lunedì 5 dicembre 2011

Approvata la manovra, il comunicato integrale di Palazzo Chigi.



<p>Il presidente del Consiglio Mario Monti . REUTERS/Remo Casilli (ITALY - Tags: POLITICS BUSINESS)</p>



ROMA (Reuters) - Questo il testo integrale del comunicato di Palazzo Chigi sulla manovra approvata stasera.
Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi alle ore 16,30 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del Consiglio, Mario Monti.
Segretario il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Antonio Catricalà.
Il Consiglio dei Ministri, appositamente convocato, ha approvato un decreto legge che contiene un pacchetto di misure urgenti per assicurare la stabilità finanziaria, la crescita e l'equità.
L'intervento urgente si è reso necessario per affrontare una crisi finanziaria gravissima che ha investito in queste settimane l'area dell'euro e specificamente il debito sovrano, anche italiano. Il Governo ha deliberato un complesso pacchetto di interventi che tuttavia, pur nell'emergenza, danno il via a una fase di riforma strutturale dell'economia italiana e determinano una prima fase di significativa riduzione dei costi della politica. Tutte le componenti della società italiana devono partecipare allo sforzo per la salvezza e il rilancio del Paese.
L'insieme degli interventi ammonta a circa 20 miliardi di euro strutturali per il triennio 2012- 2014 con una forte componente permanente di risparmi conseguiti. La correzione lorda è di oltre 30 miliardi in quanto sono previsti interventi di spesa a favore della crescita, del sistema produttivo e del lavoro per oltre 10 miliardi. All'interno del pacchetto è inclusa e consolidata in norme la correzione dei saldi pari a 4 miliardi previsti quale "clausola di salvaguardia" nella manovra di agosto 2011.
I risparmi conseguito in parte sono destinati a un considerevole pacchetto di interventi a favore della crescita, del sistema produttivo e del lavoro. Attraverso la deducibilità integrale dell'IRAP-lavoro vengono favorite le imprese che assumono lavoratori e lavoratrici per un importo di 1,5 miliardi nel 2012, e 2 miliardi nel 2013 e nel 2014. Vengono previsti con l'IRAP interventi a favore di donne e giovani per 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni del periodo considerato.; con l'introduzione del meccanismo denominato ACE di favore fiscale alla raccolta di capitale di rischio, in modo da favorire la patrimonializzazione delle imprese, si interviene con un'azione di 1 miliardo di euro nel 2012, 1,5 nel 2013 e 3 nel 2014. Viene rifinanziato il trasferimento alle regioni per il traporto pubblico locale; viene finanziato un programma per accelerare la utilizzo dei fondi strutturali europei, che altrimenti l'Italia rischia di perdere; viene rifinanziato il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese con l'obiettivo di mettere a disposizione delle PMI garanzie per circa 20 miliardi di credito Vengono resi duraturi nel tempo tutti gli incentivi per le ristrutturazioni e per il risparmio energetico estendendoli alle aree colpite da calamità naturali.
E' stato deciso il completamento della riforma della previdenza con l'estensione dal primo gennaio 2012 a tutti del metodo contributivo per il calcolo delle pensioni per le anzianità future. Viene istituito un sistema flessibile per l'età di pensionamento, che viene elevata a 62 anni per le donne con una fascia di uscita flessibile incentivata fino a 70 anni, per gli uomini la fascia di flessibilità è tra 66 e 70 anni. Le regole per le lavoratrici del settore privato raggiungono l'equiparazione ai lavoratori nel 2018.
Malgrado la situazione estremamente difficile, è stata garantita l'indicizzazione piena delle pensioni minime e parziale per quelle fino a due volte il minimo in circostanze estremamente difficili.
Viene anticipata l'introduzione sperimentale dell'IMU.
Tale intervento accresce il contributo che viene chiesto al patrimonio e alla ricchezza allo sforzo per superare la crisi. A ciò si aggiunge l'intervento fiscale una tantum con una aliquota dell'1,5% a carico dei capitali rientrati in Italia con il cosiddetto "scudo fiscale". Si aggiungono altresì le imposte su taluni beni di lusso (auto di grossa cilindrata, barche, aerei).
L'aumento dell'IVA è deliberato in 2 punti percentuali a decorrere dal primo settembre 2012, a copertura della clausola di salvaguardia e da attuare solo nel caso in cui sia necessario. In tal modo si evita che scatti la riduzione automatica di tutte le deduzioni e detrazioni fiscali in particolare sulla famiglia. La ridefinizione delle agevolazioni andrà a finanziarie il Fondo per la Famiglia istituito dal decreto approvato oggi.
Viene attuato un pacchetto antievasione che prevede il divieto di uso del contante per pagamenti superiori ai 1000 euro; i pagamenti telematici per la PA; una fiscalità di favore per le imprese individuali e artigiane che consenta l'emersione.
E' stato deliberato un insieme di liberalizzazioni per la vendita di farmaci, per i trasporti, e per gli orari degli eserciti commerciali; vengono potenziale le funzioni dell'Antitrust.
Il Governo ha avviato un'azione di selezione e di riordino dei programmi di spesa con l'abolizione di una serie di enti ritenuti non più utili.
In particolare, le Province vengono riportate alla funzione di organi di indirizzo e coordinamento. Vengono abolite le giunte, ridotti a 10 i consiglieri provinciali, e ridotte drasticamente le spese in funzioni già svolte da altri enti territoriali.
A seguito della nomina a Ministro senza portafoglio del prof. Filippo Patroni Griffi, il Presidente Monti ha comunicato al Consiglio la sua intenzione di conferirgli l'incarico per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Il Consiglio ha condiviso l'iniziativa.
Successivamente il Consiglio ha approvato, su proposta dei Ministri per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, e del lavoro e delle politiche sociali, Enza Fornero, uno schema di decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2008/104, che disciplina la tutela dei lavoratori dipendenti dalle agenzie di lavoro interinale ("agenzie di somministrazione" secondo il decreto Biagi) per migliorare la qualità del lavoro svolto da questi impiegati presso imprese utilizzatrici. Sul testo verranno acquisiti i pareri della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari.
Su proposta del Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri, ed al fine di consentire il completamento delle operazioni di risanamento delle istituzioni locali in cui sono state riscontrate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata, è stato prorogato lo scioglimento dei Consigli comunali di San Giuseppe Vesuviano (Napoli) e Gricignano d'Aversa (Caserta).
Sono stati anche prorogati stati d'emergenza già dichiarati nella città di Roma e nelle province di Sassari, Olbia e Tempio (strada statale SS-OL) per problemi legati al traffico ed alla mobilità, nonché nella Provincia de L'Aquila e nell'intera Regione Abruzzo per il terremoto del 6 aprile 2009.
Tenuto conto dell'imminente scadenza di alcune leggi regionali, il Consiglio le ha esaminate ai sensi dell'art.127 della Costituzione.
Il Consiglio è terminato alle ore 19,35.
(Redazione Roma, reutersitaly@thomsonreuters.com, +39 06 85224210, Reuters Messaging: giselda.vagnoni.reuters.com@reuters.net) Sul sito www.reuters.com altre notizie Reuters in italiano Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia

domenica 4 dicembre 2011

Thyssen, a 7 mesi dalla condanna ancora nessun risarcimento alle famiglie delle vittime. - di Andrea Giambartolomei


Si tratta dei pagamenti provvisionali, cioè gli anticipi sui rimborsi disposti dalla sentenza del 15 aprile scorso, con cui sono stati condannati l’ad Harald Espenhahn e altri cinque dirigenti dell’acciaieria tedesca. "Ho provato in tutte le maniere, sollecitando a voce i legali degli imputati, e anche per iscritto, ma ancora non è avvenuto niente – spiega l'avvocato Bonetto.


A più di sette mesi dalla condanna e a quattro anni dalla tragedia di Torino, la ThyssenKrupp non ha ancora rimborsato gli ex operai e alcuni familiari delle vittime come imposto dai giudici. Si tratta dei pagamenti provvisionali, cioè gli anticipi sui rimborsi disposti dalla sentenza del 15 aprile scorso, con cui sono stati condannati l’ad Harald Espenhahn e altri cinque dirigenti dell’acciaieria tedesca. Oltre all’accusa di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, i pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e FrancescaTraverso hanno recriminato al primo i reati di omicidio e incendio volontari con colpa cosciente; e per gli altri omicidio e incendio colposo.

Queste ipotesi della procura sono state riconosciute dai giudici della Corte d’assise di Torino, i quali hanno stabilito che gli imputati devono versare dai 50mila euro in su per gli ex lavoratori e tra i 30 e 40mila euro per i parenti dei deceduti. Gli avvocati degli ex operai, costituiti parte civile al processo, avevano anche chiesto che il pagamento fosse “immediatamente esecutivo” per via delle condizioni economiche precarie in cui si sono ritrovati dopo la chiusura anticipata dello stabilimento e per i gravi danni fisici e psicologici subiti per colpa della tragedia. La corte ha ammesso la legittimità delle richieste: in base alle testimonianza di cinque addetti di turno tra il 5 e il 6 dicembre 2007 – è scritto nelle motivazioni – emerge “il dramma sconvolgente da loro vissuto quella notte, da cui deriva la fondatezza (peraltro riscontrata dalle perizie mediche) del danno non patrimoniale, costituito dal danno morale e dal danno alla salute da loro lamentato e di cui chiedono il ristoro economico”. L’azienda e i condannati devono quindi pagare.

Gli importi della provvisionale potevano essere versati dal momento della decisione del tribunale (giorno da cui comincia il calcolo degli interessi) e sono diventati obbligatori dalla pubblicazione della sentenza, ma a 20 giorni dalle motivazioni non sono ancora avvenuti. Lo segnala l’avvocatoSergio Bonetto, rappresentante di nove operai costituitisi parti civile: “Ho provato in tutte le maniere, sollecitando a voce il pagamento agli avvocati degli imputati, e anche per iscritto, ma ancora non è avvenuto niente – spiega -. Se l’attesa continuasse potremmo avviare le procedure per l’invio di ufficiali giudiziari per i pignoramenti”. Antonio Boccuzzi, ex operaio sopravvissuto al rogo e ora deputato del Pd, afferma: “Stiamo tutti aspettando. La Thyssen avrebbe dovuto pagare immediatamente. Nessuno ha ricevuto un euro e non abbiamo notizie, se non voci su prossimi pagamenti”. Il problema è che molti suoi ex colleghi “sono ancora senza un lavoro e a maggior ragione è importante che i soldi siano versati”. Questo ritardo per lui è una conferma: “È l’atteggiamento dello stile Thyssen: anche dopo la sentenza Torino resta l’ultimo dei pensieri e dei doveri”.

I difensori degli imputati affermano che il ritardo è dovuto alla trattativa in corso tra la ThyssenKrupp, i dirigenti condannati e le parti civili: “Siamo obbligati a fare i pagamenti – premette l’avvocato Cesare Zaccone, difensore dell’azienda -. Si tratta di ritardi dovuti alle modalità di esecuzione, ma è anche un problema che riguarda le compagnie assicurative. I pagamenti devono avvenire al più presto”. Per Ezio Audisio, difensore di Espenhahn (condannato a 16 anni e sei mesi), Marco Pucci Gerald Priegnitz (membri del board aziendale condannati a 13 anni e sei mesi), i tempi saranno rapidi: “Stiamo trattando con le controparti per pagare tutti i risarcimenti. Si sta ragionando sulle somme”, afferma. Quindi alla priorità dei pagamenti agli ex dipendenti e i parenti delle vittime, è stato previlegiato un altro aspetto, il risarcimento totale a tutte le parti civili, quindi anche agli enti locali e sindacati: “Entro lunedì forniremo loro una risposta e nei giorni successivi si procederà con le erogazioni”.




http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/03/thyssen-mesi-dalla-condanna-ancora-nessun-risarcimento-alle-famiglie-delle-vittime/175034/

sabato 3 dicembre 2011

“Senza politica Silvio rischia il fallimento”.




Il gruppo Mediaset rischia grosso, tra pessimo andamento azionario e cause perse in tribunale
L’abbandono di Palazzo Chigi rischia di costare carissimo a Berlusconi. Der Spiegel, il più diffuso settimanale della Germania, pubblica un’analisi di quanti rischi economici il Cavaliere dovrà affrontare nei prossimi anni. Il crollo delle azioni Mediaset, i risarcimenti per le cause perse nelle aule di tribunale, i debiti del Milan, perfino un divorzio costosissimo. L’uomo più ricco d’Italia, e uno dei più affluenti d’Europa, rischia di perdere un mucchio di soldi. Forse anche per questo la patrimoniale sulle grandi ricchezze Berlusconi non la vuole in alcun modo.
MEDIASET COLLASSA - Der Spiegel evidenzia come l’azienda più importante del Cav., le televisioni Mediaset, da tempo non siano più così munifiche. Nonostante alcune evidenti distorsioni di mercato, come una raccolta pubblicitaria nettamente superiore rispetto alla quota di ascoltatori del gruppo. Mediaset ha perso nell’ultimo anno più di metà del suo valore azionario. Meno 55% rispetto alla quotazione dell’anno scorso, un salasso che ovviamente avrà gravi ripercussioni sui mega dividendi che Berlusconi, e la sua famiglia, ricevevano. Per quest’anno quindi addio ai 200 milioni di euro che Silvio prendeva da Mediaset, perché nessun dividendo sarà staccato per gli azionisti.
UN IMPERO DI DEBITI- Ma non è solo Mediaset la fonte delle preoccupazioni di Arcore. Il Milan è indebitato fino al collo, oltre 400 milioni di euro, e se le soddisfazioni sul campo sportivo sono importanti, per ripianare una simile situazione finanziaria c’è solo una possibilità, ovvero che Silvio e familiari aprano il portafoglio. Ma i debiti rossoneri potrebbero diventare poca cosa rispetto ai risarcimenti stabiliti dai tribunali. La mega multa per la corruzione nel caso Mondadori, ma anche gli aiuti illegittimi ricevuti da Mediaset per il finanziamento dei decoder digitali. Vicende che potrebbero costare molto caro, nell’ordine di centinaia di milioni di euro. Senza contare che l’eventuale acquisizione di Endemol porterebbe Mediaset ad accollarsi i debiti miliardari dell’azienda di contenuti per la Tv.
MEGA DIVORZIO -C’è infine la partirta del divorzio da Veronica Lario. Silvio Berlusconi e la “Signora” si sono lasciati male, e l’accordo sugli alimenti potrebbe togliere molte risorse ai conti correnti dell’ex premier. Si parla di cifre importanti, superiori ai venti, trenta milioni di euro l’anno. Un flusso di denaro che si intreccia con la complicata partita dell’eredità, dove una soluzione è ancora molto lontana. La suddivisione del gruppo tra cinque figli, tutti in posizioni di responsabilità, potrebbe però danneggiare ancora di più il gruppo, secondo gli analisti economici. Insomma, la situazione per Silvio è davvero brutta, e visto come se l’è passata negli ultimi, felici anni, per Berlusconi e Mediaset la politica è un business da non dismettere.

Formigoni, che disse sì alla bambola in lista. - di Pino Corrias




Pino Corrias


In una preziosa intervista a RepubblicaRoberto Formigoni, presidente di quel che è ancora rimasto a piede libero della Regione Lombardia, rivela di avere chiesto informazioni su Nicole Minetti don Verzé, il presidente aviatore del San Raffaele. Deve essere stata una scena di prim’ordine. Roba buona per Monicelli.

Proviamo a immaginarci i due don spaparanzati al trentacinquesimo piano del Pirellone. Si stanno rigirando tra le mani le foto a colori di quella povera ragazza gonfiata dagli ingegneri del botulino, armata di tacco, spacco, cerniera, rossetto e wonderbra gotico che il vecchio Buscaglione avrebbe chiamato “mammifero modello centotre”. La bambola va nella lista bloccata, lo ha ordinato il Cavaliere. Le liste sono piene di firme false. I bilanci del San Raffaele pure. Nessun problema: si obbedisce. Per don Formigoni il mezzo giustifica sempre il fine. Per don Verzé il fine giustifica qualunque mezzo e “Berlusconi è un dono di Dio”. Quali saranno le qualità di questa tizia, la dialettica, l’etica, l’impepata? Tu la conosci? Come no. Racconta l’illibato: “Quando domandai mi fu risposto che era una ragazza laureata”. Risate, pacche sulle spalle, un rutto. Scusami. Ma ti pare.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/03/formigoni-che-disse-s-alla-bambola-in-lista/174891/#.TtpXY5D1Ajl.facebook

Il disastro della soap siciliana Agrodolce.



La fiction di Raitre, voluta da Minoli, Saccà e dalla Regione siciliana, doveva ricreare a Termini Imerese una nuova Cinecittà: 230 puntate girate, al costo di 100mila euro ciascuna. Ora ci sono in cassaintegrazione 134 persone. Nel 2007 la società Einstein vince l'appalto, ma i costi di realizzazione lievitano. Il produttore Luca Josi denuncia: "Per la fiction usati amici e parenti in odore di mafia".



Gli studi di lusso della fiction Agrodolce
Il disastro da 70 milioni di euro si chiama, o meglio si chiamava, Agrodolce. E doveva essere la risposta siciliana a un Posto al sole, la soap girata a Napoli che da 15 anni tiene banco sui Raitre e che in Campania ha finito per dare lavoro, grazie all’indotto, a più di 1500 persone. A partire dal 2005 a volerla fortemente erano stati in tre: il direttore di Rai Educational Giovanni Minoli, quello di Rai Fiction, Agostino Saccà, e la Regione siciliana. Tanto che Palazzo D’Orleans, abbagliato dal sogno di riuscire a riconvertire dall’auto alla tv una Termini Imerese abbandonata dalla Fiat, era arrivato a finanziare la prima serie con 12, 7 milioni di fondi Fas (quelli per le aree sottosviluppate erogati dall’Unione Europea) e 12,3 Rai. Altri 46 per la seconda e la terza.

Agrodolce però è morta. Le 134 maestranze sono in cassa integrazione. Il tesoro dei fondi Fas verrà con tutta probabilità tolto all’isola dal Cipe. E Termini Imerese perderà un investimento totale di 46 milioni se, entro il 30 dicembre, la televisione di Stato e la giunta di Raffaele Lombardo, non troveranno una soluzione. Così oggi sul tavolo restano solo degli studi vuoti, le speranze deluse dei siciliani, lo spreco di soldi pubblici e un mare di singolari intercettazioni ambientali. Sì, avete capito bene: intercettazioni ambientali. Sono i file audio, registrati artigianalmente a partire dal 2007, da uno degli altri protagonisti di questo pasticcio milionario che da mesi toglie il sonno ai piani alti di viale Mazzini: Luca Josi, l’ex delfino di Bettino Craxi negli anni difficili di Mani Pulite e della latitanza ad Hammamet, poi diventato nel ‘ 94 un produttore di successo e oggi in grandi difficoltà finanziarie. Josi, che tramite la sua Einstein, ha prodotto Agrodolce, ha infatti presentato un lungo esposto-querela chiedendo “se Minoli e il suo staff hanno utilizzato per secondi fini il ruolo ricoperto nell’ambito dell’organizzazione Rai”.

Nel documento ha raccontato storie di presunto nepotismo; ha ricostruito, registrazioni alla mano, vicende che profumano di mafia in cui un dipendente di viale Mazzini avverte la Einstein delle richieste di “un personaggio locale di dubbia provenienza”; ha prodotto documenti da cui sembra emergere il tentativo della Rai di farsi rimborsare dalla Regione, per oltre due milioni di euro, la ristrutturazione di studi televisivi mai effettuata. Poi ha depositato davanti al tribunale civile un ricorso d’urgenza contro viale Mazzini, per farsi pagare molti milioni di euro di fatture già emesse. Carte imbarazzanti, insomma. Tutti documenti che il Fatto ha potuto esaminare, assieme a una lunga ricostruzione audio-video dell’accaduto messa on line a puntate sul nostro sito a partire da oggi.

Capitolo 1


Una storia socialista – La strana storia di Agrodolce, racconta l’esposto di Josi, comincia a prendere corpo nel 2002 quando con Minoli partono i ragionamenti su una fiction made in Sicilia. Dopo la predisposizione del progetto siglata già nel 2005, la Rai aggiudica ufficialmente a Einstein l’appalto per produrre la prima serie nel gennaio del 2007. A quell’epoca i rapporti tra Minoli e Josi sono ancora ottimi. I due hanno alle spalle la comune amicizia con Craxi e il fatto che alla testa di Rai Fiction ci sia un altro ex socialista doc, come Agostino Saccà, facilita evidentemente le relazioni. Tutto all’inizio fila liscio. In ballo, del resto, ci sono un sacco di soldi. Ventuno milioni (12 dei quali provenienti dai fondi Fas) per le prime 230 puntate a cui se ne dovrebbero poi aggiungere altri 42 (al 50 per cento con la regione) per la seconda e terza serie. Inoltre, visto che nelle soap la prospettiva è quella di lavorare per anni, è facile comprendere come la produzione, rischi di muovere centinaia di milioni. Insomma chi si aggiudica il piatto può legittimamente aspirare a camparci sopra per generazioni. Nell’isola non ci sono però dei veri teatri di posa. Così Josi parte con un faraonico progetto firmato dall’archistar Massimiliano Fuksas. L’idea è quella di farsi finanziare da Sviluppo Italia e ricreare a Termini Imerese una nuova Cinecittà. Ma il progetto s’incaglia, tanto che poi Josi finirà per ripiegare più modestamente sui duemila metri quadrati di una scuola della provincia ristrutturata a sue spese.

“La cugina del sindaco” - Minoli ha fretta di cominciare e soprattutto pensa in grande. Nelle interviste spiega di voler fare di Termini Imerese “una piccola Hollywood”, e immagina non di girare una soap, come prevede il contratto della prima serie (una puntata di Agrodolce costa quasi 100. 000 euro, il doppio di Un posto al sole), ma una sorta di film con molti esterni, una fotografia ricercata, il ricorso al dolby, ai carrelli, ai piani sequenza. Tutte cose che una soap non può permettersi per ragioni di prezzo. Quelli della Einstein la prendono male. Anche se il budget è ampio, i soldi rischiano di non bastare. Partono, per usare un eufemismo, le incomprensioni. Alla Einstein non va giù che Minoli, secondo la denuncia, abbia imposto sin dal primo giorno l’assunzione come dirigente a circa 80. 000 euro l’anno di Reneè Cammarata, la bella e nobile pronipote di Vincenzo Florio, descritta dalla stampa come “cugina del sindaco Pdl di Palermo, Diego Cammarata (ma non è vero ndr), amica di Totò Cuffaro e del ministro, Stefania Prestigiacomo”. Josi sostiene che Reneè, già redattrice di Rai Educational, manchi totalmente di esperienza. E l’accusa di essere la causa dello scivolone numero uno della produzione. La scelta, come prima location dove impiantare gli studios, di un immobile di proprietà di un suo amico: il Castello di Trabia del principe Vanni Calvello. Apriti cielo! L’allora presidente della commissione antimafia, Giuseppe Lumia, chiede a Josi due incontri e gli spiega quello che in Sicilia è noto anche alle pietre. Calvello era stato legato a Cosa Nostra e il Castello era stato un abituale punto di ritrovo di importanti uomini d’onore. Insomma, se davvero Agrodolce doveva servire per rilanciare l’immagine della Sicilia, quella era una partenza più che sbagliata. Josi, prendendo a pretesto dei lavori iniziati vicino al maniero, rescinde il contratto, ma versa a Calvello 100. 000 euro. A chiedere di farlo “per non lasciare strascichi con la proprietà” è, secondo Josi, proprio Minoli che a suo dire “appariva contrariato” dal dovere abbandonare la location. A questo infortunio ne segue poi un secondo. Tra i set spunta un’azienda vinicola poi sequestrata al boss Salvatore Lo Piccolo.

Amici e parenti – Gli inizi di Agrodolce sono insomma difficili. La produzione è in ritardo di poche settimane, il clima si arroventa. Senza preavviso, il 18 settembre 2007, Minoli e Saccà inviano un ultimatum. Le riprese devono iniziare subito “pena, la risoluzione del contratto”. Segue una cena pacificatrice a Roma, alla presenza di un testimone. A tavola Minoli, secondo Josi, lascia intendere che tutti i problemi si sarebbero potuti risolvere se nella Einstein, fosse entrato un nuovo socio. Che cosa c’è dietro? Josi lancia nel suo esposto un’accusa al veleno. Scrive che Matilde Bernabei, la moglie di Minoli, per due volte nei mesi precedenti gli aveva chiesto di offrire al marito, vicino alla pensione, la presidenza della Einstein. Un sospetto pesante che Josi suffraga solo con i suoi ricordi anche se, per tutelarsi, proprio a partire da quel lontano giorno, del 2007 registrerà tutti i suoi incontri. In uno di questi, quello del 4 ottobre 2007, sono presenti: Josi, Saccà e Minoli. Il direttore di Rai Educational usa toni apparentemente morbidi. Domanda ancora l’ingresso di un nuovo socio poi usa qualche frase più dura: “Se il problema è formale, siete morti” e ancora “sono io che vi ho portato i soldi e l’affare”. Alla fine si arriva a un compromesso. Nella produzione entrano uomini della Rai. I giornali scrivono che Josi è stato commissariato. E il nome del commissario è quello di Ruggero Miti che ha prodotto le prime cinque serie di Un posto al sole e ha seguito lo start-up de La Squadra. Miti, insomma, sa come far funzionare una soap. Ma, secondo Josi, sa anche come mantenere una famiglia. La sua. La figlia Carlotta lavora adAgrodolce come attrice protagonista, presente anche l’altro figlio Matteo, come regista.

“Ti chiama un personaggio di dubbia provenenza”- Miti si occupa di tutto. Ma non dei cosiddetti problemi ambientali siciliani. Quelli non li denuncia, ma li lascia agli altri. Il 7 giugno 2007 lascia nella segreteria telefonica di Josi questo messaggio: “Caro Luca, volevo dirti che sono due o tre giorni che mi chiama un certo Castagna. Che è un personaggio locale di qui, di dubbia provenienza, che comunque pare non faccia molte, come dire … non faccia molte … problemi insomma. Si accontenta di molto poco e cioè, di veramente insomma … pare che sia tranquillizzante la cosa. Non lo è per le sue tradizioni e per le sue origini, però … non lo so … io comunque ti ho avvertito e devo dirti che gli ho detto che sono della Rai e che non mi occupo di queste cose e che quindi … di parlare con la produzione. Ho dato il numero della Einstein …”. Josi fa sapere a Minoli di avere conservato la registrazione. Per tutta risposta lui, stando all’esposto, lo invita a dimenticare. Intanto, dopo appena tre mesi di riprese, i costi esplodono. Josi accusa: “Minoli voleva fare Ben Hur con il budget di una soap”. Alla fine la prima serie arriverà a costare oltre 6 milioni di euro in più rispetto ai 21 circa previsti, tanto che dopo un arbitrato, la Rai decide di rifinanziare in corsa il progetto. Il clima tra gli ormai ex due amici socialisti è teso. Dal tu, si è passati al lei. E in una registrazione si sentirà Minoli dire a muso duro: “Non facciamo una soap, ok?… Io faccio quello che voglio ok? Non si preoccupi lei?”. Risultato, secondo la Einstein, le perdite della prima serie ammontano a 2. 740. 000 euro; mentre quelle per la seconda vengono stimate in 5, 6 milioni; il disavanzo di bilancio per la terza arriva, invece, a superare i 10 milioni. Un tracollo per la società dell’ex delfino di Craxi.

Capitolo 2


La verità di Saccà – Il 16 luglio 2010 Josi incontra Saccà. L’ex direttore di Rai Fiction è ormai in pensione e fa il produttore indipendente. È uscito dalla Rai dopo lo scandalo delle telefonate in cui l’ex premier Silvio Berlusconi gli chiedeva di trovare una parte per le sue protette. Ma con viale Mazzini ha in corso una causa di lavoro. Saccà allora racconta che, “in un paio di occasioni” Minoli gli ha suggerito di rilevare il progetto della Einstein per produrre Agrodolce e liquidare Josi con “due o tre milioni di euro”. Una miseria. Ascoltando l’audio, pare di capire che l’idea fosse quella di spingerlo a chiudere la sua causa con l’azienda, che rischiava di essere estremamente onerosa, dandogli in cambio la produzione. “Giovanni”, spiega Saccà, “mi ha detto: è una grande opportunità per te. L’azienda tra l’altro vuole chiudere la transazione con te, però ti rendi conto che ci sono molte resistenze evidentemente di produttori che sanno che gli vai a rompere le scatole, sei bravo sai fare le serie no, e le miniserie, c’è li quella roba lì che la Rai ti potrebbe dare senza colpo ferire”. L’ex dirigente però aggiunge di non voler entrare nella partita. E racconta di aver detto a Minoli: “Giovanni lascia stare. (…) io guerre peraltro con persone amiche, non le voglio fare…”.

Quei milioni non sono Rai – In molti ai piani alti di viale Mazzini sanno che cosa sta succedendo. Josi racconta la sua versione a Fabrizio Del Noce, al direttore generale Mauro Masi, al suo successore Lorenza Lei e a molti membri del consiglio di amministrazione. Per riprendere a girare la seconda serie occorrono due anni. E mentre si tentano di rinnovare i contratti (il manager Rai vorrebbe per un anno, quella della Einstein ne chiede due) partono anche lettere di fuoco. A Masi, Josi scrive una missiva in cui si parla di “un inquietante quadro di pressioni e di interessi, che sembrano costruirsi intorno a questo contratto purtroppo oggetto di attenzioni e di visioni “proprietarie”. Con la Lei mette nero su bianco una lettera in cui parla “vicende legate a non troppo chiari rapporti con la Regione Siciliana, rispetto ai quali il gruppo Einstein è totalmente estraneo ed è stato tenuto all’oscuro”. Il riferimento è tutto a una richiesta di documentazione relativa alle spese sostenute dalla Einstein per ristrutturare gli studios di Termini Imerese. La Rai, come risulta da una mail, li sta raccogliendo per farsi rimborsare dalla regione spese che invece non aveva mai affrontato. Che cosa era successo? Nel 2008 Minoli aveva firmato un’integrazione alla convenzione con cui la regione a si impegnava a finanziare la produzione con i fondi Fas. E nelle schede di descrizione delle linee d’intervento era stato scritto che era stata la Rai a creare il centro di produzione della soap opera. A ottenere gli spazi dalla provincia e a sborsare più di due milioni di euro era invece stata la società di Josi. Che, quando aveva domandato al nuovo direttore di Rai Fiction, De Noce, un contributo straordinario per gli studios, si era sentita rispondere: “Non vi è alcuna ragione per cui noi dobbiamo sostenere ulteriori costi a titolo di contributo per gli investimenti da voi liberamente effettuati in Sicilia in qualità d’imprenditori”. Morale: sulla stampa locale l’assessore regionale al Turismo, Daniele Tranchida, denuncia che dieci dei primi dodici milioni di finanziamento, sono stati versati dalla regione alla Rai senza una documentazione dettagliata. E così blocca il pagamento di altri due milioni e mezzo. Dichiara in settembre Tranchida: “Non daremo un euro senza rendiconti. Qui ci sono gli estremi per chiedere un risarcimento danni”.

La parola alla magistratura - Ma anche la Rai smette, a partire dall’ottobre del 2010, di pagare Josi. E il 25 gennaio del 2011 avverte la Einstein che la società Arfin, che aveva fornito le fidejussioni per il contratto, era fallita il 6 dicembre precedente. A quel punto, senza fidejussioni, i bonifici sono bloccati per legge. La Einstein propone allora altre sei diverse società per sostituire la Arfin. La Rai rifiuta tutte le proposte. L’ 11 marzo del 2011, a seguito del mancato pagamento della fatture, la Einstein resta senza soldi e sospende la produzione. Josi presenta un ricorso d’urgenza, mette insieme i documenti per le sue denunce. Se davvero la sua avventura finirà in un crac, sotto le macerie del sogno televisivo di Termini Imerese non ci resterà da solo.

di Peter Gomez e David Perluigi