sabato 12 febbraio 2022

Tornano a camminare con elettrodi in midollo.

 

Tre persone paralizzate sono tornate a camminare, nuotare e pedalare grazie a elettrodi impiantati nel midollo spinale. Il risultato, pubblicato su Nature Medicine, si deve al gruppo coordinato dal Politecnico di Losanna, al quale l’Italia partecipa con Silvestro Micera, che lavora alla Scuola Superiore Sant’Anna. Il dispositivo consiste in alcuni elettrodi innestati nel midollo, che inviano ai muscoli di gambe e tronco gli stimoli elettrici generati da un tablet controllato dal paziente. In un solo giorno i 3 volontari hanno ripreso a camminare e hanno imparato a controllare movimenti complessi, come nuotare e pedalare, anche al di fuori del laboratorio. “È un sogno che si avvera”, ha detto l’italiano Michel Roccati, uno dei tre pazienti.

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Più pelo per tutti. - Marco Travaglio

 

Il garrulo Giuliano Amato, nella sua ultima reincarnazione di presidente della Consulta, anziché tacere in attesa di pronunciarsi il 15 febbraio con i 14 colleghi sull’ammissibilità degli 8 referendum (sulla cannabis, l’eutanasia e la giustizia), twitta: “I referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”. In realtà, proprio perché i referendum sono una cosa molto seria, la Corte deve valutare se le norme prodotte da un successo dei Sì sarebbero compatibili con la Costituzione. Anche cercando il pelo nell’uovo, che è inversamente proporzionale al pelo sullo stomaco (di cui Amato, nelle sue numerose vite, ha dato prove preclare). Quello sulla cannabis è compatibile con la Carta. Quello sull’eutanasia tocca una materia così delicata che merita una legge ben ponderata, non la scure del Sì/No. E quelli sulla giustizia sono quasi tutti incostituzionali.

1. Responsabilità civile. Oggi chi ritiene di aver subìto un torto dalla giustizia può chiedere i danni allo Stato. Se passa il referendum, potrà fare causa direttamente al magistrato. Così chiunque sarà condannato nel penale o si vedrà dar torto nel civile denuncerà i suoi giudici. Che, per evitarle, non condanneranno più nessuno o daranno sempre ragione ai potenti e mai ai deboli. Ma “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 117). 2. Manette vietate. Niente più custodia cautelare in carcere per finanziamento illecito ai partiti e per tutti “i delitti puniti con pene sopra i 5 anni” (per gli altri già non è prevista), salvo nei casi di “concreto e attuale pericolo” che uno reiteri “gravi delitti con armi o di altri mezzi di violenza” o di mafia e terrorismo. Così ladri, scippatori, bancarottieri, evasori, frodatori, corrotti, corruttori, concussori, truffatori, stalker verrebbero fermati e subito scarcerati dopo 48 ore. Una follia contraria ai principi di eguaglianza, di ragionevolezza e con le esigenze di ordine pubblico. 3. Carriere separate. A parte l’assurdità del merito, l’“ordine giudiziario” unico fra pm e giudici è sancito dalla Costituzione, che non si cambia coi referendum abrogativi. 4. Legge Severino. Si vuole abolire l’incandidabilità dei condannati definitivi per gravi o gravissimi reati. Ma o si abroga l’articolo 54 della Costituzione, che impone “disciplina e onore” a chi ricopre cariche pubbliche, o si cancella il referendum. 5. Consigli giudiziari. Nelle filiali locali del Csm che giudicano i magistrati, voterebbero pure gli avvocati. Così quello di Messina Denaro potrebbe dare la pagella a chi lo sta cercando. 6. Elezioni del Csm. Chi si candida non dovrà più raccogliere firme. Almeno questo quesito è compatibile con la Costituzione: infatti non frega niente a nessuno.

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Amianto, la nuova legge è finita in un cassetto. Fu consegnata dagli esperti a giugno del 2020. Osservatorio nazionale: “7mila morti l’anno non bastano, al governo non interessa”. - Thomas Mackinson

 

La legge sull'amianto del 1992 non garantisce alle vittime tutele e giustizia. L'ex ministro Costa aveva nominato una commissione (presieduta da Guariniello) che ha consegnato in tempi record una relazione, con tanto di articolato di legge. Poi cade il governo, e da un anno e mezzo non se ne sa nulla. Il presidente dell'Ona: "Manca la volontà politica, a qualcuno interessa più il nucleare". Ecco il testo dimenticato.

“Nel Pnrr non c’è quasi nulla. Il ministro Cingolani non ci convoca, né ci sconvoca. Della nostra bozza di riforma si son perse pure le tracce. Settemila morti l’anno, evidentemente, non bastano”. Parole di Ezio Bonanni, fondatore e presidente dell’Osservatorio nazionale sull’amianto (Ona) che arrivano proprio mentre il Parlamento celebra la simbolica iscrizione della tutela ambientale in Costituzione. Il giorno prima era riuscito a ottenere dal Tribunale di Genova l’ultimo indennizzo per i familiari di un operaio dello stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso ucciso in sei mesi dal mesotelioma. Per Bonanni, però, non è tempo di festeggiare. Perché anche il “governo dei migliori” mette l’amianto sotto il tappeto. “Non c’è una vera agenda, nel recovery c’è giusto un incentivo per sostituire i tetti delle fattorie, nulla rispetto ai 40 milioni di tonnellate da bonificare. Nel superbonus 110% entra la rimozione amianto, ma solo se ristrutturi tutto. Tutti micro interventi, mentre serve una riforma strutturale che era pure già scritta, ma è finita nel nulla”.

L’Italia aveva l’occasione storica del recovery per affrontare questa grande battaglia di salute pubblica e ambientale che si trascina irrisolta dagli anni Novanta, quando la fibra fu messa al bando per legge, continuando però a mietere vittime. Solo il mesotelioma uccide ogni anno 7mila persone: considerato il periodo di latenza delle patologie asbesto-correlate, il picco delle morti cadrà intorno al 2028-2030, solo da lì inizierà una lenta decrescita dei casi. “Ma alla politica, a quanto pare, non importa” accusa Bonanni, che chiama in causa il ministro dell’ambiente: “Forse, lo dico col dovuto rispetto, a Cingolani sta più a cuore il nucleare”.

Bonanni pensa a un’altra occasione storica che si è persa per strada, di cui si sa poco o nulla. Due anni fa una speciale commissione di esperti, guidati dall’ex magistrato simbolo della lotta all’eternit Raffaele Guariniello, aveva lavorato alla stesura di una serie di proposte concrete di riforma organica della legge del ’92 che toccasse tutte le tematiche, gli aspetti giuridici, scientifici, sanitari, tecnici, procedurali, previdenziali e assistenziali per aggiornare la norma. “La commissione ha lavorato finché c’è stato il Conte II, da allora non è più stata convocata e né io né gli altri commissari sappiamo più niente. L’ultima riunione è del 15.12.2020, successivamente ho redatto una nota del 16.12.2020 alla quale non è stato dato alcun riscontro. A tutt’oggi attendiamo le determinazioni del Ministro”. Ma negli uffici di via Cristoforo Colombo si fatica pure a trovare quel testo.

A spingere per la riforma fu l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa. A marzo del 2019, per decreto, nomina il gruppo esperti in materia. A presiederla è proprio Guariniello, l’ex magistrato che istruì l’omonimo processo a Torino, primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati. Anche Bonanni ne fa parte, insieme all’ex generale Giampiero Cardillo, nominati il 30 aprile 2019. Gli esperti si mettono al lavoro e a tempo record, meno di tre mesi dopo, presentano una corposa relazione con tanto di articolato di legge. “Guardi ho anche la data, era il 30 giungo 2020. Gli elaborati li consegnai di persona al ministro Costa, che ringrazio ancora per questa opportunità”, conferma Guariniello in un’intervista al fattoquotidiano.it in cui lancia l’allarme sul rischio di crescenti profili di impunità cui prestano il fianco le norme ora in vigore.

Fonti dell’ex segreteria del ministero spiegano : “Almeno la parte della relazione relativa agli aspetti penali e sanzionatori eravamo riusciti a inserirla nel collegato ambientale, poi ci fu la crisi di governo, e anche quella parte rimase al Dipartimento Affari Giuridici della Presidenza del Consiglio”. Da allora, non se ne sa più nulla. Guariniello non demorde: “Non è stato formalmente recepito come proposta di legge dal governo, auspico che si arrivi alla discussione parlamentare e confido molto nel lavoro delle commissioni. Sarebbe di aiuto alle tante comunità che aspettano risposte e giustizia, un giusto riconoscimento a tutti gli autorevoli membri della commissione che hanno profuso tanto impegno”. Prima però bisogna ripartire dal testo, impresa non proprio facile. Solo alla fine di un lungo giro di chiamate, con malcelato imbarazzo degli interlocutori, la bozza fantasma salta fuori dal cassetto (scarica).

E’ un documento di 58 pagine che riformula diversi articoli della 257/92 in modo da dare piena attuazione ad alcuni e aggiornare altri, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche, epidemiologiche, giuridiche, economiche emerse in 30 anni. Tra gli altri, si prevedeva di bandire una volta per tutte l’amianto già posto in opera, facendo saltare le soglie di tolleranza limite. Di operare una stretta sui controlli delle dispersioni della lavorazione e degli smaltimenti, sull’obbligo di informazione alla autorità sanitarie elusi dalle imprese sottoposte oggi a una “sanzione meramente amministrativa di incerta applicazione”. Idem per gli adempimenti delle Asl che hanno compiti di vigilanza “non applicati sistematicamente”. Si ipotizza di rilanciare e sostenere le bonifiche con una strategia che integra finanziamento pubblico e credito di imposta per chi le fa, così da incentivare l’iniziativa privata. Di istituire un vero fondo per le vittime, pagato dagli inquinatori, che consenta l’indennizzo diretto da parte dello Stato che poi può rivalersi. Tema sentitissimo dalle associazioni delle vittime che se riconosciute tali dall’Inail devono poi sostenere lunghe cause per avere ragione di chi li ha fatti ammalare. “Oggi – spiega Bonanni, che in 20 anni ne ha patrocinate migliaia – siamo al paradosso per cui l’avvocato serve alla vittima, non a chi la uccide”.

E ancora: istituire una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, operare una “radicale trasformazione della fattispecie criminosa che oggi si limita all’ammenda punita con contravvenzione”, rafforzare le pene legate all’inosservanza degli obblighi dei privati, alla punibilità degli enti e amministratori pubblici. Rivedere il sistema di sorveglianza e prevenzione epidemiologica. “Oggi censisce solo il mesotelioma, non le altre sostanze cancerogene. Il VI Rapporto risale all’autunno 2018 ed è basato su dati 2014-2015. Con un sistema di rilevazione più puntuale, attuale ed efficace i dati già allarmanti renderebbero meglio la dimensione e la progressione della carneficina in atto”. L’elenco è lungo e variegato, ma a distanza di un anno e passa, è ancora tutto sulla carta. Tanto caro agli attuali governanti che si fatica pure a trovarlo.

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Energie rinnovabili, in Puglia il primato non basta: pronta l’autorizzazione di altri 500 impianti. - Rosanna Lampugnani

 

Eolico e fotovoltaico, la regione produce il 70% in più del suo fabbisogno. Il nodo del consumo di suolo: gli agricoltori sono penalizzati. Ora serve un piano strategico.

Iren energia, società multiutility attiva in Piemonte, Liguria e in Emilia Romagna, puntando sulle produzioni rinnovabili, ha acquistato in Puglia il più grande parco solare d’Italia, il “Troia solar park” che si estende su circa 150 ettari e produce 103 megawatt, e quello più piccolo di Palo del Colle, di circa 70 ettari, che produce 18,5 megawatt, con una capacità energetica complessiva di 121,5 megawatt. L’operazione sarà formalizzata entro questo trimestre e avrà un valore di 166 milioni - ha spiegato la società che ha ceduto gli impianti, la danese European energy , che detiene anche un gasdotto italiano di circa 2 Gw di capacità e investirà nei prossimi quattro anni 800 milioni. Iren energia e European energy hanno anche siglato un accordo sulla pipeline di sviluppo della società danese pari a 437,5 mwp, distribuiti tra Lazio, Sicilia e Puglia. Dunque la Regione persegue nella sua vocazione energetica alternativa, come sottolineano i dirigenti dell’assessorato Sviluppo economico.

Puglia prima in Italia per produzione di energie alternative.

In Italia la Puglia è la prima produttrice di energia da fonti alternative, pari a 3621,5 Gw/h, il 50% di ciò che viene consumato nella regione. Complessivamente, calcolando anche le produzioni fossili, la Puglia produce il 70% in più del fabbisogno e il surplus è ceduto a Campania e Basilicata in cambio dell’acqua necessaria al Tacco. In particolare, restando alle energie alternative, sono in esercizio 174 impianti, di cui 79 di fonte eolica, 87 da fonte fotovoltaica, 6 per la produzione di biomasse e 2 per l’energia da fonte cogenerativa. Sono in corso di realizzazione 83 impianti, di cui 60 di energia eolica, mentre in fase autorizzativa da parte della Regione sono 148 gli impianti eolici e 322 quelli fotovoltaici. La distribuzione territoriale non è omogenea perché – come sottolinea anche il sindaco di Troia, Leonardo Cavalieri – è la provincia di Foggia quella maggiormente interessata, con 46 impianti eolici e 105 fotovoltaici.

Energie rinnovabili, la scelta di Foggia.

Ma perché Foggia? Come mai European energy prima e Iren energia poi hanno scelto di investire soprattutto nella Daunia? «Perché vicino al nostro Comune c’è il casello autostradale della rete di Terna», fondamentale per immettere nel sistema l’energia prodotta, ricorda il sindaco, il quale, pur non opponendosi alle rinnovabili, pone due questioni: «Gli impianti, una volta realizzati e gestiti da remoto, non danno occupazione, piuttosto ne sottraggono, perché i terreni agricoli cambiano funzione, snaturando l’economia del territorio». Cavalieri, pur sapendo che la compravendita dei terreni avviene tra un privato e una società, lamenta l’impossibilità dell’ente locale di esprimersi sulle transazioni: «Grazie al Piano all’utilizzo del Piano urbanistico, legato comunque al Piano paesaggistico regionale, possiamo fissare limiti per gli impianti». Infatti il “Troia solar park” ridimensionato conta “solo” 275mila pannelli solari, distribuiti su un’area equivalente a 200 campi di calcio. In sostanza il sindaco denuncia la mancanza di concertazione tra i vari soggetti istituzionali, così come la Regione cui tocca decidere l’idoneità dei terreni per l’installazione degli impianti, nella bozza della relazione sui dati energetici, sottolinea la necessità di porre la massima attenzione «sul potenziale ulteriore consumo del suolo, senza rallentare la ricerca di nuove tecnologie che porteranno all’implementazione delle rinnovabili».

Nel documento dell’assessorato guidato da Alessandro Dell Noci, si aggiunge che se per utilizzare al meglio i fondi del Pnrr lo Stato ha accentrato una serie di competenze (il 18 gennaio si è insediata la commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale dei progetti per gli impianti di energie rinnovabili, voluta da Draghi e guidata da Massimiliano Atelli), tuttavia il decreto semplificazioni 77 del maggio scorso «non reca alcuna indicazione utile, ma contiene invece una serie di rinvii alle Regioni che non aiutano in alcun modo il raggiungimento dei risultati che il governo si aspetta». Quanto agli enti locali, aggiungono i dirigenti dell’assessorato, «la partecipazione di questi alle conferenze di servizi è sporadica e quasi sempre l’intervento procedimentale non sfrutta gli strumenti che le norme mettono a disposizione (opere di mitigazione, ristoro ambientale, possibilità di realizzazione di progetti di interesse locale a compensazione degli interventi da fonte Fer)».

Energie rinnovabili, in Puglia serve un progetto strategico.

In conclusione, se è positivo che la Puglia diventi sempre più green sul fronte energetico, è necessaria l’elaborazione di un progetto strategico che tenga dentro un’idea per il futuro della Regione e gli strumenti per realizzarlo, anche perché, come sottolineato recentemente dal presidente regionale di Confindustria, «il nostro territorio è fortemente provato nella sua vocazione produttiva dagli aumenti di luce e gas (55% e 41,8% nel 2022) e dai rincari delle materie prime. Siamo al punto che i nostri prodotti non solo hanno un costo aumentato enormemente, ma, in più, devono confrontarsi con le differenti politiche energetiche degli altri Paesi europei». Sergio Fontana, quindi, ribadisce la necessità di una transizione energetica sostenibile, ma al contempo addita la Francia che sta pensando «al nucleare di nuova generazione». Insomma, bisogna fare chiarezza, e in fretta, guardando all’Agenda 2030 per la strategia della biodiversità e al 2026, scadenza del Pnrr.

https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/cronaca/22_febbraio_09/energie-rinnovabili-puglia-primato-non-basta-pronta-l-autorizzazione-altri-500-impianti-0561677c-8984-11ec-ae73-595424bfd521.shtml

Le tre cose che il M5s doveva fare. E non ha fatto. - Jacopo Fo

 

Il M5S ha perso più di metà del suo elettorato e decine di parlamentari e ora si trova dilaniato, con Luigi Di Maio che attacca Giuseppe Conte e un generale stato di confusione, delusione e depressione. Cosa non ha funzionato?

Al convegno di fondazione delle Liste Civiche, 12 anni fa, fui invitato da Beppe Grillo a parlare. In un intervento applauditissimo posi due questioni: quella della formazione dei dirigenti e quella della selezione dei candidati alle elezioni. Proposi che solo i militanti che erano riusciti a organizzare delle iniziative pratiche vincenti nella loro città potessero candidarsi, sennò si rischiava di fare eleggere quelli che parlano bene e non sono capaci di fare niente di concreto. E ricordai che la storia è piena di movimenti che sono morti perché quelli bravi solo a far andare la bocca avevano preso il potere (qui il mio intervento: Prima parteSeconda parte).

Disgraziatamente avevo ragione: il disastro di oggi parte dall’incapacità di formare con vere scuole i candidati e dall’incapacità di selezionare i più capaci. Certamente abbiamo eletto alcuni parlamentari e sindaci bravissimi, ma è anche indubbio che in Parlamento sono finite anche persone che non erano proprio all’altezza. E si sa, quelli con poca cultura sono a volte bravissimi a sembrare capaci e lungimiranti. E a volte si convincono di essere Dio e vogliono contemporaneamente fare il capo del movimento e gestire due ministeri.

Il reddito di cittadinanza è stata una grande istituzione che ha tolto dalla miseria un numero enorme di famiglie. Ma si poteva farla un po’ meglio… alcuni dettagli hanno ridotto l’efficienza del sistema, aperto le porte ai furbetti e buttato i poveri navigator allo sbaraglio.

La seconda questione riguarda la capacità di sfruttare tutte le opportunità per fare gli interessi della gente. Durante il primo governo 5Stelle, io e alcuni amici ci rendemmo conto che c’era una risorsa enorme male utilizzata: Invitalia aveva in cassa più di un miliardo di euro per finanziare start up giovanili ma riusciva a spendere meno di 100 milioni all’anno. Questo perché pochi sapevano di questa opportunità e perché redigere un progetto per ottenere il finanziamento era difficile. Proponemmo semplicemente di replicare il modello che aveva avuto straordinario successo in Francia: avevano organizzato una flotta di pulmini arancioni, con a bordo una squadra di consulenti che giravano per i piccoli centri e le periferie, informando i giovani e aiutandoli a fare i progetti per ottenere i finanziamenti pubblici. E proponemmo anche di aiutare chi riceveva il finanziamento durante il primo anno, fornendo consulenze gratuite in modo tale da aumentare le probabilità di successo.

La nostra proposta fu accolta con grande favore da parecchi parlamentari del M5S, e in particolare quelli della commissione industria del Senato, presieduta da Gianni Girotto, e ricevemmo l’incarico di incontrare i vertici di Invitalia che si dimostrarono molto favorevoli all’iniziativa. Anche la ministra Barbara Lezzi era molto favorevole, anche perché non si trattava di stanziare fondi ma di utilizzare quelli già assegnati per promuovere l’attività di Invitalia. Incontrai brevemente anche Di Maio, che conoscevo, che mi disse: “Molto interessante, ti telefono lunedì”. Non mi telefonò, ma arrivammo comunque alla giornata fatidica nella quale dare inizio all’opera con una squadra di esperti di comunicazione e di formazione e consulenti aziendali di grande esperienza. Il progetto prevedeva anche una serie di concerti nelle maggiori città del sud per far conoscere questa grande opportunità offerta ai giovani. I tempi erano pure perfetti perché i primi 50 pulmini e 200 consulenti sarebbero stati attivi due mesi prima delle elezioni europee. Il che non avrebbe guastato.

Poi improvvisamente il meccanismo si inceppò. La ministra Lezzi alla fine ci ricevette per sette minuti comunicandoci che non se ne faceva niente. Negli ambienti del parlamento si mormorava che Di Maio avesse bloccato tutto perché Invitalia era una creatura voluta dal Partito Democratico e bisognava distruggere tutto quello che era targato Pd e non farlo funzionare meglio. Non so se sia vero, ma i fatti dimostrano che qualche cosa del genere deve essere passata per la testa di qualcuno nel cerchio magico del M5S. Le elezioni europee furono il disastro che sappiamo.

L’altra questione drammatica è stata la comunicazione. Credo che pochi militanti del M5S sappiano che tra Camera, Senato e Presidenza del Consiglio il M5S aveva più di 200 esperti della comunicazione pagati il giusto a spese dello Stato. Io con 200 esperti ci faccio un quotidiano, una radio, una tv e incontri con la gente in tutta Italia. Loro riuscirono a scrivere un po’ di comunicati stampa e organizzare qualche comparsata in tv. A un certo punto venni chiamato dai membri del 5 Stelle della commissione Sanità di Camera e Senato e da altri parlamentari che mi chiesero qualche idea per rianimare la comunicazione del Movimento.

Mi offrii di realizzare, del tutto gratuitamente, pagando io operatori e montaggio, una serie di spot. Ad esempio, proposi di girarne uno nel quale la ministra della Sanità Giulia Grillo entrava in farmacia, comprava delle aspirine e poi si stupiva perché il prezzo è più del doppio di quel che si paga in Francia. È così per gran parte delle medicine da banco che arrivano a costare fino a cinque volte di più che in altri paesi europei. Un altro spot riguardava l’eccessivo uso di antibiotici e i rischi conseguenti. E poi ce n’era uno nel quale la ministra entrava in una casa di giovani sposi con figli e vedeva che vicino alla culla c’era un erogatore di insetticida acceso; allora la ministra spiegava che bisogna areare i locali dopo aver fatto funzionare l’erogatore e non bisogna tenerlo acceso quando si è in casa. L’idea era che la Grillo lanciasse una serie di spot che informavano i cittadini su questioni di base relative alla salute e agli sprechi del sistema sanitario italiano.

Mi pareva che molte trasmissioni televisive l’avrebbero invitata a parlare e avrebbero trasmesso gratis i suoi spot. Cioè avremmo fatto una campagna di informazione sanitaria a costo zero per lo Stato… insomma mi pareva che avremmo fatto una gran bella figura!

Esposi la mia proposta alla Grillo, durante un’intervista sulla sua geniale idea di tagliare i costi delle medicine organizzando aste per comprarle a livello nazionale ed europeo, ottenendo un risparmio di più di cinque miliardi all’anno per le casse dello Stato. Mi parve che la proposta le piacesse. Incontrai quindi una, non eletta, capa della comunicazione del M5S e le raccontai la mia idea; lei mi interruppe, balzò in piedi colpendo il tavolo con entrambe le mani aperte producendo un gran fragore e proferì alterata le seguenti parole: “Sei pazzo! Noi siamo al governo, non facciamo queste cose!”.

Le dissi che se non le avessero fatte non sarebbero riusciti a comunicare con la gente e le ricordai che erano al governo perché Beppe Grillo aveva realizzato una comunicazione divertente e fuori dagli schemi, tipo attraversare lo Stretto di Messina a nuoto. La riunione fu troncata e della mia proposta non si fece più niente.

Questi sono solo alcuni esempi del tipo di proposte che ho fatto ai vertici del M5S e che non sono andate da nessuna parte. Poi ho smesso. Il M5S ha ottenuto grandi risultati nell’interesse degli italiani. Ma non è stato in grado di raccontarli, non è stato in grado di usare molte grandi opportunità che si potevano sfruttare a costo zero; e non è stato in grado di selezionare i suoi leader in modo sensato. Ha ancora possibilità di risollevarsi? Credo di sì, ma serve cambiare logica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/11/le-tre-cose-che-il-m5s-doveva-fare-e-non-ha-fatto/6489409/?fbclid=IwAR2IHi0JlPOGh8gmdhSfzUYXdWQ8Uai0qt9--GgECiO5EyB6WyZKwp3BuqI#

giovedì 10 febbraio 2022

Tutti uguali tranne due. - Marco Travaglio

 

A chi dice “Sono tutti uguali”, segnaliamo quanto segue. I 5Stelle si vedono congelare il leader dal Tribunale civile di Napoli per averlo eletto in base al proprio regolamento interno che l’ordinanza cautelare afferma non esistere e invece esiste dal 2018; il fondatore Beppe Grillo commenta: “Le sentenze si rispettano” (anche se quella non lo è). La Procura di Milano chiede la condanna a 8 mesi di carcere per il tesoriere della Lega, il deputato Giulio Centemero, per un finanziamento illecito di 40mila euro da Caprotti, passato per l’associazione “Più voci” e finito a Radio Padania e ad altre attività politiche del partito; nessun commento da Salvini. La Procura di Firenze chiede il rinvio a giudizio per Renzi, Boschi, Lotti, Bianchi, Carrai, altri 6 imputati e 4 società per l’inchiesta Open, con accuse che vanno dal finanziamento illecito alla corruzione, dal riciclaggio al traffico d’influenze illecite. L’imputato Renzi, nel felicitarsi perché “finalmente inizia il processo nelle aule”, rinverdisce i fasti del collega B. denunciando i pm per abuso d’ufficio, cioè per aver violato l’art. 68 della Costituzione: quello che vieta di perquisire i parlamentari. Purtroppo, all’epoca dei fatti contestati, Renzi non era senatore e non aveva alcuna immunità; e i messaggi e le chat agli atti sono stati estratti dai cellulari sequestrati ad altri indagati, non a lui. Ma per lui il “lei non sa chi sono io” tipico dei marchesi del Grillo si coniuga in formato extralarge: “Lei non sa chi ero io e chi sono i miei compari”.

Già che c’è, il noto garantista di scuola Rondolino procede alla character assassination dei tre pm: Creazzo “sanzionato per molestie sessuali dal Csm” (sanzione già impugnata in Cassazione e nessun processo penale); Turco “volle l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della Libertà” (arresto disposto non da Turco, ma dal gip e annullato per cessate esigenze cautelari, non per innocenza, infatti i due sono stati rinviati a giudizio); e Nastasi “accusato da un ufficiale dell’Arma di aver inquinato la scena criminis della morte del dirigente Mps David Rossi” (accuse postdatate, tutte da dimostrare e mai approdate a un processo). Che c’entra tutto ciò con l’inchiesta Open? Nulla, a parte il penoso e disperato tentativo di coprire i fatti. Che, a prescindere dagli aspetti penali, hanno già immortalato i fedelissimi del fu premier intenti a screditare politici e giornalisti liberi e a fare marchette con norme e fondi pubblici a chi foraggiava la cosiddetta fondazione. Soldi poi usati per viaggi privati, cellulari, tablet, pranzi, “spuntini”, giù giù fino ai 7,5 euro rimborsati a Renzi nel 2014 per “Auguri Natale Quirinale”. Più che finanziamento illecito, accattonaggio molesto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/10/tutti-uguali-tranne-due/6488413/

Sesto San Giovanni, blitz di sindaco e assessori di centrodestra per aumentarsi lo stipendio. La cifra prevista in tre anni dal governo? Tutta, subito e con i soldi del Comune. - Luigi Franco

 

Gli aumenti li ha finanziati il governo stesso, ma dividendoli in tre step da spalmare su tre anni. A meno che i fondi non li metta l'amministrazione stessa. Così la giunta si è riunita il 31 dicembre per deliberare sulla norma nazionale approvata il giorno prima. Il consigliere M5s Tromboni ha presentato una diffida: "L'intervento andava approvato in consiglio". Il collega 5 stelle in Regione De Rosa: "Dimostrano così quali sono le loro priorità".

Si sono aumentati lo stipendio usando i soldi del Comune, per poter avere subito la cifra che il governo avrebbe coperto solo in tre step nel corso di un triennio. A Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia alle porte di Milano passata 5 anni fa al centrodestra, il sindaco Roberto Di Stefano e i suoi assessori si sono riuniti a mezzogiorno e mezzo del 31 dicembre per fare la delibera. E nella fretta hanno pure sbagliato a citare articoli e commi della legge di bilancio che la Camera aveva definitivamente approvato nemmeno 24 ore prima, consentendo al primo cittadino di intascare 2mila euro lordi in più al mese per i prossimi sei mesi, cioè fino alle nuove elezioni amministrative. E ad assessori e presidente del consiglio comunale quasi 1.300 in più. Poi tutti a festeggiare con spumante e panettone: anno nuovo, busta paga nuova.

La norma l’ha voluta il governo Draghi per riparametrare gli emolumenti degli amministratori locali rapportandoli a quelli dei presidenti di Regione. In modo che il sindaco di una città metropolitana arrivi a guadagnare come un governatore, mentre arrivi al 45% di quella cifra il sindaco di una città della taglia di Sesto, con 80mila abitanti. Gli aumenti li ha finanziati il governo stesso, ma dividendoli in tre fasi: una prima parte nelle buste paga del 2022 (il 45% dell’aumento totale), una seconda nel 2023 (un altro 23%) e l’ultima, il restante 32%, nel 2024. Per l’aumento complessivo, insomma, bisogna aspettare tre anni, a meno che i soldi non ce li metta il comune stesso. E a Sesto San Giovanni hanno voluto tutto subito, a spese dei cittadini sestesi per quanto non coperto dal governo.

Così il sindaco, anziché accontentarsi di passare da 4.130 euro lordi al mese a 4.840, ha voluto tutti i 6.210 euro mensili già da gennaio. E a ruota i sette assessori e il presidente del consiglio, passati da 2.480 lordi a 3.726, anziché a 2.903. Questo hanno stabilito le due determine dirigenziali approvate a metà gennaio per tradurre in soldoni la delibera di giunta che aveva per oggetto l’ “adeguamento” alla legge di bilancio. Quasi come se il “tutto subito” l’avesse deciso l’esecutivo e non la giunta. Cosa che peraltro il sindaco Di Stefano, a lungo legato sentimentalmente alla leghista Silvia Sardone e passato anche lui due anni fa da Forza Italia a Carroccio, sostiene al telefono: “È una cosa tecnica che han fatto gli uffici sulla base delle disponibilità di bilancio. Se cerca la polemica, non l’avrà. Se la prenda col governo”, taglia corto prima di sbattere giù la cornetta. Alcune domande sono però d’obbligo, mandiamole via whatsapp. Come mai vi siete auto assegnati l’intero aumento sin da subito? La delibera contiene rimandi sbagliati alle norme: perché è stato necessario approvarla in tutta fretta l’ultimo dell’anno? Silenzio.

Di domande se ne potrebbero fare anche altre. C’è infatti chi come il consigliere comunale del M5s Daniele Tromboni ritiene che la procedura seguita per approvare gli aumenti non sia lecita. La legge di bilancio dice infatti che se l’intero aumento viene corrisposto nel 2022, ciò deve avvenire “nel rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio” del comune. Cosa su cui né la delibera né le successive determine dirigenziali entrano nel merito. Per questo Tromboni ha scritto una diffida a sindaco e assessori invitandoli a revocare la loro decisione. L’aumento di stipendio – si legge nel documento – richiede gli “ordinari passaggi amministrativi”, come l’espressione di “un indirizzo in tal senso nel Documento unico di programma 2022-2024, da integrare mediante una delibera consiliare (in quanto documento già approvato)”. Una interpretazione analoga a quella data dall’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). In sostanza, secondo Tromboni, visto che in parte non è coperto dal governo, l’aumento avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio comunale e non dalla giunta, che per di più si trovava in una posizione di conflitto di interessi. E il rispetto dell’equilibrio di bilancio dovrebbe essere verificato dai revisori dei conti, mai interpellati a riguardo.

Per non parlare dell’opportunità politica di una tale decisione: “Il Comune è uscito da poco dalla procedura di riequilibrio finanziario monitorata dalla Corte dei Conti, che ai cittadini è costata anni di tassazione al massimo e tagli ai servizi e al personale dell’ente. Non possiamo accettare che ora la giunta decida di spendere i soldi del nostro comune per alzarsi gli stipendi negli ultimi sei mesi di mandato. Se proprio avanzano dei soldi, pretendiamo che vengano usati per dare un po’ di sollievo ai cittadini sestesi”. Magari a quelle centinaia di famiglie che sono sotto sfratto, come ricorda il consigliere regionale M5s Massimo De Rosa: “Se avessero messo lo stesso impegno e la stessa velocità nel cercare di risolvere i problemi della città e gli sfratti delle persone in difficoltà, avrebbero almeno fatto un servizio ai loro cittadini. Ma così hanno invece dimostrato quali sono le loro priorità e a che gradino di importanza mettono famiglie e indigenti rispetto ai loro interessi”.

@gigi_gno

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