martedì 18 agosto 2020

Macché bis a Milano: Sala chiede a Grillo la guida della “Tim-2”. - Gianni Barbacetto

Macché bis a Milano: Sala chiede a Grillo la guida della “Tim-2”

Il sindaco - Obiettivo: la carriera da manager pubblico.
Ha detto la verità, Giuseppe Sala, sulla sua visita al fondatore del Movimento 5 stelle. Dopo l’incontro del 10 agosto a Marina di Bibbona, ha twittato: “La giornata al mare da Beppe Grillo è stata molto piacevole e interessante. Abbiamo parlato di tante cose, ma non di ciò a cui tanti pensano e cioè delle elezioni milanesi. Ah, ottima cucina”. L’anno prossimo si voterà per scegliere il sindaco di Milano. Normale ipotizzare che Sala possa aver discusso con Grillo l’atteggiamento dei Cinque Stelle nei confronti della sua ricandidatura: sostegno? non belligeranza? netta opposizione? Invece no: Sala ha davvero parlato d’altro. Perché ha ormai maturato la decisione di non ricandidarsi a Milano e di puntare invece a un posto manageriale nazionale. Alla guida della società pubblica che potrebbe nascere da Telecom Italia per gestire la rete e le infrastrutture telefoniche. Posto irraggiungibile, senza l’ok dei Cinquestelle.
Il giorno dopo – casi del destino – Grillo posta sul suo blog un intervento dal titolo curioso (“Dite al treno che io passo solo una volta”) ma dall’argomento chiarissimo: Telecom Italia, da spezzare in due società. “Bisogna dividere i servizi dalle infrastrutture, creando finalmente due società separate”, scrive Grillo. “La prima società sarà focalizzata sulle attività commerciali e dei servizi verso i clienti finali. La seconda società sarà proprietaria di tutte le infrastrutture che comprendono: le torri di Inwit, la rete mobile (incluso il 5G), i data center, il cloud, la rete internazionale di Sparkle e la società sulla fibra derivante dall’integrazione della rete fissa di Telecom con quella di Open Fiber”. Se la prima società manterrà gli attuali assetti proprietari, “sotto la guida peraltro di un investitore francese”, la seconda dovrà invece essere saldamente controllata dalla mano pubblica. È qui che vorrebbe planare Sala, diventando uno dei manager più strategici del Paese.
Che Sala non si voglia ricandidare l’ha capito subito una che se ne intende, Ada Lucia De Cesaris, ieri vicesindaco e candidata (poi delusa) alla successione di Giuliano Pisapia, oggi avvocato e pasdaran di Matteo Renzi in Italia viva: “Quello strano virus che colpisce i sindaci di Milano per il secondo mandato”, ha scritto il 14 agosto su Twitter. “Non capisco cosa impedisca di buttarsi a capofitto per dimostrare la grandezza e la capacità della nostra amata città”. Non è poi così difficile da capire: la campagna elettorale sarà durissima, il centrodestra sarà all’attacco in una città che resta fedele al centrosinistra solo nei quartieri del centro, il Sala del #milanononsiferma è uscito molto indebolito dalla pandemia, che ha rallentato, se non bloccato, la narrazione trionfale della metropoli in eterna espansione. Così meglio non rischiare e partire per nuove avventure. Che hanno bisogno di sponde grilline. Ormai, per Sala, la ricandidatura per il secondo mandato a Palazzo Marino è soltanto una scelta residuale, che scatterà nel caso non riesca a raggiungere il nuovo obiettivo.
Grillo nel suo post attacca l’apertura di Telecom “a investitori internazionali di private equity, finalizzato esclusivamente a fare cassa per ridurre il debito esistente”. No all’operazione finanziaria sulle torri Inwit. No al “progetto di dismissione parziale dei datacenter attualmente allo studio in partnership con Google”. No alla “vendita di un pezzo della rete secondaria al fondo americano Kkr, in logica puramente finanziaria e non industriale”. Sì invece a “un ambizioso piano di sviluppo infrastrutturale”. Con investimenti pesanti “nelle tecnologie di comunicazione, sia attuali (come la fibra ottica) sia prospettiche (come il 5G), anche congiuntamente con gli altri operatori del settore”. Per fare questo, è necessario creare “una società unica delle reti e delle tecnologie”, che sia realizzata “sotto la guida e l’indirizzo di istituzioni pubbliche”. Grillo pensa a Cassa depositi e prestiti: “La società unica delle infrastrutture e delle tecnologie dovrebbe avere come primo azionista un soggetto in grado di garantire l’indipendenza del network dai suoi utilizzatori, oltre che un orizzonte di investimento di lunghissimo periodo”. Come Cdp, appunto, che “sarebbe sinonimo di stabilità nell’azionariato e garanzia di massicci investimenti per lo sviluppo dell’infrastruttura digitale del Paese”.
Sala è un uomo dalle molte vite. È già stato manager Telecom nel 2005, direttore generale della società nata allora dalla fusione tra Telecom Italia e Tim. Poi ha fatto il commissario di Expo e il sindaco di Milano. Oggi si offre per guidare, se nascerà, il nuovo colosso strategico delle telecomunicazioni italiane. Un posto che vale una visita d’agosto a casa Grillo.

Notte di fuoco tra San Martino delle Scale e Pioppo, divampano le polemiche sui piromani. - Ignazio Marchese



Solo questa mattina con l’intervento dei canadair le fiamme nella zona di Monreale (Pa) tra Pioppo e San Martino delle Scale stanno per essere spente.

Per tutta la notte hanno lavorato vigili del fuoco, forestali e protezione civile per evitare che i roghi provocassero danni alle abitazioni. Su queste lunghe ore di fuoco divampano anche le polemiche e le denuncia agli incendiari che mettono a rischio la vita dei residenti.
Gli incendi hanno avuto più punti di innesco e il sindaco Alberto Arcidiacono già ieri ha parlato di un’azione dolosa.
“Fuoco in cinque punti differenti, non è un caso ma le mani sporche di qualche criminale –  ha scritto in un post su Facebook -. Tutte le forze disponibili stanno fronteggiando le lingue di fuoco da terra mentre elicotteri e canadair sono in servizio dall’alto. Il problema supera di molto le normali procedure di prevenzione. Siamo dinanzi a fenomeni diversi. Già dalle prossime ore valuteremo dei protocolli straordinari”.

Viviana Parisi, tutti gli interrogativi 15 giorni dopo: la scomparsa del piccolo Gioele, la morte della donna e le condizioni del cadavere. - Manuela Modica

Viviana Parisi, tutti gli interrogativi 15 giorni dopo: la scomparsa del piccolo Gioele, la morte della donna e le condizioni del cadavere

A due settimane dalla scomparsa non c’è ancora alcuna traccia del bimbo di 4 anni. La task force coordinata dai Vigili del fuoco continuerà pure oggi le ricerche, fino ad ora senza alcun esito. E si fanno sempre più esigue le speranze di ritrovarlo. Mentre si può adesso escludere l’ipotesi che il piccolo fosse morto nell’incidente. Ecco quello che sappiamo del caso di Messina. E pure tutti i punti ancora oscuri.

Aveva gli occhi aperti il piccolo Gioele e teneva la testa appoggiata sulla spalla destra della mamma. Era, dunque, vivo l’ultima volta che è stato visto. Prima di sparire nel nulla. Dopo 15 giorni dalla scomparsa non c’è ancora alcuna traccia del bimbo di 4 anni. La task force coordinata dai Vigili del fuoco continuerà pure oggi le ricerche, fino ad ora senza alcun esito. E si fanno sempre più esigue le speranze di ritrovarlo. Mentre si può adesso escludere l’ipotesi che il piccolo fosse morto nell’incidente. I testimoni, la famiglia del Nord è stata finalmente rintracciata. Non si erano resi conto che l’appello era rivolto a loro, così sembra abbiano spiegato il lungo ritardo. Dopo l’incidente si erano fermati per dare aiuto alla donna. Padre, madre e due figli, un maschio e una femmina, come raccontato da due ragazzi palermitani, anche loro fermatisi dopo l’impatto per prestare aiuto. Il padre e il figlio avevano perfino rincorso Viviana Parisi mentre fuggiva per la campagna sotto l’autostrada col figlio.

Un gesto estremo della donna che ha ucciso Gioele, lo ha nascosto sotto la sterpaglia lì sotto l’autostrada Messina – Palermo, nella campagna di Caronia, per poi salire sul traliccio dell’Enel e da lì buttarsi sotto per togliersi la vita? Oppure una volta sotto l’autostrada qualcuno l’ha aggredita? Persone, animali? Dopo 15 giorni resta un mistero la fine di Viviana Parisi e del piccolo Gioele Mondello.

Lo scorso lunedì, 3 agosto, la 43enne dj torinese è salita in auto col figlio di 4 anni, e da Venetico, paesino costiero in provincia di Messina, è andata a Milazzo. Qui dopo le 9.30 ha imboccato l’autostrada in direzione Palermo. Si è allontanata molto da casa, forse per andare alla Piramide della luce, l’installazione voluta dal mecenate Antonio Presti, così perlomeno ipotizzano i parenti, sapendo che ne fosse quasi ossessionata. Da qualche tempo Viviana viveva un disagio emotivo che l’aveva portata in ospedale ben due volte. Gridava, e sentendola i vicini si erano allarmati ed avevano chiamato i soccorsi, questo, perlomeno, ha riportato il suocero, Lillo Mondello, padre del marito Daniele, molto noto negli ambienti “Dance”, come dj e produttore.

Mentre il padre di Viviana, Luigino Parisi, ha raccontato dei video che il genero le aveva mandato: “Ce li avevo qui nel telefonino, poi ho cancellato per fare spazio ma li ricordo, lei era in terrazzo e leggeva la Bibbia a gran voce”. Una spinta spirituale sempre più pressante, così pare trovasse sfogo Viviana, che poco prima dell’incidente del 3 agosto, aveva smesso di prendere i tranquillanti che le erano stati prescritti e mostrava una evidente ripresa, così perlomeno ha raccontato Daniele. Quella mattina del 3 agosto, però, qualcosa – o qualcuno? – l’ha spinta ad uscire di casa col figlio e allontanarsi chissà con quale meta. Dopo avere preso l’autostrada la donna esce al casello di Sant’Agata alle 10.30, va presumibilmente a fare benzina, 22 minuti dopo rientra in autostrada e continua il percorso in direzione Palermo. La Piramide della luce, se è questa la sua meta, è ancora lontana, quando nella galleria Pizzo Turda, dieci minuti dopo avere ripreso l’autostrada, tenta un sorpasso e urta un furgone. La macchina va in tilt e riesce a fermarla subito dopo la galleria, in uno spiazzo. Quel punto dell’A20 non è alto, e scavalcando il guardrail riesce a raggiungere la campagna sottostante. Ha Gioele in braccio, come riferiscono i testimoni finalmente rintracciati, e nessuno la sta inseguendo.
Qui arrivano le indagini. Le registrazioni delle telecamere lungo il percorso, poi i testimoni e i biglietti dell’autostrada trovati in auto, hanno permesso agli inquirenti di avere chiaro cosa è successo fin qui. Dopo si aprono gli interrogativi e si moltiplicano le ipotesi. L’unica certezza è che la donna è stata ritrovata sotto un traliccio dell’Enel a 500 metri in linea d’aria da dove è stata vista l’ultima volta sull’A20. Cos’è successo in quel percorso è invece tutto da verificare. Il primo e più pressante interrogativo è dove sia Gioele e cosa gli sia successo. Dopo dieci giorni dal ritrovamento del corpo della madre del piccolo non c’è traccia. L’ha nascosto sotto della sterpaglia? Quattro cani specializzati nella ricerca di cadaveri sono arrivati venerdì scorso in aereo da Roma per cercare i resti. Sono intervenuti perfino i cacciatori di Calabria, specializzati nelle ricerche di latitanti, negli impervi boschi della Sila. Ma non è stato trovato ancora nulla, neanche un indumento. Le ricerche sono a un punto fermo e stamattina è previsto un vertice in prefettura per decidere come proseguire, e fino a quando proseguire le ricerche.
Intanto si attendono i risultati dell’autopsia sul corpo di Viviana. Al momento sono pochi gli elementi: le lesioni riscontrate dai medici legali sono compatibili con una caduta. Le gambe di Viviana avevano segni nei polpacci che potrebbero essere stati lasciati dagli animali, come dei morsi: in zona ci sono dei maiali selvatici e in un casolare vicino vivono due Rottweiller. Le scarpe, le Adidas bianche che aveva ai piedi non erano molto sporche, una le si è pure sfilata da un piede, finendo in un rovo sotto il traliccio. Infine, l’ultimo dato, tra quelli fin qui rivelati alla stampa: il corpo della donna ha iniziato la decomposizione nello stesso luogo in cui è stata ritrovata. Mentre è stato sentito dalla procura il padrone dei due Rottweiller. È stata aggredita dagli animali? Il bimbo divorato? Sono ipotesi al vaglio degli investigatori. Potrebbero spiegare cos’è successo da quando è scappata dal luogo dell’incidente, ma non risolvono i quesiti più pressanti: perché Viviana è uscita dall’autostrada inerpicandosi in quel territorio così poco agevole? Cosa l’ha spinta? Da cosa o da chi fuggiva? E soprattutto: che fine ha fatto Gioele?

Dovete morire. - Marco Travaglio

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Dicevano: i 5Stelle sono totalitari perché comandano Grillo e Casaleggio. Poi Casaleggio morì e Grillo s’eclissò, allora dicevano: eh, non parla più perché l’han fatto fuori, anzi si è stufato, anzi i 5Stelle sono morti e lui fa un nuovo movimento. Poi è arrivato Casaleggio jr. e dicevano: non sono totalitari, sono ereditari. Ora Casaleggio sta sulle palle pure a Di Maio, allora dicono: ecco, fanno fuori pure Casaleggio. Dicevano: Rousseau è una roulette truccata, vince sempre il banco, cioè la Spectre casaleggiana: poi sull’abolizione del reato di clandestinità Grillo e Casaleggio dissero no, e vinse il sì; sull’alleanza col Pd Casaleggio sperava nel no, e stravinse il sì; l’altro giorno sulle alleanze coi partiti Casaleggio puntava sul no, ed è uscito il sì. Dicevano che i 5Stelle erano un monolite, una setta plagiata dai suoi guru, una massa di ebeti terrorizzati dalle espulsioni, anzi epurazioni, anzi purghe staliniane e rastrellamenti nazisti; ma dicevano pure, in lieve contraddizione, che il M5S è sempre sull’orlo della rivolta, della scissione, della fuga di massa, dell’esodo biblico. Dicevano che era ora di finirla con quest’allergia alle alleanze: quelli le hanno fatte, anche troppe e ora gli dicono che sono incoerenti ad allearsi.
Dicevano che questa storia dei due mandati non aveva senso, in fondo bisogna pur imparare nei consigli comunali: allora quelli han levato dal computo il mandato in consiglio comunale, e ora gli dicono che sono incoerenti a fare ciò che gli avevano sempre detto di fare. Dicevano che i 5Stelle portano solo incompetenti: poi han portato il premier più competente da un pezzo, allora dicono che però non è iscritto e in fondo non è poi così competente. Dicevano che Conte voleva l’alleanza col Pd, mentre Di Maio la sabotava per indebolire Conte e tornare con Salvini: poi Di Maio, a urne di Rousseau aperte, s’è schierato pro alleanze, allora hanno detto che “ora Conte è più debole” (Claudio Tito, Repubblica). Dicono che i 5Stelle non hanno idee, infatti le cambiano su tutto: la Gronda di Genova (parzialmente vero, ma non è più quella da 5-6 miliardi bocciata in passato); il Tav Torino-Lione (mai cambiato idea: han perso in Senato contro Lega, Pd, FI, FdI); il Tap (mai cambiato idea: l’iter era troppo avanzato per fermarlo senza penali); il Ponte sullo Stretto (mai cambiato idea: infatti Conte vuole il tunnel, mentre a cambiare idea da No Ponte a Sì Ponte è Repubblica); i tunnel in generale (mai stati contrari ai tunnel: solo a quello del Tav Torino-Lione perché scaverebbe 60km di montagna contro i 4 dello Stretto e ospiterebbe non treni passeggeri, ma merci che già viaggiano da Torino a Modane sotto il Frejus).
Ma dicono anche che ora il Pd è succube del M5S, che gli ha imposto la parte del suo programma che non era riusciti a imporre alla Lega dopo averla costretta a votare Dl Dignità, Reddito di cittadinanza, Anticorruzione, blocca-prescrizione, stop ai vitalizi ecc. Ma non spiegano dov’è lo scandalo se un partito di sinistra che da vent’anni faceva leggi di destra oggi vota misure di sinistra volute da un partito “nè di destra né di sinistra”: manette agli evasori, taglio dei parlamentari (storica battaglia della sinistra, dalla Iotti a Ingrao a Rodotà), reddito d’emergenza, salario minimo, fuori i Benetton da Autostrade, Stato in settori strategici dell’economia, bonus per bisognosi, incentivi al green. Dicevano che il M5S sapeva solo urlare “vaffa” a tutti e “partito di Bibbiano” al Pd (che purtroppo, a Bibbiano e dintorni, era pure vero): ora che ha smesso, gli dicono che è incoerente perchè ha smesso. Dicevano che il M5S deve spiegare perchè s’è alleato con la Lega e col Pd dopo aver detto mai con la Lega e col Pd: invece la Lega, il Pd e l’Innominabile non devono spiegare perchè si sono alleati col M5S dopo aver detto mai col M5S. Dicono sempre che i 5Stelle devono spiegare perchè chiedono agli iscritti il permesso di fare tutto: invece i partiti non devono mai spiegare perchè ai loro iscritti non chiedono mai il permesso di fare nulla.
Dicono che la Raggi doveva evitare di ricandidarsi, visto che il Pd non la vuole: così ora avremmo la prima campagna elettorale della storia senza neppure un candidato (strano, visto che quelli che sanno come si fa il sindaco di Roma sono più numerosi di quelli che sanno come si fa il ct della Nazionale). Dicono che la svolta pro alleanze del M5S è positiva, così il Pd può vincere in tutti i Comuni e Regioni, ma solo a patto che il M5S si decida a dire che è di sinistra (non si vede perchè, ma è una fissa di Ezio Mauro: bisognerà fare qualcosa) e che Raggi e Appendino si ritirino (confondono il concetto di allearsi con quello di portare l’acqua con le orecchie). Dicono che il terzo parzialissimo mandato e le alleanze locali segnano la fine della diversità del M5S, ormai “un partito come gli altri” (senza sedi nè soldi nè pregiudicati, ma questi son dettagli). Nessuno dice che son cambiati anche e soprattutto gli altri, tutti più o meno grillizzati: sennò Benetton sarebbe ancora il re delle autostrade e l’Innominabile il segretario Pd, il premier non sarebbe Conte, i furbastri del bonus non farebbero notizia e tutti i partiti si batterebbero per il No al referendum. Dicono, dicono, dicono tutto e il suo contrario, per non sputare quello che davvero pensano: “Dovete morire”. Così Salvini sarebbe al potere da un pezzo e tutti vivrebbero felici e contenti.

I “furbetti”politici? Son molto peggio le imprese… - Gad Lerner

Imprese e Partite IVA: prestiti con garanzia Fondo PMI - PMI.it

Ora che va placandosi la (sacrosanta) furia nei confronti dei tre (o cinque) parlamentari e della quindicina di consiglieri regionali che hanno richiesto il bonus per le partite Iva in difficoltà, mi arrischierò a far notare che i politici furbetti sono risultati essere davvero pochi in proporzione al numero degli eletti.
Non fraintendete. Nei loro confronti non provo alcuna forma di indulgenza. Ma non vorrei che sfogandoci su costoro ci formassimo un’immagine assai deformata del tasso di abusivismo/sfacciataggine/disonestà proliferante nella società italiana.
Nei giorni scorsi “Il Fatto” ha pubblicato le testimonianze di numerosi dipendenti di aziende i cui titolari, pur avendo chiesto la cassa integrazione, li hanno fatti lavorare in nero durante il lockdown. Fonti attendibili ipotizzano che il 30% delle imprese richiedenti sostegno pubblico non avrebbero dimostrato significativi cali di fatturato.
Mi sembra evidente che si tratti di comportamenti illeciti ben più rilevanti in termini numerici e percentuali, oltre che di danno per le casse dello Stato, anche se suscitano decisamente meno scandalo. Ma proprio questo è il punto.
Certa televisione (in stile Rete 4) ci ha abituati a dare la caccia al falso invalido coprendo le responsabilità dei grandi evasori; a mettere alla gogna il singolo peones dimenticando le appropriazioni di denaro pubblico occultate dai vertici del suo partito.
Orbene. Qui non si tratta di fare di ogni erba un fascio. Ad esempio, il dipendente che accetta un’integrazione in nero commette un illecito, certo, ma non comparabile a quello del suo datore di lavoro.
Nei mesi scorsi il governo si è giustamente dato la priorità di fornire assistenza ai bisognosi, senza avere il tempo di mettere troppi filtri. Ora è il momento di verificare chi ne ha abusato. Non accontentiamoci del tiro a segno sui politici.

lunedì 17 agosto 2020

I parassiti millenarie Virginia Raggi. - Massimo Fini

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La storia insegna - Catilina, Caligola e Nerone tentarono, di portare equità nel sistema politico della Città Eterna, “da sempre lassista e corrotta in quasi ogni strato sociale”. Fallirono. Come può lei in 5 anni?
Sul Giornale del 12 agosto il direttore Alessandro Sallusti così descrive Virginia Raggi: “La signora è stata il peggior sindaco della storia romana, monumento perenne all’incapacità. La città non è mai stata così conciata da tutti i punti di vista: sporcizia e incuria sono temi all’ordine del giorno, la gestione del trasporto pubblico una barzelletta…”. Un giudizio apodittico, senza appello. Del resto quando si tratta di “grillini” la loro incapacità è data per scontata, ma nel caso di Raggi c’è un accanimento particolare.
Io invece stimo Virginia Raggi. Ammiro la tenuta nervosa di questa giovane e bella donna che da quando è sindaco di Roma ha dovuto tener testa a un volume incredibile di attacchi portati da ogni settore del circuito mediatico e politico (è questo il vero “plotone di esecuzione”, mister Berlusconi). Non aveva fatto ancora in tempo a mettere piede in Campidoglio che il Corriere della Sera, non la Gazzetta di Peretola, inaugurava su due pagine una rubrica intitolata “Caos Roma”. Il Corriere e tutti gli altri media nazionali scoprivano le strade dissestate di Roma, come se non ci fossero mai state prima, i topi di Roma, i ragni di Roma, le ragnatele di Roma, i maiali di Roma, gli ippopotami di Roma e, per non farsi mancar nulla, anche animali fiabeschi come l’ippogrifo e l’ircocervo. Se Raggi si affacciava sulla terrazza del Campidoglio con un collaboratore le veniva subito appioppato come amante. A questa insaziabile ninfomane ne sono stati attribuiti una dozzina e su Libero Vittorio Feltri, il campione olimpionico della volgarità, ha titolato “La patata bollente”. Nell’estate del 2017 Roma è stata colpita da un periodo di grave siccità per cui l’acqua faticava ad arrivare ai rubinetti. Di chi la colpa? Naturalmente di Virginia Raggi. Per cui si è dovuto cambiare il celebre motto “piove governo ladro” in “non piove governo ladro”. È seguito un periodo alluvionale che ha allagato qualche quartiere periferico di Roma. Di chi la colpa? Di Virginia Raggi naturalmente. A Milano periodicamente straripa il Seveso, un fiumiciattolo insignificante che oltretutto scorre in pianura ed è quindi facilmente contenibile a differenza di un torrente che vien giù dalle montagne alle spalle di Genova, si allaga mezza città ma nessuno si sogna di darne la responsabilità al sindaco Sala.
Roma è una città clientelare e parassitaria dall’epoca della Repubblica e dell’Impero romani. La “plebs frumentaria” non lavorava e si manteneva con gli aiuti dello Stato, cioè grano come dice il nome stesso. Questi fais neant, non avendo appunto niente da fare, erano causa di continue risse e tumulti. Non tutti però gli appartenenti alla “plebs frumentaria” erano volutamente dei fannulloni. Non tutti infatti erano romani, per una certa parte si trattava di contadini e piccoli proprietari provenienti dall’Etruria che erano stati spossessati dei loro terreni dai latifondi senatoriali.
Il primo a porsi seriamente il problema fu Catilina, il quale fece approntare dal tribuno Servilio Rullo una legge, la “legge agraria”, che se approvata avrebbe consentito di tagliare le unghie ai latifondisti e restituire una parte dei terreni ai vecchi proprietari. In questa occasione Cicerone, con l’orazione De lege agraria si superò ammonendo la plebe che se si spostava da Roma non avrebbe più potuto vendere la cartella, cioè il loro voto. Il programma catilinario era esplosivo e questo grande aristocratico romano, difensore degli “umiliati e offesi”, perse in battaglia la sua battaglia. Sulla linea di Catilina si metterà un secolo dopo l’imperatore Caligola. Che verrà regolarmente assassinato. Per infamarlo si è detto e anche purtroppo scritto che era un pazzo che aveva nominato senatore il suo cavallo.
Per la verità i fannulloni a Roma non erano soltanto i plebei, ma anche, e soprattutto, i senatori che volevano solo godersi le loro ricchezze e i loro latifondi e non volevano saperne di lavorare cioè, nel loro caso, di partecipare al governo della cosa pubblica. Allora Caligola disse: “Se le cose stanno così allora potrei nominare senatore anche il mio cavallo”. Che è cosa un po’ diversa. Nerone, altro infamato seriale, fu colui che, in modo meno irruente di Catilina e Caligola, cercò di portare nell’Impero un minimo di perequazione sociale e politica. Cercò in tutti i modi di associare i senatori al governo dello Stato, ma di fronte alla loro riluttanza in un discorso famoso tenuto in Senato li accusò letteralmente di assenteismo, parola molto moderna. Fu costretto a suicidarsi.
Roma è quindi da sempre una città lassista e corrotta in quasi ogni strato sociale. Come si può pensare che un sindaco, in soli cinque anni, rimonti duemila anni di Storia. Inoltre, nel frattempo, la situazione di Roma si è aggravata perché la Capitale ha assorbito, come una cozza, il peggio delle emigrazioni dal Meridione, con la loro mentalità intrinsecamente mafiosa (i meridionali che vennero al Nord all’epoca del boom era gente che aveva voglia di lavorare e che si integrò benissimo). Quando venne alla ribalta, diciamo così, il “mondo di mezzo”, i media, i soliti media, esultarono perché non risultava che fosse legato alla Mafia propriamente detta, senza rendersi conto che era molto peggio perché la Mafia è almeno una struttura organizzata, mentre il “mondo di mezzo” è liquido e dentro ci puoi trovare di tutto.
Virginia Raggi è stata accusata per alcune scelte sbagliate, ma io sfido chiunque a trovare in Roma, quando si seleziona il personale amministrativo, qualcuno di cui si possa esser certi che non ha qualche scheletro nell’armadio. Comunque Raggi è stata sempre assolta.
Raggi non ha fatto assolutamente nulla, come pretende Sallusti? Ha detto no alle Olimpiadi a Roma rendendosi conto che la città, nelle condizioni in cui è, non può reggere un simile impegno. Apriti cielo: i soliti “grillini” che, da quegli incompetenti che sono, dicono sempre niet a tutto. Ma no alle Olimpiadi lo aveva detto anche Mario Monti che di tutto si può accusare tranne che di essere un improvvisato.
Raggi ha dimezzato le cubature della speculazione edilizia che si voleva fare sui terreni dell’ex ippodromo di Tor di Valle in relazione al nuovo stadio della Roma. A Milano si vuole abbattere lo stadio di San Siro, un monumento nazionale, per consentire alle proprietà transnazionali di Inter e Milan un’enorme speculazione edilizia negli spazi adiacenti.
C’è infine una cosa che ha fatto Virginia Raggi che dovrebbe piacere persino a Sallusti. Nel novembre del 2017 il sindaco “nullafacente” guidò personalmente 500 agenti della polizia municipale per abbattere otto ville abusive appartenenti al clan dei Casamonica. Insomma ci ha messo la faccia. Sallusti, mi spiace dirlo, alle volte quando scrive ci mette solo il culo.

La rovina del giornalismo italiano. - Tommaso Merlo



Secondo la stampa mainstream il Movimento ormai è un partito come gli altri perché si è rimangiato il secondo mandato. Gli è bastato omettere che la modifica si riferisce solo agli amministratori locali per confezionare l’ennesima fake-news da diffondere sotto gli ombrelloni. Le condizioni del giornalismo italiano sono davvero disperate. Ormai perfino i pesci si rifiutano di venire incartati con certi quotidiani. Pretendono anche loro un congedo dignitoso. La stampa mainstream è uno di quegli ambiti in cui sono più evidenti i mali che ancora affliggono il nostro paese. Quel vecchio regime politico ma anche culturale che non si vuole rassegnare al suo triste tramonto. Ingoiata l’ennesima fake sul secondo mandato, i lettori di quei giornali borbottano sotto il solleone contro il Movimento che ha tradito se stesso. Si agitano come inconsapevoli burattini delle balle propagandistiche che si son appena bevuti. Certo giornalismo manca di rispetto prima di tutto ai propri lettori. Li considera stupidi e facilmente manipolabili e li tratta come tifosi disposti a credere ad ogni scempiaggine pur di scagliarsi contro gli avversari politici. Perché di questo si tratta. Di politica, non di giornalismo. Di propaganda, non d’informazione. Invece cioè di svolgere il suo ruolo d’informare, la stampa mainstream disinforma a fini politici. Le divergenze di opinioni non c’entrano nulla. Un’opinione basata su fatti falsi non è un’opinione. È fango. È inquinamento del dibattito pubblico. Così come tutte le soap sfornate dai retroscemisti. Acqua sporca al mulino del proprio padrone. Un modo di fare informazione da giornali di partito che ha infettato tutta la stampa mainstream. Ma invece che un partito, oggi servono una lobby, servono una linea politica restauratrice di un ordine a loro conveniente. Il risultato è che in Italia il giornalismo vero sta scomparendo. Si deve rifugiare in riserve indiane e nicchie digitali. La stampa mainstream è in mano a pochi facoltosi padroni. E intere generazioni di giornalisti si devono omologare per mangiare e fare carriera, si devono aggregare al gregge, si devono piegare alle esigenze padronali. È questa la rovina del vero giornalismo. La dipendenza da interessi lobbistici che invece di premiare l’onestà intellettuale e la schiena dritta, premia i giornalisti più spregiudicati e faziosi e che s’immolano per la causa politica e commerciale del proprio padrone. Una deriva suicida per il giornalismo. Questo perché mentre le caste giornalistiche si arroccano per difendere il proprio castello di carta, i cittadini sviluppando gli anticorpi e si evolvono. Ormai la verità è a portata di click e certe balle durano secondi. E più aumenta la consapevolezza e la capacità di discernimento dei cittadini, più quel modo di fare informazione si ritorce contro chi lo fa. A furia di scivolare nella meschina faziosità e nel conformismo, il giornalismo ha perso il suo bene più prezioso che è la credibilità. Diventando sempre più marginale. Le conseguenze per la nostra democrazia sono devastanti. Invece di arricchire il dibattito pubblico, il giornalismo lo inquina. Invece di promuovere la verità, il giornalismo la umilia manipolandola. Invece di stimolare una coscienza collettiva, il giornalismo spacca la società e la infarcisce di astio per meschino tornaconto. Davvero una rovina per il giornalismo e per il nostro paese. La stampa mainstream è uno di quegli ambiti in cui sono più evidenti i mali che ancora ci affliggono. Quel vecchio regime politico ma anche culturale che non si vuole rassegnare al suo triste tramonto.

https://repubblicaeuropea.com/2020/08/17/la-rovina-del-giornalismo-italiano/