sabato 15 gennaio 2022

Quelli che… figuriamoci. - Marco Travaglio

 

Quando, il 1° dicembre, uscimmo con la copertina “No al garante della prostituzione” e lanciammo la petizione contro B. al Quirinale, i tromboni dei giornaloni, quelli che la sanno sempre lunga, ridacchiavano: figuriamoci se B. sarà candidato al Colle, è solo una boutade per poi ritirarsi e fare il kingmaker di Draghi, ma il Fatto resuscita il suo cadavere perché non può fare a meno di lui. Figuriamoci. Sono 29 anni che questo trust di cervelli lo scambia per De Coubertin e dice “figuriamoci”. Nel 1993 il refrain era “figuriamoci se entra in politica”: ci entrò. Nel ’94 “figuriamoci se caccia Montanelli dal Giornale”: lo cacciò; “figuriamoci se vince le elezioni”: le vinse; “figuriamoci se va al governo senza vendere le tv”: ci andò e se le tenne. Nel ’96 “figuriamoci se non si ritira”: non si ritirò, anzi fu promosso padre costituente. Nel 2001 “figuriamoci se rivince”: rivinse; “figuriamoci se si abolisce i reati e i processi”: li abolì. Nel 2002 “figuriamoci se caccia Biagi, Santoro e Luttazzi”: li cacciò (con molti altri). Nel 2008 “figuriamoci se rivince”: rivinse per la terza volta. Nel 2009 “figuriamoci se sopravvive a Noemi, D’Addario&C”: sopravvisse. Nel 2011 “figuriamoci se la fa franca pure su Ruby”: la fece franca; “figuriamoci se, caduto il suo terzo governo, resta”: restò. Nel 2013 “figuriamoci se torna al governo”: ci tornò con Letta jr.; “figuriamoci se non lascia dopo la condanna definitiva, l’espulsione dal Senato e i servizi sociali all’ospizio”: non lasciò, anzi tornò padre costituente nel Patto del Nazareno con l’Innominabile.

Nel 2018-’20 era politicamente morto, non avendo armi per ricattare il M5S nei governi Conte-1 e 2. E pure di salute non se la passava bene, stando ai continui ricoveri e ai certificati medici esibiti per rinviare i processi, acquattato in Provenza con la scusa del virus. “Figuriamoci se torna”: a febbraio tornò, riabilitato dal Rignanese e accolto a gomiti aperti da Draghi. “Figuriamoci se il centrodestra lo candida al Colle”: ieri l’ha candidato. Diceva Luttazzi quando ancora poteva lavorare in tv: “Nella mia ingenuità, mi chiedevo come avrebbero fatto a far passare le leggi su falso in bilancio, rogatorie, conflitto di interessi, legittimo sospetto a favore di B. senza che la gente se ne accorgesse. Ora ho capito come fanno: lo fanno! Molto semplicemente. Chi glielo impedisce?”. La sua forza è da sempre la debolezza, anzi la nullità altrui: mentre tutti dicono “figuriamoci se lo fa”, lui lo fa. Perciò è sempre due o tre passi avanti. Ora, mentre tutti fingono di non volere il Quirinale, lui fa campagna elettorale (e acquisti) per agguantarlo. È difficile che ci riesca. A meno che qualche genio non cominci a dire: “Figuriamoci se diventa presidente della Repubblica”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/15/quelli-che-figuriamoci/6456792/

Berlusconi

 

Un Presidente della Repubblica con la pistola in bella vista sulla scrivania?

A me non piace per niente!

Chi è davvero B.? Ovvero: culto della personalità con vista sul Quirinale. - Gianni Barbacetto

 

“Chi come lui?”, si chiede il Giornale, in una struggente pagina pubblicitaria in cui enumera le virtù del suo padrone ed editore, auto-candidato alla presidenza della Repubblica. Firmata da “Forza Seniores”, i veterani del partito, che allineano un elenco di meriti, gesta e imprese capace di insidiare il culto della personalità di ogni “Piccolo Padre”, “Lider Maximo” e “Caro Leader” di tutto il mondo e di tutta la storia. Ma Silvio Berlusconi merita di più. Vogliamo dunque anche noi contribuire a questa elencazione di meraviglie, aggiungendo fatti, nomi e situazioni.

“Una persona buona e generosa”. Generosissima, in effetti. Tanto da impensierire i suoi figli, preoccupati per i molti milioni spesi per decine di amiche, accompagnatrici ed escort a cui ha passato per mesi uno stipendio e regalato buste gonfie di banconote da 500 euro, ma anche gioielli, appartamenti, ville da archistar, auto (preferibilmente Mini e Smart). Anche perché alcune di queste mostravano segni d’impazienza e minacciavano di andare a raccontare cose ai magistrati.

“Il padre di cinque figli e nonno di quindici nipoti”. Lo garantisce l’anagrafe. La storia aggiunge che “Papi” aveva, in più, decine di protette, assistite, aiutate, alcune anche minorenni.

“Un amico di tutti, nemico di nessuno”. Amico di tutti coloro che lo ossequiano. Amico, fino all’ultimo, anche di Vittorio Mangano, boss di Cosa nostra per anni ospitato ad Arcore come garante dei patti stretti da un altro eterno amico, Marcello Dell’Utri, con la mafia siciliana. Nemico feroce, però, di chi lo ha ostacolato, anche solo per ruolo istituzionale: come i magistrati, definiti “peggio delle Br”, “un cancro dell’Italia”.

Tra i primi contribuenti italiani”. Non per suo merito e generosità, ma per effetto della sua ricchezza e della Costituzione repubblicana. Effetto a cui però è sfuggito per anni, nascondendo al fisco italiano, grazie allo schermo di società estere, un consistente malloppo: almeno 368 milioni di dollari, che gli hanno procurato la condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale, misurata sui 7,3 milioni sopravvissuti alla prescrizione.

“Tra i primi imprenditori italiani per la creazione di posti di lavoro”. Nel 2001 prometteva 1 milione di posti di lavoro. Secondo la voce.info, il saldo netto degli occupati, nel corso dei suoi quattro incarichi da presidente del Consiglio, è di soli +71 mila occupati.

“Un self-made man". Un esempio per tutti gli italiani”. “Mi sono fatto da solo”, racconta. Ha avuto però aiutini consistenti. Da Bettino Craxi, che ha blindato le sue tv (anche con il “decreto Berlusconi” del 1984) e consolidato il sistema delle tre reti, poi legittimato dalla legge Mammì. Aiutini anche dalla P2, che gli permette di accedere al credito di istituti con piduisti al vertice, come Montepaschi e Banca Nazionale del Lavoro.

“L’inventore e costruttore delle città ‘sicure’ con tre circuiti stradali differenziati”. È il modello di Milano 2, copiato dalle “città giardino” francesi.

“Il primo editore d’Italia e il più liberale”. Primo editore dopo aver scippato la Mondadori a Carlo de Benedetti con una sentenza comprata. Liberale? Vallo a spiegare a Daniele Luttazzi, a Michele Santoro, a Enzo Biagi.

“Il fondatore della tv commerciale in Europa”. Le tv private nascono prima di lui. Berlusconi le rende una potenza economica e politica in grado di gareggiare con la tv pubblica (secondo il programma piduista del “Piano di rinascita democratica”)

“Il fondatore con Ennio Doris della ‘Banca del futuro". Uno spot: Banca Mediolanum è una delle tante piccole banche online cresciute in tutto il mondo.

“Il fondatore del centro-destra liberale, cristiano, europeista e garantista”. Nel 1994 Berlusconi per vincere inventa un’alleanza elettorale che mette insieme la Lega di Bossi (pagana, secessionista, forcaiola e né liberale, né europeista) e i post-fascisti del Msi (storicamente anti-liberale). Il “garantismo” lo impone dopo, per salvarsi dai processi.

“Il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica”. Sì, e anche quello con più processi a carico, più prescrizioni, più leggi ad personam.

“L’ultimo presidente del Consiglio eletto democraticamente dagli italiani (2008)”. Rileggere la Costituzione, please: nella Repubblica parlamentare (e non presidenziale) il presidente del Consiglio è votato dal Parlamento.

“Il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell’Aquila (2009)”. Il “miracolo” dell’Aquila? Il 29 settembre 2009 si inaugurano i primi 400 appartamenti del progetto C.A.S.E., la new town che avrebbe dovuto far risorgere la città distrutta dal terremoto del 6 aprile. Ma è sufficiente leggere le cronache successive per sapere che quella è rimasta una città fantasma: con alloggi inabitabili, balconi che crollano e piattaforme in deterioramento.

“Il presidente del Consiglio che mise fine alla guerra fredda realizzando l’accordo di Pratica di Mare tra George Bush e Vladimir Putin (2002)”. Svarione storico? La guerra fredda finisce nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la successiva implosione dell’Unione sovietica.

“Il leader occidentale più apprezzato e più applaudito (8 minuti) nella storia del Congresso americano”. Anche quello più ricordato nel mondo per per foto plastiche come quella dell’8 febbraio 2002 quando fa le corna al ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué, o per filmati come quello del vertice Nato a Baden-Baden, in cui invece di dirigersi verso la cancelliera tedesca Angela Merkel che lo aspettava, si apparta sulla riva del fiume per fare una telefonata.

“L’italiano più competente nella politica internazionale, ascoltato e apprezzato, autorevole e umano, capace di intessere e coltivare le amicizie personali più profonde con i più importanti leader mondiali”. “Com’è umano lei!”.

“E soprattutto l’eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel’94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale”. Qui il culto della personalità raggiunge il culmine. Nel 1994 Berlusconi “beve l’amaro calice” di fondare un partito e “scendere in campo”, spinto soprattutto da Marcello Dell’Utri, perché capisce che la fine della cosiddetta Prima Repubblica lo lascia privo del sostegno politico che gli arrivava da Bettino Craxi e dalla destra Dc. Sa che i magistrati di Mani pulite prima o poi arriveranno anche a lui, visto le tangenti che ha pagato, come e più di tanti altri imprenditori di Tangentopoli. La sua Fininvest, poi, in quegli anni è in situazione prefallimentare, con 7.140 miliardi di lire di debiti nel 1992. Berlusconi diventa “l’eroe della libertà”, per risolvere i suoi problemi politici, giudiziari e finanziari.

http://www.giannibarbacetto.it/2022/01/14/45274/?fbclid=IwAR2J4FZP2cDLbdZwJfqZ5kVogbz1ZOUiFyAbsMwYSqvRoODvDfXzaNxc_D0

venerdì 14 gennaio 2022

David Rossi, Polizia Postale: “La mail in cui annunciava il suicidio creata dopo la sua morte”. Era stata considerata prova chiave.

 

L'anomalia di cui dà conto il rapporto, di cui Il Fatto Quotidiano aveva scritto già nel dicembre 2020 e che viene ora riproposto dall'Espresso, era nota da tempo agli inquirenti. L'avvocato della famiglia Rossi: "La risposta che ci è stata data è che la procura di Genova non aveva delega per indagare sulla morte di Rossi ma solo sulle indagini fatte a Siena. Grave che non ci sia stata alcuna verifica ulteriore".

La mail con cui David Rossi, l’ex responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, annunciava all’ex ad della banca Fabrizio Viola l’intenzione di suicidarsi è stata in realtà creata dopo il ritrovamento del suo cadavere. Lo afferma una relazione della Polizia postale di cui Marco Grasso su Il Fatto Quotidiano aveva dato notizia nel dicembre 2020 e di cui ora torna a scrivere L’Espresso. Il documento mette in dubbio quella che era stata utilizzata come prova chiave per chiudere il caso come suicidio. L’anomalia è nota da tempo agli inquirenti, poiché si trova tra gli allegati alla richiesta di archiviazione della procura di Genova che indagava sui colleghi di Siena e sulle indagini sulla morte di Rossi.

Rossi è stato trovato senza vita la sera del 6 marzo 2013, dopo essere caduto da una finestra della sede centrale di Mps in piazza Salimbeni. Secondo la polizia postale la mail incriminata, apparentemente inviata il 4 marzo 2013, è stata invece creata il 7 marzo. Il messaggio – “Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi!!!” – è collocato all’interno di uno scambio di mail tra Rossi e Viola. La Polizia postale ha trovato due versioni di questa mail, con la stessa frase, “ma entrambe hanno data di creazione il 7 marzo 2013” alle ore 11.41. Invece, “il delivery time è del 4 marzo 2013 alle ore 10.13”. “Va rilevata l’anomalia, alla quale non è stato possibile trovare elementi di risconto in questo hard disk”, conclude la Polposta.

La famiglia di Rossi ha sempre contestato la tesi del suicidio e l’avvocato Carmelo Miceli, che la rappresenta, sottolinea che questo è un elemento importante che non è stato approfondito. “La risposta che ci è stata data – dice il legale, citato dall’Espresso – è che la procura di Genova non aveva delega per indagare sulla morte di Rossi ma solo sulle indagini fatte a Siena, archiviando comunque qualsiasi ipotesi di errore da parte dei colleghi della procura di Siena. Per noi rimane comunque grave che di fronte a quanto scritto dalla polizia postale non ci sia stata alcuna verifica ulteriore, considerando che parliamo della prova chiave che avrebbe giustificato per gli inquirenti la tesi del suicidio, visto che l’avrebbe anche annunciato due giorni prima al suo superiore”.

Lo scambio di mail tra Rossi e Viola di quel 4 marzo comincia la mattina verso 9 e va avanti fino al pomeriggio. I temi affrontati sono delicati, si parla di una avvenuta perquisizione da parte della Guardia di Finanza e traspare lo stato d’ansia di Rossi (“Ti posso parlare del tema di stamani? E’ urgente. Domani potrebbe essere troppo tardi”). Viola comunque risponde sempre e alle 14.40 scrive: “Ho riflettuto. Essendo cosa molto delicata credo che cosa migliore sia quella che tu alzi il telefono e chiami uno dei pm per chiedere un appuntamento urgente”. La conversazione, sempre rimpallandosi la stessa mail con tutti i testi precedenti, viene chiusa alle ore 17.12 quando Rossi scrive a Viola: “In effetti, ripensandoci, sembravo pazzo, a farmi tutti questi problemi. Scusa la rottura… ciao David”.

In questo alternarsi di messaggi la mail delle ore 10.13, in cui Rossi annuncia il suicidio, appare del tutto fuori contesto ed estranea allo scambio, che avviene sempre con i testi precedenti allegati. Ascoltato dai magistrati Viola dice a verbale di non ricordare un simile messaggio, riconoscendo invece “tutte le altre mail scambiate con lui quel giorno”. Dai tabulati telefonici, inoltre, non risultano telefonate tra i due dopo le 10:13, e appare incredibile che Rossi e Viola non si siano sentiti a voce dopo una comunicazione così drammatica, proseguendo invece via mail una normale conversazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/13/david-rossi-polizia-postale-la-mail-in-cui-annunciava-il-suicidio-creata-dopo-la-sua-morte-era-stata-considerata-prova-chiave/6455211/

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La mail con la quale David Rossi annunciò il suicidio fu “creata dopo la sua morte”. - Biagio Chiariello

 

La misteriosa vicenda della morte di David Rossi, l’ex responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, si tinge ulteriormente di giallo. La mail nella quale il manager annunciava il suo suicidio fu "creata dopo la sua morte". A sottolinearlo è una relazione della Polizia postale che "mette in dubbio la prova chiave utilizzata per chiudere il caso come suicidio". Lo riporta L'Espresso, che cita il contenuto del documento degli investigatori.

David Rossi è morto la sera del 6 marzo 2013 dopo essere caduto da una finestra laterale della sede centrale di Mps in piazza Salimbeni. Secondo la polizia postale la mail incriminata, apparentemente inviata il 4 marzo 2013, è stata invece creata il 7 marzo. Il messaggio – “Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi!!!” – è collocato all’interno di uno scambio di mail tra Rossi e l'ex ad del Monte dei Paschi, Fabrizio Viola, il quale davanti a magistrati ha riconosciuto tutta la corrispondenza letta quel giorno, tranne quella in cui Rossi avrebbe manifestato l'intenzione di togliersi la vita.

https://www.fanpage.it/attualita/la-mail-con-quale-david-rossi-annuncio-il-suicidio-fu-creata-dopo-la-morte/

Gas e nucleare tra le fonti «green»: perché la Ue ha rinviato la decisione. - Giuseppe Chiellino

 

Slitta dal 12 al 21 gennaio la chiusura della fase di consultazione degli stati membri sull’atto delegato della Commissione europea che deve decidere se e fino a che punto il gas e nucleare possono essere considerate fonti energetiche “verdi” e dunque possono rientrare nella tassonomia, la classificazione che Bruxelles sta mettendo a punto per mobilitare gli investimenti privati sulle fonti più sostenibili per l’ambiente e dunque necessarie per raggiungere la neutralità climatica al 2050.


Le motivazioni del rinvio.

Il rinvio - di cui si parlava da qualche giorno - è stato motivato con l’esigenza di dare più tempo ai governi per valutare la proposta di tassonomia presentata alle capitali il 31 dicembre, poche ore prima dello scoccare della mezzanotte in modo da rispettare anche formalmente l’impegno che Ursula von der Leyen aveva preso con gli Stati membri.

Il rinvio della deadline riguarda solo la consultazione con la Piattaforma sulla finanza sostenibile e con i 27, mentre resta invariata - per ora - la scadenza di fine mese per l’adozione dell’atto che per sua natura non è modificabile: Consiglio e Parlamento hanno quattro mesi di tempo (che molto probabilmente diventeranno sei) per approvarlo così com’è o bocciarlo con una maggioranza qualificata.

Secondo il calendario dei lavori del collegio, la data per l’adozione del controverso provvedimento dovrebbe essere il 26 gennaio, ma è plausibile che venga posticipata anche questa.L’intervento della Commissione dal punto di vista degli equilibri politici tra gli Stati membri è di una delicatezza estrema, come dimostrano le fibrillazioni crescenti delle ultime settimane.

Gas e nucleare secondo Bruxelles.

Bruxelles da tempo ritiene che il gas naturale e il nucleare hanno un ruolo come fonti per la transizione verso un futuro basato prevalentemente sulle rinnovabili. La loro classificazione nella bozza del provvedimento perciò è subordinata a condizioni molto rigorose che stanno facendo molto discutere, e ha creato diversi fronti.

Il primo, guidato dalla Francia, è a favore del nucleare. Per il presidente Macron si tratta di una questione esistenziale: con 58 centrali (molte di vecchia generazione) il Paese è il primo produttore di energia nucleare della Ue (37%) e con essa copre il 75% del proprio fabbisogno energetico.

Il fronte a guida francese.

«Un compromesso è un compromesso. Per noi l’essenziale è che il nucleare figuri nella tassonomia Ue» ha detto il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, dopo aver incontrato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis.

«Se vogliamo ridurre le emissioni di CO2, servono le rinnovabili, ma anche il nucleare». Posizione identica a quella del commissario al Mercato unico, il francese Thierry Breton: «Non c’è modo per l’Europa di raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette nel 2050 senza l’energia nucleare» che richiede investimenti per «500 miliardi di euro per le centrali di nuova generazione».

L’opposizione di Berlino.

La Germania, che dopo il disastro di Fukushima ha deciso si smantellare il nucleare entro quest’anno e che riceve il gas russo con i due gasdotti NordStream, conferma la contrarietà all’energia dall’atomo ma Bruxelles spera che non arrivi ad aprire uno scontro con la Francia che ha la presidenza di turno della Ue e con la quale deve discutere altri delicati dossier, a cominciare dalla riforma del Patto di stabilità.

Il governo di Berlino, con dentro i Verdi, dovrebbe dunque astenersi e non seguire il fronte antinuclearista duro e puro guidato dall’Austria che per opporsi al provvedimento si è detta disposta ad impugnarlo davanti alla Corte di giustizia.

Contrario al nucleare è anche il Lussemburgo ma non basta a cambiare gli equilibri in Consiglio dove Spagna e Portogallo sono contrari sia al gas che al nucleare e spingono per una scelta più netta sulle rinnovabili.

C’è poi il fronte a Est, dove è ancora forte la dipendenza dal carbone e non ci sono preclusioni al nucleare. Da quelle parti i paletti in termini di riduzione delle emissioni previste dalla bozza di Capodanno non piacciono, vorrebbero quanto meno allentarle se non proprio un “liberi tutti”. E l’Italia?

La posizione italiana.

Il nostro governo non si è ancora espresso apertamente. Il sistema energetico nazionale ha bandito da decenni il nucleare ed è basato sul gas, il che spinge a pensare che il governo possa assumere una posizione molto vicina a quella tedesca che permetterebbe di non mettersi contro la Francia e nello stesso tempo - come ha spesso ricordato il ministro della Transizione ecologica, Cingolani - lascia aperta la porta per la ricerca sui reattori di IV generazione.

Le prossime settimane saranno segnate ancora da incontri, colloqui e trattative, alla ricerca dell’inevitabile «compromesso politico» richiamato da Dombrovskis dopo l’incontro con Le Maire.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/gas-e-nucleare-le-fonti-green-perche-ue-ha-rinviato-decisione-AEjWrB7

I Ferri del mestiere. - Marco Travaglio

 

“Noi i nostri li cacciamo, i partiti i loro li coprono”. Ogni volta che Davigo ricorda l’impunità di gregge della politica, opposta al maggior rigore dei magistrati, le vergini violate del garantismo all’italiana insorgono come un sol uomo. Salvo poi fare di tutto per dargli ragione. Era accaduto un mese fa col doppio salvataggio di Renzi (Open) e Giggino ’a Purpetta (camorra) nella giunta del Senato. È riaccaduto giovedì alla Camera col salvataggio quasi unanime di Cosimo Ferri (contrari solo i 5Stelle e gli ex). Ferri è un magistrato in aspettativa, già leader di Magistratura Indipendente e presidente dell’Anm, prestato alla politica (che per fortuna non l’ha più restituito): sottosegretario tecnico alla Giustizia in quota FI nel governo Letta jr. e in quota Alfano-Verdini nei governi Renzi e Gentiloni, deputato Pd dal 2018 e poi Iv, è un presenzialista degli scandali: il suo nome saltò fuori, senza conseguenze penali per lui, in Calciopoli, nella P3 e nei traffici di B. con l’Agcom per cacciare Santoro. Poi fu beccato a far campagna elettorale, da via Arenula, per due amici alle elezioni del Csm. Si scoprì che nel 2013 aveva accompagnato il giudice Amedeo Franco a casa di B. per rinnegare la condanna definitiva, peraltro firmata anche da lui e in veste di relatore. Nel 2019 i pm di Perugia che indagavano su Luca Palamara per corruzione lo sorpresero all’hotel Champagne di Roma col magistrato inquisito, con Luca Lotti e con 5 membri del Csm, in una cena per decidere i nuovi procuratori di Roma (dov’era imputato Lotti) e Firenze (dove l’Innominabile aveva già mezza famiglia nei guai).

Sapete che fine han fatto i commensali del Champagne? Palamara è stato radiato dalla magistratura e i 5 consiglieri del Csm han dovuto dimettersi. Invece Lotti resta deputato del Pd (“autosospeso”, qualunque cosa significhi, dal 2019) e Ferri di Iv. Siccome Ferri resta magistrato, il Csm ha aperto un procedimento disciplinare in base alle intercettazioni indirette della famosa cena (il bersaglio del trojan era Palamara). Ma siccome è pure un politico, la casta gli ha eretto un impenetrabile muro protettivo: tutti i partiti di destra, centro e sinistra (eccetto il M5S) hanno negato al Csm l’autorizzazione a usare le captazioni in base alla privacy (come se si parlasse di malattie, e non di Procure) e – udite udite – al fumus persecutionis. Invano il grillino Saitta ha provato a far notare ai colleghi che è difficile perseguitare Ferri indagando Palamara: per non farsi perseguitare, bastava non andare a quella cena o fuggirne non appena fu chiaro che si stavano pilotando nomine di procuratori in barba alla separazione dei poteri. Ma è stato tutto inutile. La casta non si processa. Anzi la cosca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/14/i-ferri-del-mestiere/6455387/