venerdì 8 ottobre 2021

730, obbligo di tracciabilità ed effetto Covid: così calano bonus e redditi. - Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente

 

(Illustrazione di Giorgio De Marinis)

Secondo la Consulta dei Caf l’imponibile scende dell’11% .Persi 78 euro medi di spese mediche detraibili. Giù gli sconti per scuola e figli.

Quasi 2.700 euro di reddito perso nell’anno della pandemia: -11,2 per cento. E un taglio netto alle detrazioni fiscali: 78 euro in meno di spese mediche – in media – abbinato a un calo del 3% dei beneficiari. I modelli 730 presentati quest’anno fotografano l’effetto combinato del Covid e dell’obbligo di pagamento tracciabile scattato dal 2020. Un doppio fattore che ha generato la prima riduzione delle tax expenditures dopo anni di annunci, come emerge dai dati sui modelli 730/2021 elaborati dalla Consulta nazionale dei Caf per Il Sole 24 Ore del Lunedì.

La «cassa» pesa sui redditi.

La perdita di reddito (2.697 euro in meno rispetto ai 730 presentati nel 2020) dipende soprattutto dal boom della cassa integrazione durante il 2020. Anche perché il grosso dei 18 milioni di dichiarazioni dei redditi gestite dal sistema dei Caf riguarda lavoratori dipendenti e pensionati.

E se è vero che non c’è stato un picco di licenziamenti e dimissioni, i modelli 730 sono un po’ come i dati sulla fattura elettronica per i titolari di partita Iva: un termometro dell’impatto della crisi economica.

Impatto che si vede anche dall’aumento dei contribuenti che hanno scelto di farsi accreditare il rimborso fiscale dall’agenzia delle Entrate anziché dal proprio datore di lavoro. Erano il 7,2% due anni fa, quest’anno sono arrivati all’11,2% sul totale dei modelli inviati dai Caf. Ciò non significa che tutti questi lavoratori siano rimasti senza un sostituto d’imposta, ma indica una chiara preferenza (vuoi perché il sostituto è incapiente, vuoi perché è in difficoltà con i pagamenti).

I pagamenti in contanti.

Non dipende solo dalla pandemia il calo delle detrazioni nei modelli 730 di quest’anno. Certamente ci sono persone che hanno rinviato visite mediche o piccoli interventi non urgenti. Così come molte mense scolastiche o asili nido hanno ridotto o rimborsato le rette. E lo stesso vale per le attività sportive dei ragazzi, a lungo impossibili durante i periodi di lockdown e zona rossa. Ma dall’inizio del 2020 è scattata anche la regola secondo cui le spese detraibili al 19% sono agevolate dal Fisco solo se pagate con strumenti diversi dal contante (con alcune eccezioni come i medicinali e le prestazioni presso strutture pubbliche o convenzionate).

Molti contribuenti non erano informati e hanno continuato a usare i contanti. Tant’è vero che la Consulta nazionale dei Caf ha chiesto di rinviare di 12 mesi la stretta. Ma le esigenze di gettito hanno impedito di accogliere la richiesta e ora i primi effetti si vedono nei 730, anche se è impossibile separarli dalle ricadute della pandemia.

Il risparmio per l’Erario, comunque, è evidente. I 78 euro medi di minori spese mediche detraibili – uniti al calo del 3% dei beneficiari – si traducono in una diminuzione della detrazione usata dai cittadini: 164,6 milioni di euro di bonus in meno. E questo solo riferendosi ai 730 inviati dai Caf, cui andranno aggiunti quelli gestiti dagli altri intermediari, quelli inviati tramite il fai-da-te e i modelli Redditi PF. Insomma, mentre la Nota di aggiornamento al Def conferma l’obiettivo di riordinare le agevolazioni nell’ambito della riforma fiscale, l’obbligo di tracciabilità dimostra di aver prodotto già un primo risultato. Anche se a pagare il conto potrebbero essere soprattutto i contribuenti più svantaggiati, che la riforma vorrebbe tutelare.

Non solo per la tracciabilità, l’effetto nelle dichiarazioni 2021 rischia comunque di essere molto consistente. Le minori detrazioni per spese scolastiche solo nei modelli dei Caf sono 20,8 milioni (80 euro e l’1,3% di beneficiari in meno). Quelle per le attività sportive dei ragazzi 3,4 milioni (25 euro e il 2,4% di beneficiari in meno).

ILSole24Ore

Caro Sallusti, provo a spiegartelo una volta per tutte, definitivamente: - Lorenzo Tosa

 

A un certo punto, in palese difficoltà e imbarazzo di fronte all’inchiesta di “Fanpage”, il direttore di “Libero” Alessandro Sallusti ha tirato fuori un classico della retorica della destra:

“Perché la sinistra non ha mai detto che il comunismo è stato il male assoluto?”

Come se il comunismo non solo fosse paragonabile al fascismo ma addirittura peggio.

Caro Sallusti, provo a spiegartelo una volta per tutte, definitivamente:

1. Perché sulla Costituzione italiana che dovresti conoscere a memoria c’è anche la firma di Umberto Terracini, fondatore e membro di spicco del Partito Comunista. E nessuna dei fascisti.

2. Perché l’Italia non ha mai avuto un regime comunista, mentre per un ventennio è stata soffocata, massacrata e, infine, distrutta da una delle dittature più feroci, razziste e sanguinarie della storia dell’uomo.

3. Perché, al netto di tutte le enormi storture e contraddizioni, il Manifesto di Marx ed Engels su cui poggia il comunismo era un ideale (tradito e forse utopistico) di riscatto ed emancipazione delle classi oppresse, mentre il fascismo e, in particolare il nazismo, si basano sull’idea stessa della superiorità di una razza su un’altra, sulla soppressione dei diritti elementari, sull’eliminazione fisica degli oppositori, degli ebrei, degli “impuri”, dei fragili, dei deboli, degli omosessauli, dei “diversi”.

4. Perché, se il fascismo in Italia è stato sconfitto e abbattuto, lo dobbiamo anche e soprattutto ai comunisti.

5. Perché, se questo Paese ha leggi e conquiste degne di un Paese civile (dal suffragio universale al divorzio, dall’aborto ai diritti dei lavoratori), lo dobbiamo anche ai comunisti.

6. Perché il fascismo e il nazismo sono durati circa un ventennio e sono inscindibili dai rispettivi regimi e dittatori, mentre il comunismo ha oltre 150 anni di Storia, si è diffuso in tutto il mondo, in Italia è stato per un secolo simbolo di civiltà, progresso, democrazia, uguaglianza, senza mai governare, e l’orrore prodotto dal comunismo al potere non è stata la sua essenza ma una catastrofica - e forse inevitabile - degenerazione.

Per tutte queste ragioni, equiparare fascismo e comunismo è in assoluto una sciocchezza storica.
Farlo in Italia, nel Paese di Gramsci e Berlinguer, è semplicemente una bestemmia.

E non te lo dice un comunista, solo uno che ha studiato la Storia.

È ora che lo facciate anche voi. Non è mai troppo tardi. 

Lorenzo Tosa - Fb 8.10.2021

Marte, c'era un lago nel cratere in cui si cerca la vita. - Elisa Buson

Una delle immagini scattate dal rover Perseverance che hanno permesso di capire
che in passato il cratere Jezero era occupato da un lago (fonte: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS)

 La conferma nelle foto del rover Perseverance della Nasa.

Un fiume che scorre placido verso il lago. Poi il clima che cambia, l'inondazione e la furia dei flutti che scaglia enormi massi a chilometri di distanza. E' successo davvero su Marte circa 3,7 miliardi di anni fa, là dove oggi resta soltanto una landa desolata: il cratere Jezero. Lo si sospettava da tempo, ma ora la conferma arriva dall'analisi scientifica delle prime immagini scattate dal rover Perseverance della Nasa, che proprio in quel cratere è atterrato lo scorso febbraio a caccia di tracce di vita passata.

Non poteva esserci posto migliore, anche per studiare gli sconvolgimenti climatici che hanno stravolto la storia del pianeta. Lo dimostrano i risultati dello studio pubblicato sulla rivista Science da un team internazionale di esperti guidato da Nicolas Mangold dell'Università di Nantes e coordinato dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa.


Ricostruzione grafica dell'antico lago che circa 3 miliardi di anni fa occupava 
il cratere marziano Jezero (fonte: NASA/JPL-Caltech/MSSS/LPG)

Le immagini riprese da Perseverance nei primi tre mesi della missione (quando il rover era ancora fermo all'interno del cratere per il controllo degli strumenti di bordo) mostrano in dettaglio la formazione rocciosa a forma di ventaglio presente nella parte occidentale di Jezero e la collinetta Kodiak poco distante.

L'analisi delle stratificazioni dimostra che la prima struttura era davvero il delta di un piccolo fiume, che 3,7 miliardi di anni fa scorreva placido trasportando sedimenti fini. A un certo punto, però, un drastico cambiamento climatico avrebbe provocato una violenta inondazione e lo spostamento verso il delta di enormi massi, che sono ancora visibili. Alcune di queste rocce hanno un diametro di un metro e sembrano pesare diverse tonnellate: secondo gli esperti facevano parte di un letto roccioso che si trovava sul bordo del cratere o forse a una cinquantina di chilometri più a monte.

Questi massi si sono depositati sopra gli strati di sedimenti più fini, dove sembrano esserci materiali argillosi che potrebbero custodire segni di vita passata. "Ora abbiamo la possibilità di cercare fossili", commenta Tanja Bosak, geobiologa del Massachusetts Institute of Technology (Mit). "Ci vorrà del tempo per raggiungere le rocce che vogliamo analizzare per cercare segni di vita. Per cui sarà una maratona, con un grande potenziale". La cosa più sorprendente che emerge dalle immagini di Perseverance, secondo il planetologo Benjamin Weiss del Mit, "è la possibilità di cogliere il momento in cui il cratere si è trasformato da un ambiente abitabile alla landa desolata che vediamo oggi. Questi strati rocciosi potrebbero aver registrato la transizione, cosa che non abbiamo ancora visto in altri luoghi su Marte".

ANSA

Come abolire gli elettori dei 5s rimasti - Antonio Padellaro

 

chi tra voi, disorientato dai risultati elettorali, e dunque scombussolato da una profonda crisi esistenziale, non invocherebbe una guida spirituale, un mentore, un precettore severo ma giusto per rimettersi in carreggiata e procedere sulla retta via? È capitato a chi scrive di smarrire le cinque stelle e di vagare senza meta nella notte oscura, fino a quando di stella polare ne ha scorto una. Anzi due. Carlo Calenda e il Foglio. Sul primo cosa potremmo aggiungere alle lodi lusinghiere piovutegli addosso dopo la straordinaria performance capitolina? Una gloria nazionale, il Marcell Jacobs del riformismo pragmatico (o, se si preferisce, del pragmatismo riformista), dotato dello stesso sprint bruciante del campione olimpico (pure se il leader di Azione è giunto terzo su quattro ma fa niente). Mirabilia Urbis che quelli del Foglio intervistano in permanenza e che li ha costretti a “ragionare con pacata gagliardia” (loro che invece volevano scatenarsi in una rumba).

Adesso che il Terzo Prodigio, in cambio dell’appoggio a Roberto Gualtieri, pretende l’esclusione dal governo della città dei pentastellati (“che hanno lasciato un disastro epocale”), ci rivolgiamo fiduciosi al Foglio. Perché in quelle pagine così prodighe di perentorie esortazioni pedagogiche a uso dei più svantaggiati (“Salvini dove vai?”; “Caro Letta deciditi”; “Finita l’estate di Conte”, oltre all’immancabile “Meno male che Draghi c’è”), cerchiamo un’indicazione definitiva che sia anche un monito. Cosa fare dei residui elettori Cinquestelle? Di quei poveretti che incuranti della scomparsa del Movimento (certificata da voi e da Matteo Renzi che di irrilevanza se ne intende) continuano meccanicamente a vergare sulla scheda il simbolo zombie? Sembra, purtroppo, che sparsi in giro ce ne siano ancora alcuni milioni, ma se anche fossero soltanto mille o cento o dieci, diteci come sarebbe più misericordioso comportarsi per sottrarli a un sì crudele destino? Destinarli a dei corsi accelerati di rieducazione condotti dal professor Sabino Cassese? Privarli dell’elettorato attivo? Ignorare la loro presenza come Nicole Kidman con gli spettri di The Others? Caro Calenda, caro Foglio, mentre vi aspergete di Arrogance, la verità vi prego sui grillini.

ILFQ

Una grande lezione di giornalismo da leggere e rileggere. - Lorenzo Tosa (Fb)


In poche righe Corrado Formigli ha spiegato a Giorgia Meloni su “Elle” come funziona un’inchiesta e perché la richiesta delle 100 ore di girato è semplicemente folle e irricevibile.

Una grande lezione di giornalismo da leggere e rileggere.
“È sempre la solita storia: quando un leader politico legge o guarda qualcosa che non gli piace, se la prende spesso e volentieri con i giornalisti. E tira in ballo le inchieste “a orologeria”. Credo che quel servizio, che mostra atteggiamenti inaccettabili di candidati e alti dirigenti di Fratelli d’Italia sia sul fronte dell’apologia del fascismo che su quella del finanziamento illecito, svolga una funzione utile per informare i cittadini prima del voto. Le scene si svolgono nel pieno della campagna delle amministrative milanesi e riguardano nomi nelle liste elettorali.
Che cosa avremmo dovuto fare? Attendere l’esito del voto prima di segnalare impresentabili che inneggiano a Hitler? È questo che si vuole dai giornalisti? Che con l’abusatissima scusa del “silenzio elettorale”, regola che vale a 48 ore dal voto per i comizi e la propaganda, si spenga l’informazione politica?
Giorgia Meloni ha chiesto a Fanpage la consegna delle 100 ore di “girato”, il materiale grezzo servito per realizzare un’inchiesta in più puntate sulla destra sovranista italiana. E anche qui mi domando: in quale democrazia evoluta una pretesa simile verrebbe considerata normale? In quale capitale occidentale un leader politico chiederebbe con tale arroganza la consegna di materiale giornalistico grezzo? Solo la magistratura, laddove si profili qualche grave reato, con circospezione e molti limiti può agire in tal senso.
Eppure in Italia anche una richiesta così bislacca e lesiva della libertà di informare viene considerata ordinaria. E il rifiuto opposto dall’editore alimenta ironie e sospetti. Come se la mediazione giornalistica, con la conseguente assunzione di responsabilità del giornalista davanti alla legge e all’opinione pubblica, non fossero sufficienti. No, a certa politica l’idea che esista un’informazione indipendente che indaga solo per fare un servizio ai cittadini proprio non va giù. Ma ogni tanto occorre ricordarglielo.”
Corrado Formigli

Mancini insegna quel segreto di Stato che lo salvò due volte. - Gianni Barbacetto

 

Paradossale la lezione sul segreto di Stato tenuta ieri da Marco Mancini all’università di Pavia. Parlando di corda in casa dell’impiccato, l’ex agente segreto Mancini ha citato istituzioni, codici, articoli e commi, senza mai fare alcun riferimento esplicito al sequestro di persona per cui è stato condannato a 9 anni da una Corte d’appello, per poi essere prosciolto dalla Cassazione proprio grazie al segreto di Stato. E poi di nuovo salvato, sempre dal segreto di Stato, per i dossieraggi illegali Telecom.

Mancini, l’uomo che fu salvato due volte (dal segreto di Stato), diventa professore di segreto di Stato. Come se Franco Freda (assolto per la strage di piazza Fontana) fosse chiamato all’università a far lezione su piazza Fontana. Nell’aula non è mai risuonato il nome della vittima, Abu Omar, sequestrato nel 2003 a Milano da un gruppo della Cia con l’appoggio di Mancini e del Sismi (il servizio segreto militare) di Niccolò Pollari e poi portato in Egitto dove fu per mesi torturato.

Il pensiero va a un illustre docente della stessa università di Pavia, il professor Vittorio Grevi, che fino alla fine della sua vita criticò, con raffinati argomenti giuridici, l’allargamento dei confini del segreto di Stato che salvò Pollari e Mancini. Ma nessuno li ha ricordati ieri.

Ecco allora almeno i fatti, dimenticati nella lezione-autodifesa dell’ex agente del Sismi e poi dirigente del Dis (l’agenzia che coordina i servizi di sicurezza per l’interno e per l’estero, andato in pensione dopo lo strano incontro segreto in autogrill con Matteo Renzi). Mancini è prosciolto, grazie al segreto di Stato, in primo grado e in appello dall’accusa di sequestro di persona. Svolta in Cassazione: proscioglimento annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello nel 2013 condanna Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato sul caso Abu Omar è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che aprono conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici.

La sentenza della Corte nel 2014 estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi di sicurezza e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione a questo punto non può che prendere atto della pronuncia della Consulta e annullare le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.

Sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), nel 2016, a stabilire che l’Italia ha violato cinque diritti sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo: la proibizione di trattamenti umani degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a effettivi rimedi giudiziari, il diritto al rispetto della vita familiare.

“Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero”, scrive la Cedu; nonostante ciò, “l’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni”. La sentenza di Strasburgo riconosce il buon lavoro dei magistrati, i pm di Milano Ferdinando Pomarici e Armando Spataro e i giudici che hanno condannato: “Nonostante gli sforzi degli inquirenti e giudici italiani, che hanno identificato le persone responsabili e assicurato la loro condanna, questa è rimasta lettera morta a causa del comportamento dell’esecutivo”. Ma tutto ciò gli studenti del professor Alessandro Venturi, che ha invitato Mancini in cattedra, non lo hanno sentito. Hanno sentito disegnare una confusa e vecchia visione dello Stato panopticon (come il carcere di Santo Stefano, o meglio di Bentham) che tutto vede senza essere visto. Hanno sentito parlare di diritto alla difesa da garantire a tutti (anche ad Abu Omar torturato in Egitto?). Hanno sentito proclamare il divieto al testimone di violare il segreto di Stato (ma Mancini era imputato, non testimone, e la Costituzione garantisce sopra tutto il diritto alla difesa).

La cosa più insopportabile era l’atteggiamento vittimista che aleggiava nell’aula di Pavia: “Dobbiamo saper andare contro il pensiero unico, superare il mainstream e gli attacchi della stampa”, dicevano.

Davvero curioso, in bocca a chi, difeso da quasi tutta l’informazione, è saldamente al centro del potere – il potere vero, forte, intoccabile, armato, segreto – che lo ha due volte salvato incrinando delicatissimi equilibri istituzionali e obbedendo a fortissime alleanze internazionali. Alla fine, il panopticon ha vinto.

ILFQ

Carletto La Qualunque. - Marco Travaglio

 

Guardando Carlo Calenda che si limonava da solo a Otto e mezzo, abbiamo temuto per Giuseppe Conte. Con tutti i guai che ha coi 5Stelle gli mancava soltanto un benvenuto di Calenda nel “nuovo Ulivo”, che poi è la vecchia Unione prodiana da Mastella a Turigliatto, naufragata nel 2008 dans l’espace d’une année. Un endorsement di Calenda porta buono almeno quanto un endorsement di Ferrara, che infatti aveva endorsato Calenda. Ma Conte l’ha scampata: il noto frequentatore di se stesso l’ha riempito di insulti e annunciato che con i 5Stelle non si alleerà mai. Se Letta soffre della sindrome di Stoccolma, visto che si ripiglia due campioni di lealtà come Calenda e Renzi, Carletto Rolex è affetto dalla sindrome della mosca cocchiera, che si posa sul cavallo e si convince di essere lei a trainare il carro. Nessuno gli ha spiegato che Roma non è l’Italia, dove i sondaggi lo danno in zona Iv. Lì ha preso il 19,8% perché molti elettori di destra ridevano all’idea di Michetti sindaco. E han deciso giustamente che il vero candidato di destra era lui (ex Confindustria, ex Montezemolo, ex Monti, ex Renzi, autore col Pd di un furto con destrezza di voti da manuale: prendi il seggio europeo da 18mila euro al mese e scappa). Evento difficilmente ripetibile su scala nazionale, visto che a destra c’è già un discreto affollamento di leader, e purtroppo tutti più popolari di lui (persino B.). Una rondine non fa primavera e un Calenda non fa capoluogo.

Lui però se la sente calda: “Voto Gualtieri, ma la mia non è una dichiarazione di voto urbi et orbi” (testuale). Si definisce “socialista-democratico”, “liberalsocialista”, “liberaldemocratico”, “erede del Partito d’Azione” solo perché il suo partito si chiama Azione. Se gli domandano qualcosa di più preciso, dice “basta con fascismo e comunismo, berlusconismo e antiberlusconismo”, manco fossero la stessa cosa: un Cetto La Qualunque dei Parioli. E ora che fa? Un bel centrino con Renzi, Bentivogli e FI? “No, mi fa schifo”. Ah. E quindi? Una grande alleanza con i “popolari come la Carfagna” (sic) e pure con Fratoianni, “anche se dice un sacco di idiozie”. Ecco. Però, sia chiaro, “ho una pregiudiziale sui 5Stelle, populisti e trasformisti”: “Conte non so cos’è” e “ha governato con la Lega e col Pd”; e “Di Maio al Mise ha fatto un disastro epocale, in un Paese serio venderebbe i giornali”. Gli è forse sfuggito che Conte è il premier che ha gestito la pandemia e portato a casa il Recovery Fund. E Di Maio, al Mise, spuntò da Mittal molti meno esuberi di quelli avallati da lui. Quanto al trasformismo, lui è stato eletto nel Pd, i suoi tre parlamentari nel Pd, in FI e nel M5S, e Azione sostiene un governo con dentro M5S, Lega e Pd contemporaneamente. Quando arriva l’ambulanza?

ILFQ