giovedì 24 marzo 2022

Il suicidio dell’Europa, le armi e il suo silenzio. - Donatella Di Cesare


Con questo articolo Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma, inizia a collaborare con il “Fatto”.

La parola Occidente, in questi giorni così spesso evocata, ha un significato articolato nelle diverse epoche. Non indica un sistema di valori, una forma politica, un modo di vivere. Occidente è l’orizzonte a cui guardavano i greci: la costa italiana, il continente europeo, una futura epoca nella storia del mondo. Nel periodo tra le due guerre mondiali i filosofi hanno pensato il destino dell’Occidente non come un tramonto, bensì come un passaggio: nel buio della notte europea non c’era solo morte e distruzione, ma anche la possibilità di salvezza. L’Occidente era l’Europa, l’Europa era l’Occidente. In questa prospettiva, che oggi – con un giusto accento critico – si direbbe eurocentrica, ciò che era oltre l’Atlantico, Inghilterra compresa, non era occidentale.

Dopo il 1945, il baricentro della Storia passa dal continente europeo a quello americano. Anche la parola “Occidente” cambia significato designando l’American Way of Life, lo stile di vita americano e tutto ciò che, tra valori e disvalori, porta con sé. L’Europa si uniforma, più o meno a malincuore. Se non altro per non perdere il nesso con l’Occidente di cui è stata sempre il cardine.

Quel che avviene in questi gravissimi giorni, dietro il millantato nuovo scontro di civiltà, è un’autocancellazione dell’Europa, che rinuncia a se stessa, alla propria memoria, ai propri compiti. Il 2022 segna l’ulteriore, definitivo spostamento, l’apertura di una faglia nella storia del Vecchio continente. L’Europa tace, sovrastata dai tamburi di guerra dell’Occidente atlantico, a cui sembra del tutto abdicare. L’algida figura di Ursula von der Leyen, questa singolare, inquietante comparsa, che spunta di tanto in tanto per annunciare “nuove sanzioni alla Russia”, compendia bene in sé un’Europa cerea e spenta, incapace di far fronte a una crisi annunciata. Possibile che dal 2014 non si sia operato per evitare il peggio? Possibile che tra dicembre e febbraio non esistesse un margine per impedire l’invasione? Possibile vietarsi l’autorità di mediare per la pace? Si tratta di una vera e propria catena di errori politici imperdonabili, di cui i cittadini europei dovranno nel futuro prossimo chiedere conto a chi ora ha ruoli decisionali. Come se non bastasse, il silenzio fatale dell’Europa è squarciato dalle sguaiate provocazioni di Boris Johnson, il promotore della Brexit, e dalle temerarie parole di John Biden, forse uno dei peggiori presidenti americani.

Il suicidio dell’Europa è sotto gli occhi di tutti. Ed è ciò che ci angoscia e ci preoccupa. Perché riguarda il futuro nostro e quello delle nuove generazioni. D’un tratto non si parla più di Next Generation Eu – nessun cenno a educazione, cultura, ricerca. All’ordine del giorno sono solo le armi. C’è chi applaude a questo, inneggiando a una fantomatica “compattezza” dell’Europa. Quale compattezza? Quella di un’Europa bellicistica, armi un pugno? Per di più ogni Paese per sé, con la Germania in testa? Non è questa certo l’Europa a cui aspiravamo. In molti abbiamo confidato nelle capacità dell’Unione, che aveva resistito alle spinte delle destre sovraniste e che sembrava uscire dalla pandemia più consapevole e soprattutto più solidale. Mai avremmo immaginato questa deriva. La faglia che si è aperta nel vecchio continente, in cui rischia di precipitare il sogno degli europeisti, è anche la rottura del legame che i due Paesi storicamente più significativi, la Germania e l’Italia, hanno intessuto con la Russia. Chi si accontenta di ripetere il refrain “c’è un aggressore e un aggredito”, ciò che tutti riconosciamo, non si interroga sulle cause e non guarda agli effetti di questa guerra. C’è una Russia europea oltre che europeista. Nella sua storia la Russia è stata sempre combattuta tra la tentazione di avvicinarsi al modello occidentale e il desiderio di volgersi invece a Est con una ostinata slavofilia, testimoniata, peraltro, nell’opera di Dostoevskij. Durante la Rivoluzione bolscevica prevalse l’apertura per via dell’internazionalismo. Se Stalin cambiò rotta, la fine dell’impero sovietico segnò il vero punto di svolta. In quella situazione caotica andò emergendo la corrente nazionalistica che aveva covato sotto la cenere. Putin è il portato sia di questo nazionalismo, fomentato anche dal pensatore dei sovranisti Aleksandr Gel’evič Dugin, sia di una frustrata occidentalizzazione. Ma a chi gioverà una Russia isolata, ripiegata su di sé, rinviata a orizzonti asiatici?

In un’immagine suggestiva che ricorre in Nietzsche, in Valéry, in Derrida, l’Europa appare un piccolo promontorio, un capo, una penisola del continente asiatico. Nessuno ha mai potuto stabilire dove sia il suo confine a Est. Ma certo ha sempre avuto il ruolo di testa, di cervello di un grande corpo. È stata il lume, la perla preziosa. Ci chiediamo dove sia finita.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/24/il-suicidio-delleuropa-le-armi-e-il-suo-silenzio/6535587/?fbclid=IwAR1dzZzIMhGm9a5o8saPFTeROmfSkGea794GNiBG-C3HK5c4XmgfPSr8-Dg

mercoledì 23 marzo 2022

Le spie dal semifreddo. - Marco Travaglio










Sulle migliori gazzette va fortissimo una deduzione: siccome i russi hanno invaso l’Ucraina, la loro missione sanitaria in Italia dal 22.3. 2020 per aiutarci contro il Covid era spionaggio. I Servizi e il Copasir hanno già smentito tutto, ma ai Le Carré de noantri non la si fa. Il capomissione russo -rivela il Corriere- voleva “entrare negli uffici pubblici e sanificare il territorio”. Se l’avesse fatto un mese prima l’Asl di Alzano al primo focolaio, ci saremmo risparmiati centinaia di morti. Comunque “gli italiani negarono il via libera” e i russi dovettero accontentarsi di “ospedali e Rsa”, forse per spiare le scollature delle infermiere. Poi però “sanificarono molte strade”, per carpire i segreti dei paracarri e riferirli a Mosca in codice cifrato. Repubblica non ha dubbi: “l’obiettivo non era aiutare gli italiani”, come si potrebbe arguire dai 32 medici, 51 bonificatori, 110 mila tamponi, 521.800 mascherine e 30 ventilatori polmonari offerti alla povera sanità lombarda (era in mano a Fontana e Gallera), mentre Ue e Usa dormivano. Era “un’operazione di intelligence” per “acquisire tutte le informazioni sul virus e i metodi per contrastarlo”. Purtroppo sui metodi si brancolava nel buio con gli antinfluenzali. E le formidabili “informazioni sul virus” non è ben chiaro perché venissero a cercarle a Bergamo, visto che il Covid dilagava pure in Russia. Ai segugi di Rep e Corriere basterebbe leggere i loro giornali. “Con 306 casi e nessun morto su 145 milioni di abitanti, la Russia ha uno dei tassi di contagi più bassi al mondo… ‘Bugie spudorate’, sbotta Anastasija Vasilyeva, capo del sindacato Alleanza dei medici… In un anno l’Istituto statistico ha registrato +37% dei casi di ‘polmonite acquisita in comunità’ (Pac). ‘Le autorità sovrappongono Pac a Coronavirus per evitare il panico. Ai medici è vietato di diagnosticare il coronavirus, pena il licenziamento’” (Rep, 22.3.’20).

Forse gli spioni cercavano la variante bergamasca del Covid, utilissima per combattere quella russa. O forse -insinua la Stampa- Putin voleva “incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano” (probabilmente l’Ambra Jovinelli). Il Foglio aggiunge orrore all’orrore: la Bellanova “non fu coinvolta” da Conte e Guerini, sennò avrebbe sgamato la cosa, con l’astuzia contadina tipica degli ex braccianti. La Stampa ricorda che altre quinte colonne di Putin subornate da Conte (Zingaretti, D’Amato e lo Spallanzani) volevano “adottare il vaccino Sputnik in Italia”. E non erano sole: “Parigi e Berlino, vertice con Putin: ‘Pronti a collaborare su Sputnik’” (Stampa, 1.4.’21). Quindi Conte governava anche Francia e Germania. Si attende ad horas lo sviluppo più agghiacciante della spy story: i russi della missione russa parlavano russo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/23/le-spie-dal-semifreddo/6534415/

Il negoziato con la “schiuma della terra”. - Antonio Padellaro

 

“La schiuma della terra”: quando lunedì sera, a Otto e Mezzo, Massimo Giannini (sempre assai misurato e mai impulsivo nelle analisi) ha usato questa espressione piuttosto forte, per saperne di più ho cercato su Wikipedia (causa mia approssimativa cultura di base). E ho trovato il titolo del libro autobiografico di Arthur Koestler sul disastro umanitario alla vigilia della Seconda guerra mondiale nella Francia dominata dal caos e dall’impreparazione militare. C’era anche una citazione di Hannah Arendt a proposito dei rifugiati privi dei diritti umani garantiti dalla cittadinanza.

Poi, dopo le declinazioni di schiuma applicata a fenomeni ambientali non particolarmente attraenti, alla voce sinonimi ho letto che schiuma della terra si può anche intendere come rifiuti umani. Effettivamente il direttore della Stampa stava parlando di coloro che nel Parlamento italiano annunciavano di non voler presenziare al discorso di Zelensky. Ovvero, “quel che resta della schiuma della terra gialloverde”, la “faglia” dove il putinismo può “incunearsi” rappresentata dalle “anime morte” di Lega e 5Stelle (qui ho pensato, questo lo so è Gogol).

Ancora scosso dalla presenza di tali inammissibili scorie del politicume ho trovato rifugio in un articolo su Repubblica il cui titolo mi è sembrato come un antidoto alla schiuma di cui sopra: “Libere idee in libero dibattito”, di Luca Ricolfi. Di cui citerò le ultime righe: “La pietà, la solidarietà per le vittime non dovrebbero mai essere scalfite dalla ricostruzione dei torti e delle ragioni delle parti in gioco che – nella storia – sono sempre entità collettive, ovvero partiti, nazioni, imperi, potenze che agiscono sopra le teste della gente comune”.

Eccola finalmente la famosa gente comune che non viene mai interpellata, prevista, considerata e che desidera unicamente l’inizio di una trattativa di pace. Quando, cioè, ci si dovrà sedere, per forza, allo stesso tavolo con il “dittatore assassino e criminale di guerra”(Biden) e con la schiuma della terra.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/23/il-negoziato-con-la-schiuma-della-terra/6534455/

lunedì 21 marzo 2022

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Loro Piana, noi pirla. “Loro Piana: ‘Imbarazzati per la nostra giacca da 12mila euro indossata da Putin’” (Repubblica, 19.3). Pensavano che la comprassero solo gli operai metalmeccanici.

Pussy Riott vende moda. “Putin ha parlato in pubblico dopo tempo, maglione dolce vita bianco da cinepanettone” (Gianni Riotta, Repubblica, 19.3). Col caldo che fa a Mosca, si aspettava come minimo canotta e infradito.

Ascolta, si fa Pera. “Dobbiamo prevenire la guerra. Anche con il dispiegamento di armi” (Marcello Pera, Foglio, 17.3). E prevenire la puzza, anche scoreggiando.

Il petomane. “Quando ha dato del criminale di guerra a Putin, il presidente Biden stava parlando dal suo cuore” (Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca, 18.3). Sicura che fosse il cuore?

TgPravda. “Su questi scalini Odessa si ribellò ai bolscevichi nel 1905” (Tg1, sulle immagini de La corazzata Potemkin, 12.3). Purtroppo i bolscevichi presero il potere nel 1917, mentre nel 1905 Odessa si ribellò allo zar Nicola II incitata dal leader rivoluzionario Lenin, e i ribelli furono massacrati non dai bolscevichi, ma dagli zaristi.

Par condicio. “Dopo Zelensky, mi piacerebbe che alla Camera parlasse anche Putin” (Nicola Grimaldi, deputato M5S, 18.3). Seguirà, in Antimafia, la lectio magistralis di Matteo Messina Denaro.

Il nuovo Merkel. “L’asse Draghi-Rutte” (Foglio, 17.3). “Draghi è tornato sempre più centrale” (Foglio, 19.3). I nuovi obiettivi di Draghi e la Ue”, “Draghi ha appena incontrato i colleghi di Spagna, Portogallo e Grecia allo scopo di rafforzare l’unità d’azione dei Paesi mediterranei” (Stefano Folli, Repubblica, 19.3). “Draghi, asse con Sànchez e Costa” (Corriere della sera, 19.3). Accipicchia, e poi dicono che non conta niente.

La Recalcàzzola. “La sinistra ideologica e populista – quella che Manconi ha definito ‘sinistra autoritaria’ – che non si schiera apertamente a fianco del popolo ucraino, invocando la retorica del ‘né né’, perde l’occasione per mostrare la sua adesione alla democrazia contro ogni forma di dittatura, ivi compresa quella del popolo che, come sappiamo, è purtroppo una matrice archetipica” (Massimo Recalcati, Repubblica, 19.3). Come fosse antani con scappellamento a sinistra per quattro.

Autobombe. “Civili uccisi a Donetsk. Missile sul Donbass fa più di 25 morti. Non è chiaro chi abbia sparato” (Repubblica, 16.3). Probabile che i russi si bombardino da soli.

Betullate. “I nostri 007 si informano sui giornali” (Renato Farina, Libero, 14.3). Bei tempi quando giornalisti e 007 coincidevano.

Caffè corretto grappa. “Il professor Orsini… la vera star del Pacinarcisismo… sembra posseduto da una sorta di timor panico nei confronti di Putin… La mia speranza rimane che un giorno a Mosca un omologo del professore possa dire in un talk show che i russi fanno schifo come gli occidentali. Significherebbe che anche lì è arrivata la libertà” (Massimo Gramellini, “Il Caffè”, Corriere della sera, 19.3). Come in Italia, dove Orsini viene censurato dalla Luiss e dal Messaggero e Innaro dalla Rai per aver detto la loro sull’Ucraina, mentre i Gramellini, eroicamente silenti sui crimini dell’Occidente in Serbia, Afghanistan, Iraq e Libia, vengono puniti con programmi Rai e prime pagine del Corriere.

Noi chi? “Diamo più armi a Kiev e ci rafforziamo a Est” (Jens Stoltenberg, segretario generale Nato, Corriere della sera, 17.3). Fortuna che ogni tanto confessano.

Saldi e ribassi. “Berlusconi avverte il premier: ‘Leali ma niente sconti sul fisco’” (Giornale, 19.3). A parte quelli che si fa già lui da solo.

Bertoldo. “Palamara ricusa i suoi giudici: ‘Incompatibili, sono dell’Anm’” (Giornale, 16.3). Lui si fa processare solo da giudici iscritti alla Fiom.

Falsini. “Renoldi al Dap porterà la Carta Costituzionale dentro le nostre carceri” (Walter Verini, deputato Pd, Dubbio, 19.3). Quindi i governi Prodi, Draghi, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte2 e Draghi – guidati o sostenuti dal Pd da quando esiste – l’avevano cancellata.

Fiandaca Maxima. “Renoldi scelta eccellente. L’antimafia dura e pura è contro la Costituzione” (Giovanni Fiandaca, Dubbio, 16.3). Meglio l’antimafia molle e zozza.

I titoli della settimana/1. “Putin all’ultimo stadio” (Foglio, 19.3). “Putin all’ultimo stadio” (Giornale, 19.3). “All’ultimo stadio” (Manifesto, 19.3). Stesso titolista per risparmiare?

I titoli della settimana/2. “Quelle tristi analogie tra No-vax e filo-Putin” (Luigi Manconi, Stampa, 19.3). Uahahahahahah.

I titoli della settimana/3. “Sul processo al figlio di Grillo si allunga l’ombra della prescrizione” (Luca Fazzo, Giornale, 17.3). Ma non si chiamava assoluzione? Ah no, solo quelle del padrone.

I titoli della settimana/4. “Stefania Craxi: ‘Bettino avrebbe capito le intenzioni di Putin’” (Verità, 16.3). E gli avrebbe chiesto subito una mazzetta.

Il titolo della settimana/5. “Fucile e lecca lecca. ‘Vi spiego perchè ho fotografato così la mia bambina di 9 anni’” (Corriere della sera, 13.3). Perché sei un imbecille.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/21/ma-mi-faccia-il-piacere-261/6531960/

Yemen, la guerra non è finita: ancora attacchi e decine di morti. E gli Usa ci guadagnano. - Riccardo Noury

 

Nonostante i mezzi d’informazione non ne parlino quasi più e osservatori e analisti parlino di un conflitto prossimo alla conclusione, la guerra iniziata nel marzo 2015 nello Yemen non è affatto terminata.

Il 17 gennaio un attacco del gruppo armato huthi ha colpito una struttura petrolifera di Abu Dhabi, negli Emirati arabi uniti, causando tre vittime civili. Sei giorni dopo un altro missile ha colpito il sud dell’Arabia Saudita, ferendo due civili. La reazione della coalizione guidata dall’Arabia Saudita è stata spietata, con la consueta pioggia di missili che hanno colpito la capitale yemenita Sana’a e altre zone dello Yemen distruggendo infrastrutture, danneggiando servizi e facendo decine di vittime.

Il 20 gennaio il porto di Hudaydah è stato ripetutamente colpito da attacchi aerei che hanno causato numerosi morti, tra cui tre bambini. Uno ha centrato la sede delle telecomunicazioni, provocando il completo black-out dei servizi Internet per quattro giorni. L’attacco più sanguinoso è stato portato a termine tra i due attacchi degli huthi, il 21 gennaio, contro un centro di detenzione a Sa’adah, nello Yemen settentrionale. Ha causato almeno 80 morti e 200 feriti.

La bomba a guida laser usata nell’attacco era stata prodotta dall’azienda statunitense Raytheon: esattamente il modello GBU-12 del peso di 500 libbre. Per l’ennesima volta, dunque, armi statunitensi sono state utilizzate dalla coalizione a guida saudita per compiere crimini di guerra. Una GBU-12 era stata usata dall’aviazione saudita il 28 giugno 2019 contro un palazzo nella zona di Ta’iz: erano morti sei civili, tra cui tre bambini.

Da anni, le autorità statunitensi sanno perfettamente che le loro armi inviate agli stati del Golfo membri della coalizione anti-huthi vengono usate per compiere attacchi illegali contro la popolazione yemenita. Eppure, lo scorso settembre, al momento dell’approvazione del bilancio annuale della difesa Usa, l’emendamento che chiedeva la fine del sostegno alle operazioni offensive e agli attacchi aerei dell’Arabia Saudita nello Yemen è improvvisamente scomparso.

Il presidente degli Usa Joe Biden ha ben presto abbandonato gli impegni presi all’inizio del suo mandato: porre fine al sostegno alle operazioni offensive nello Yemen, compresa la cessazione della vendita delle armi, rendere i diritti umani un elemento centrale della politica estera e assicurare che i responsabili delle violazioni dei diritti umani sarebbero stati chiamati a rispondere delle loro malefatte.

Dal novembre 2021 l’amministrazione Biden ha approvato la vendita all’Arabia Saudita di missili (sempre della Raytheon) per un valore di 560 milioni di dollari, ha confermato l’impegno a vendere aerei da combattimento, bombe e altre munizioni agli Emirati arabi uniti per un valore di 23 miliardi di dollari e ha assegnato alle aziende statunitensi contratti per il valore di 28 milioni di dollari per la manutenzione degli aerei da combattimento sauditi. Il tutto non solo in violazione del diritto internazionale ma anche della stessa normativa statunitense: il Foreign Assistance Act e le Leahy Laws vietano la vendita di armi e le forniture di aiuti militari a stati che violano gravemente i diritti umani.

Stando così le cose, è difficile immaginare quando la guerra dello Yemen possa terminare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/yemen-la-guerra-non-e-finita-ancora-attacchi-e-decine-di-morti-e-gli-usa-ci-guadagnano/6471530/

domenica 20 marzo 2022

L’amica geniale. - Marco Travaglio

 

A chi crede o vuole far credere che la guerra in Ucraina sia iniziata il 24 febbraio 2022 con l’attacco criminale di Putin e dimentica i 16mila morti in otto anni nel Donbass, gli accordi di Minsk sull’autonomia della regione russofona traditi da Kiev e altre cosucce, segnalo un fatterello che mi ha ricordato il lettore Angelo Caria. La protagonista è Victoria J. Nuland, oggi sottosegretario agli Affari politici di Joe Biden (democratico), ieri pedina-chiave dell’amministrazione di George W. Bush (repubblicano), che la promosse consigliere del suo vice Dick Cheney (2003-05) e ambasciatrice alla Nato (2005-08), e poi dell’amministrazione di Barack Obama (democratico), che nel 2013 la nominò Assistente del Segretario di Stato (John Kerry) per gli Affari Europei ed Eurasiatici. Moglie del superfalco neocon Robert Kagan, fervida sostenitrice delle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, nel dicembre 2013 la Nuland dichiara: “Gli Usa hanno investito 5 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita”. Poi vola a Kiev a promuovere la “rivolta di Euromaidan”: la sanguinosa protesta nazionalista che il 22 febbraio 2014, con l’ausilio di milizie neonaziste, caccerà il presidente eletto Viktor Yanukovich, filo-russo ma anche filo-Ue.

A fine gennaio, un mese prima del ribaltone, mentre Obama&C. inneggiano all’autodeterminazione degli ucraini, la Nuland si fa beccare da uno spione (forse russo, che pubblica il leak su YouTube) al telefono con Geoffrey Pyatt, ambasciatore Usa in Ucraina. Nella conversazione, tuttora in rete, i due già sanno che Yanukovich cadrà e decidono – non si sa bene a che titolo – chi dei suoi oppositori dovrà fare il premier e il ministro del futuro governo. La Nuland confida di aver esposto il suo piano di “pacificazione” dell’Ucraina al sottosegretario per gli Affari politici dell’Onu, l’americano Jeffrey Feltman, intenzionato a nominare un inviato speciale d’intesa col vicepresidente Usa Joe Biden e all’insaputa degli alleati Nato e Ue. “Sarebbe grande”, chiosa la Nuland. Che non gradisce come futuro premier ucraino il capo dell’opposizione, l’ex pugile Vitali Klitschko (“Non penso sia una buona idea”): meglio l’uomo delle banche Arseniy Yatsenyuk, che infatti andrà al governo di lì a un mese. Pyatt vorrebbe consultare l’Ue, ma la Nuland replica con una frase che è tutta un programma, infatti sarà il programma di Obama e Biden sull’Ucraina e sull’Europa: “Fuck the Eu!” (l’Ue si fotta!). La Merkel e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy protestano perchè sono “parole assolutamente inaccettabili”. Ma non perché gli Usa decidono il governo e il futuro dell’Ucraina come se fosse una loro colonia. Già: come se fosse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/20/lamica-geniale/6531427/

Energie rinnovabili: si punta su tessuto industriale e idrogeno, la Regione italiana è pronta a farlo. - Claudia Rossi

                                                 (Pale eoliche (Foto di Markus Distelrath da Pixabay)

Le energie rinnovabili sono il tema caldo di questi giorni. Il nostro paese è davvero pronto ad abbandonare i combustibili fossili? L’Abruzzo punta su ricerca e sviluppo.

L’Italia muove i primi passi nell’ottica di agevolare la diversificazione energetica. Il Pnrr vanta fra i vari passaggi la ripresa sostenibile della produzione energetica e l’abbandono graduale dei combustibili fossili. Risalta subito all’occhio la complessità della situazione: la crisi energetica causata dal conflitto di Russia e Ucraina vede vacillare il 40% dell’energia importata dal Belpaese, energia a metano, gas.

L’italia saprà davvero capace di rinnovare le proprie energie? L’Arap Abruzzo (Azienda Regionale delle Attività Produttive) sembra rispondere con un sonoro sì. Graziano Marcovecchio, presidente del consiglio di amministrazione Pilkington Italia, accetta di collaborare con la regione Abruzzo all’adozione di energie rinnovabili come l‘idrogeno.

Energie rinnovabili: l’idrogeno verde.

Energie rinnovabili idrogeno Alternatore
Alternatore, turbina (Foto di Nino Carè da Pixabay)
Pilkington Italia è un’azienda a forte impatto energivoro, necessita e consuma, cioè, grandi quantità di energia. In particolare è stata la presenza nell’azienda di due altiforni a convincere Graziano Marcovecchio, che è presidente anche di Assovetro, a dare la propria disponibilità a collaborare con la regione. L’obiettivo comune è l’implementazione e la messa a terra di progetti che permettano l’utilizzo dell’idrogeno verde come fonte energetica.

Riguardo la strategia per il passaggio alle rinnovabili, il dr. Marcovecchio dichiara: “Tutte le iniziative volte a cogliere obiettivi sulla transizione ecologica energetica che ci coinvolgerà da oggi al 2030 sono bene accette. Abbiamo ricevuto la visita di Regione Abruzzo, ci hanno illustrato questa iniziativa (…) e potremmo noi essere l’interlocutore. Proviamo a costruire insieme questo progetto essendo il nostro stabilimento fortemente energivoro. “

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