mercoledì 12 maggio 2010

Io intercetto, voi no - Marco Travaglio



12 maggio 2010

Le ultime rivelazioni sulle intercettazioni di D’Alema eFassino illegalmente e gentilmente offerte a Berlusconi, riportano alla mente un altro episodio della sua luminosa carriera, ovviamente dimenticato: quando era lo stesso Cavaliere a intercettare di nascosto i suoi ospiti per carpire loro false accuse contro Di Pietro. È l’autunno ‘95 e Di Pietro, uscito da un anno dalla magistratura, è nel mirino della Procura di Brescia. Ma le inchieste languono e rischiano di finire archiviate. Si avvicina l’entrata in politica del pm più popolare d’Italia e Berlusconi ne è terrorizzato.

Così invita ad Arcore un suo vecchio dipendente e amico, il costruttore
Antonio D’Adamo, che era amico pure di Di Pietro e nuota in pessime acque, con 40 miliardi di debiti con le banche. Berlusconi s’impegna ad aiutarlo finanziariamente, ma in cambio vuole una sola cosa: la testa di Tonino. Quando, alle 12:55 del 7 settembre, D’Adamo esce dalla villa di Arcore, chiama la figlia che gli domanda: "Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?". E D’Adamo: "Certo, Patrizia, c’è tutta una contropartita...". L’amico Silvio gli ha appena promesso un po’ di respiro dalle banche creditrici e un intervento per sbloccare certi affari edilizi in Libia. Passano due anni e il 13 maggio 1997 Cesare Previti produce a Brescia un memoriale scritto da D’Adamo che rievoca creativamente il famoso prestito di 100 milioni fatto dal costruttore all’ex pm e poi restituito, e altri particolari opportunamente ritoccati per accreditare l’ipotesi accusatoria dei pm bresciani: che Di Pietro abbia concusso il banchiere Pacini Battaglia per salvarlo da Mani Pulitein cambio di una tangente parcheggiata sui conti di D’Adamo.

Berlusconi va a testimoniare: "D’Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pacini un finanziamento di 9 miliardi. A fronte di tale finanziamento D’Adamo avrebbe dovuto restituire a Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente". Dice che, per puro caso, è stata registrata dal suo collaboratore
Roberto Gasparotti la conversazione in cui D’Adamo gli confida il peccato mortale di Tonino. Gasparotti presenta ai pm un "taglia e cuci" delle confidenze di D’Adamo. Ma il contenuto non è cosí chiaro come garantisce il Cavaliere. È quest’ultimo che tenta di far dire a D’Adamo che Di Pietro è un corrotto. Ma D’Adamo, finito in un gioco più grande di lui che potrebbe condurre entrambi a una condanna per calunnia, si schermisce: "Dottore, lei sa quanto le voglio bene e quindi non ho paura di questa cosa qui, ma se dice una cosa di questo tipo si incasina...lei queste cose le lasci dire a me… lei deve stare fuori...".

Nel nastro "taglia e cuci" D’Adamo spiega, mentendo, di avere ancora un credito di "100 milioni, 150, 130, non so" con l’ex pm (che invece ha estinto il debito già nel 1994). Ma quando finalmente va a deporre a Brescia, balbetta, si contraddice e non conferma ciò che non può confermare: e cioè che Di Pietro fosse un corrotto. Alla fine l’ex pm verrà prosciolto dal gup
Anna Di Martino, che scriverà: "La genesi delle accuse di D’Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da Silvio Berlusconi nei confronti dell’ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio Berlusconi (e Previti) sospinse D’Adamo alla Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull’antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica di D’Adamo". I nastri evidenziano un'"inquietante soggettiva interpretazione dei fatti da parte del Berlusconi, ma anche un abbandono strumentale del D’Adamo a rivelazioni forzatamente alterate dei suoi rapporti con Di Pietro, nella prospettiva di soddisfare l’ansia accusatoria del suo interlocutore (Berlusconi) nei confronti dell’ex pm e ottenere urgenti soccorsi". Ecco, signore e signori: questo è l’uomo che oggi sventola il vessillo della privacy e vuole abrogare le intercettazioni. Quelle legali. Quindi, non le sue.

Da
il Fatto Quotidiano del 12 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2486890&title=2486890



L’UOMO GIUSTO - Stazione MIR - Federico D'Orazio


Lui, dice che era tutto già deciso dal settembre 2009.

Dice che quindi, gli scandali che hanno colpito Bertolaso, nulla c’entrano con il suo arrivo in Protezione Civile, e col suo futuro avvicendamento al vertice del Dipartimento. E nulla c’entrano quindi le indagini per ipotesi di corruzione, omicidio colposo, né tantomeno le Moniche e Francesche del Salaria Sport Village che da qualche mese a questa parte hanno un po’ imbrattato i fregi dell’eroe nazionale Guido Bertolaso.

Lui, difatti, è Franco Gabrielli. E non c’entra nulla.

Men che meno con Bertolaso, medico da tempo immemore destinato a portare la sua opera nel continente nero, trattenuto per la giacchetta da Governi di ogni colore sul suolo patrio. Perché una gemma del suo calibro non può e non deve essere solo ciò per cui ha titolo d’occuparsi: ovvero, medico specialista in malattie tropicali.

Nell’ineluttabilità della dipartita del Bertolaso, gli ingranaggi che regolano questo gioco delle tre carte, vedono occupare la poltrona di Capo Dipartimento dal personaggio davvero giusto; Franco Gabrielli, appunto. Già Prefetto dell’Aquila, già capo del SISDE, già poliziotto.

Nel suo cursus honorum aquilano lo si ricorda per essersi saputo mostrare, da capace conoscitore di “movimenti eversivi”, come ci ricorda l’articolo de “Il Centro” di oggi, accondiscendente con chi ricopriva appieno il clichet del terremotato forte, gentile e disorientato… e duro, irreprensibile, sprezzante offensivo e repressivo, verso coloro i quali, semplicemente, avevano qualcosa in più da obiettare, pur essendo anch’essi, terremotati.

Lo ricordo aver definito “minoranza prepotente” gli aquilani in carriola anche il giorno delle elezioni amministrative aquilane, rei d’aver praticato una manifestazione a suo dire politica durante il silenzio elettorale. Peccato che, ammesso e non concesso che di manifestazione politica si trattasse, i suoi fidi emissari abbiano saputo con precisione chirurgica chi colpire (amministrativamente) al punto che nel novero delle decine di partecipanti alla “prepotente” manifestazione, ne siano stati poi denunciati solo tre, e tutti riconducibili a vario titolo all’attività politica, pur non essendo in quell’occasione candidati ad alcunché, né mi risulta iscritti a partito alcuno.

“Cialtroni”, disse che eravamo noi in carriola. Noi contestatori di messaggi a contenuto propagandistico che senza alcuna vergogna Berlusconi e Schifani hanno fatto leggere sotto il nostro tendone la notte del 6 Aprile 2010, mentre tutti ci aspettavamo un momento di decente silenzio.

Silenzio anche da chi quella notte, per casuale fortuna, non era in sede. Ma così non fu.

Da parte mia non nutro dubbi che la sua nomina venga da un percorso iniziato da lontano. E sulla quale a lungo si sia lavorato. Per meritarsela, sia chiaro. E senza dubbio l’avrà meritata il nostro già ex-Prefetto “querela facile” Franco Gabrielli.

L’ha meritata sul campo. Dimostrando di saper arginare i pericoli di un “territorio difficile”, come egli stesso ricorda al suo ancora ignoto successore. Sembra quasi voglia avvertirlo che, di chiunque si tratterà, questi avrà del filo da torcere; parla infatti di necessità di un “rappresentante del Governo all’altezza” del compito che gli si prospetta.

A L’Aquila, s’è capito, c’è resistenza a farsi piegare.

Quando anche Gabrielli avrà a disposizione i mezzi delle decretazioni d’urgenza, prerogative di un capo Dipartimento della Protezione Civile, avremo finalmente elementi per un giudizio realistico.

Sapremo perché a proteggere una popolazione da rischi Idrogeologici, sismici, vulcanici debba esserci non un ingegnere. Non un medico, seppur tropicalista. Ma un poliziotto di carriera.

Quello sì, che è l’uomo giusto.

http://stazionemir.wordpress.com/2010/05/12/luomo-giusto/#comment-720


Le intercettazioni che piacciono a B. - Eleonora Lavaggi


Questa volta Silvio Berlusconi rischia grosso. Sta prendendo una brutta piega l’indagine della procura di Milano sul furto informatico del file-audio contenente l’ormai celebre intercettazione in cui l’ex segretario dei Ds, Piero Fassino, nell’estate del 2005 diceva all’ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, "allora siamo padroni di una banca...". Gli elementi in base ai quali gli investigatori pensano che davvero quel nastro (ma non solo quello) sia transitato per Arcore prima di venir consegnato a Paolo Berlusconi e pubblicato da Il Giornale il 31 dicembre del 2005, aumentano. E tra di essi vi sono pure una serie di dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio che, come vedremo, nel gennaio del 2006 si dimostrava a conoscenza di molti particolari sul ruolo dei vertici dei Ds nella scalataBnl, in quel momento segreti per tutti i comuni mortali.

Ma andiamo con ordine. La scorsa settimana
Fabrizio Favata, un ex socio (occulto) di Berlusconi junior nell’azienda di software Ip time, si è presentato al pmMassimo Meroni per confessare di essere davvero stato lui a far ascoltare al premier e a suo fratello non solo la voce di Fassino, ma anche quella di una lunga serie di politici intercettati durante l’inchiesta sulle scalate bancarie (i furbetti del quartierino) di 5 anni fa. Favata ha aggiunto che con lui, in quella strana visita ai Berlusconi avvenuta nel tardo pomeriggio del 24 dicembre 2005, c’era pureRoberto Raffaelli, l’ex patron di Rcs, l’azienda di intercettazioni telefoniche utilizzata dai magistrati nell’inchiesta sui furbetti. E per corroborare la sua tesi ha consegnato un registratore in cui è presente anche il file di un colloquio (della primavera 2009) in cui lui e Raffaeli riepilogano l’intera storia. Adesso il pallino è in mano a Raffaelli che, già ascoltato mesi fa, si era fin qui limitato ad ammettere la singolare visita natalizia, ma aveva negato il resto. Di fronte alle prove prodotte da Favata cambierà versione? La risposta è importante, ma a questo punto forse non fondamentale. La partita che si sta giocando a Milano è infatti più che altro politica. I pm hanno iscritto sul registro degli indagati i protagonisti della vicenda per una lunga sfilza di reati che vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, al millantato credito, dalla tentata estorsione (ai danni del premier) fino al furto informatico e alle fatture false.

Ma la questione, come ha ricordato l’ex leader del
Pd, Walter Veltroni è in fondo un’altra: davvero Berlusconi, il politico che vuole mettere il bavaglio alla stampa e rendere quasi impossibili gli ascolti telefonici, ha utilizzato un’intercettazione segreta e non ancora trascritta per danneggiare mediaticamente gli avversari? Per capirlo conviene partire da due fatti. Incontestabili. Il primo è un particolare tecnico: nell’autunno del 2005, quando imperversavano le polemiche sul ruolo della politica nelle scalate bancarie, ma ancora i giornali non conoscevano i contenuti dei colloqui tra Consorte e i vertici dei Ds, di tutti quei file audio vennero fatte più copie. Ai magistrati furono forniti dei computer contenenti le intercettazioni in modo le potessero ascoltare per poi decidere quali fossero realmente rilevanti (e quindi da trascrivere) e quali no. Insomma da quel momento in poi, per i tecnici fare una copia dei file, sarebbe stato facilissimo. Il secondo fatto è invece l’atteggiamento pubblico di Berlusconi nel gennaio del 2006.

Quando
Il Giornale (facendo il suo dovere) pubblica la trascrizione della telefonata Fassino-Consorte, i Ds in imbarazzo si difendono sostenendo che il loro segretario non ha commesso alcun illecito, ma si è limitato a fare il tifo per Unipol. Berlusconi però attacca a tutto campo. E comincia la rimonta che in primavera lo porterà a perdere per 24mila voti le politiche contro Prodi (allora i sondaggi lo davano indietro di 10 punti). Mentre i suoi collaboratori spiegano ai giornali (Corriere 10 gennaio ’06) che su il dossier su Unipol e la Quercia "è cresciuto durante le vacanze", l’11 gennaio il premier va il premier da Bruno Vespa, e dice: "I Ds mentono. Non si sono limitati a fare il tifo, ma hanno avuto incontri affinché alcuni detentori di azioni Bnl le vendessero a Unipol". Vespa gli chiede se per caso sia a conoscenza di informazioni non di pubblico dominio. Lui risponde: "Ne ho ulteriore conoscenza". Il caso monta. Il centrodestra dice che con le scalate "è finito il mito della diversità morale della sinistra". I sondaggi invertono la tendenza.

Due giorni dopo, visto che è stato sfidato a riferire quel che sa ai pm, Berlusconi si presenta alla procura di Roma (che si occupa di
Bnl), per una deposizione di mezz'ora. Il risultato è però deludente. Il Cavaliere cita come testimone il suo vecchio amico Tarak Ben Ammar (che già nel ‘96 lo aveva difeso sui finanziamenti a Craxi) e sostiene di aver saputo da lui di un incontro tra Massimo D’Alema e i vertici delle Assicurazioni Generali, azioniste di Bnl. La smentita delle Generali è immediata. La domanda diventa allora: perché Berlusconi si è esposto in quel modo? Una risposta c’è, se si crede a Favata. L’ex socio di Paolo Berlusconi sostiene di aver fatto ascoltare al premier ve pure un’intercettazione di D’Alema, che pare fare il paio con le denuncie pubbliche del premier da Vespa.

Un colloquio con Consorte del 14 luglio 2005 da cui emerge come davvero il
leader Maximo non si limitò, come Fassino, a fare il tifo per Unipol, ma che invece incontrò l’eurodeputato Udc, Vito Bonsignore, azionista Bnl, per discutere con lui "cosa doveva fare" (vendere o meno a Unipol) in cambio di una contropartita politica. Il dubbio che prende sempre più corpo a Milano è insomma uno solo: Berlusconi a dicembre sapeva tutto, in tv ha detto troppo, e quando si è trovato di fronte ai magistrati è stato costretto a volare basso parlando solo delle Generali e di Tarak. Se avesse detto tutto, già allora, le imbarazzanti intercettazioni delle scalate si sarebbero infatti rivoltate contro di lui.



Da
il Fatto Quotidiano dell'11 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2486512&yy=2010&mm=05&dd=11&title=le_intercettazioni_che_piaccio




No all'imbavagliamento della stampa!


PER LA LIBERTÀ D'INFORMAZIONE, PER LE LIBERTÀ COSTITUZIONALI

All’appello contro la legge bavaglio sulle intercettazioni hanno già aderito quasi 30.000 persone, gruppi, sindacati e associazioni.

All’appello hanno dato il loro sostegno alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani:

Valerio Onida, Presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani; Alessandro Pace, già Presidente della stessa associazione;Gaetano Azzariti; Lorenza Carlassare; Mario Dogliani; Gianni Ferrara.

Per approvare il disegno di legge è stata impressa una vistosissima accelerata ai lavori parlamentari Sono previste sedute mattutine, pomeridiane e notturne della Commissione Giustizia del Senato per concludere l’esame di un testo dall’impianto proibizionista e punitivo. E’ indispensabile moltiplicare gli sforzi per rafforzare l’opposizione a questo attentato alle libertà costituzionali.

Invitiamo tutti a a metterci la faccia, alla pagina Facebook http://bit.ly/cVcr10 che ha raggiunto il numero di 15.800 adesioni oppure a firmare in calce l'appello che ha già raggiunto la cifra enorme di 13.107 firme.

La libertà è partecipazione informata”


Al Senato la maggioranza cerca di imporre la
Legge sulle intercettazioni telefoniche che scardinerebbe aspetti essenziali del sistema costituzionale.
Sono
a rischio la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini ad essere informati.
Non tutti i reati possono essere indagati attraverso le intercettazioni e viene sostanzialmente impedita la pubblicazione delle intercettazioni svolte
Una pesante
censura cadrebbe sull’informazione. Anche su quella amatoriale e dei blog (Art.28).
Se quella legge fosse stata in vigore, non avremmo avuto alcuna notizia dei buoni affari immobiliari del Ministro Scajola e di quelli bancari di Consorte.
Se la legge verrà approvata, la magistratura non potrà più intervenire efficacemente su illegalità e scandali come quelli svelati nella sanità e nella finanza, non potrà seguire reati gravissimi.
Si dice di voler tutelare la Privacy: un obiettivo legittimo, che tuttavia può essere raggiunto senza violare principi e diritti.
Si vuole, in realtà, imporre un pericoloso regime di opacità e segreto.
Le libertà costituzionali non sono disponibili per nessuna maggioranza.

Stefano Rodotà
Fiorello Cortiana
Juan Carlos De Martin
Arturo Di Corinto
Carlo Formenti
Guido Scorza
Alessandro Gilioli
Enzo Di Frenna

Andate a firmare sul sito:

http://www.nobavaglio.it/index.php



Una casa pagata da Anemone per l'uomo delle Infrastrutture - Fiorenza Sarzanini


Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza

PERUGIA — Oltre mezzo milione di euro per comprare un appartamento a Ercole Incalza, potente funzionario del dicastero delle Infrastrutture. È questa la nuova operazione immobiliare gestita nel 2004 dall’architetto Angelo Zampolini per conto di Diego Anemone. Dopo le case acquistate per il ministro Claudio Scajola e per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, l’indagine condotta dai magistrati di Perugia rivela che anche l’attuale capo della «Struttura tecnica di missione», uno dei collaboratori più stretti del ministro Altero Matteoli, ha goduto dei favori del costruttore ora indagato per corruzione. E l’ha fatto sei anni fa, quando era consulente di Pietro Lunardi, che all’epoca occupava la stessa poltrona.

L’affare per il genero
L’operazione sospetta segnalata dalla Banca d’Italia porta la data del 7 luglio 2004. Per il professionista deve essere stato un periodo di lavoro intenso, visto che neanche 24 ore prima ha chiuso la compravendita per Scajola. Quel giorno, così come risulta dai documenti contabili, Zampolini versa sul proprio conto presso l’agenzia Deutsche Bank 520.000 euro in contanti messi a disposizione da Anemone e preleva subito dopo 52 assegni circolari da 10.000 euro l’uno intestati a Maurizio De Carolis. L’uomo viene rintracciato qualche settimana fa e racconta di aver venduto un appartamento al centro di Roma ad un certo Alberto Donati, per 390.000 euro. Il rogito è stato stipulato di fronte al solito notaio, quel Gianluca Napoleone che si è occupato anche delle altre compravendite chiuse con la stessa procedura. E pure in questo caso la cifra appare davvero troppo bassa per una dimora lussuosa che si trova al centro di Roma — in via Emanuele Gianturco 5 — ed è composta da cinque camere e servizi. E infatti il prezzo finale, tenendo conto della cifra versata «in nero» da Zampolini, supera i 900.000 euro. Manca però il tassello successivo e cioè verificare come mai Anemone abbia deciso di mettere a disposizione il denaro. La risposta la fornisce lo stesso Donati: «Ho fatto l’affare grazie a mio suocero Ercole Incalza. Fu lui a dirmi di mettermi in contatto con Zampolini che mi avrebbe aiutato per l’acquisto dell’appartamento». Per chi indaga quello di Incalza è un nome noto visto che nel febbraio 1998, quando era amministratore delegato della Tav, fu arrestato proprio dai magistrati di Perugia. L’inchiesta era quella sugli appalti delle Ferrovie che portò in carcere anche l’allora presidente Lorenzo Necci e il finanziere Francesco Pacini Battaglia. L’identità del beneficiario viene comunicata ai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, titolari dell’indagine, che adesso dovranno decidere la data di convocazione per l’interrogatorio. Incalza dovrà infatti chiarire come mai Anemone decise di elargire in suo favore una somma tanto ingente mentre lui era consigliere del ministro delle Infrastrutture Lunardi. Spiegare che rapporti aveva il costruttore con il dicastero, quali appalti ottenne in quel periodo. Il resto lo sta facendo Zampolini che — come hanno confermato i magistrati perugini davanti al tribunale del Riesame — «sta ricostruendo i flussi finanziari che arrivavano dall’imprenditore». Una collaborazione preziosa per l’indagine perché consente di ricostruire il percorso dei soldi, e dunque il nome di chi ne ha beneficiato, che gli ha evitato la richiesta di arresto.

Le bugie del generale
Lo aveva già fatto nei casi che riguardano Scajola e Pittorru. La scorsa settimana il generale è stato interrogato dai pm. Ha ammesso di aver ricevuto da Anemone, sempre tramite Zampolini, 800.000 euro per l’acquisto di due case. «Ma era un prestito — ha cercato di giustificarsi —sono pronto a fornirvi le prove. I documenti sono conservati in Sardegna e ve li consegnerò entro una settimana». Una versione ritenuta non credibile dagli inquirenti che hanno comunque concesso all’alto ufficiale indagato per corruzione la possibilità di mantenere il suo impegno. Ma dopo sette giorni Pittorru ha fatto sapere che quelle carte gli erano state rubate e dunque non sarebbe stato in grado di dimostrare quanto aveva sostenuto. Anche al commercialista Stefano Gazzani e al commissario per i mondiali di nuoto Claudio Rinaldi viene contestato di aver fornito versioni false rispetto ai propri rapporti con Anemone. E per questo Sottani e Tavernesi hanno ribadito la necessità che entrambi vengano arrestati. «La competenza è della Procura di Perugia, qui deve rimanere l’inchiesta», hanno dichiarato di fronte al tribunale che deve pronunciarsi sulla decisione del gip secondo il quale il fascicolo dovrebbe essere trasmesso a Roma e sulla richiesta degli avvocati difensori Bruno Assummma e Titta Madia che sostengono la completa estraneità dei propri assistiti alle attività illecite della «cricca».

http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_12/una-casa-pagata-da-anemone-per-l-uomo-delle-nfrastrutture-fiorenza-sarzanini_c50c416c-5d88-11df-8e28-00144f02aabe.shtml


Scudo fiscale per tutti!

Dopo aver visto "report", e quello che succede ai poveri cittadini che cadono nella rete dell"'Ufficio delle entrate" e delle società affidatarie per la riscossione dei contenziosi, ho sentito il dovere ed il bisogno di lanciare un'iniziativa su facebook, con la speranza che in molti vi aderiscano.
L'iniziativa è questa:


"Lanciamo l'iniziativa di estendere a tutti i cittadini che hanno un contenzioso con l'ufficio delle entrate l'applicazione dello "scudo fiscale" concesso, attualmente, solo ai grandi evasori.Noi cittadini "normali", in quanto cittadini impossibilitati ad ottemperare ai propri doveri, causa la crisi economica, vogliamo usufruire a pieno diritto dell'agevolazione concessa ai grandi evasori in virtù dell'art. 3 della Costituzione che recita:

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

Se siete d'accordo, aderite e divulgate.


In Italia gli stipendi più bassi d'Europa.


Bertolaso lascia e scappa col malloppo verso altre comode poltrone. Scajola lascia e si tiene la casa al Colosseo cercando di capire chi gliel'ha pagata e poi s'è pure permesso di ristrutturargiela, a sua insaputa.

Berlusconi resta, ma... 'passa' alla ex-moglie alimenti che farebbero la fortuna di qualsiasi 'lavoratore' salariato.

D'Alema si 'irrita' perchè qualcuno gli ricorda di aver avuto la casa popolare usufruendo di una corsia preferenziale che gli permise di scavalcare in graduatoria chi era prima di lui e chi ne aveva più diritto.

Bossi piazza nella 'pappatoja romana' - che tanto 'schifa' - il suo degno erede, il figlio.

E quelli dell'opposizione? Aspettano che arrivi... il loro turno!

La politica è una delle più importanti attività del Paese. Non soffre la crisi, i suoi addetti aumentano ogni anno. I loro stipendi crescono e non temono licenziamenti. La politica è il primo settore improduttivo, ma il meglio retribuito!

Intanto "la gente perbene" affonda, destinazione Grecia. Stipendi e pensioni falcidiati dall'euro, prezzi al consumo triplicati, evasione ed elusione ai massimi storici e quei pochi risparmi - messi da parte con tanti sacrifici - mangiati dalle banche!
Il peso di tasse e contributi sui salari, il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore, è in Italia al 46,5%. Lo rileva l'Ocse nel rapporto 'Taxing Wages 2009'. Nella classifica dei maggiori trenta Paesi, aggiornata al 2009, l'Italia è al sesto posto per peso fiscale sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). Il peso di tasse e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile dal 2008 al 2009, registrando solo un lieve (-0,03%). L'Italia occupa infatti nella classifica Ocse la stessa posizione, la sesta, rispetto all'anno precedente. In Italia, precisa ancora l'Ocse, hanno un impatto rilevante sulla differenza tra salario lordo e netto anche i cosiddetti 'pagamenti obbligatori non fiscali', rappresentati dal tfr, che aumentano la pressione di un ulteriore 3%. "Aggiungendo questa variabile - spiega un economista dell' Ocse in un incontro con la stampa - il prelievo obbligatorio sui salari in Italia sale oltre il 49%, portando il Paese a superare la Francia in termini di quota di imposizione". I 'pagamenti obbligatori non fiscali', secondo la definizione dell'Ocse, sono pagamenti che il lavoratore o il datore di lavoro devono versare per legge, ma non al governo, come i contributi in fondi pensione privati o pagamenti per polizze assicurative. Il loro impatto sui redditi delle famiglie, e sul costo del lavoro, è differente da quello delle imposte tradizionali, dato che spesso si tratta di contribuzioni nominali, che il lavoratore riottiene quando lascia il posto o va in pensione (come, appunto, nel caso del Tfr).
CUNEO FISCALE PIU' FAVOREVOLE A FAMIGLIE (35,7%) - Il carico di tasse e contributi sui salari italiani è meno pesante se il lavoratore ha famiglia: il cuneo fiscale per un lavoratore, unico percettore di reddito, con a carico coniuge e due figli, è del 35,7%. E' quanto risulta dal rapporto Ocse 'Taxing Wages'. L'Italia si colloca al nono posto della classifica dei 30 Paesi. Al primo posto Ungheria, Grecia e Francia, mentre i Paesi in cui la fiscalità é più generosa con le famiglie risultano Nuova Zelanda, Islanda e Lussemburgo. Dal 2008 al 2009 "la preferenza fiscale per le famiglie è cresciuta in quindici Paesi Ocse" tra i quali figura l'Italia.
SALARI: ITALIA FERMA AL 23° POSTO, -16,5% MEDIA - Salari italiani tra i più bassi nella classifica dei Paesi Ocse. L'Italia si colloca per gli stipendi al 23/o posto, con guadagni inferiori al 16,5% rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte dell'organizzazione di Parigi. I dati sono riferiti al 2009 e l'Italia si colloca nella stessa posizione dell'anno precedente. E' quanto risulta dal Rapporto 'Taxing Wages' dell'Ocse.
Il salario annuale netto del lavoratore medio è in Italia di 22.027 dollari, contro i 26.395 della media Ocse, i 28.454 della Ue a 15 e i 25.253 della Ue-19. La classifica riguarda il salario netto annuale medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia. E' calcolato in dollari e a parità di potere d'acquisto. Se si guarda alla classifica del guadagno medio di un lavoratore con famiglia, unico percettore di reddito con a carico coniuge e due figli, il reddito netto degli italiani sale a 26.470 euro ma resta inchiodato, anche in questo caso, al 23/o posto della classifica Ocse. E' quanto risulta dal Rapporto 'Taxing Wages' diffuso oggi dall'organizzazione di Parigi.
REDDITI: ITALIA -1,1% - Nel 2009, l'anno della crisi economica internazionale, i redditi reali, prima di tasse e contributi, sono diminuiti in dieci Paesi su trenta. Tra questi figura l'Italia dove il calo è stato dell'1,1%. Lo evidenzia l'Ocse nel rapporto 'Taxing Wages'. Il calo maggiore dei salari reali, prima cioé della tassazione, si è verificato in Islanda (-7,5%), mentre gli aumenti maggiori sono stati registrati in Grecia (+3,8%).
DISOCCUPAZIONE: ITALIA 8,6% NEL PRIMO TRIMESTRE 2010 - Nel primo trimestre 2010 il tasso di disoccupazione in Italia è salito all'8,6%, con un aumento dell'1,2% rispetto allo stesso periodo del 2009. Lo ha rilevato l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).