dal centrodestra, renziani e anche da una parte del Pd come incostituzionali. Ora che a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi, però, ed è in arrivo un dpcm che durerà addirittura fino a Pasqua, chi ieri era sulle barricate e oggi fa parte della squadra di governo ha deposto le armi, la neoministra Mariastella Gelmini di Forza Italia è passata dal definirlo uno “strumento discutibile” a trattarne i contenuti con le Regioni e gli emeriti costituzionalisti che per mesi hanno attaccato l’ex premier dalle pagine dei giornali, gonfiando le vele a no-mask e “gilet” vari, sembrano aver ammorbidito i toni. Solo il partito di Giorgia Meloni, rimasto all’opposizione, sottolinea la continuità con l’esecutivo precedente. Matteo Salvini invece ha scelto una nuova strategia: da un lato ha smesso di attaccare la forma degli atti governativi, e dall’altro chiede di riaprire il Paese mentre mezza Europa è barricata in casa e gli ospedali tornano a riempirsi per le varianti.

Da Cassese a Baldassarre, “emeriti” contro i dpcm – Il primo decreto del presidente del Consiglio dei ministri per contrastare l’avanzata del virus risale al 25 febbraio 2020. Sono i giorni in cui è stato accertato il paziente 1 a Codogno e i 10 comuni del Lodigiano vengono messi in zona rossa insieme a Vo’ euganeo con un apposito decreto-legge. Il dpcm si muove dentro questa “cornice” legislativa ed estende alcune misure (stop agli eventi sportivi e alle gite scolastiche, lavoro agile, didattica a distanza nelle scuole) a Emilia Romagna, Friuli, Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte. Nel giro di poco tempo si arriva alla chiusura di tutte le scuole, al lockdown nazionale e alla lista di attività non essenziali costrette a fermarsi. Un’emergenza continua, con i casi di Covid che corrono a livello esponenziale, e i dpcm che si susseguono a cadenza pressoché settimanale. Non appena viene scavallato il picco dei contagi, però, parte il coro di politici, giornali e costituzionalisti. Il più duro è Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta: “Invece di abusare dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri”, dice a Il Dubbio, bastava “ricorrere, almeno per quelli più importanti, a decreti presidenziali“, cioè del Quirinale. “È forse eccessivo parlare di usurpazione dei poteri, ma ci si è avvicinati”. In un’altra intervista, a La Verità, allude persino alla possibilità che prima o poi anche la Corte costituzionale possa pronunciarsi sulla questione.

Al fianco di Cassese – che oggi chiede a Draghi di “mettere in soffitta i dpcm” – in quei giorni si schiera anche il presidente emerito della Corte Antonio Baldassarre, secondo cui Conte fa un “uso frequente e spregiudicato dei dpcm che scavalcano tutti i controlli”. Poi c’è il giurista Giovanni Guzzetta, che chiede direttamente a Sergio Mattarella di riconoscere “la centralità” dei tradizionali decreti legge per fronteggiare le emergenze. Tanti altri, invece, difendono la linea dell’esecutivo. Come Gustavo Zagrebelsky: “Il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento. Undici decreti sono tanti, ma l’autorizzazione data al governo prevede precisamente che l’attuazione sia, per così dire, mobile, seguendo ragionevolmente l’andamento dell’epidemia”, spiega a Il Fatto Quotidiano l’1 maggio. “Le restrizioni dei diritti costituzionali in situazioni come quella che stiamo vivendo e nei limiti ch’essa richiede devono avvenire in base alla legge, ed è ciò che è avvenuto“.

Centrodestra, renziani e dem: chi attaccava il governo e ora tace – La battaglia sui dpcm si combatte anche in Parlamento, dove il centrodestra si mostra compatto più che mai. Tanto che il 29 aprile Fi, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia presentano una mozione congiunta per denunciare i “numerosi provvedimenti sostanzialmente amministrativi” adottati da Conte. Addirittura parlano di una “violazione delle fonti del diritto, trattandosi di una fonte normativa secondaria”. Tra i firmatari c’è la berlusconiana Mariastella Gelmini, che se in quel periodo parlava dei dpcm come uno “strumento discutibile”, oggi spalleggia Roberto Speranza nella linea del rigore in qualità di ministra per gli Affari regionali del governo Draghi. Una piroetta simile a quella del partito di Maurizio Lupi: anche lui aveva sottoscritto la mozione, mentre ora può contare su un suo sottosegretario (Andrea Costa) al ministero della Salute. Tra i leghisti, a fare la voce grossa nei mesi più duri della pandemia, ci sono invece il capogruppo a Montecitorio Molinari e Claudio Borghi. Che parlano di “dittatura sanitaria” e “golpe giuridico”. Il deputato Igor Iezzi va anche oltre: “Noi saremo la nuova Resistenza”, dice in Aula tra i cori del centrodestra al grido “Libertà, libertà”.

L’elenco si allunga con Paolo Romani (“Non si può governare un Paese a suon di dpcm”), il forzista Giorgio Mulé (“Conte è un servo della legge, non è il monarca, deve rientrare in un recinto costituzionale di regole”), Lucio Malan (“Nella Costituzione non sono previsti i dpcm”), Benedetto Della Vedova, che oggi è sottosegretario agli Esteri: (“Non capiamo perché si debba procedere a colpi di dpcm“). Persino la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, uscendo bruscamente dal suo ruolo istituzionale, bombarda l’esecutivo accusandolo di aver “gestito tutte le fasi dell’emergenza con un ricorso esagerato a Dpcm, emanati senza preventiva e dovuta consultazione con un voto del Parlamento”. E polemiche non sono mancate nemmeno in casa Pd, con il deputato Stefano Ceccanti costretto in tutta fretta a ritirare un emendamento con cui si chiedeva che i nuovi decreti del presidente del Consiglio venissero sottoposti una settimana prima al parere delle Camere.

Tutti loro oggi non battono ciglio di fronte al primo dpcm dell’era Draghi. Così come Matteo Renzi, che durante la prima ondata era arrivato a parlare apertamente di “scandalo incostituzionale“. È fine aprile, il Paese si appresta a entrare nella “fase 2” della pandemia e Palazzo Chigi decide di fare tutto per gradi, riaprendo negozi, attività e spostamenti un passo alla volta. Il leader di Italia viva vorrebbe invece di più: il governo “pensi ai posti di lavoro, non a calpestare la Costituzione“. La ministra Elena Bonetti, nel frattempo rimasta al suo posto nonostante il giro di vite nel Palazzo, è d’accordo: “Il dpcm è un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri, per sua natura non viene condiviso all’interno del Cdm e nemmeno in Parlamento”, quindi certe misure, come lo stop alle messe, andrebbero prese “in modo più condiviso”, dice. Il renziano Marco Di Maio rivendica pure un emendamento, a firma De Filippo, il cui obiettivo implicito è quello di “scoraggiare l’uso dei Dpcm e favorire quello dei decreti legge”. A chiudere il cerchio in perfetto asse con le destre ci pensa Michele Anzaldi: “Ora Italia Viva dice no a chi limita le libertà coi Dpcm ed esautora il Parlamento“.

Conte a Firenze: “Ecco perché è lo strumento più adatto” – A niente, nel corso dei mesi, sono servite le spiegazioni date da Giuseppe Conte, dalla necessità di usare uno strumento “agile” per rispondere al virus alla “copertura legislativa” fornita dai vari decreti-legge che hanno sempre accompagnato i suoi provvedimenti. Non è un caso che l’ex premier, dopo essere stato costretto alle dimissioni, abbia scelto proprio questo argomento per la sua lectio magistralis all’università di Firenze. Non solo un ritorno in cattedra, ma anche un modo per rimarcare che sì, il nuovo governo è in continuità con il precedente. Con la sola differenza che a Palazzo Chigi ora c’è Mario Draghi e la maggioranza è stata allargata a chi, fino a poche settimane fa, ancora parlava di dittatura sanitaria. “La strategia normativa” per il Covid, “è stata costruita su tre pilastri: ordinanze del ministro della Salute, dichiarazione stato di emergenza nazionale, l’adozione di decreti legge e Dpcm”, ha spiegato Conte agli studenti. “Non sarebbe stato possibile lasciare l’intera regolamentazione ai solo decreti legge, poiché l’imprevedibilità dell’evoluzione pandemica ci ha costretto a intervenire svariate volte anche a distanza di pochi giorni e, come sapete, la conversione dei decreti-legge va operata dal Parlamento entro 60 giorni, con la conseguenza che la medesima conversione sarebbe intervenuta, il più delle volte, a effetti ormai esauriti o comunque superati dal successivo decreto“. Questa strategia, conclude, “ha permesso al nostro sistema democratico di reggere a questa dura prova, evitando che lo ‘stato di emergenza’ potesse tramutarsi in ‘stato di necessità'”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/27/quando-cera-conte-i-dpcm-erano-un-golpe-giuridico-ora-li-firma-anche-draghi-e-forza-italia-lega-renziani-tacciono/6114811/

Eros e nozze, a Pompei ritrovato un carro mai visto. - Silvia Lambertucci

Pompei, Uno dei fianchi del carro , decorati in bronzo e stagno. Foto LUIGI SPINA per il Parco archeologico di Pompei

Elegante e leggero, stupefacente per la complessità e la raffinatezza dei decori in stagno e bronzo, incredibile nella sua completezza, con le tracce dei cuscini, delle funi per reggere le corone di fiori, persino le impronte di due spighe di grano lasciate su un sedile. A Pompei, gli scavi della villa di Civita Giuliana non finiscono di stupire e restituiscono uno straordinario carro da parata, dipinto di rosso e rivestito da decorazioni a tema erotico, destinato forse al culto di Cerere e Venere o più probabilmente ad un’aristocratica cerimonia di nozze. “Per l’Italia un unicum-anticipa all’ANSA Massimo Osanna, direttore uscente del Parco Archeologico e responsabile scientifico dello scavo - una scoperta di grandissima importanza per l’avanzamento della conoscenza del mondo antico”.  "Pompei continua a stupire con le sue scoperte e così sarà per molti anni e con venti ettari da scavare", commenta il ministro della cultura Dario Franceschini. "Ma soprattutto dimostra che si può fare valorizzazione, si possono attrarre turisi da tutto il mondo e, contemporaneamente,  si può fare ricerca, formazione e studi.

Il nuovo e giovane direttore Zuchtriegel valorizzerà questo impegno.

Potrebbe trattarsi, spiega Osanna, di un Pilentum, ovvero quello che le fonti antiche descrivono come un carro cerimoniale, un veicolo usato solo dalle élites e soltanto in contesti cerimoniali. “Uno così in Italia non si era mai visto. Il confronto si può fare unicamente con una serie di carri ritrovati quindici anni fa in una tomba della Tracia, nella Grecia settentrionale al confine con la Bulgaria”, dice Osanna. Uno in particolare di questi carri traci, precisa, “assomiglia molto al nostro, ma non è decorato”.

Scoperta a Pompei, ritrovati due corpi intatti.

I pilenta, citati da Claudiano e altri, potevano appunto essere dipinti in azzurro o in rosso, come nel caso del reperto pompeiano. Riservati alle classi più abbienti, servivano per i culti religiosi, ma erano un po’ come un'automobile di alta rappresentanza. Il ritrovamento di questi giorni riapre quindi il mistero sui proprietari di questa grande villa costruita alle porte della città antica che oggi si sta riportando alla luce anche per fermare lo scempio dei tombaroli, che negli anni passati attorno a queste stanze hanno scavato cunicoli e cunicoli depredando e distruggendo. E che oggi sono sotto processo, seppure ancora a piede libero (La casa di uno degli accusati si trova proprio sul terreno nel quale si sta scavando) grazie alle indagini ancora in corso da parte della Procura di Torre Annunziata, guidata da Nunzio Fragliasso.

“Una villa molto grande e particolarmente preziosa per le indagini storiche, perché a differenza di tante altre che erano state svuotate dalle ristrutturazioni seguite al terremoto del 62 d. C., nei giorni dell’eruzione era ancora abitata”, ricorda Osanna. Si tratta, per intenderci, della stessa dimora nella quale qualche mese fa sono stati ritrovati i resti di due uomini, forse un signore con il suo schiavo, che gli archeologi del Parco hanno ricostruito con la tecnica dei calchi. E proprio qui, in una stalla a pochi passi dal portico che alloggiava il carro, sono venuti alla luce nel 2018 i resti di tre cavalli, uno dei quali sontuosamente bardato, pronto, sembrava, per mettersi in cammino. Senza parlare dell'affresco con graffito il nome della piccola Mummia, forse una bimba di casa, emerso su un altro muro, sempre a poca distanza.

Ritrovato il Sauro Bardato del generale.

Il ritrovamento del carro appare quindi come una nuova, preziosa tessera nel complicato puzzle di questa storia. Tanto più che non doveva essere nemmeno l'unico, perché nel processo attualmente in corso un testimone ha menzionato la presenza di un altro carro anche questo con ricche decorazioni, finito purtroppo nelle mani dei predoni e poi sparito. L'interrogativo però rimane: a cosa serviva questo pilentum decorato e scintillante come un gioiello? Chi erano davvero i ricchi padroni di questa tenuta che con le sue favolose terrazze arrivava fino al mare?

A Pompei il mistero della piccola Mummia.

“Sulla cenere indurita rimossa da uno dei due sedili abbiamo trovato impronte di spighe di grano”, rivela Osanna. Un particolare, chiarisce, che potrebbe far pensare al culto di Cerere, che a Pompei veniva onorata insieme a Venere, e quindi “alla presenza nella villa di una sacerdotessa di questi culti”. Ma non solo. Perché più semplicemente, dice, potrebbe trattarsi di un augurio di fertilità: “Le spighe sul sedile potrebbero essere l’indizio di un matrimonio celebrato da poco o che era pronto per essere celebrato.” Il mistero su chi fossero i padroni di casa, insomma rimane. Sebbene a sostegno della seconda ipotesi, ovvero quella delle nozze imminenti o appena celebrate, sembra spingere in qualche modo anche la natura decisamente erotica delle raffinate decorazioni in stagno applicate sul supporto di bronzo per ornare il retro e le fiancate del carro: una serie di amorini e di coppie di satiri e ninfe impegnate in appassionati amplessi. Saranno i restauri, già avviati nel laboratorio del Parco, e gli studi, certo, a chiarire di più. Ma intanto, conclude Osanna, "visto che le fonti antiche alludono all'uso del pilentum da parte di sacerdotesse e signore, non si esclude che potesse trattarsi di un carro usato per condurre la sposa nel nuovo focolare domestico".  


https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2021/02/26/eros-e-nozze-a-pompei-ritrovato-un-carro-mai-visto_c62c25bc-27ad-4762-a51e-7a43523d08fb.html

venerdì 26 febbraio 2021

Nel “sottogoverno dei migliori” i cani da guardia di B. e Salvini. - Barbacetto, Palombi, Rodano e Salvini

 

Benvenuto “sottogoverno dei migliori”. Il decantato metodo Draghi sui sottosegretari è lo stesso per la nomina dei ministri: un’orgia partitica e una spartizione con il bilancino di “cencelliana” memoria. E così 11 per i 5Stelle, 9 per la Lega, 6 a testa per Pd e Forza Italia, 2 per Italia Viva (gli stessi, guarda caso, che avevano rinunciato alle poltrone), 1 per Liberi e Uguali. Fin qui il metodo, appunto. E il merito? Draghi ha scelto i più competenti? Difficile sostenerlo. A essere premiati sono stati molti degli ex sottosegretari del Conte-1 e del Conte-2, non proprio un inno alla discontinuità. Di fianco a loro, soprattutto a destra, un’infornata di fedelissimi dei leader di partito. Silvio Berlusconi li piazza nei settori più delicati per lui: Editoria e Giustizia (con Francesco Paolo Sisto, il suo avvocato nel caso escort, che trova la poltrona in via Arenula). Matteo Salvini rilancia Stefania Pucciarelli e tira fuori dal cilindro Rossano Sasso, due che hanno avuto uscite imbarazzanti su migranti e rom. E riporta alla Cultura Lucia Borgonzoni, quella che “non leggo un libro da tre anni”. Ecco i ritratti dei “migliori” di Draghi.

Giuseppe Moles - Le mani di Silvio sull’editoria.

Più che il nome,contava la carica. Sì, perché non risulta che Giuseppe Moles, 54 anni, nato a Potenza, abbia qualche competenza in materia di editoria, escludendo la sua breve esperienza da docente di Sociologia dei processi culturali all’Università degli Studi Internazionali di Roma (Luspio). Ma a Silvio Berlusconi non interessava il curriculum, ma che il sottosegretario all’Editoria di stanza a Palazzo Chigi fosse uno dei suoi fedelissimi: non accadeva da quando su quella poltrona sedeva il suo portavoce, Paolo Bonaiuti. Il prescelto era l’uomo Mediaset e per un decennio direttore di Panorama Giorgio Mulè, ma sul suo nome, nel Cdm di mercoledì sera, si è scontrata la maggioranza che sostiene il governo Draghi: Pd e M5S non potevano accettare che un uomo così legato al Biscione potesse finire a gestire l’informazione e a dispensare i fondi pubblici ai giornali. Così Mulè è passato alla Difesa e Moles, inizialmente indicato per andare alla Salute con Roberto Speranza, è stato scelto per l’Editoria sostituendo il dem Andrea Martella. Berlusconiano doc, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, Moles è stato l’assistente e il portavoce del ministro della Difesa Antonio Martino, uno degli intellettuali di casa ad Arcore. Dopo la fine del terzo governo Berlusconi, Moles insegna Relazioni Internazionali alla Luiss e poi Sociologia delle Relazioni Internazionali e Terrorismo alla Luspio. Viene eletto deputato del Pdl nel 2008 e nel 2011 è tra gli esponenti più critici nei confronti del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Da senatore, nel 2019 è tra i 41 parlamentari di FI (su 64) a firmare per chiedere il referendum contro il taglio dei parlamentari. A maggio scorso lo si ricorda per un attacco sessista nei confronti del ministro della Scuola, Lucia Azzolina, in un question time in Senato: “La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare” disse Moles che poi si dovette scusare. Con questa pedina, Berlusconi ha in mano tutta la filiera dell’editoria e delle telecomunicazioni: Alberto Barachini alla Vigilanza Rai, Gilberto Pichetto Fratin viceministro al Mise dove Giancarlo Giorgetti si occupa di telecomunicazioni e Moles all’Editoria.
Giacomo Salvini

Francesco Paolo Sisto - L’avvocato anti-inchieste.

“Il presidente Berlusconi per noi è come Fidel Castro, è il Líder Máximo. Si è rivelato uno statista vero, soprattutto nell’ultimo periodo”. Così dice del suo capo Francesco Paolo Sisto, avvocato, deputato di Forza Italia dal 2008, ora sottosegretario alla Giustizia. E proprio di giustizia si è prevalentemente occupato nella sua attività politica, attaccando a ogni occasione i magistrati e l’indipendenza della magistratura dalla politica. “La cacciata di Giuseppe Conte è avvenuta in nome della giustizia”, dichiara, “perché la giustizia è stata quella più giustiziata, in questo eccidio delle competenze e della democrazia. Per fortuna però, come si dice dalle mie parti in Puglia, dal guasto viene l’aggiusto”. Cioè Draghi.
Il suo Líder Máximo l’ha sempre difeso: in Parlamento, opponendosi alla legge sul conflitto d’interessi; e in Tribunale, come avvocato difensore nel processo escort in corso a Bari, dove Silvio Berlusconi è accusato di aver pagato l’imprenditore Gianpaolo Tarantini per indurlo a mentire sulle feste a Palazzo Grazioli. A gennaio, l’avvocato Sisto è riuscito a far slittare il processo escort al 30 aprile, adducendo motivi di salute che impedivano a Berlusconi di presentarsi in aula. Non gli hanno impedito di andare da Draghi a trattare il suo appoggio al nuovo governo: “È stata una festa!”, riferisce l’avvocato difensore di Berlusconi, diventato ora sottosegretario proprio nel delicatissimo ministero della Giustizia. Sisto è tra gli autori della legge elettorale dell’Italicum e della riforma costituzionale del Senato (poi bocciata nel referendum del 2016) scritta con Maria Elena Boschi e nata dall’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Contrario invece (in dissenso dalla posizione ufficiale di Forza Italia) alla riforma costituzionale del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari.
Gianni Barbacetto

Rossano Sasso - Il leghista che scambia Dante e Topolino.

La pagina wikipedia di Rossano Sasso, nuovo sottosegretario leghista all’Istruzione, è stata creata solo ieri. Ma i social e il web non si sono scordati del suo passato. Nel 2018 il deputato barese postò una foto della adunata in piazza Duomo a Milano con Matteo Salvini, ma poi si accorse che nell’immagine campeggiava una bandiera contraria alle sue origini pugliesi: “Prima il nord!”. Così Sasso la fece photoshoppare facendo arrabbiare non poco l’ex governatore Bobo Maroni. Nell’estate del 2018, poi, il coordinatore pugliese della Lega organizzò un flash mob sulla spiaggia di Castellaneta Marina (Taranto) dopo l’arresto di un marocchino di 31 anni, Mohamed Chajar, accusato di aver violentato una 17enne. Sasso lo definì un “bastardo irregolare sul nostro territorio”, ma il Tribunale di Taranto pochi mesi dopo assolse il giovane con formula piena: non aveva violentato nessuno. Ma è l’istruzione il tema principale su cui si concentra Sasso, con un potenziale conflitto d’interessi tutto in famiglia. La moglie è l’avvocato e presidente dell’Associazione Libera Scuola, Grazia Berloco: da deputato leghista della commissione Scuola, Sasso ha portato avanti le battaglie della moglie, che infatti ne ricondivide discorsi e proposte sui social. Un esempio: il leghista in un post del 2 settembre scorso si vantava di aver chiesto il rinvio di un anno delle Graduatorie Provinciali Supplenze. Ma senza successo: “Risultato – scriveva Sasso – caos graduatorie, punteggi sballati, nomine bloccate e ricorsi in tribunale. Qualche studio legale vicino al governo si sta già preparando. Che spudoratezza”. Peccato che, come si legge sul sito di ALS, fosse proprio l’associazione della moglie a proporsi per i ricorsi dei docenti. Ora che è diventato sottosegretario, Sasso rischia di doversi occupare di quei ricorsi di cui si fa carico proprio la moglie avvocato. Il 13 febbraio, Berloco su Fb ringraziava l’onorevole Sasso e il leghista Pittoni per “le loro battaglie”. Pochi giorni prima di essere nominato sottosegretario, Sasso ha deliziato i social pubblicando un selfie con annessa citazione da lui attribuita a Dante: “Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto”. Peccato che la fonte della citazione fosse un’altra: Topolino.
Gia.Sal.

Deborah Bergamini  - La berlusconiana “delta”.

In un suo vecchio blog si presentava come Cartimandua, regina dei Celti. Come si sentirà ora nel governo dei Migliori, dell’Europa, della concorrenza e del libero mercato, Deborah Bergamini da Viareggio, la donna che abolì la concorrenza tra Rai e Mediaset? Studi in Italia e negli Stati Uniti, esperienze di lavoro a Parigi e Londra. Poi le capita di intervistare Silvio Berlusconi per Bloomberg e da allora non lo molla più. Lui la riporta in Italia, la fa entrare nel suo staff, la nomina assistente personale. Poi nel 2002 la trapianta in Rai: vicedirettrice, direttrice del marketing strategico, consigliera d’amministrazione di Rai Trade, poi di Rai International. Diventa la donna più potente della tv pubblica, decide quali “generi” trasmettere sulle tre reti, tiene le relazioni con le tv estere, si occupa di Auditel, Televideo, Internet. Ma intanto resta sempre fedele a Berlusconi e a Mediaset, come diventerà noto a causa delle intercettazioni disposte dalla magistratura sulla crisi dell’azienda Hdc e sul sondaggista Luigi Crespi. Questi, intercettato, si rivolge a lei per chiedere a Mediaset soldi (che in effetti poi ottiene). Ma le intercettazioni, più in generale, rivelano il suo vero ruolo di infiltrata Mediaset dentro la Rai e il patto occulto di consultazione permanente tra le due aziende per mettersi d’accordo, in barba al libero mercato, e per risollevare, a reti unificate, l’immagine in affanno di Berlusconi. L’intera tv italiana viene pilotata dalla “struttura Delta”: Deborah controlla tutto, anche le inquadrature di Silvio al funerale di papa Wojtyla. Pianifica i programmi, in accordo con Mediaset, per “dare un senso di normalità alla gente” ed evitare così che la morte del papa distragga gli elettori e faccia aumentare l’astensionismo che penalizzerebbe Forza Italia. Ordina il ritardo nella comunicazione in tv della sconfitta elettorale alle amministrative del 2005. Chiede a Bruno Vespa di non confrontare i risultati con quelli delle precedenti elezioni regionali. Ora è nel governo dei Migliori.
G. B.

Vannia Gava - L’ambientalismo dei danè.

Figlia dell’operoso Nord-est, classe 1974, una carriera da rappresentante di mobili e dirigente politico locale della Lega (fino alla poltrona di vicesindaco della sua Sacile in Friuli-Venezia Giulia), la sottosegretaria Vannia Gava torna al ministero dell’Ambiente, trasfigurato in Transizione ecologica, portando con sé la sua idea produttivista, per così dire, dell’ambiente: se proprio se ne deve parlare, almeno lo si faccia fruttare. Come ha detto lei stessa recentemente alla Camera (dal 2018 è deputata), le piace del governo Draghi “la declinazione non catastrofista delle tematiche ambientali e l’approccio pragmatico”, a cui la Lega mette a disposizione il suo green dei danè (“meno vincoli e più opportunità, più decentramento e meno burocrazia”). Non di solo alto convincimento intellettuale vive però l’impegno della sottosegretaria Gava: i suoi interessi più terreni l’hanno portata a una guerra feroce con l’ex ministro Sergio Costa, cui non furono estranee le sue conoscenze sul territorio. Grande fan del biometano, aveva come collaboratore al ministero un dipendente di alcune aziende venete del settore, peraltro vicine alla Lega (anche sotto forma di donazioni) e a cui Gava aveva dedicato visite ufficiali: il collaboratore dovette dimettersi dopo aver offerto al sito Fanpage investimenti pubblicitari per addomesticare un’inchiesta. Lei stessa fu censurata per “non aver adempiuto ai suoi obblighi sulla trasparenza”: in sostanza si dimenticò di rendere pubblici – come invece prescriveva un regolamento del ministero dell’Ambiente – i suoi incontri con i cosiddetti “portatori di interessi”. L’infortunio non le impedì di ottenere, dopo le Europee 2019, più poteri per le Regioni in materia di rifiuti, novità che ovviamente interessava anche chi produce biometano, specie nel verde Veneto. Ora – al netto di inceneritori, micro-idroelettrico e altre materie care ai salviniani – Gava potrà occuparsi degli incentivi al biometano, in scadenza nel 2021: “Stiamo lavorando affinché il processo di riconversione degli impianti possa essere accompagnato da nuovi incentivi”, disse prima del Papeete. Ora si ricomincia.
Ma. Pa.

Stefania Pucciarelli - dai “forni” alla Difesa.

Non è chiaro quali siano le competenze che hanno fatto nominare la 53enne leghista Stefania Pucciarelli sottosegretario alla Difesa del nuovo governo Draghi. Ma d’altra parte erano ancora meno evidenti le qualità che l’avevano fatta indicare da Matteo Salvini come presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, durante il primo governo Conte. Un indirizzo – i diritti umani – che sembrava una provocazione per una senatrice che si era fatta pizzicare a mettere “mi piace” su Facebook a un post che suggeriva l’uso dei “forni” per i migranti: “Certe persone andrebbero eliminate dalla graduatoria. E poi vogliono la casa popolare. Un forno gli darei”. Pucciarelli si difese sostenendo che non aveva letto bene (e se aveva letto non aveva capito). Quando commise quella “leggerezza” era consigliera regionale in Liguria: l’incidente le diede notorietà presso il popolo leghista, che quelle cose magari non le dice ma le pensa assai spesso. Le costò pure una denuncia dall’Associazione 21 luglio (che si occupa dei diritti delle minoranze rom) e una convocazione al Tribunale di La Spezia per propaganda di idee “fondate sull’odio razziale” (è stata archiviata). Poca roba in confronto della rapida ascesa della sua carriera politica. Prima di entrare in Parlamento, Pucciarelli ha contribuito a edificare la nuova Lega sovranista in Liguria tra Sarzana e La Spezia, terre ex rosse, dove è diventata il punto di riferimento di una giovane classe dirigente nazionalista. Nei ruggenti anni liguri ha indossato il burqa per protesta, ha fatto decine di campagne sui migranti, ha solidarizzato con CasaPound, ha esultato ogni volta che le ruspe hanno spianato un campo nomadi.
Una populista di destra, barricadera, radicale: negli anni del salvinismo spinto è tra le più apprezzate dal capo del Carroccio, che l’ha fatta eleggere in Senato nel 2018. Ora che la retorica di Matteo su Europa e immigrazione s’è un po’ addolcita, s’è un po’ addolcita anche lei. E la carriera continua.
Tommaso Rodano

Alessandro Morelli - L’ombra del commercialista.

Giovane leghista di Vizzolo Predabissi, alle porte di Milano, non ha mai messo a frutto il suo diploma di perito agrario, né ha avuto tempo di laurearsi in Scienze delle produzioni animali, facoltà dell’Università Statale di Milano cui si era iscritto dopo l’istituto tecnico. Ma la sua passione politica lo ha portato a diventare direttore di Radio Padania, l’emittente della Lega, e del Populista, il combattivo blog di Matteo Salvini (prima della conversione europeista). Ora, a 43 anni, è nientemeno che viceministro nel cruciale dicastero delle Infrastrutture e dei trasporti, dopo una carriera politica partita dal basso. Uomo di lotta e di governo: consigliere di zona a vent’anni, poi assessore al Turismo nella giunta del sindaco Letizia Moratti, poi ancora consigliere comunale, fiero oppositore di Giuseppe Sala e di Expo. Nel 2013 si candida alla Camera, ma non riesce a essere eletto. Ci riprova, con successo, nel 2018. Oggi arriva al governo con un’ombra: è stato lui a far nominare nelle società partecipate del Comune di Milano il commercialista Andrea Manzoni, ora imputato nel processo per l’immobile di Cormano diventato sede della Lombardia Film Commission, comprato a 400 mila euro e rivenduto alla Regione Lombardia al doppio, 800 mila euro. Un’operazione, secondo i magistrati, per far entrare soldi nelle casse della Lega. Operazione realizzata in ambito regionale, quando presidente della Lombardia era Roberto Maroni. Ma intanto Manzoni era presente e attivo anche a livello comunale: entrava anche nel collegio sindacale di Sea (la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa), di Arexpo (proprietaria dei terreni Expo su cui si svilupperà il progetto Mind) e di Amiacque (società operativa del Gruppo Cap che fornisce l’acqua a molti Comuni dell’area milanese). A indicare il nome di Manzoni per quelle delicate poltrone di controllo è stato proprio Morelli, che aveva da riempire le caselle assegnate dal Comune di Giuseppe Sala all’opposizione, dunque alla Lega.
G. B.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/nel-sottogoverno-dei-migliori-i-cani-da-guardia-di-b-e-salvini/6114130/

I vice-Migliori. - Marco Travaglio

 

E così, dopo i 22 Migliori (23 con SuperMario), abbiamo finalmente 5 Vicemigliori e 34 Sottomigliori. Spulciando la lista del nuovo bar di Guerre Stellari alla ricerca dei nostri preferiti, spicca subito la preclara figura dell’on. avv. Sisto a cui, essendo stato l’avvocato di B., spetta di diritto la Giustizia; un tocco di vintage che ci riporta ai bei tempi andati delle leggi ad personam, della “barbarie delle intercettazioni”, di Patrizia D’Addario e Gianpi Tarantini statisti e di Ruby nipote di Mubarak (suo il pregiato emendamento alla legge Severino che svuotava vieppiù il reato di concussione per induzione, di cui era casualmente imputato il padrone). Infatti, per non farlo sentire troppo solo coi suoi conflitti d’interessi, il factotum draghiano Garofoli e i retrostanti fenomeni del Quirinale che seguivano le nomine per conto del premier, hanno piazzato pure il forzista Moles all’Editoria a far la guardia agli affari di B.; e pazienza per quel suo attacco sessista alla Azzolina in pieno Senato (“la credibilità è come la verginità: è facile da perdere, difficile da mantenere, impossibile da recuperare”): anzi, fa curriculum. Come per il leghista Molteni, che insultava la Lamorgese (“vergogna, abolisce i confini e difende i clandestini!”) e ora diventa il suo vice agli Interni.

Lì incontra il grillino Sibilia, quello che voleva “Draghi in manette” e ora lavora per lui dopo avere sbianchettato i suoi tweet; e il renziano Scalfarotto, che aveva lasciato gli Esteri per allergia alle poltrone (massì: Esteri o Interni purché governi, è la meritocrazia 2.0). Un po’ come la Bellanova, braccia rubate all’Agricoltura ieri e ai Trasporti oggi (sempre in omaggio alla competenza). Ottima anche la scelta della leghista Pucciarelli che, avendo messo un like a un post che invocava i forni per i migranti, si aggiudica la Difesa. Altra donna giusta al posto giusto: Lucia Borgonzoni è nota per essersi vantata di “non leggere un libro da tre anni” e aver situato l’Emilia-Romagna ai confini col Trentino Alto Adige e l’Umbria, risparmiando però la Puglia e la Sardegna, dunque va alla Cultura. Con la stessa logica meritocratica il leghista Sasso che cita una frase di Topolino attribuendola a Dante conquista l’Istruzione (sperando che ne faccia buon uso). Noi però abbiamo sempre avuto un debole per Deborah Bergamini, la segretaria tuttofare di B. che nel 2002 la infiltrò alla Rai come vicedirettrice, poi direttrice del Marketing strategico, poi nei Cda di Rai Trade e Rai International e, quando fu sospesa per l’inchiesta sui patti occulti Rai-Mediaset, deputata di FI dal 2006. Nel suo blog si presentava come Cartimandua, regina dei Celti, perché è anche una tipa equilibrata.

Nel 2005 fu intercettata nell’indagine sul sondaggista berlusconiano Luigi Crespi, che avanzava soldi da Mediaset e ne parlava con lei (dirigente Rai): “Io non finisco mica in galera per tutelare una verità che nessuno vuole tutelare”. Infatti poco dopo ricevette un bonifico dai berluscones. Così i pm scoprirono il patto occulto di consultazione permanente tra i vertici Rai e Mediaset, per mettersi d’accordo in barba al libero mercato e risollevare a reti unificate l’immagine barcollante di B. Ogni minuto e dettaglio di programmazione della Rai era capillarmente controllato dai cavalli di Troia del Caimano nel presunto “servizio pubblico”, ridotto a suo feudo personale per blandire gli amici, manganellare i nemici, celebrare le sue gesta, tacere le notizie scomode, gonfiare quelle comode. Tutto era pianificato nei minimi particolari: persino le inquadrature di B. ai funerali di papa Wojtyla, i ritardi nell’annuncio delle disfatte elettorali, il numero di citazioni del nome di Silvio in bocca a Vespa. Giovanni Paolo II moriva alla vigilia delle Amministrative 2005, distraendo gli elettori cattolici dal dovere di votare B.? Niente paura: Deborah concordava con Mediaset una serie di “programmi che diano alla gente un senso di normalità, al di là della morte del Papa, per evitare forte astensionismo alle elezioni amministrative”. Ora, dopo aver coordinato così bene i rapporti fra Rai e Mediaset, coordina i Rapporti col Parlamento.

Stavamo quasi per assegnarle la palma di Vicemigliorissima, quando ci è capitato sotto gli occhi il ritratto agrodolce di Gabrielli, neosottosegretario ai Servizi, firmato da Bonini su Repubblica: “garantisce la tenuta di sistema”, “promette di regalare agli apparati di sicurezza una serenità e una competenza sciaguratamente smarrite nel Conte-1 e Conte-2” (mica come ai tempi di De Gennaro, Mori, Pollari&Pompa), “talento precoce per anagrafe e capacità”, “intelligenza inquieta”, “cultura democratica e riformista”, “civil servant”, “riserva della Repubblica”, “ricostruì una Protezione civile stravolta dalla stagione berlusconiana” (infatti “era il vice di Bertolaso”), “ricostruì la cultura della ‘sua’ Polizia”, “figlio del popolo”, “cultura riflessiva nelle indagini”, “combina le competenze che la lingua inglese felicemente distingue in ‘safety’ e ‘security’”; peccato soltanto che abbia “negato per orgoglio e testardaggine a suo padre la gioia di vederlo laurearsi in Giurisprudenza”. Ma che sarà mai. Come disse Cetto La Qualunque, precursore di tutti i Migliori: “Vogliono negare a mia figlia il posto di primario di chirurgia con la scusa che non è laureata. Ma a che cazzo serve la laurea!? Mia figlia ha due mani da fata: può operare!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/i-vice-migliori/6114119/

La verità sul Recovery Fund. - Rocco Casalino

 

Dalla caduta del Presidente Conte ad oggi sono stato invitato in diverse trasmissioni TV. Alcuni giornalisti provano ad incalzarmi su ogni cosa e per certi versi è anche giusto, lo accetto. C’è soltanto una cosa che non riesco proprio ad accettare, ovvero il modo in cui si tende a minimizzare e sotterrare il merito di Giuseppe Conte  sulla questione Recovery Fund: “Si MA, tutto sommato è anche merito della Merkel” – “Si MA, alla fine, è stato un percorso deciso dalla Comunità Europea”, e così via.

Bene, a questo punto spiego telegraficamente una volta per tutte come sono andate le cose.

- Il Presidente Conte sin dalla prima videoconferenza di inizio pandemia ha segnalato alle Istituzioni Comunitarie, che proponevano pochi miliardi con il Mes, l’esigenza di una risposta economica tempestiva ed eccezionale;
- Il Presidente Conte è stato promotore di una lettera destinata al Presidente del Consiglio Europeo Michel, sottoscritta dagli Omologhi di Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo, con l’intento di sensibilizzare gli altri Stati Membri (su tutti Germania e Olanda) sulla questione;
- Per rassicurare e sensibilizzare i Paesi “perplessi”, il Presidente Conte ha deciso di metterci la faccia nelle loro TV e sulla loro carta stampata, e per questo, con parallela strategia comunicativa, ha rilasciato interviste a: El Pais (quotidiano spagnolo), 30 marzo; ARD Tagesschau (TG del primo canale della TV pubblica tedesca), il 1 aprile 2020; De Telegraaf (quotidiano olandese) il 1 aprile 2020; Die Zeit (settimanale tedesco) il 2 aprile 2020;
- La Germania, grazie all’importante opera di sensibilizzazione messa in atto dal Presidente Conte, accetta l’idea del Recovery e il 18 maggio ufficializza con la Francia una proposta da 500 miliardi;
- Il 27 Maggio, il Presidente UE Ursula Von der Leyen, propone programma da 750 miliardi;
- Restavano da convincere i cosiddetti Paesi frugali;
- Da qui il Premier Conte inizia il “tour del convincimento” e incontra: il Primo Ministro Portoghese Costa; il Presidente del governo Spagnolo Sanchez; il Primo Ministro Olandese Rutte (ve lo ricordate?) e infine, il 13 luglio, la Cancelliera Merkel;
- Nelle ore decisive della trattativa, alcuni paesi spingevano affinchè le somme fossero pari a 700 miliardi e non a 750 miliardi come indicato dalla Von Der Layen. Su questo ricordo il Presidente Conte che si avvicina al Presidente del Consiglio Europeo Michel e gli dice che “i 750 miliardi non si toccano”;
- Il 21 luglio si conclude il Consiglio Europeo straordinario che sancirà l’accordo definitivo da parte di tutti i Paesi membri dell’Unione sul Recovery Fund, con stanziamento complessivo pari a 750 miliardi e all’Italia va la quota maggiore della somma stanziata, ovvero 209 miliardi.

Questa è la STORIA che ci ha visto e ci vede ancora oggi protagonisti.
A questo punto mi chiedo, perché ad una parte del giornalismo questo non piace? Non dovremmo essere tutti orgogliosi di questa competenza tutta Italiana? Davvero pur di sminuire il lavoro di una persona siete disposti a screditare la nazione intera?

#raccontiamolaverità #giuseppecontegrazie

https://www.facebook.com/rocco.casalino/photos/a.1044676208937686/5090087267729873/