Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 14 giugno 2012
Esodiamo la Fornero. - Gianfranco Mascia
Gli esodati alla Fornero
Le menzogne di Berlusconi non le abbiamo mai sopportate. Le abbiamo sempre denunciate senza mai perdonargliele neanche una.
Perchè con il governo Monti la cosa dovrebbe essere diversa?
Tra l’altro nel governo c’è un ministro specializzato in bugie: la Fornero.
Tra l’altro nel governo c’è un ministro specializzato in bugie: la Fornero.
Aveva dichiarato: “La riforma della pensioni è pensata per restituire ai giovani speranza e futuro”. Ed è la prima bugia.
A sei mesi dalla riforma pensionistica in realtà la disoccupazione giovanile è salita dal 30 al 36%. Logica conseguenza del mancato turn-over con padri costretti al lavoro fino a 67 anni.
La seconda bugia arriva con la promessa di una “paccata di miliardi”, a patto che i lavoratori avessero accettato la sua riforma. L’articolo 18 è stato formalmente cancellato, ma i soldi promessi per gli ammortizzatori e per l’occupazione giovanile non sono mai arrivati. Completamente scomparsi dal tavolo di concentrazione.
Ed eccoci alla terza – e forse più grande e in malafede – menzogna. Riguarda gli esodati, quei lavoratori che hanno accettato di interrompere il proprio rapporto di lavoro contando di andare in pensione con le vecchie norme (vigenti al 31 dicembre 2011) e che invece, a causa della riforma delle pensioni (voluta dalla Fornero), rischiano di vedere la data di pensionamento slittare. In pratica, rischiano di trovarsi senza stipendio e senza pensione anche per 5-6 anni ancora.
A sei mesi dalla riforma pensionistica in realtà la disoccupazione giovanile è salita dal 30 al 36%. Logica conseguenza del mancato turn-over con padri costretti al lavoro fino a 67 anni.
La seconda bugia arriva con la promessa di una “paccata di miliardi”, a patto che i lavoratori avessero accettato la sua riforma. L’articolo 18 è stato formalmente cancellato, ma i soldi promessi per gli ammortizzatori e per l’occupazione giovanile non sono mai arrivati. Completamente scomparsi dal tavolo di concentrazione.
Ed eccoci alla terza – e forse più grande e in malafede – menzogna. Riguarda gli esodati, quei lavoratori che hanno accettato di interrompere il proprio rapporto di lavoro contando di andare in pensione con le vecchie norme (vigenti al 31 dicembre 2011) e che invece, a causa della riforma delle pensioni (voluta dalla Fornero), rischiano di vedere la data di pensionamento slittare. In pratica, rischiano di trovarsi senza stipendio e senza pensione anche per 5-6 anni ancora.
La Fornero aveva ‘quantificato’ gli esodati in 65mila e calibrato gli aiuti del governo su questa cifra. Ma conosceva già il loro numero esatto, 390.200, perché contenuto nella relazione che l’Inps aveva inviato al ministero del Lavoro prima della firma del decreto che fissava appunto in 65mila il numero dei cosiddetti salvaguardati.
In un Paese normale, il ministro del lavoro constatato l’errore avrebbe chiesto scusa e lasciato la sua lettera di dimissioni sul tavolo di Monti. Ma questa è la Repubblica delle Banane, bellezza. Dove l’arroganza è di casa. E così la Fornero sgrida l’Inps, anzichè ringraziare per aver detto le cose come stanno.
In un Paese normale, il ministro del lavoro constatato l’errore avrebbe chiesto scusa e lasciato la sua lettera di dimissioni sul tavolo di Monti. Ma questa è la Repubblica delle Banane, bellezza. Dove l’arroganza è di casa. E così la Fornero sgrida l’Inps, anzichè ringraziare per aver detto le cose come stanno.
Ecco perchè il Popolo Viola ha lanciato una petizione online per chiedere le dimissioni della Fornero. 50mila firme per esodarla in 2 giorni.
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Cessione Siremar, si riparte da zero aperta indagine sulla gara annullata. - Antonio Fraschilla
Il Tar del Lazio ha bloccato il trasferimento della compagnia regionale alla cordata capeggiata da Lauro con la Regione socia: mistero sulla fideiussione da 30 milioni garantita dagli uffici del Bilancio.
La Procura di Roma indaga sull'operazione Siremar portata avanti dalla Regione e adesso bloccata definitivamente dal Tar del Lazio perché si configura l'ipotesi di aiuti di Stato. La Guardia di finanza ha sequestrato documenti e hard disk di funzionari e dirigenti del dipartimento regionale Bilancio coinvolti nella gara per l'acquisizione della Siremar, aggiudicata in un primo momento proprio alla cordata della Compagnia delle Isole guidata da Palazzo d'Orleans. Gara appena annullata dal Tar perché a sostegno dell'offerta vi era una fideiussione da 30 milioni di euro emessa da Unicredit ma garantita in prima battuta solo dalla Regione. Da qui il ricorso presentato dalla Navigazione siciliana spa della famiglia Franza e di Vittorio Morace, che hanno chiesto e ottenuto lo stop della gara per aiuti di Stato alla Compagnia delle Isole.
Ma rischia di avere anche uno strascico giudiziario il flop dell'avventura di Palazzo d'Orleans nel settore dei trasporti marittimi. Un'avventura voluta fortemente dal governatore Raffaele Lombardo, che prima ha rifiutato di ricevere la Siremar gratuitamente dallo Stato perché in questo caso si sarebbe dovuto accollare debiti per quasi 100 milioni di euro. E, successivamente, ha messo in piedi in poche settimane attraverso un avviso pubblico lampo una cordata di armatori a lui graditi per rilevare la Siremar ripulita dalla zavorra dei debiti. Un affare che avrebbe consentito a Palazzo d'Orleans di entrare direttamente nella gestione di un'azienda da 500 marittimi.
Ma rischia di avere anche uno strascico giudiziario il flop dell'avventura di Palazzo d'Orleans nel settore dei trasporti marittimi. Un'avventura voluta fortemente dal governatore Raffaele Lombardo, che prima ha rifiutato di ricevere la Siremar gratuitamente dallo Stato perché in questo caso si sarebbe dovuto accollare debiti per quasi 100 milioni di euro. E, successivamente, ha messo in piedi in poche settimane attraverso un avviso pubblico lampo una cordata di armatori a lui graditi per rilevare la Siremar ripulita dalla zavorra dei debiti. Un affare che avrebbe consentito a Palazzo d'Orleans di entrare direttamente nella gestione di un'azienda da 500 marittimi.
La cordata della Compagnia delle isole grazie alla fideiussione garantita in un primo momento dalla Regione ha vinto la gara con un'offerta da 60 milioni di euro: la Compagnia è composta dalla Mediterranea Holding, dall'armatore campano Salvatore Lauro, dalla Acies che ha come amministratore delegato l'imprenditrice proprietaria dello stabilimento della Coca-Cola a Catania, Maria Cristina Busi. E, ancora, dalla Davimar eolia navigazione e dalla Nvg, guidate da un gruppo di piccoli imprenditori di Milazzo e Messina (dalla famiglia Taranto a Massimo La Cava) e, infine, dalla Isolemar che vede socio di riferimento e presidente del cda l'imprenditore sardo Franco Del Giudice, coinvolto lo scorso anno in un giro di fatture false scoperto in Sardegna.
Il governatore ha sempre sostenuto che tutta questa operazione era "a costo zero" per la Regione. Invece, dopo il ricorso presentato dall'altra cordata di armatori guidata dai Franza e da Morace, i giudici amministrativi hanno scoperto che la fideiussione c'era, eccome. E che proprio grazie a questa garanzia di Palazzo d'Orleans la Compagnia delle Isole ha potuto fare un'offerta più elevata: "Non vi è dubbio - si legge nella sentenza del Tar - che l'impegno di garanzia assunto da Unicredit in favore della Compagna delle Isole abbia consentito alla società di presentare un'offerta conforme alle prescrizione della lettera d'invito e la formulazione di un'offerta decisamente superiore al prezzo minimo d'acquisto. Con la conseguenza che il peso reale dell'offerta ricadeva tutto sulla Regione". A nulla è servita la giustificazione dell'amministrazione "del ritiro della garanzia" dopo la presentazione delle offerte.
Ma come ha fatto la Regione a garantire 30 milioni di euro senza una delibera di giunta o una norma votata all'Ars? Con quali soldi? L'assessore all'Economia Gaetano Armao a Sala d'Ercole ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcuna fideiussione. Dichiarazione, questa, utilizzata dai legali della Navigazione siciliana nel ricorso al Tar. Ma la stessa domanda adesso, annullata la gara, se la stanno facendo i magistrati romani che hanno inviato la Guardia di finanza per recuperare al dipartimento Bilancio tutta la documentazione sulla gara Siremar.
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/06/11/news/cessione_siremar_si_riparte_da_zero_aperta_indagine_sulla_gara_annullata-37023085/
mercoledì 13 giugno 2012
Trattativa Stato-mafia: indagato Conso. “False informazioni al magistrato”. - Giuseppe Piptone
L'ex Guardasigilli, ora novantenne, nel 1993 non rinnovò oltre 300 provvedimenti di 41-bis. Ma per concludere l'inchiesta su di lui si dovrà aspettare il primo grado del processo sul presunto accordo tra istituzioni e Cosa nostra, la cui indagine è vicina alla fine.
Il novantenne Giovanni Conso, importante giurista e ministro di Grazia e Giustizia fino al 10 maggio del 1994, è iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. L’ex Guardasigilli è sospettato di aver fornito false informazioni ai pm della procura di Palermo, titolari dell’indagine sul patto sotterraneo che portò pezzi delle istituzioni a sedersi allo stesso tavolo di Cosa Nostra nel 1992.
Conso, autore dei più importanti manuali di procedura penale, nel novembre del 1993 non rinnovò oltre trecento provvedimenti di 41 bis, il carcere duro per detenuti mafiosi. “Ho preso quella decisione in totale autonomia per fermare la minaccia di altre stragi e non ci fu nessuna trattativa” ha detto l’ex Guardasigilli davanti la commissione parlamentare antimafia l’11 novembre del 2010. Per gli inquirenti palermitani invece proprio la mancata proroga del 41 bis costituirebbe uno degli oggetti principali della trattativa.
È per questo che i magistrati vogliono vederci chiaro anche sulla nomina del giudice Francesco Di Maggio come vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Di Maggio venne chiamato ai vertici dell’amministrazione penitenziaria proprio da Conso, e siccome in origine non aveva i titoli richiesti dalla legge, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro lo nominò consigliere di Stato. Quando nei mesi scorsi, i pm palermitani avevano chiesto a Conso le motivazioni che lo avevano indotto a scegliere proprio Di Maggio, l’ex ministro si è limitato a dire che il giudice deceduto nel 1996 “era una persona che andava un po’ in televisione, diciamo così, quindi era combattivo, era un esternatore e mi era parso molto efficace”. Una giustificazione che non è stata ritenuta credibile dagli inquirenti palermitani.
La decisione di iscrivere Conso nel registro degli indagati arriva proprio quando l’inchiesta sulla trattativa è al primo importante giro di boa. Nelle prossime ore i magistrati siciliani invieranno infatti l’avviso di conclusione delle indagini ai principali indagati dell’inchiesta che sta cercando di mettere a nudo le connivenze più inconfessabili tra la mafia e pezzi dello Stato nel periodo delle stragi. Tra i destinatari dell’avviso di conclusione non ci sarà però Conso, che non riceverà per il momento neanche l’avviso di garanzia. Per il reato di false informazioni ai pm, il codice prevede infatti che la posizione dell’indagato resti sospesa fino a quando il procedimento principale non arrivi alla sentenza del primo grado di giudizio. Nel caso di Conso quindi bisognerà aspettare il primo grado del processo sulla trattativa.
Dopo due anni di interrogatori con boss mafiosi e testimoni eccellenti, smemorate audizioni di importanti figure istituzionali e complesse analisi di documenti inediti, i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia si sono barricati nei giorni scorsi in riunione permanente. Nell’avviso di conclusione delle indagini infatti devono essere indicate le imputazioni con le quali s’intende mandare a giudizio gli indagati. Il carnet delle possibilità è molto vario: si va infatti dalla violenza o minaccia a corpo politico dello Stato (il reato principale della trattativa), al favoreggiamento aggravato, fino alla falsa testimonianza contestata nei giorni scorsi all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.
Un elenco d’ipotesi di reato fin troppo ampio, che ha diviso la procura. L’avviso di conclusione delle indagini infatti non sarà firmato da Paolo Guido, uno dei sostituti procuratori che – insieme ai colleghi Lia Sava e Antonino Di Matteo – ha affiancato Ingroia fino ad ora. Per evitare che l’iter dell’indagine si blocchi Guido si è “spogliato” dell’inchiesta, ed è stato sostituito dal dottorFrancesco Del Bene, già titolare di una costola dell’inchiesta sulla trattativa, cioè l’indagine sul delitto di Salvo Lima. Alla base della divergenza di opinioni ci sarebbe proprio un disaccordo di Guido in merito ai reati da contestare agl’indagati. Il nodo è rappresentato soprattutto dalle accuse mosse agli indagati eccellenti – come gli ex ministri Nicola Mancino e Calogero Mannino o il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri – giudicate deboli e quindi difficili da dimostrare in dibattimento.
All’avviso di conclusione delle indagini preliminari potrebbe alla fine mancare anche la firma del capo della procura di Palermo, Francesco Messineo, nei giorni scorsi proposto dal Csm come nuovo procuratore generale. La firma del procuratore capo in realtà non è richiesta per l’avviso di conclusione delle indagini, non essendo Messineo titolare formale del fascicolo. Sull’argomento però il palazzo di giustizia si è stretto in un inviolabile silenzio stampa.
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Monti: via alla vendita del patrimonio pubblico "Non servirà una altra manovra finanziaria"
Vertice con il ministro delle finanze tedesco a Berlino.
23:26 - "Non occorrerà una seconda manovra quest'anno, ma l'azione di disciplina sui conti pubblici va continuata". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Mario Monti, sottolineando che "il sistema italiano non è fragile, ha aspetti che sono più fragili di altri, in particolare il debito pubblico, ma altri più solidi". "Stiamo preparando la vendita del patrimonio pubblico".
Il premier che apre alla cessione di quote del patrimonio pubblico ("Le stiamo preparando", dice) chiede equilibrio, coesione, responsabilita'. Dopo il vertice di ieri a palazzo Chigi con i partiti pronti a sottoscrivere una mozione comune sull'Europa ma anche divisi sugli altri argomenti sul tavolo (su temi come la Rai, la corruzione e le riforme restano i distinguo e dietro le quinte permane anche un atteggiamento di insofferenza nei confronti del governo) il presidente del Consiglio anche questa mattina ha chiesto uno scatto sulle riforme. E' uno scatto che pretende pure Bruxelles.
L'Unione europea, infatti, si appresta - secondo quanto si e' appreso - a 'richiamare' il nostro Paese, I tecnici della Commissione Ue prevedono che la settimana prossima possa esplodere la speculazione contro l'Italia qualora non arriveranno passi concreti, come per esempio sul mercato del lavoro (ci si aspetta misure maggiormente incisive sulla flessibilita' in uscita), sui tagli alla spesa pubblica e su provvedimenti che combattano la burocrazia. Monti vuole un'accelerazione sulla riforma del lavoro ("In italia - osserva - abbiamo un mercato del lavoro troppo protetto per gli occupati e non protetto e impenetrabile per i giovani") ma la sua esigenza e' portare avanti soprattutto la partita sullo sviluppo.
Schaeuble: in Italia ripresa nel 2013
L'Unione europea, infatti, si appresta - secondo quanto si e' appreso - a 'richiamare' il nostro Paese, I tecnici della Commissione Ue prevedono che la settimana prossima possa esplodere la speculazione contro l'Italia qualora non arriveranno passi concreti, come per esempio sul mercato del lavoro (ci si aspetta misure maggiormente incisive sulla flessibilita' in uscita), sui tagli alla spesa pubblica e su provvedimenti che combattano la burocrazia. Monti vuole un'accelerazione sulla riforma del lavoro ("In italia - osserva - abbiamo un mercato del lavoro troppo protetto per gli occupati e non protetto e impenetrabile per i giovani") ma la sua esigenza e' portare avanti soprattutto la partita sullo sviluppo.
Schaeuble: in Italia ripresa nel 2013
L'Italia potra' avere la ripresa economica nel 2013. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble a Berlino, in un passaggio del suo intervento per la premiazione di Mario Monti, nella sede della European School of Management and Technology. Schaeuble ha sottolineato che la condizione e' che Roma non faccia deviazioni dal percorso delle riforme e del rigore.
DDL ANTICORRUZIONE/ Articolo 13, cancellata la concussione per induzione. E spunta il “salva Penati”. - Antonio Acerbis
Approvati, con l’ennesimo voto di fiducia, le modifiche al codice penale. Ancora una volta Pd e Ucd si ergono a sbandieratori dei meriti del ddl e dell’operato del governo. Ma, nonostante alcuni provvedimenti encomiabili (introduzione di alcuni nuovi reati previsti già in Europa), anche per l’articolo in questione – il 13 del disegno di legge – non mancano spaventosemacchie nere. Cancellato il reato di concussione per induzione (per intenderci il reato madre di Tangentopoli). E spunta la norma “salva-Penati”: taglio dei tempi di prescrizione per la corruzione.
Combattere la corruzione. Questo sarebbe (il condizionale è d’obbligo) il fine a cui mira il ddl. Ma, a vedere quanto sta accadendo, oggi nell’Aula con i tre voti di fiducia su altrettanti articoli (i tre più discussi), qualche punto di domanda resta. Eccome.
Dopo aver analizzato le bufale della non candidabilità dei condannati in via definitiva che si celano dietro l’articolo 10 (deroga di un anno, incandidabilità soltanto temporanea, codice etico dell’antimafia rimasto lettera morta), si è appena concluso il voto di fiducia su un altro articolo fulcro del provvedimento anticorruzione. Stiamo parlando dell’articolo 13 che reca in titolo “Modifiche al codice penale”. Come al solito, nessuna sorpresa: Pd e Udc, oramai stabili alleati, confermano in massa l’appoggio all’esecutivo e, dunque, la fiducia. Stesso dicasi del Pdl, nonostante l’intervento veemente dell’Onorevole Manlio Clemente (su cui torneremo: esilarante!). Alla fine i numeri non ammettono replica: 431 sì, 71 no, 38 astenuti.
Ma andando a leggere nel dettaglio l’articolo in questione ancora una volta non mancano le sorprese. A cominciare dall’abrogazione del reato di concussione per induzione (art. cod.pen. 317), uno dei reati madre della stagione di Tangentopoli. E non solo di Tangentopoli: gran parte dei reati contro la pubblica amministrazione sono di questo tipo. Cerchiamo di chiarire di cosa stiamo parlando: il concussore può agire in due diversi modi: attraverso la costrizione o, appunto, l’induzione. Nel primo caso il concussore dice alla vittima che se non seguirà le sue richieste potrà subire un male di qualche tipo; nel secondo caso invece, la sopraffazione è più sottile e mira a creare uno stato di soggezione: non ti dico le cose esplicitamente, ma faccio allusioni e uso altri sistemi per farti capire che se non asseconderai le mie richieste avrai degli svantaggi.
È evidente, dunque, come sia proprio questo secondo tipo di concussione ad essere ben più esteso rispetto al primo. Soprattutto negli scandali che riguardano pubblica amministrazione, politica e imprenditoria. Non solo. Come hanno sottolineato Idv e Lega nei loro interventi, la questione è ben peggiore di quanto si possa pensare. “Voi dite che non eliminerete alcunchè – ha dichiarato Antonio Di Pietro nel suo intervento – col cavolo! Aggiungete qualcosa di ancora più deplorevole”. In effetti, l’articolo prevede che non ci sia più alcuna distinzione tra corrotto e corruttore (in termini giuridici, viene meno l’elemento soggettivo). In altre parole, il “concusso” da vittima diventa “concorrente nel reato”, quindi punibile. Questo vuol dire che i due saranno messi sulla stessa bilancia, sia chi dà sia chi riceve. Il punto, però, riprendendo l’abrogazione di cui abbiamo parlato prima, è che in questo modo verrà garantita l’omertà processale.
Capiamo il perché tramite un esempio. Un imprenditore, vivendo in un determinato quadro ambientale, sarà indotto (appunto la concussione per induzione) a pagare per ottenere un appalto da un amministratore, senza che questi lo minacci nel concreto (come avveniva durante Tangentopoli). Fino ad oggi il suddetto imprenditore, poiché appunto indotto, non aveva responsabilità: nei fatti si è trovato costretto. Oggi non sarà più così. “Si troverà – ha insistito Di Pietro – ad essere cornuto e mazziato”. Proprio perché risponderà dello stesso reato del suo corruttore. Con il risultato scontato, dunque, che nessun imprenditore indotto denuncerà più alcunché.
Insomma, il rischio è che la corruzione diventi ancora più dilagante di quanto già oggi non sia, perché non solo verrà cancellato un reato madre come la concussione per induzione, ma si sono poste le condizioni affinchè nessuno più denunci quanto capitato.
Ma, attenzione, non finisce qui. Nell’intervento di Donatella Ferranti (Pd), la maggioranza si è fatta vanto di aver inasprito le pene per corruzione e concussione. Vero. Ma anche qui il trucco. Alcuni commi (contenuti sia in questo articolo, che nell’articolo 7 di cui si discuterà domani) prevedono un taglio importante ai termini di prescrizione: ben cinque anni in meno. E, tra i possibili beneficiari, proprio il Pd Filippo Penati, indagato per concussione per la vicenda Falck-Serravalle. L’allarme era già stato dato domenica scorsa da Federico Palomba (Idv): Penati cadrebbe immediatamente in prescrizione dato che la vicenda risale al 2002 e la prescrizione cadrebbe proprio nel 2012. Quest’anno.
Chiara, sulla questione, è stata Donatella Ferranti che nel suo intervento ha precisato: “non è vero nulla. La colpa è di come oggi è concepita la prescrizione, che dovrebbe essere riformulata in toto”. La responsabilità, dunque, nel caso in cui Penati venga prescritto è da ascrivere alla prescrizione in quanto tale. Non a chi la accorcia.
Ancora più esilarante l’intervento di Manlio Clemente: “avete aiutato Penati e punito Berlusconi” solo “per una storia di lenzuola”. Questa è una legge “contra personam”. Si salvi chi può.
SCHEDA: Corruzione, condannati fuori dalle Camere dal 2018
Preclusi anche incarichi di governo, ma solo con condanne definitive.
ROMA - Nessun condannato in via definitiva potrà entrare in Parlamento o avere incarichi di governo, ma a partire dal 2018, stabilisce la delega contenuta nel ddl anti-corruzione. Anche se il ministro Filippo Patroni Griffi in una nota precisa: "Con il testo approvato oggi, il Governo è in grado di esercitare la delega a partire dal giorno successivo all'approvazione della legge e in questo modo i nuovi divieti sarebbero di immediata applicazione. Il termine della delega è un termine massimo".
Se l'articolo 10 del ddl Anticorruzione, su cui oggi è stata votata la fiducia al governo, diventerà legge, le persone condannate con sentenza passata in giudicato a più di due anni per i reati gravi (come mafia e terrorismo) e per quelli contro la Pubblica Amministrazione o coloro che hanno subito condanne sempre in via definitiva per tutti gli altri reati per i quali sono previste pene superiori nel massimo a tre anni, non potranno essere elette né al Parlamento nazionale, né a quello europeo, né potranno ricoprire incarichi di governo. Tali limiti però varranno solo dopo il 2013. Cioé a partire dalla legislatura del 2018.
Nel testo licenziato dalle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, e sul quale il governo ha chiesto e ottenuto la fiducia, si dà infatti un anno di tempo al governo per fare un decreto legislativo sulla materia delle incandidabilità. A dire il vero, nell'originario testo Alfano, il divieto di candidare persone condannate in via definitiva era stato scritto per diventare immediatamente legge. La scelta di affidare al governo la delega a legiferare sul tema, cosa che ne allunga inevitabilmente i tempi per l'entrata in vigore, venne inserito al Senato con un emendamento di Lucio Malan (Pdl). Secondo la norma appena votata, non potranno essere candidati anche coloro che avranno deciso di patteggiare la propria pena.
Secondo il Pd "l'incandidabilità in conseguenza di sentenze definitive di condanna può essere applicata già alle prossime elezioni politiche del 2013 se il governo eserciterà, come è sicuramente possibile, la delega in tempo utile". Lo dichiarano i deputati democrat Oriano Giovanelli e Donatella Ferranti. "In coerenza con un nostro emendamento e con quanto affermato nella nostra dichiarazione di voto - spiegano - abbiamo presentato un ordine del giorno, che ci auguriamo sarà approvato domani, nel quale è contenuto l'impegno per il governo 'ad esercitare la delega in tempo utile affinche' le norme in questione si applichino alle prossime elezioni'".
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