giovedì 21 giugno 2012

Berlusconi: il piano segreto per Renzi premier. - Tommaso Cerno e Marco Damilano




'L'Espresso' è entrato in possesso del documento riservato messo a punto per il Cavaliere da un gruppo ristretto di consiglieri capeggiati da Dell'Utri e Verdini (oltre che dal suo nuovo guru Volpe Pasini). Risultato: via il Pdl e quasi tutti i suoi dirigenti, nasce una Lista Civica nazionale che dovrà allearsi con il sindaco di Firenze, destinato a Palazzo Chigi. Obiettivo: salvare Silvio dai giudici e (se possibile) farlo eleggere Presidente della Repubblica.


Il documento circolava ieri riservatamente nell'aula di Palazzo Madama mentre i senatori si apprestavano a votare per l'arresto di Luigi Lusi. Appena arrivato da Milano, top secret, affidato soltanto a un ristrettissimo gruppo di notabili berlusconiani. Nessun file, solo carta, come ai bei vecchi tempi. Otto pagine dattiloscritte più la copertina, titolo "La Rosa Tricolore", sottotitolo "Un Progetto per Vincere le elezioni politiche 2013". E il simbolo, una rosa stilizzata con i petali rossi, bianchi e verdi su tutte le pagine. 
Dopo giorni di indiscrezioni sempre smentite, ecco per la prima volta messo nero su bianco il piano di Silvio Berlusconi per superare indenne il disastro del Pdl, dato in picchiata nei sondaggi, e provare a vincere alle prossime elezioni, tra un anno o nel 2012 «nel caso di voto anticipato», si legge nel documento, nell'eventualità più che mai attuale che il governo Monti venga fatto cadere. 
Un piano in tre mosse. Primo, azzerare l'attuale Pdl, considerato in blocco «non riformabile» insieme a tutti i suoi dirigenti (con una singolare eccezione: Denis Verdini). 
Secondo, costruire un network di liste di genere (donne, giovani, imprenditori) tutte precedute dal logo "Forza". 
E, infine, l'idea più clamorosa: candidare un premier a sorpresa, pescato come nel calcio mercato dalla squadra avversaria: non Luca Cordero di Montezemolo né Corrado Passera né tantomeno il povero Angelino Alfano. Ma il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi, oggi candidato in pectore alle primarie del Pd. 

Pdl tutti a casa. E senza tv. 
Il presupposto dell'operazione Rosa Tricolore è la catastrofe dell'attuale centrodestra e del partito azzurro. «Il Pdl», si legge, «appare non riformabile e i suoi dirigenti hanno un tale attaccamento alla proprio posto di privilegio da considerare come fondamentale la sopravvivenza solo di se stessi. Miracolati irriconoscenti appiccicati sulle spalle di Berlusconi». Il rischio è che la sconfitta del Pdl trascini con sé anche «la fine politica» del Cavaliere. E non solo: «La sconfitta toglierebbe a Berlusconi la sola protezione contro chi lo vuole morto finanziariamente, giudizialmente e fisicamente». 

Insomma, i capi del Pdl, pur di non soccombere, condannerebbero al patibolo il loro creatore Silvio. Con alcune eccezioni. Più di tutti, Denis Verdini, «che ha dimostrato capacità di lavoro e di risultato organizzativo ed operativo», ma anche il coordinatore lombardo Mario Mantovani. Soluzione radicale: «la sola svolta possibile sarebbe le loro dimissioni dai ruoli di partito, la loro scomparsa dai giornali e dal video e la loro non ricandidatura», eccezion fatta per chi ha un solo mandato. Insomma, si salva Maria Rosaria Rossi. 
E a casa, e pure senza telecamere, i «professionisti della politica»: La Russa, Gasparri, Frattini, Quagliariello, Cicchitto, Matteoli, Brunetta, Sacconi... E naturalmente il segretario Alfano, «che aveva la possibilità di dimostrare la sua leadership e invece non ha fatto nulla dimostrando di far parte a pieno titolo della vecchia classe dirigente che i cittadini chiedono che venga sostituita con facce nuove giovani e non».

Dalla Brambilla a Marco Rizzo 
Un progetto di rottamazione? Molto di più: il Piano di Rinascita Berlusconiana si richiama esplicitamente a Beppe Grillo. Un movimento leggero, solo nazionale, senza apparati regionali, costi bassissimi, senza finanziamento pubblico e, svolta epocale per Sua Emittenza, con la Rete al posto della tv. Un network che mette insieme lo spirito vincente di Forza Italia '94 e la lezione di 5 Stelle. Organizzazioni di genere: «Forza Donne. Forza Imprenditori. Forza Giovani». E poi studenti, pensionati, pubblici dipendenti. Tutti raggruppati in un movimento nazionale, le cui ipotesi di nome sono Forza Silvio oppure Forza Italiani. 
Una lista del genere, si calcola, potrebbe valere con quel che resta del Pdl il 28-30 per cento dei voti. Cui andrebbero aggiunti i consensi raccolti dal bouquet di liste fiancheggiatrici già pronto. Si va dalla Destra di Storace alla lista Sgarbi ("Rivoluzione") ai pensionati alle new entries.

La lista Santanchè, gli animalisti della Brambilla, una fantomatica nuova Alleanza democratica con gli ex dc, una Lista Sud e una Lista Nord («se salta l'accordo con la Lega») e la nuova di zecca Siamo Italia affidata all'ex supercommissario Guido Bertolaso. Tutte insieme le liste pro-Silvio potrebbero toccare tra il 37 e il 42 per cento. Competitive con Grillo, che scenderebbe al 12 per cento. E soprattutto con il Pd e con il centrosinistra oggi dato per vincente. 
Contando anche su qualche quinta colonna nel campo avversario: per esempio il comunista Marco Rizzo. Per togliere voti alla coalizione di Bersani «potrebbe essere di interesse sostenere la presenza del gruppo di Marco Rizzo affinché si presenti alle elezioni politiche». Quando si dice la doppiezza: Berlusconi anti-comunista nelle piazze, sponsor di Rizzo nelle stanze dei patti elettorali.

Matteo nuovo SilvioMa la sorpresa più grande il Piano B. la riserva quando si arriva a parlare di chi potrebbe essere il prossimo candidato premier. «Fermo restando che nessuno potrebbe svolgere questo compito meglio di Berlusconi, questo vale solo se lui sente il grande fuoco dentro di sempre». Se invece il fuoco del Cavaliere fosse intiepidito, sarebbe meglio pensare a un nome nuovo. Alfano? «Non crea trascinamento e emozioni». Montezemolo? «Troppo elitario e tentennante». Passera? «Privo di carisma e di capacità decisionali forti. La permanenza nel governo Monti non lo aiuta». 
E allora la sola cosa da fare, «folle, geniale», è schierare il campione del campo avverso: «Il solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi». Il sindaco di Firenze? Ma non è del Pd? Certo. Ma chi ha scritto il documento ricorda con lucidità che il rottamatore è inviso ai dirigenti del partito e alla Cgil, mentre è apprezzato dagli elettori del centrodestra. «Se Berlusconi glielo chiedesse pubblicamente non accetterebbe. Sarebbe un errore fare una richiesta pubblica da parte del leader», che pure conosce e stima Renzi, annota il testo, ricordando gli incontri di Arcore tra il sindaco e il Cavaliere. «Bisogna che Renzi si candidi da solo con la sua lista Renzi e che apra a tutti coloro che condivideranno il suo programma (ovviamente preventivamente concordato). A quel punto la nuova coalizione di centrodestra si confronterà con lui e deciderà di sostenerlo per unità di vedute e di programmi». Lista Renzi e Forza Silvio insieme. E le primarie annunciate del Pd, dove Renzi dovrebbe sfidare Bersani? Non si faranno mai, scommettono gli autori del documento, che si ritengono ben informati.



Nuovi inni e vecchi condoni 
Il programma. I punti forti sono da berlusconismo d'antan. Via le tasse dalla prima casa, via le intercettazioni e carcere preventivo, via i limiti troppo stretti per l'uso dei contanti. E poi abolizione di Equitalia, un «grande condono» e presidenzialismo. Ma la rivoluzione sarà nella forma: un programma già composto di disegni di legge da approvare senza emendamenti entro cento giorni per le leggi ordinarie e dodici mesi per le leggi costituzionali. E poi, sembra una notazione frettolosa, c'è da eleggere il Presidente della Repubblica. Il candidato non è specificato, ma si può immaginare chi sia. Un piano così minuzioso non poteva dimenticare la colonna sonora, i gadget e le parole d'ordine. L'inno «sarà quello di Forza Italia adeguato al nuovo nome». E c'è già l'indirizzo web: rosatricolore.it che si aggiunge ai già esistenti forzasilvio.it e forzaitalia.it

Il circolo Dell'Utri 
Fantapolitica? Se lo chiedono alla fine anche gli estensori del Piano. E ci sarebbe da pensarlo se non fosse per altri indizi che portano direttamente nel cuore di Arcore e di Palazzo Grazioli. A registrare il domino web di Rosa Tricolore il 23 aprile scorso è stato Diego Volpe Pasini, da ormai quasi due anni fra i più intimi consiglieri dell'ex premier. Imprenditore dalle alterne fortune, cinquantuno anni, romano di nascita ma friulano di adozione, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, animatore della lista Sgarbi, dopo anni burrascosi è rientrato nell'inner circle di Berlusconi forte degli antichi rapporti con il senatore Marcello Dell'Utri, mai interrotti nel corso degli anni, e di una più recente amicizia con il coordinatore Verdini. E' lui il probabile estensore del Piano, partorito all'interno della fondazione che è stata incaricata da Berlusconi di rinnovare il Pdl. Da mesi lavorava in silenzio, questo è il primo risultato. Che dimostra come per tornare a vincere bisogna ripartire dagli amici di sempre, quelli che fondarono Forza Italia. Dell'Utri e il suo sodale della P3 Verdini, per esempio. Il futuro ha un cuore antico: anche per Berlusconi.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/berlusconi-il-piano-segreto-per-renzi-premier/2184940

Rapporto diritti globali, la foto dell’Italia in crisi fra tagli e disuguaglianze. - Franz Baraggino

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Spesa sociale falciata dell'80% dal 2008, Welfare decimato, un quarto dei cittadini a rischio povertà, reddito dei ricchi che cresce dieci volte più di quello dei "meno abbienti". Con tre milioni di precari e due milioni di nuovi emigrati. Tutti i numeri di un paese "a rischio Grecia" nel volume promosso da Cgil e Arci.

Meno lavoro, meno diritti, meno futuro. Il bilancio per l’Italia del Rapporto sui diritti globali 2012, pubblicato oggi dall’Associazione Società Informazione e promosso da ArciCgil e un gruppo di associazioni, è pessimo. “La prima guerra mondiale della finanza ha provocato l’11 Settembre dello Stato sociale e dei diritti”, si legge nel Rapporto. La conferma è nei numeri, che raccontano un Paese in cui povertà e disuguaglianze sono in aumento, mentre le voci principali di spesa sociale, tra il 2008 e il 2011 hanno subito tagli complessivi dell’80%.
Una tendenza che si aggraverà nel 2013, spiega il Rapporto, che quest’anno si intitola ‘La Grecia è vicina’. Al centro delle 1300 pagine di questa decima edizione, non poteva che esserci la crisi. Ma se gli Usa hanno provato a dare qualche impulso alla crescita, l’Europa, denuncia il Rapporto, sarebbe tutta concentrata sullo smantellamento dello Stato sociale e dei diritti acquisiti da lavoratori e pensionati. Un giudizio che si traduce nella sostanziale bocciatura delle scelte di Mario Monti. “Un governo in linea con quello di Berlusconi”, critica il segretario della Cgil Susanna Camusso, che nella prefazione al Rapporto non usa mezzi termini: “I salari sono fermi, i redditi calano, la disoccupazione aumenta, la recessione si acuisce, la disperazione delle persone senza futuro si diffonde”.
Parole dure che trovano conferma nei numeri. L’arretramento dello Stato sociale è tutto nei dati sulla spesa per il Welfare. L’Italia è infatti passata dai due miliardi e mezzo di euro del 2008 a soli 538 milioni per il 2011. Mentre per il 2013 il Rapporto annuncia un ulteriore dimezzamento, per una spesa sociale che non supererà i 270 milioni. Ma non basta. Il Fondo nazionale per le politiche sociali (Fnps), la principale linea di finanziamento statale per la realizzazione di interventi e servizi sul territorio, è passato dai 518 milioni di euro stanziati nel 2009, ai 44 milioni del 2012 (guarda tutti i numeri nell’infografica di ilfattoquotidiano.it).
Ad aggravare il quadro è la condizione delle famiglie italiane, che diventano sempre più povere. A fornire i numeri è l’indagine ‘Reddito e condizioni di vita’ presentata lo scorso dicembre dall’Istat. Già nel 2010 il 18,2% dei residenti in Italia risultava esposto al rischio di povertà. Un dato che preoccupa soprattutto per la percentuale in crescita di coloro che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove le persone tra i 18 e i 59 anni lavorano meno di un quinto del tempo. Tra 2009 e 2010 si è passati dall’8,8% al 10,2%. Inoltre, stando a una misurazione effettuata a livello comunitario, il 24,5% degli italiani è a rischio povertà, in un Paese dove i redditi dei più ricchicrescono percentualmente con un rapporto di 10 a 1 rispetto a quelli dei meno abbienti.
A fare da spartiacque tra le conseguenze della crisi economica è il lavoro. Le famiglie che hanno come entrata principale un reddito da lavoro autonomo mostrano minori difficoltà, mentre si registra “un serio problema di penalizzazione del lavoro dipendente”. Tra il 2000 e il 2010 le retribuzioni reali dei nuclei con capofamiglia dipendente sono scese del 3,2%, mentre quelle con capofamiglia lavoratore autonomo sono aumentate del 15,7%. Dati in continua evoluzione, soprattutto alla luce di quelli che riguardano la disoccupazione. In appena tre mesi, il tasso di disoccupazione in Italia è salito di mezzo punto percentuale: dall’8,9% dello scorso dicembre siamo passati al 9,3% di febbraio. Una media che rimane al di sotto di quella dell’Eurozona (10,6%), ma che in Italia fa i conti con un tasso di attività effettiva decisamente preoccupante.
Nel 2010, infatti, il tasso di attività di chi ha tra i 15 e i 64 anni è del 62,2%, rispetto a una media dell’Unione Europea a 27 Paesi del 71%. Un divario destinato a crescere e che vede dietro a noi soltanto Malta, con il 60,3%. Svezia e Danimarca, con il 79,5%, appaiono lontanissime. A essere colpiti sono in particolare i giovani. Tra questi, il 36% è disoccupato, i precari superano quota 3 milioni e i cosiddetti Neet, che né studiano, né lavorano, sono ormai 2 milioni. E altrettanti hanno già lasciato l’Italia per cercare una vita migliore all’estero.
“Le cifre negative vengono lette non già come indizio dell’errore, come evidente tossicità del farmaco somministrato, bensì come suo insufficiente dosaggio”, si leggeva nella prima edizione del Rapporto sui diritti globali, pubblicata dall’Associazione Società Informazione nel 2003. E ancora: “Anziché soffermarsi sull’eziologia del male, i nostri apprendisti ministri e statisti s’incaponiscono nella terapia sbagliata. Allora si moltiplicano le leggi delega, si opera per dividere i sindacati e i lavoratori, si approfondiscono i conflitti sociali, si tenta di isolare la Cgil”.
A dieci anni di distanza, secondo il curatore Sergio Segio, nulla è cambiato: “Si tratta di un’analisi che potremo ribadire oggi, parola per parola, guardando all’Italia e al panorama globale”. Nonostante la sua crisi, conclude, “il capitalismo finanziario continua a governare il mondo, e senza la ricostruzione di un interesse generale ci condurrà nel baratro”.

Monti e Totò.



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Fiat condannata a Pomigliano: dovrà assumere 145 tute blu Fiom.



Ricorso dell'azienda contro la sentenza del Tribunale di Roma.

TORINO - Il Tribunale di Roma ha condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano: 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini dovranno essere assunti nella fabbrica. Lo rende noto la stessa Fiom precisando che 19 iscritti al sindacato avranno anche diritto a 3.000 euro per danno.
La Fiom - spiegano l'avvocato Elena Poli - ha fatto causa alla Fiat sulla base di una normativa specifica del 2003 che recepisce direttive europee sulle discriminazioni. Alla data della costituzione in giudizio, circa un mese fa, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno risultava iscritto alla Fiom. In base a una simulazione statistica affidata a un professore di Birmingham le possibilità che ciò accadesse casualmente risultavano meno di una su dieci milioni. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha agito per conto di tutti i 382 iscritti alla sua organizzazione (nel frattempo il numero è sceso a 207) e a questa cifra fa riferimento il giudice ordinando all'azienda - come anticipato dalla Fiom - di assumere 145  lavoratori con la tessera dei metalmeccanici Cgil. L'azione antidiscriminatoria - spiega ancora il legale della Fiom - può essere promossa dai diretti discriminati e se la discriminazione è collettiva dall'ente che li rappresenta. Per questo 19 lavoratori hanno deciso di sottoscrivere individualmente la causa e hanno ottenuto i 3.000 euro di risarcimento del danno.
PASSERA, SENTENZA DA TENER CONTO  - "Non conosco le motivazioni della sentenza, ma è qualcosa di cui tenere conto". Così il ministro dello sviluppo Corrado Passera ha commentato la decisione del Tribunale di Roma di condannare Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano, costringendo l'azienda ad assumere 145 lavoratori".
AZIENDA, RICORSO CONTRO SENTENZA POMIGLIANO - La Fiat presenterà ricorso contro la sentenza del Tribunale di Roma che ha dato ragione alla Fiom sulle discriminazioni nello stabilimento di Pomigliano. Lo si apprende dall'azienda che non fa per ora alcun commento sul merito della sentenza. Il ricorso dovrà essere presentato entro trenta giorni.

Scene orribili di umana follia.



Ce ne sono ancora 640.000, di bimbi sotto i 5 anni che stanno per morire di fame, più quelli sopra i 5 anni e gli adulti, e al momento sembra più probabile che qualche bookmaker apra le scommesse sul bilancio finale della tragedia, che qualcuno di quelli che possono si svegli e corra al loro salvataggio, tanto che secondo l'ONU l'emergenza è destinata ad allargarsi ad altre zone. Voi su cosa scommettereste?

Non dimentichiamo facilmente la crisi della Somalia, ovvero il genocidio favorito da nazioni che pensano ad altro, meno scomodo e impegnativo. Anche i politici italiani non sono da meno degli altri; magari invitano a donare l'euro tramite card che chissà dove va a finire.

E' ben vero che ci sono uomini veramente tali che non hanno i bunker per salvarsi, che vanno allo sbaraglio per difendere i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti dei bambini che si celebrerà tra un mese circa.

Ma quanti bambini sotto i cinque anni saranno morti per quella data, di fame e di sete, mentre durante quella ricorrenza in molti Paesi verranno distribuiti a gogò merendine, cioccolatini e bibite per chi è strapieno e non ha né fame, né sete … e di tutto quel cibo si riempiranno i limitrofi cassonetti dei rifiuti organici?


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«Non raccogliete i sacchetti facciamo scatenare la guerra». - Roberta Polese


         
Chiara Gavioli                      Stefano Gavioli
Per il gip gli arrestati hanno sfruttato la «miseria dei netturbini». La falsa bancarotta e i ricatti: «I numeri? basta solo scriverli».


VENEZIA — «La guerra non la dobbiamo fare noi, la devono fare i dipendenti. Dobbiamo far degenerare la situazione e costringere i nostri a fare un po' di casino. Non bisogna effettuare prelievi di rifiuti, domani potremo trattare meglio». Giuseppina Totaro parla con il suo capo Stefano Gavioli e con Giancarlo Tonetto. Le sue parole racchiudono tutta la strategia di Enerambiente, la società che fa capo all’imprenditore trevigiano, a Napoli. I «prelievi» sono i sacchetti di immondizia, e bisogna lasciarli a terra. Il gioco è questo: se il Comune si ritrova a soffocare tra i rifiuti sarà obbligato a comprarsi i camion (sovrapprezzati) di Enerambiente, senza avere nemmeno il tempo di farne una stima. Nel frattempo i dipendenti vengono usati come pedine di un risiko che ha un solo obiettivo: fare soldi. Lo spaccato che emerge dall'inchiesta che ha portato agli arresti di 11 veneti, tra cui il «re dei rifiuti» Stefano Gavioli, è quello di un gruppo che non esita, come dice il gip, a «sfruttare la miseria dei dipendenti».
Le accuse mosse a diverso titolo dalla procura di Napoli alla «cricca» composta dal capo di Enerambiente, i suoi collaboratori, bancari, funzionari e sindacalisti, sono associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, ricorso abusivo al credito, riciclaggio,corruzione ed estorsione. Siamo nel 2010. Mentre a Venezia la società viene svuotata per essere svenduta, a Napoli la partita si gioca sui lavoratori e sul Comune. La squadra di Gavioli tiene per la gola l'amministrazione costringendola, sull'onda dell'emergenza, a contratti più favorevoli a Enerambiente, obbligandola ad acquistare i camion ad un prezzo sovrastimato. Napoli è alla canna del gas: non sa più come gestire i cumuli di monnezza accatastati e agli angoli delle strade. La prefettura convoca un tavolo di confronto a cui partecipano il vicesindaco Sabatino Santangelo, i vertici di Asia, la municipalizzata del Comune che affidato la raccolta rifiuti a Enerambiente, e Enerambiente stessa, il cui contratto è in scadenza. E' un venerdì di fine ottobre, il termovalorizzatore di Acerra è rotto, alla già strabordante discarica di Terzigno ci sono pesanti scontri. Ma, stando alle indagini dei finanzieri, la «cricca» non si muove di un millimetro. Il Comune chiede la proroga del contratto, Gavioli dice no. Asia allora accetta l'acquisto dei camion, ma vuole fare una perizia per sapere quanto costano. «Non ci provate neanche, altrimenti ci alziamo e ce ne andiamo» dice il veneziano Giancarlo Tonetto, consulente legale di Gavioli «dovete fidarvi della nostra parola».
«Era vitale che Enerambiente non abbandonasse immediatamente Napoli per evitare la paralisi - dice il vicesindaco Santangelo nel verbale dei finanzieri - non avevamo alternative». Risultato: Il Comune cede, il contratto viene prorogato a netto vantaggio economico di Enerambiente. Un risultato cui la società arriva grazie all'alter-ego di Gavioli a Napoli, Giuseppina Todaro, che ha passato settimane a fomentare la rivolta dei lavoratori. E' in questo momento che Gavioli, secondo la Finanza «è pronto a combattere la guerra». E' in questa fase che il suo fido Giancarlo Tonetto impartisce l’ordine: «La situazione deve degenerare». La Totaro racconta a Gavioli del dialogo con i sindacalisti e di aver detto loro che «la partita è grossa, (…) non fate gli stronzi, vedete come cazzo dovete fare per far rispettare questo accordo (…) chiamate chi volete devono arrivare i soldi». Lavoratori strumentalizzati da un lato e denigrati dall'altro. «Quelli sono bastardi, appaiono come angioletti, ma sono bastardi» dice al capo, che le dà ragione. Intanto, stando a quanto dicono le indagini, a Venezia la Enerambiente si sta svuotando in modo illecito. Lo fa capire Gavioli al telefono con la Totaro: «La chiusura di Enerambiente bisogna farla con i numeri giusti (...) i numeri giusti basta solo che li scriviamo». Per Giovanni Faggiano: «Gavioli deve andare al concordato, altrimenti lo arrestano» dice alla segretaria Stefania Vio. I soldi dell’azienda sono finiti anche nelle tasche della famiglia Gavioli: «Abbiamo pagato anche i conti privati di sua sorella» dice Faggiano in una intercettazione. E’ Maria Chiara Gavioli, la donna che, secondo la Finanza, finge di fare la «bella e svampita», dicendo che tutto avveniva «a sua insaputa». Ma gli investigatori non le credono. Per la procura tutti sapevano, tutti ci guadagnavano.

Trattativa Stato-mafia: nell’inchiesta anche le telefonate Mancino-Napolitano. - Marco Lillo e Giuseppe Lo Bianco


Giorgio Napolitano Nicola Mancino interna nuova
Nei brogliacci due conversazioni tra il capo dello Stato e l'ex presidente del Senato, ma saranno distrutte. Lì dentro ci potrebbe essere la conferma dell'interessamento per calmare le angosce dell'ex vicepresidente del Csm al quale il consigliere del Quirinale D'Ambrosio disse: "Il presidente ha letto la lettera al pg della Cassazione prima di mandarla"
“Qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure da Martelli… tant’è che il presidente ha detto: ma lei ha parlato con Martelli… eh, indipendentemente dal processo, diciamo”. L’interlocutore di Nicola Mancino è il consigliere giuridico del capo dello Stato, Loris D’Ambrosio ma il suggeritore è – a dire dello stesso D’Ambrosio – Giorgio Napolitano che consiglierebbe un incontro tra i due testimoni che avevano fornito versioni contrastanti. Il tema è rovente perché investe il futuro giudiziario dell’ex presidente del Senato: “Non vorrei che dal confronto viene fuori che io ho fatto una dichiarazione fasulla e quello (Martelli, ndr) ha detto la verità, perchè a questo punto chi processano? Non lo so”.
L’ex presidente del Senato è in fibrillazione, è un’escalation di angoscia, e Mancino è consapevole della scivolosità della strada indicata dal Quirinale: “Non è che posso parlare io con Martelli, che fa…”. Effettivamente non è bello per un testimone sul ciglio dell’incriminazione contattare un altro teste che lo smentisce per appianare le divergenze. E questo lo capisce anche Mancino. A parlare con l’ex Guardasigilli, dunque, devono essere altri. È qui, in questa conversazione a mezze frasi tra Mancino e D’Ambrosio che le manovre per condizionare l’inchiesta sulla trattativa investono Napolitano. Sono millanterie di D’Ambrosio?
Un dato è certo: il consigliere del presidente è rimasto al suo posto anche dopo la pubblicazione di questo stralcio di colloquio sul Fatto di ieri. Non solo: Napolitano avrebbe parlato direttamente con Nicola Mancino, almeno a leggere l’anticipazione di Panorama.it che segnala la preoccupazione e l’irritazione dello staff del Colle per la possibilità che nei brogliacci della Procura non ancora depositati vi siano anche conversazioni che vedono il presidente della Repubblica alla cornetta. E non appaiono preoccupazioni infondate. Al Fatto risulta che tra le decine di telefonate intercettate, in almeno due casi la squadra di polizia giudiziaria nella sala ascolto della procura di Palermo avrebbe trascritto in brogliacci, coperti dal segreto, la voce del capo dello Stato a colloquio con l’ex vice presidente del Csm.
Il contenuto è ovviamente segreto, non verrà trascritto e finirà probabilmente distrutto senza mai arrivare agli atti del processo. In quelle telefonate con la voce del capo dello Stato ci potrebbe essere la conferma del suo diretto interessamento per calmare le angosce di Mancino, avviando di fatto le manovre di interferenza nell’indagine di Palermo. Sul punto, lo stesso D’Ambrosio appare abbastanza chiaro, nel suo colloquio con Mancino del 5 aprile, commentando la lettera inviata il giorno prima dal Quirinale al pg della Cassazione: “Però adesso lei lo sa, quando uscirà quello che noi, quello che il presidente auspica, tra l’altro il presidente l’ha letta prima di mandarla, eh non è una cosa solo di Marra”. E Mancino replica: “Comunque, dovendogli fare gli auguri per telefono non dirò niente, non accennerò…”. Ma D’Ambrosio lo rassicura: “No, lei può dire che ha saputo della lettera che le è stata mandata, è stato informato che la lettera è stata mandata al procuratore generale. Poi ha saputo che era ai fini di un coordinamento investigativo, lei lo può dire parlando informalmente con il presidente, perché no?”. “E va bene…”, insiste, forse poco convinto, l’ex presidente del Senato. Ma D’Ambrosio, lapidario: “Non c’è niente, lui sa tutto. E che, non lo sa. L’ha detto lui, io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione”.
Per Mancino il confronto con Martelli è la preoccupazione. Il tema è la questione dei Ros e dei loro contatti informali con Ciancimino: Martelli sostiene di averlo informato, Mancino nega. E nella telefonata del 12 marzo si sfoga con D’Ambrosio: “Lui dice, vedi un poco che quelli fanno attività non autorizzate, io non mi ricordo che lui me l’ha detto, ma escludo che me l’abbia potuto dire. Tuttavia, ammesso che me lo ha detto, perchè se lui sapeva di attività illecite non lo ha detto alla Procura della Repubblica, lui che era Guardasigilli?”. Lo sfogo si fa pesante: “Ma che razza di Paese è, se non tratta con le Brigate rosse fa morire uno statista. Tratta con la mafia e fa morire vittime innocenti. Non so… io anche da questo punto di vista… o tuteliamo lo Stato oppure tanto se qualcuno ha fatto qualcosa poteva anche dire mai io debbo avere tutte le garanzie, anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose che sto facendo”.
Mancino teme di pagare da solo un prezzo giudiziario troppo alto, nella telefonata del 12 marzo pressa D’Ambrosio: “Sto parlando dello Stato italiano, non è possibile che ognuno va per conto suo. Lei veda un po’ se Grasso ritiene di ascoltare anche me, sia pure in maniera riservatissima, che nessuno ne sappia niente…”. E nella telefonata del 3 aprile, subito dopo che il pm ha chiesto il confronto in aula con Martelli, l’angoscia di Mancino raggiunge il suo punto più alto, il senatore risollecita a D’Ambrosio la lettera al pg della Cassazione: “Veda un poco, la cosa è terribile”. Ma D’Ambrosio si muove su input del presidente? Il 5 marzo, quando Mancino si scusa alla fine della telefonata dicendo: “Mi scusi, io tormento lei”. D’Ambrosio replica: “No, no si immagini. Poi il presidente me ne aveva parlato, quindi…”.
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