martedì 2 novembre 2021

Cop26, “così andiamo verso il disastro”. Ma i leader arrivano con 400 aerei. - Virginia Della Sala

 

GLASGOW - I 120 big litigano sulla data della “neutralità carbonica”. L’India: “Noi nel 2070”. Pechino attacca gli Stati Uniti.

Al termine della prima giornata della Cop26 di Glasgow, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite durante la quale tradizionalmente i Paesi assumono impegni formali (e a volte vincolanti) sul fronte delle politiche climatiche e ambientali, forse le parole che inquadrano meglio la situazione di partenza sono del segretario generale dell’Onu, António Guterres: “C’è un deficit di credibilità – ha detto quasi ammonendo i partecipanti – e un eccesso di confusione sulla riduzione delle emissioni e sugli obiettivi di zero netto, con significati e metriche diverse”. Sono punti fermi da cui partire per interpretare quello che accadrà nei prossimi undici giorni, fino alla conclusione del 12 novembre, e anche per comprendere la situazione attuale.

Il G20 di Roma, che si è concluso domenica e che aveva sul clima un focus rilevante, ha infatti consegnato un comunicato su un traguardo molto debole perché già previsto nell’accordo di Parigi del 2015, ovvero il riconoscimento da parte di tutti del contenimento del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo invece degli iniziali 2 gradi con vocazione a fare “ogni sforzo possibile” per arrivare a 1,5. La “neutralità carbonica”, ossia il saldo zero tra le emissioni inquinanti emesse e quelle eliminate, si dovrà invece raggiungere “intorno alla metà del secolo”, senza una data precisa. E così, nel suo discorso di apertura, il premier britannico Boris Johnson si rifà alle parole dell’attivista Greta Thunberg e spiega che dal 2015 il mondo ha fatto troppo “bla bla bla” e che il flop di questo summit potrebbe scatenare la “furia del mondo”. Certo l’inizio non è dei migliori.

I leader radunati a Glasgow sono 120 e sono arrivati portandosi dietro di sicuro 52 jet solo nella giornata di domenica, almeno 400 jet totali secondo le stime della stampa anglosassone che potrebbero generare “13mila tonnellate di emissioni di CO2, l’equivalente di quella prodotta da 1.600 inglesi in un anno” dice il Daily Mail. Anche il rientro di Johnson a Londra è previsto in aereo e il premier si è dovuto giustificare con esigenze istituzionali e il fatto che il suo jet charter utilizza una speciale miscela di carburante per aviazione “sostenibile” ed è uno degli aerei più efficienti in termini di emissioni. Pesano, poi, le assenza rilevanti del presidente cinese Xi Jinping (che a Roma si è collegato in videoconferenza mentre in Scozia ha mandato un messaggio scritto), del presidente brasiliano Jair Bolsonaro e del presidente russo Vladimir Putin. E soprattutto, pesa l’assenza di qualsiasi buona notizia: se la Cina non sembra in alcun modo intenzionata a modificare il percorso stabilito (massime emissioni entro il 2030 e poi zero al 2060) e ha puntato il dito contro gli Stati Uniti accusandoli di avere “minato la fiducia globale in anni recenti nella lotta contro i cambiamenti climatici”, per la mancata ratifica del Protocollo di Kyoto, e il ritiro dagli accordi di Parigi del 2015 con Donald Trump, l’India è riuscita a sorprendere in negativo. Il primo ministro Narendra Modi, da cui ci si aspettava annunci ambiziosi, ha comunicato un obiettivo di “zero netto” entro il 2070, dieci anni dopo Cina e Russia, venti dopo gli Usa. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invece sollecitato un’azione più severa sulle emissioni, ma non ha annunciato alcuna nuova mossa rispetto all’impegno d’inizio mandato (taglio del 52% delle emissioni entro il 2030).

Non resta che l’obiettivo minimo dei soldi, i famosi 100 miliardi all’anno che, sempre dal 2015, gli Stati si sono impegnati a destinare alla transizione energetica dei Paesi in via di sviluppo e oggi fermi a 82 miliardi. La proposta del premier Mario Draghi, ieri, è stata di colmare la differenza con i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale (una forma di liquidità garantita dal fondo). Spendere anziché agire: magari su questo si arriverà a una quadra.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/02/cosi-andiamo-verso-il-disastro-ma-i-leader-arrivano-con-400-jet/6376116/

lunedì 1 novembre 2021

Nino Di Matteo: “La legge Cartabia vìola la Costituzione. È buio per noi toghe”. - Marco Lillo

 

Consigliere Antonino Di Matteo il titolo del suo nuovo libro è ‘I nemici della giustizia’. Chi sono?

Sono tanti. Non solo mafiosi corrotti e criminali. Si annidano nelle pieghe delle istituzioni e della politica e anche della magistratura. Non possiamo far finta che questo momento non sia uno dei più bui della storia della magistratura. I mali diffusi come metastasi nel corpo della giustizia sono il correntismo, la corsa sfrenata alla carriera, la gerarchizzazione degli uffici di procura e il collateralismo con la politica.

Perché ha scritto con Saverio Lodato questo libro in questo momento così poco felice della magistratura?

Non possiamo far finta di stupirci. Dobbiamo indignarci e non nascondere la verità. Sono tanti quelli che vogliono approfittare di questo momento difficile per regolare i conti con i magistrati che hanno saputo esercitare il controllo di legalità anche sul potere finanziario e politico. C’è una logica di rappresaglia ma anche di prevenzione per il futuro. Vogliono vendicarsi ed evitare che la magistratura possa essere troppo incisiva. Ecco perché ho ritenuto di far sentire la mia voce. Non mi piace questo andazzo. La magistratura sembra rassegnata a subire l’attacco frontale di chi vuole trasformare le procure in organi collaterali e serventi rispetto al potere esecutivo.

C’è un intero capitolo nel libro dedicato alla riforma Cartabia. Quali sono i rischi maggiori?

La ritengo una delle peggiori riforme degli ultimi 30 anni. L’Europa chiedeva di accelerare i processi ma se fosse stata in vigore la riforma Cartabia, processi importanti come quello per il crack Parmalat, la strage di Viareggio o per le violenze nella scuola Diaz di Genova nel 2001, si sarebbero conclusi nel nulla. Questa normativa presenta per me aspetti di evidente incostituzionalità. Va nella stessa direzione del processo breve voluto dal premier Berlusconi e dal ministro Alfano nel 2009. Allora però ci fu una forte reazione. Gli organismi rappresentativi della magistratura, i movimenti e partiti che allora insorsero oggi sono silenti o addirittura favorevoli alla riforma Cartabia.

Poi c’è il tema dei criteri di priorità stabiliti dal legislatore. Quali sono i pericoli?

Questo punto mi preoccupa ancor più dell’improcedibilità. Le maggioranze parlamentari del momento dovranno individuare le priorità dell’azione penale. La maggioranza di turno potrà ad esempio in futuro stabilire che bisogna perseguire prima la criminalità da strada e poi, solo se resta tempo, i reati di corruzione o tipici dell’abuso di autorità. Così si mina l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e indipendenza della magistratura. Non è solo un problema della casta della magistratura. Intravedo un grave pericolo per i cittadini e le minoranze che si oppongono alla maggioranza di turno.

Nel libro dedica un capitolo intero ai referendum sulla giustizia. Ci spiega perché è contrario?

Premetto che la Costituzione prevede lo strumento referendario anche per cambiare le norme della giustizia. Nulla da dire quindi sul metodo. Nel merito invece sono contrario a cinque dei sei quesiti. Il sesto, quello sulle firme necessarie per presentare le candidature al CSM, per me è inutile perché non serve a evitare lo strapotere delle correnti.

Lei è contrario soprattutto alla separazione delle carriere. Perché?

Il primo piano in tal senso era quello di Rinascita Democratica di gelliana memoria. Poi è diventata una bandiera di Forza Italia e del centrodestra nella seconda repubblica. L’appiattimento dei giudici sui pm è un falso storico. Basta vedere le statistiche: i giudici disattendono spesso le richieste dei pm. Inoltre sul passaggio da una funzione all’altra i paletti sono già alti. Negli ultimi 15 anni poco più del 2 per cento dei pm è diventato poi giudice e meno dello 0,5 dei giudici ha compiuto il passaggio inverso. La separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del pm all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del pm estranea alla cultura della giurisdizione.

Perché non sarebbe giusta la riforma della responsabilità civile?

Si dice che i magistrati che sbagliano devono pagare. Messaggio suggestivo ma che si basa su presupposti sbagliati. Esiste già la responsabilità penale con decine di magistrati sotto processo. Poi c’è la responsabilità disciplinare che viene fatta valere più frequentemente per noi magistrati che per altre categorie. Anche la responsabilità civile già c’è. Anche se solo per dolo e colpa grave. La normativa attuale prevede l’azione del cittadino che si ritiene leso contro il Governo per chiedere i danni. In caso di accertamento del dolo o della colpa grave, è il Governo a potersi rivalere sul magistrato. Con il sì al referendum si consentirebbe al cittadino l’azione diretta contro il magistrato. Vedo alcuni rischi: innanzitutto si determinerebbe un’incompatibilità in capo al magistrato chiamato in causa. Inoltre i magistrati che devono giudicare una controversia, civile o penale potrebbero essere indotti a favorire la parte più forte, che ha i mezzi per rivalersi sul magistrato. Tra una multinazionale e un lavoratore il giudice sarà sereno nel giudizio?

Nel libro c’è un riferimento alla sentenza Trattativa. L’appello ha ribaltato il primo grado assolvendo Marcello Dell’Utri e i Carabinieri. Cosa ha pensato?

Bisognerà attendere le motivazioni. Però alcune cose si possono già dire. Intanto non siamo stati solo noi pm a valutare certe condotte. Il giudice dell’udienza preliminare ha ritenuto giuridicamente corretta l’impostazione accusatoria. E poi la Corte di Assise – dopo 5 anni di processo e centinaia di udienze – ha scritto 5.500 pagine per motivare la condanna. Non voglio scendere nel merito delle responsabilità penali degli imputati. Però una cosa voglio dirla: sono a posto con la coscienza e sono orgoglioso di aver contribuito con i miei colleghi, pm e giudici, a far emergere fatti oggi incontestabili che solo la nostra tenacia ha fatto riemergere da archivi nascosti e polverosi. L’opinione pubblica aveva il diritto e forse anche il dovere di sapere che nel periodo delle stragi Cosa Nostra ha agito nell’ottica di un dialogo a suon di bombe con lo Stato. Nessuna sentenza potrà mai cancellare i fatti storici emersi in quel processo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/01/nino-di-matteo-la-legge-cartabia-viola-la-costituzione-e-buio-per-noi-toghe/6375387/

Quirinale, Conte apre a Draghi e allontana Berlusconi dal sogno proibito del Colle. E ora i voti di Renzi possono diventare inutili. - Giuseppe Pipitone

 Quirinale, Conte apre a Draghi e allontana Berlusconi dal sogno proibito del Colle. E ora i voti di Renzi possono diventare inutili

I tempi non sono ancora maturi, ma l'ultima mossa del leader dei 5 stelle fa tornare d'attualità un'ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. I numeri infatti non mentono. I 43 voti che ha Italia viva saranno fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l'elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza.

Fermi tutti, si torna al piano originario: Mario Draghi al Quirinale. Potrebbero pure chiamarla “operazione Carlo Azeglio“, nel senso di Ciampi, già maestro del premier in Bankitalia, poi a capo di un governo tecnico citato più volte come termine di paragone dell’attuale esecutivo, infine presidente della Repubblica eletto al primo scrutinio. I tempi non sono ancora maturi, ma l’ultima mossa di Giuseppe Conte, maturata dopo la sconfitta dell’asse con il Pd nel voto al Senato sul Ddl Zan, fa tornare d’attualità un’ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. “Non possiamo escluderlo, serve una figura di altissima caratura morale e Draghi rientra in questa descrizione, ma devono realizzarsi varie condizioni”, ha detto il presidente dei 5 stelle. Tracciando una strategia difficile da attuare ma che potrebbe portare a tre obiettivi: risolvere il rompicapo del Quirinale a vantaggio dell’asse M5s-Pd, sbarrare la strada del Colle a Silvio Berlusconi o figure a lui vicine e neutralizzare le mire di Matteo Renzi. Ma andiamo con ordine.

Il tramonto di un’ipotesi – Dodici mesi fa il nome dell’ex presidente della Bce era quello del candidato naturale per raccogliere la successione di Sergio Mattarella. In un anno, però, il quadro politico è stato profondamente stravolto. L’agguato di Renzi ha portato alla caduta del governo Conte, che è stato sostituito alla guida dell’esecutivo proprio da mister Whatever it takes. Con l’entrata di Draghi a Palazzo Chigi, però, è andata via via tramontando l’ipotesi di un’elezione al Colle. Non perché il diretto interessato si sia dichiarato indisponibile: anzi fino a oggi Draghi ha sempre dribblato ogni domanda diretta sul tema. Semmai a escludere la sua elezione a capo dello Stato sono stati, per motivi diversi, i leader dei partiti che sostengono il suo governo: da una parte si producono in entusiastiche lodi per il premier, dall’altra sperano di portare al Colle qualcun altro e allontanare così lo spettro del voto anticipato.

Quelli che non vogliono Draghi (per ora) Mentre Berlusconi continua a coltivare per se stesso il sogno proibito di un’elezione che solo fino qualche mese fa sarebbe sembrata impossibile, gran parte dei parlamentari di Forza Italia non avrebbe alcun interesse a eleggere un capo dello Stato per poi tornare subito alle urne: perderebbero, infatti, il seggio con un anno d’anticipo. Simile la posizione di Matteo Salvini, impegnato in una sfida all’ultimo sondaggio con la rivale Giorgia Meloni che lo vede al momento sconfitto: in caso di voto anticipato, il capo della Lega sarebbe subalterno alla leader di Fratelli d’Italia. Secondo Enrico Letta, invece, mandare Draghi al Quirinale per poi andare al voto “non è l’interesse dell’Italia“. Una posizione dettata dall’evidente rischio urne, ma forse anche dal fatto che dentro al Pd sono in parecchi quelli che si considerano legittimi aspiranti al Colle: da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni.

La mossa di Conte – Nomi, questi ultimi, che secondo vari retroscena avrebbero lasciato freddo Conte. Il leader dei 5 stelle, cioè il partito di maggioranza relativa in Parlamento, ha dunque deciso di provare a giocare le sue carte: la prima che ha messo sul tavolo ha la faccia di Draghi. Conte, però, si è subito affrettato subito a spiegare che tale ipotesi non significherebbe un automatico ritorno alle urne. “Dobbiamo spingere al 6% di Pil, dobbiamo continuare ad attuare il Pnrr e l’avvio iniziale è fondamentale: in tutto questo, pensare di eleggere un presidente e un attimo dopo andare a votare, chiunque sia, non è nell’ordine delle cose”, è il ragionamento dell’ex presidente del consiglio. Un messaggio che ha due destinatari: da una parte i peones dei vari partiti e gruppi parlamentari che temono il ritorno alle urne, dall’altra l’alleato Letta. In effetti a pochi giorni dall’affossamento col voto segreto del ddl Zan al Senato, il segretario del Pd potrebbe aver già cambiato la sua opinione sul Colle. Sicuramente avrà ascoltato le dichiarazioni di Pier Luigi Bersani: “Temo che quella di Palazzo Madama sia una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale“, sono state le parole dell’ex segretario che nel 2013 ha perso la guida del Pd a causa dei franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi nella corsa al Colle. All’epoca i sospetti caddero tutti o quasi su Renzi, lo stesso che oggi i dem indicano come il regista occulto dell’azzoppamento della legge contro l’omotransfobia. E che secondo i maligni avrebbe già l’accordo col centrodestra per eleggere il nuovo capo dello Stato. È proprio per bruciare Renzi e il suo dialogo con Salvini e Berlusconi che Conte ha tirato fuori il nome di Draghi, spiegando che “bisogna avviare un percorso di confronto con tutte le forze politiche”. Anche col centrodestra? “Sì, anche col centrodestra“.

Il pallottoliere dei Grandi elettori – I numeri infatti non mentono. I 43 voti a disposizione di Italia viva sono fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l’elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza. Un nome che trovi il consenso di tutti o quasi è fino a oggi una ipotesi considerata molto improbabile. I tempi sono ancora poco maturi, ma di sicuro c’è solo che alla fine di gennaio del 2022 a Montecitorio si riuniranno i 1008 Grandi elettori chiamati ad eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica: ai 630 deputati e 320 senatori si aggiungeranno 58 delegati locali: ogni Regione sceglierà due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne la Valle d’Aosta che invierà a Roma solo un rappresentante. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi governa le Regioni, dovrebbero essere 33 del centrodestra e 24 del centrosinistra. Come è noto nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 673 voti. Dopo il terzo scrutinio, invece, è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 505. È a quel punto che, senza un accordo, si farebbero i giochi. Ed è per provare a evitare quel quarto scrutinio che Conte ha aperto a Draghi.

Il centrodestra parte da 451 voti – La coalizione formata da Fratelli d’ItaliaForza Italia e Lega può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 127 dei berlusconiani, 58 del partito di Giorgia Meloni, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali. Se a questi si sommano i 43 voti di Italia viva ecco che il totale fa 494: ne mancherebbero solo 11 per arrivare alla soglia magica di 505, utile per eleggere un presidente al quarto scrutinio. E undici voti, considerata la trasversalità dei gruppo Misto pià alcuni battitori liberi (i parlamentari di + Europa, quelli del Maie, cioè gli italiani all’Estero), non sono difficile da ottenere: tutt’altro. Ecco perché Berlusconi continua a sognare l’elezione.

Pd e 5 stelle: 420 voti – Dall’altra parte l’asse che si fonda sul centrosinistra più i Cinque stelle può contare su 420 voti. Il Pd ha 133 grandi elettori (Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), il M5s può contare su 233 preferenze, Leu 18Azione-+Europa 5, Centro democratico di Bruno Tabacci invece ha 6 deputati. Questo blocco, ai quali si aggiungono i 24 delegati regionali più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, arriva a quota 420. Ma ci sono anche molti ex 5 stelle che dal 2018 a oggi hanno perso più di cento parlamentari: tra quelli che fanno parte del gruppo l’Alternativa c’è (19) e quelli nel Misto (24), si può arrivare a 463 voti. A questo punto, dunque, i 43 Grandi elettori del partito di Renzi diventerebbero fondamentali per superare la soglia dei 505 pure per il centrosinistra.

L’operazione “Carlo Azeglio” – Ecco su cosa si basa la strategia di Renzi: spingere i due schieramenti a un muro contro muro che farebbe diventare i suoi 43 parlamentari fondamentali per decidere il prossimo presidente della Repubblica. Il quadro, però, cambierebbe completamente con Draghi in campo. Se il premier dovesse ufficializzare la sua disponibilità al Quirinale come farebbero i big del Pd – a partire da Letta – a motivare il loro mancato appoggio? E i colonnelli di Forza Italia, che tanto si sono vantati di aver spinto sul nome dell’ex presidente della Bce, come farebbero a votare per qualcun altro? Soprattutto se dovessero davvero materializzarsi le condizioni di un nuovo esecutivo, probabilmente guidato da un tecnico, che porti avanti la spesa dei fondi del Recovery fino alla scadenza naturale della legislatura. In questo caso si creerebbe una larga maggioranza, capace di eleggere il nuovo capo dello Stato magari già al primo scrutinio: nella storia repubblicana è successo solo tre volte, l’ultima nel 1999 proprio con Ciampi. Ecco perché l’elezione di Draghi sarebbe “l’operazione Carlo Azeglio“. Che dal punto di vista di Conte avrebbe un duplice vantaggio: sbarrare la strada a Berlusconi e trasformare i voti dei renziani da fondamentali a inutili.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/01/quirinale-conte-apre-a-draghi-e-allontana-berlusconi-dal-colle-e-ora-i-voti-di-renzi-possono-diventare-inutili/6372403/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Sovranità limitata. “Il pressing Usa su Giorgetti: ‘Draghi rimanga a Palazzo Chigi’” (Stampa, 25.10). Hanno già deciso anche chi mandare al Quirinale o ci lasciano ancora nell’incertezza?

Autopompe. “Draghi e Biden: la democrazia funziona” (Stampa, 30.10). Oste, è buono il vino?

I soliti sospetti/1. “Miccichè: ‘A cena con Renzi, sarà presto nel centrodestra’” (Repubblica-cronaca Palermo, 19.10). Presto?

I soliti sospetti/2. “Letta rompe di nuovo con Renzi: ‘Ormai quanto vale la sua parola?’” (Domani, 29.10). “Che parabola, Renzi: ormai ammicca alla destra” (Francesco Boccia, deputato Pd, Repubblica, 31.10). Ormai?

I soliti sospetti/3. “Ddl Zan, Letta: ‘Con Renzi ora è rottura’” (Repubblica, 29.10). Ora?

Centralità. “Renzi si gode la sua centralità” (Foglio, 28.10). Quella del dito medio.

Quisquilie. “L’infinita caccia al Cav. La procura di Firenze cerca (ancora) il legame tra Berlusconi e la stagione degli attentati” (Foglio, 28.10). Paura, eh?

Amici. “Colle, pranzo per lanciare Berlusconi. Salvini: ‘Puntiamo su un amico…’” (Repubblica, 29.10). Degli amici.

L’uomo-calcolatrice. “In 112 giorni di campagna elettorale ho subìto 93 attacchi: uno al giorno!” (Enrico Michetti, candidato sindaco di Roma per il centrodestra, 15.10). Le notti non contano.

Inattaccabile. “Berlusconi mesi fa mi disse che aveva contato e ricontato i voti ed era l’unico che poteva farcela a fare il presidente della Repubblica… perché su una cosa Berlusconi è inattaccabile: il fatto di essere uno statista” (Alessandro Sallusti, direttore di Libero, Dimartedì, La7, 26.10). Figurarsi sulle altre cose.

Slurp. “I complimenti e le strette di mano. Così Draghi ‘accorcia le distanze’. Lo stile del premier che incontra i ragazzi in Puglia” (Corriere della sera, 27.10). Quindi possiamo stringere mani anche noi, o vale solo per lui e per il suo stile?

La mosca cocchiera. “Il ‘partito’ di Draghi vale più del 20%, per Conte non c’è posto” (Ettore Rosato, coordinatore nazionale Iv, Riformista, 26.10). Il solito culo di Conte.

Ora si può dire. “Roma, la ripartenza del turismo. Impennata di prenotazioni: per ottobre camere e hotel romani riempiti al 100%. Nel settore il trend è in costante crescita a partire dall’inizio dell’estate” (Messaggero-cronaca Roma, 26.10). È già merito di Gualtieri o è ancora colpa della Raggi?

Dubbi. “Letta e Conte, prima mossa sul Colle. I dubbi del M5S su Gentiloni” (Repubblica, 26.10). Strano, una personcina così leale e affidabile.

Truppe marcenarie. “Tre milioni e mezzo di euri da Maduro. E mancherebbero i soldi per procurare a Travaglio una svedese?” (Andrea Marcenaro, Foglio, 28.10). E niente, nessuno che gli levi il fiasco.

La vera sinistra. “La sinistra guarisca dalla pensionite” (Irene Tinagli, vicesegretaria Pd, Foglio, 30.10). Giusto: i pensionati sono tutti di destra.

Senti chi parla/1. “I dubbi di Cottarelli su Quota 102: ‘Un compromesso’” (Stampa, 29.10). Infatti lui è andato in pensione a 59 anni.

Senti chi parla/2. “Paghiamo il fallimento del Pd” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, Giornale, 29.10). Vuoi mettere l’1% contro il 20%?

Riconoscenze. “Il mio pensiero in questo triste anniversario va a Stefano Cucchi, a sua sorella e alla sua famiglia. E a tutti coloro che nelle forze dell’ordine hanno aiutato ad arrivare alla verità. Perché non succeda mai più” (Enrico Letta, segretario Pd, Twitter, 22.10). E grazie anche a tutti coloro che in Egitto stanno aiutando ad arrivare alla verità sull’omicidio Regeni.

Vasto programma. “Richetti: ‘Un partito riformista da Gori a Mara Carfagna’” (Riformista, 27.10). Gnammm!

Il titolo della settimana/1. “L’Unione deve evitare di perdere la Polonia” (Corriere della sera, 29.10). Sennò tocca invadere di nuovo la Polonia.

Il titolo della settimana/2. “Il Reddito non crea lavoro” (Messaggero, 25.10). Ma va? Se il Reddito creasse lavoro, nessuno avrebbe bisogno del Reddito.

Il titolo della settimana/3. “Gualtieri: basta coi soliti rattoppi. Buche, nuovi fondi per rifarle” (Messaggero-cronaca Roma, 25.10). Perchè, non bastavano quelle vecchie?

Il titolo della settimana/4. “Remuzzi: ‘La svolta alla pandemia l’ha data Figliuolo’” (Libero, 25.10). Che sia un untore in alta uniforme?

Il titolo della settimana/5. “Le città del Pd hanno il record di reati” (Libero, 26.10). In effetti, il Pd governa anche ad Arcore.


https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/01/ma-mi-faccia-il-piacere-244/6375379/

domenica 31 ottobre 2021

Fondazione Open, 300mila euro da Onorato alla ‘cassaforte’ renziana. E l’armatore suggerì a Lotti le modifiche alla legge (poi approvata)

 

Nelle carte dell'inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti alla cassaforte nata per sostenere le iniziative politiche dell'ex Rottamatore, spuntano il flusso di soldi dell'imprenditore e di Moby e, soprattutto, il carteggio tra con il deputato toscano una ventina di giorni prima dell'approvazione di un decreto legislativo che gli stava a cuore: "Basterebbe riscrivere la legge in questi termini".

Trecentomila euro di donazioni alla Fondazione Open da un lato. Dall’altro le mail a Luca Lotti, tre settimane prima di un decreto legislativo sul riordino degli incentivi fiscali per le imprese marittime. Quindi il post sui social per ringraziare l’esecutivo guidato da Renzi: “Grazie Matteo: il primo governo che si prende a cuore i marittimi italiani”. Nelle carte dell’inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex Rottamatore, spuntano il flusso di soldi – in parte già noto – di Vincenzo Onorato e della compagnia Moby spa verso la ‘cassaforte’ renziana e, soprattutto, il carteggio tra l’imprenditore e Luca Lotti, ex braccio destro di Renzi. Per questo episodio, è bene chiarirlo, nessuno è finito sotto inchiesta.

I finanzieri che hanno svolto gli accertamenti su delega della procura di Firenze – che ha chiuso le indagini in cui sono coinvolti Renzi, Lotti, Maria Elena Boschi e altre 8 persone, ma non Onorato – hanno ricostruzioni il quantum delle contribuzioni erogate, tra il novembre 2015 e il luglio 2016, alla Fondazione Open da Onorato e dalla società di cui era presidente: 300mila euro. L’ipotesi è che sarebbero state finalizzate a consolidare rapporti con alcuni esponenti politici del Pd, tra cui l’onorevole Lotti, ritenuti potenzialmente utili agli interessi del gruppo. In che modo? Ci sono alcune comunicazioni che gli investigatori sottolineano nell’informativa. E vedono protagonisti proprio Onorato e Lotti. In particolare, Onorato l’8 ottobre 2016 avrebbe inviato una mail all’onorevole Lotti, con oggetto “Lettera a Luca”, in occasione dell’avvicinarsi dell’emissione di un decreto legislativo, poi approvato il 29 ottobre, relativo al riordino degli incentivi fiscali per le imprese marittime. Si tratta di uno dei temi per il quale l’ex numero di Moby si è sempre battuto, divenendone alfiere.

Nella mail – inoltrata per conoscenza anche all’ex deputato renziano Ernesto Carbone – l’imprenditore proponeva di limitare i benefici fiscali del Registro Internazionale Italiano solo alle compagnie che, nelle tratte tra due porti italiani, impiegavano personale italiano o comunitario sulle proprie navi, come poi è stato effettivamente previsto nel decreto legislativo vagliato ventuno giorni dopo. Nel testo della lettera di Onorato a Lotti si legge: “Per porre fine a questa indecenza basterebbe riscrivere la 30/98 in questi termini: usufruiscono dei benefici del registro internazionale italiano quelle compagnie che impiegano esclusivamente marittimi italiani e/o comunitari. Lo Stato risparmierebbe un mare di soldi e metterebbe fine a questa vergogna”. La Guardia di Finanza annota come nel testo si “manifesta la necessità di un intervento normativo di modifica della legge 30/98, indicando anche i “termini” dell’intervento stesso”. Dopo l’approvazione del provvedimento, Onorato scrisse un post su Facebook di ringraziamento dal titolo “Grazie Matteo: il primo Governo che si prende a cuore i marittimi italiani”.

I contatti tra Onorato e Lotti, sottolineano gli investigatori, continuarono negli anni successivi. Nell’informativa vengono riportati messaggi in chat tra i due fino al maggio 2018. Ce ne sono anche di ‘lamentele’ di Onorato per il modus operandi del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio: “Mi sono sentito molto abbandonato dopo la schifezza che ha fatto Delrio”, scrive Onorato. “Da Delrio capisco e immagino. Io ci ho provato fino in fondo”, la risposta del deputato toscano. Onorato replica: “Lo so, come Roberto C.”. Il riferimento con ogni probabilità è al senatore Roberto Cociancich, ora coordinatore di Italia Viva a Milano. Cociancich è il politico che ha dato il nome alla riforma di cui Onorato e Lotti: è stato lui a ‘disegnarla’ rimodulando il regime fiscale per gli armatori italiani. Il decreto legislativo, come detto approvato il 28 ottobre 2016, entrerà in vigore a distanza di 18 mesi, l’11 giugno 2018.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/30/fondazione-open-300mila-euro-da-onorato-alla-cassaforte-renziana-e-larmatore-suggeri-a-lotti-le-modifiche-alla-legge-poi-approvata/6374169/

ECOCARNIVORI O MEDITERRANEI, LE DIETE CONSAPEVOLI SONO IL CIBO CHE CI SALVERÀ. - A.M.

 

La svolta ecologica a tavola è fondamentale per aiutare la terra e la nostra salute e non possiamo più fare finta di nulla sapendo, con studi scientifici lo stato delle cose: esiste un cibo che è allo stesso tempo gentile con il corpo e con il pianeta.

È un cibo intelligente, adatto all’Antropocene, l’epoca geologica in cui sono gli esseri umani a influenzare gli eventi della terra.

Il cibo che ci salverà, come racconta l’autrice best seller Eliana Liotta nel suo nuovo libro edito da La Nave di Teseo.
Si sta cambiando in molti settori: la mobilità slow con il cammino per gli spostamenti, la bicicletta, il monopattino, l'autoibrida è una realtà sotto i nostri occhi. Ma certo non basta. Modificare il sistema alimentare, l'industria degli allevamenti e della pesca intensiva è decisivo perché da quel modo di produrre cibo dipende un terzo delle emissioni di gas serra, responsabili dell’aumento delle temperature e dunque del cambiamento climatico. Dobbiamo ricordare che dare una svolta ecologica alla produzione alimentare per frenare inquinamento e clima impazzito significa anche portare a tavola un cibo più salutare e che potenzia il sistema immunitario. Tendiamo a dimenticarcene: siamo parti del tutto. E oggi il cibo rappresenta una via per riformulare un equilibrio tra l’uomo e il pianeta. Con la consulenza dello European Institute on Economics and the Environment (EIEE, Istituto europeo per l’economia e l’ambiente) e il Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato, il quadro del cibo che si salverà riporta al centro un concetto fondamentale: Siamo quello che mangiamo e quello che mangiamo cambia il mondo.

Intervenire sul sistema alimentare, ecco perchè su basi scientifiche.

Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi se non si provvederà anche a modificare il sistema alimentare, ossia quello che mangiamo, allevamento, agricoltura, lavorazione, imballaggio e spedizione, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo (studio su Nature dell’8 marzo 2021). 

Per contenere nei prossimi anni il riscaldamento globale entro un grado e mezzo o due al di sopra dei livelli preindustriali, non è più sufficiente puntare solo sull’energia pulita e sulla riduzione dei combustibili fossili nelle industrie e nei trasporti, ma è indispensabile una food revolution (Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico dell’Onu, 2019).
Le quantità di gas serra che derivano dal bestiame, nel suo insieme, sono pari più o meno alle emissioni di tutti i camion, le auto, i velivoli e le navi del mondo messi insieme (stime Fao).
L’allevamento di mucche, pecore e capre è il responsabile principale delle emissioni di metano, gas prodotto durante la digestione dei ruminanti ed eruttato dagli animali, con un effetto serra superiore, e di molto, all’anidride carbonica prodotta dai trasporti e dalle industrie.
Si devastano immense aree di foreste per lasciare spazio agli allevamenti intensivi e ai terreni agricoli, spesso destinati alla produzione di soia come mangime per gli animali o di palme da olio per l’ingrediente di merendine e altri cibi ultra processati. Almeno tre i pericoli: vengono emesse grandi quantità di carbonio nell’atmosfera quando si abbattono gli alberi delle foreste; si devastano gli habitat naturali aumentando il rischio di insorgenza di nuove epidemie, perché si accorciano le distanze con gli animali selvatici; si eliminano polmoni verdi della terra.
Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche alla formazione di polveri sottili, le PM 2,5, le particelle piccolissime in grado di penetrare nei polmoni e di immettersi nel sangue. In Italia, tra il 1990 e il 2018, è diminuito l’inquinamento dovuto ai trasporti su strada, all’industria e alla produzione energetica, ma è aumentata del 10% la quota legata alla zootecnia (indagine Greenpeace).
Se la popolazione dei paesi industrializzati riuscisse a raddoppiare entro il 2050 i consumi di vegetali e dimezzasse quelli di zuccheri, farine raffinate e carni rosse e trasformate, si frenerebbe il riscaldamento globale e si eviterebbero almeno 11 milioni e mezzo di decessi prematuri all’anno dovuti ad abitudini alimentari malsane (Commissione EAT - The Lancet).
La carne rossa fornisce solo l’1% delle calorie alla popolazione della terra, ma rappresenta il 25% di tutte le emissioni che derivano da agricoltura e allevamento (studio su Nature del 27 gennaio 2021). Parallelamente è aumentata la fame nel mondo e tra i fattori chiave ci sono la variabilità climatica e i fenomeni estremi (Fao).
Combattere lo spreco alimentare e puntare sull’innovazione, con un’agricoltura sostenibile o con sperimentazioni come quella sulla carne sintetica, sono tasselli fondamentali di un Antropocene intelligente.

Cinque diete consapevoli.
Il tipo di cibo che si mangia è molto più importante del fatto che sia locale o biologico, così come del tipo di sacchetto che si utilizza per portarlo a casa dal negozio. Secondo le valutazioni dell’Onu, sono cinque le diete più note con un potenziale di mitigazione delle emissioni di gas serra e vantaggiose per la salute. Non bisogna rinunciare del tutto alla carne rossa per fare la differenza: si può scegliere di essere ecocarnivori, riducendone il consumo. Sul portale http://www.allevamento-etico.eu/ si può avere un censimento delle aziende agricole e delle fattorie che fanno allevamento nel pieno rispetto del benessere animale, rispettando i ritmi della natura, evitando loro sofferenze ingiustificate e lo stress che è dannoso anche agli uomini.
Le fonti proteiche vegetali, come legumi, cereali integrali e frutta a guscio, le opzioni più rispettose del clima. In generale, un occidentale medio dovrebbe raddoppiare il consumo di vegetali rispetto ai suoi standard.

DIETA MEDITERRANEA: non esclude alcuna categoria alimentare, prevede vegetali in abbondanza, carne rossa solo una volta alla settimana e un consumo moderato di latticini.
DIETA CARNIVORA CLIMATICA: all’interno di uno stile onnivoro, almeno il 75% del consumo di carne di ruminanti e di prodotti lattiero-caseari viene sostituito da carne di maiale, coniglio, pollo e tacchino. Difatti manzo, capretto, vitello e agnello hanno l’impatto climatico maggiore per grammo di proteine, mentre i vegetali tendono ad averne il minore. Maiale, molti tipi di pesce e pollame stanno nel mezzo, un po’ più su per impatto di carbonio i formaggi.
DIETA PESCETARIANA: prevede il consumo di pesce ma non di carne e in qualche variante nemmeno di latticini.
DIETA VEGETARIANA: esclude carne e pesce ma non uova, latte e latticini.
DIETA VEGANA: ammette solo fonti vegetali.

https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/food/2021/04/26/ecocarnivori-o-mediterranei-le-diete-consapevoli-sono-il-cibo-che-ci-salvera_3bbaabfc-fd73-4f80-9801-b3f6beb08619.html

La «grande fuga» degli avvocati: perché i giovani lasciano la professione. - Patrizia Maciocchi

 



Aumenta il numero di cancellazioni alla Cassa forense degli avvocati trentenni e a dire addio alla professione sono più le donne.

Ogni quattro nuovi iscritti alla Cassa degli avvocati ce ne sono tre che la lasciano. E ad andarsene sono sempre più i trentenni, mentre diminuiscono le uscite degli over 40. A dire addio alla professione sono più le donne, ma in linea generale negli ultimi anni il totale delle cancellazioni dalla Cassa forense raggiunge una quota che oscilla tra il 75 e l’84% delle nuove iscrizioni.

È questo il quadro che emerge dai dati forniti da Cassa forense, su new entry e abbandoni, con un saldo che, secondo il presidente Valter Militi, verosimilmente a fine 2021 sarà pari a zero se non addirittura negativo.

Meno cause e reddito in calo.

Le ragioni dell’emorragia sono evidenziate ancora una volta dai numeri. Che fare l’avvocato non sia più, per la maggior parte dei professionisti, una scelta particolarmente remunerativa è noto. Solo nel 2020 oltre 140mila legali hanno avuto accesso al reddito di ultima istanza, riservato a chi non raggiunge il tetto dei 50mila euro, e molti degli aventi diritto non superavano i 35mila euro. Utile anche sapere che il contenzioso civile negli ultimi 10 anni è diminuito del 36%, e dimezzato dal 2009, anche se c’è in vista una possibile ripresa delle “liti” dovuta all’effetto pandemia.

Verso il posto fisso.

Come ulteriore elemento ai tradizionali motivi di fuga da una professione che non dà più certezze, si aggiunge l’occasione del posto fisso: una garanzia offerta dai concorsi pubblici.
La prima opportunità da sfruttare per restituire il tesserino restando comunque all’interno delle aule giudiziarie è offerta del decreto di reclutamento per 16.826 addetti all’ufficio del processo con una prima tranche di 8.171 posti già assegnati: e quasi la totalità sono stati appannaggio di chi aveva una laurea in legge in tasca.
«Ci sono circa 100mila legali che hanno un reddito inferiore ai 20mila euro – spiega il neo presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, Francesco Paolo Perchinunno – naturalmente sono soprattutto giovani, e naturalmente soprattutto donne e del Sud. La fuga dagli albi – solo a Roma nei primi mesi del 2021 hanno lasciato in 600 – si spiega con l’importantissimo numero di concorsi pubblici messi in atto dallo Stato, al quale hanno partecipato, con successo, migliaia di colleghi».

Come arginare l’esodo

Dal vertice degli under 40 un suggerimento per arginare l’esodo verso il posto fisso: uscire dalla difesa giudiziale per entrare nel mercato extragiudiziale. Soprattutto nelle materie “emergenti” in quelle aree su cui si scommette con il Recovery plan: dalla transizione ecologica al digitale.

Ma a lasciare non sono solo i giovani. «L’inversione di rotta sul lavoro a 30 anni si può considerare quasi fisiologica – sottolinea il presidente dell’Unione camere civili Antonio de Notaristefani – ma dopo i 45 è quasi sempre una scelta drammatica. Sono molti i colleghi non giovanissimi che sono entrati in cancelleria. Per me è la sconfitta di una generazione. Tra le ragioni c’è il costo della giustizia. Per questo cala il contenzioso: non è la pace sociale, sono le spese di accesso al giudice troppo elevate».
E i numeri di chi rinuncia alle arringhe per lo stipendio fisso, sembrano destinati a salire.
«I dati del 2021 sono ancora parziali – dice il presidente di Cassa forense Valter Militi – perché le richiesta di cancellazione ci devono essere comunicate dagli Ordini. Ci aspettiamo però che l’effetto concorsi porti via dall’Albo entro il 2022 verosimilmente circa 15mila avvocati».
La Cassa mette in campo misure di sostegno alla professione:  dagli incentivi per le sinergie ai rimborsi spese del 50% per la formazione specialistica. Diversi i bandi per gli investimenti: dagli strumenti informatici al prestito fino a 15mila euro per l’apertura di uno studio destinato agli under 35.

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