giovedì 20 settembre 2012

Scoperta la galassia più antica. - Chiara Arnone


BOLOGNA, 20 SETTEMBRE - All’interno di un ammasso di galassie chiamato MACS1149+2223 gli scienziati dell’Istituto nazionale di astrofisica hanno scoperto una galassia antichissima che permetterebbe di spiegare le prime fasi della vita dell’Universo.
Secondo gli scienziati, si sarebbe formata 460 milioni di anni dopo il Big Bang. Distante 13,5 miliardi di anni luce da noi, la galassia potrebbe incoraggiare gli astrofisici a svelare i segreti dell’Età oscura dell’Universo, una fase in cui il cosmo era avvolto da una nebbia di idrogeno neutro, diradatasi con la formazione delle prime stelle.
‘Quella presentata nel nostro lavoro è la più convincente osservazione di una galassia a distanze così elevate (circa 13,2 miliardi di anni luce) fatta fino ad oggi’ afferma Mario Nonino dell’Osservatorio astronomico di Trieste che con Massimo Meneghetti, ha coordinato la ricerca: ‘La scoperta di una galassia, che sulla base delle nostre osservazioni è stata scorta quando l’universo è verso la fine dalla cosiddetta Cosmic Dark Age, mostra come l’approccio di sfruttare l’amplificazione degli ammassi sia estremamente efficiente per osservare l’universo primordiale’.
Grazie alle teorie di Einstein sappiamo che la traiettoria dei fotoni, le particelle di cui è composta la luce, vengano deviate dalla massa dei corpi celesti. Un raggio di luce fa una curva quando incontra un oggetto abbastanza grosso da avere un campo gravitazionale.
L’ammasso in cui è stata trovata la galassia è di 2,5 milardi di volte più grande di quella del sole, dunque, abbastanza per deviare e amplificare la luce prodotta dalla galassia. Questo effetto di lente gravitazionale ha permesso ai telescopi spaziali Hubble e Spitzer di percepire la luce della galassia e di fotografarla.
La ricerca, maturata nell’ambito del progetto internazionale ‘Clash Cluster Lensing And Supernova survey with Hubble’ verrà pubblicata dal prossimo numero di Nature.

Caso Aldrovandi, la Cassazione: “Gli agenti furono sproporzionatamente violenti”. - Antonella Beccaria


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Lo si legge nelle motivazioni che la Suprema Corte ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per i quattro poliziotti colpevoli di omicidio: "le condotte incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati, dall'altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo".

Gli agenti agirono esercitando un’azione “sproporzionatamente violenta e repressiva” su Federico Aldrovandi causandone la morte. Lo si legge nelle motivazioni che la IV sezione della corte di Cassazione ha depositato oggi confermando la sentenza a tre anni e mezzo per Paolo ForlaniMonica SegattoEnzo Pontani e Luca Pollastri, i quattro poliziotti della questura di Ferrara che il 25 settembre 2005 intervennero in via dell’Ippodromo e che nei tre gradi di giudizio sono stati ritenuti colpevoli dell’omicidio colposo del diciottenne.
Quarantatré pagine che, dopo la sentenza 36280 dello scorso 21 giugno, pongono l’ultima parola ancora mancante a un iter giudiziario i cui esiti si sono espressi sempre negli stessi termini: l’incontro di sette anni fa tra il ragazzo e gli agenti, mandati sul posto da una telefonata che avvertiva della presenza di un giovane in stato di agitazione, è degenerato fino al punto da diventare un pestaggio che non lasciò scampo a Federico. Inoltre “le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”.
Già il procuratore generale Gabriele Mazzotta, nella sua requisitoria, aveva sottolineato l’efferatezza di quell’intervento, effettuato da “schegge impazzite dello Stato”. “I poliziotti”, aveva aggiunto alla vigilia del pronunciamento della Cassazione, “non avevano davanti un mostro eppure si sono avventati in quattro contro un ragazzo solo. Le condotte assunte dimostrano un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali. L’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti”. E ancora, come già scritto anche nelle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che confermavano le parole del giudice di primo grado, Francesco Caruso, venne effettuato un “tentativo di depistare le indagini” nonostante i due manganelli spaccati addosso a Federico Aldrovandi e le cinquantaquattro lezioni riscontrate sul suo corpo.
Di fatto, rispetto alla pena stabilita dalla sentenza che non ha riconosciuto attenuanti, in forza dell’indulto del 2006 agli agenti erano rimasti sei mesi e alla fine dello scorso luglio era giunta la notizia che alcuni di loro avevano fatto richiesta di essere assegnati a servizi socialmente utili. Questo nonostante gli insulti rivolti via Facebook da uno di loro, Paolo Forlani, ai genitori di Federico Aldrovandi. La vicenda era accaduta qualche giorno dopo il pronunciamento della Cassazione e aveva portato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri a etichettare come “frasi vergognose” quelle state scritte sulla bacheca digitale dell’associazione Prima Difesa e ad annunciare “l’immediato avvio di un procedimento disciplinare per sanzionare l’autore del gravissimo gesto”.
Infine adesso si guarda al concerto del prossimo 25 settembre nell’anniversario della morte di Federico e alla creazione di un’associazione in sua memoria che “nasce dalla volontà di proporre qualcosa di bello e costruttivo, di legare il nome di Federico alla positività e alla necessità di mettere le persone al centro di tutto”. Ma rimangono alcuni capitoli giudiziari aperti. Sono quelli della diffamazione e per uno si resta in attesa dell’udienza che ci sarà a Mantova il prossimo 2 ottobre.
Imputati Patrizia Moretti, madre di Federico, e i giornalisti Marco Zavagli di Estense.com (è anche collaboratore del fattoquotidiano.it), Paolo Boldrini e Daniele Predieri  (entrambi della Nuova Ferrara) mentre parte lesa è il pubblico ministero Mariaemanuela Guerra, la prima che indagò sull’omicidio del giovane. Si tratta dello stesso magistrato che a fine agosto ha visto archiviare dal gip di Ancona Alberto Pallucchini un procedimento analogo contro due funzionari della questura di Ferrara, accusati di averne leso l’onorabilità professionale quando formularono dubbi sulle modalità con cui Guerra indagò ai tempi del processo di primo grado. Per un terzo era stato chiesto un supplemento d’indagine.

Ha, ha, ha....



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Verissimo!


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Sovranità monetaria.



NOTATE la differenza tra le due banconote:

* sul biglietto da 5 dollari c'è scritto (in alto sopra la testa) "UNITED STATES NOTE",

* su quello da 2 dollari "FEDERAL RESERVE NOTE".


La scritta "UNITED STATES NOTE" non la trovate più, infatti quello è un biglietto del 1963 fatto stampare dal presidente Kennedy, il quale tramite l'Ordine Esecutivo 11110 firmò l'emissione di 4.292.893.815 dollari in banconote
statunitensi attraverso il tesoro anziché usare il tradizionale sistema della Federal Reserve.

"Kennedy infatti riteneva che, ritornando alla costituzione, la quale afferma che solamente il congresso può coniare e regolare moneta, il crescente debito nazionale poteva essere ridotto smettendo di pagare interessi ai banchieri del
sistema della Federal Reserve, che stampava cartamoneta e la prestava al governo contro interessi."

Il 4 giugno 1963 il presidente John Fitzgerald Kennedy firmò l'ordine esecutivo numero 11110 che ripristinava al governo USA il potere di emettere moneta senza passare attraverso la Federal Reserve.

Kennedy venne assassinato il 22 Novembre dello stesso anno.
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Se avete tempo leggetevi questo documento, illuminante:


http://www.gambelli.org/download/banche%20-%20finanza/La%20moneta.pdf

Si, ridiamo...



....per non piangere....

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Spese folli Pdl, Fiorito e Battistoni Sogni, passioni e colpi bassi. - Nino Cirillo

Fiorito e Battistoni

ROMA - Sono due vite così, due vite di quelle che solo la provincia profonda ti può regalare. Due vite spese a scalare lo scalabile, a sgomitare lo sgomitabile, a sognarsi una Bmw nera con i vetri oscurati e poi ad averla,e dopo la Bmw le cene elettorali, e dopo le cene i megaposter ai caselli dell’autostrada e via via sempre più su, a ricamare trame di potere, a cambiare e ricambiare alleanze, a sopravvivere ai colpi bassi e poi a restituirli.

Queste sono state, almeno fino all’altro giorno, le vite di Francone e Franchino: Franco Fiorito da Anagni -l’unica città al mondo che è riuscita a vedere nascere tra le sue mura quattro Papi- e Francesco Battistoni da Proceno, provincia di Viterbo ma praticamente Toscana, un borgo di seicento anime, di accertata origine etrusca. Francone lo sappiamo perché, con quella stazza da tenore, e quel barbone, e i modici spicci che non gli sono mai mancati (e lasciate stare er Batman, perché ad Anagni nessuno lo conosce così). Franchino, invece, solo perché con quella sua aria algida e spocchiosa, molto sicura, quel suo procedere con modi un po’ curiali anche quando si tratta di affondare il colpo, beh, risulta la versione ingentilita del primo. Ma giusto un po’.

Così uguali così diversi, insomma. Uguali perché appartengono alla stessa indecifrabile generazione - 41 anni lo straripante Fiorito, 45 l’impeccabile Battistoni - perché vengono dallo stesso partito -il pdl- e perché sono stati prima l’uno e poi l’altro capogruppo consiliari alla Regione Lazio (e Battistoni lo è ancora). Ma soprattutto, al di la delle forme, hanno la stessa propensione a spendere e spandere, e ora sono chiamati a provare di non averlo fatto con il pubblico denaro.

A Franchino, per esempio, qualcuno prima o poi dovrà chiedere come ha fatto a stipare 120 invitati -tanti ce ne sarebbero in una ricevuta che lui comunque non riconosce come sua- nelle anguste salette del PepeNero, ristorante piuttosto chic di Capodimonte, con vista mozzafiato sul lago di Bolsena. Il sito internet non lascia dubbi: «40 coperti, chiuso il lunedì».

A Francone gli si potranno chiedere lumi sulle 14 smart che affittò per l’ultimo campagna elettorale, con il suo nome scritto grosso sulle portiere e sui trenta ragazzi che andarono a occuparsi del suo comitato elettorale in una ex fabbrica di costumi da bagno di Anagni, la California. Da dove venivano tutti quei soldi? Ed è vero che dalle sue parti, come sostengono i detrattori «i buoni di benzina fischiano»?

Da quel che si capisce -ma siamo pronti a ricrederci- non hanno mai lavorato in vita loro, né l’uno né l’altro. Nel senso che, politica a parte, non hanno imparato alcun mestiere, esercitato alcuna professione. Di Franco Fiorito, studente di altalenante profitto al Liceo classico Dante Alighieri di Anagni, non si riesce a sapere se questa benedetta laurea in giurisprudenza alla fine l’abbia davvero conseguita oppure no. Di Francesco Battistoni la biografia ufficiale dice abbiamo di fronte un «giornalista pubblicista», mancano i giornali per i quali avrebbe lavorato.

Franco Fiorito fa saltare il banco nell’anno di grazia 2001. Ricorda Aurelio Tagliaboschi, consigliere comunale del pd di Anagni, una specie di memoria storica dell’opposizione: «Noi governavamo da 15 anni, e anche bene. Ma negli ultimi tempi ci facemmo prendere da indecisioni, da leggerezze. Così si presentò lui, Fiorito, e cambiò subito le carte in tavola: manifesti, volantini, polemiche. Lo sosteneva Storace e ne approfittò: la Regione Lazio commissariò il Consorzio di bonifica diretto da Alberto Cocchi, il suo avversario in campagna elettorale. Un gran polverone poi finito nel nulla. Ma sul momento il suo effetto lo fece».

Eh sì, è Storace a guidare le prime mosse di questo trentenne ex missino, ma Fiorito non è mai stato tipo da affezionarsi troppo. Quando Storace imbocca un’altra strada lui si guarda bene dal seguirlo, fosse solo per gratitudine, e va dove soffia il vento. Di lui dicono oggi che si sia avvicinato ad Alemanno (e non si sa quanto Alemanno si sia avvicinato a lui), di sicuro il senatore Giuseppe Ciarrapico non gli ha fatto mai mancare il suo paterno sostegno in questi anni, soprattutto in tempi di campagna elettorale.

Di Battistoni, invece, si ricordano gli albori democristiani e, i più anziani, anche lo zio prete, don Alfio, una figura carismatica nel Viterbese, un personaggio che ha lasciato il segno nella cultura locale. Franchino non deve averla imparata proprio tutta la sua lezione: nel ’94 ha già un incarico importante nella Federazione degli Universitari cattolici, nel ’97 è consigliere provinciale di Viterbo, nel 2005 rimedia la prima vera scoppola quando si presenta come candidato presidente e viene sconfitto. Ma non si rassegna, anche perché su di lui vegli un personaggio del calibro di Antonio Tajani, oggi commissario europeo ai Traporti. E’ Tajani che rimette insieme i cocci di una carriera politica balbettante e lo rilancia in pista alle Regionali del 2010. Franchino non fallisce: novemilaottocento voti, grazie all’infaticabile opera di ricucitura che Tajani ha fatto all’interno del partito.

Algido sì, ma per niente pacifico questo Battistoni, perché prima di diffondere il famoso elenco di spese che ha dato il via a tutto questo putiferio, ne aveva combinata un’altra: aveva denunciato alla magistratura una sua compagna di partito, Angela Birindelli, assessore regionale all’ Agricoltura, accusandola di aver sovvenzionato con il soldi della Regione dei quotidiani locali. Risultato: il pdl di Viterbo è in pezzi, tutti contro tutti, esposti e accuse sulla pubblica piazza, e il sindaco Marini praticamente costretto alle dimissioni.

Dall’alto dei suoi77 anni, Rodolfo Gigli, personaggio di primo piano della Democrazia cristiana dei primi anni ’90, presidente della Regione Lazio e poi deputato, non riesce ad accanirsi su Franchino: «Che vuole che le dica. L’ho conosciuto da ragazzo, adesso sarà cresciuto». Eppoi, con un accenno di perfidia: «E’ ambizioso, certo...».

Si parla e si sparla di questi due. Di Fiorito si cita una famosa variante al Piano regolatore di Anagni che trasformò l’area sulla Casilina in una pepita d’oro, preparando il terreno all’invasione dei centri commerciali. Da Battistoni, invece, i suoi nemici vorrebbero sapere qualcosa di più di certe discariche che ha aperto lassù, al suo paese. Ma sono giorni di malevolenze, magari passerà.

E’ un peccato che in queste ore difficili, ore da mors tua vita mea, nessuno possa consolare l’altro, magari solo dirgli: «A Fra’ che te serve?».


http://www.ilmessaggero.it/roma/campidoglio/fiorito_battistoni_pdl_spese_folli_protagonisti/notizie/219909.shtml