Nonostante il governo continui a parlare di ripresa dell’occupazione e della “più grande operazione di riduzione delle tasse mai vista in Italia” i dati OCSE sulle tasse sul lavoro raccontano un’altra storia. E l’Organizzazione mondiale per la cooperazione e lo sviluppo economico non può essere certo accusata di “gufismo” nei confronti del governo italiano.
Salari più bassi della media UE e tasse molte più alte dei Paesi dell’OCSE: è questo il cocktail letale che ammazza il mercato del lavoro italiano. Ma il governo, nonostante ogni organizzazione economica mondiale, dalla BCE al Fondo monetario internazionale, abbia più volte consigliato all’Italia di agire sul costo del lavoro, continua a dare mancette e sgravi fiscali temporanei che lasciano il tempo che trovano mentre una generazione di giovani è costretta a vagare per l’Europa e per il mondo alla ricerca di un lavoro, ciò che l’Italia non è più in grado di offrire.
Secondo lo studio “Taxing Wages” dell'Ocse, il cuneo fiscale (ovvero il prelievo fiscale complessivo tra tassazione e contributi previdenziali) nel 2015 è aumentato di 0,76 punti percentuali arrivando così al 49%. L’Italia sale al quarto posto tra i 34 Paesi OCSE per il peso delle tasse sullo stipendio di un lavoratore medio “single” senza figli, arrivando al pari dell'Ungheria, superando la Francia (48,5%) e allontanandosi ancor più dalla media OCSE (35,9%). L’aumento delle tasse sul lavoro in Italia è da imputare alle tasse sul reddito, dal momento che i contributi previdenziali sono rimasti stabili.
Le imposte sul reddito, infatti, nel 2015 sono salite dal 16,7% del 2014 al 17,5% a cui si aggiungono i contributi a carico del dipendente pari al 7,2% e i contributi a carico del datore di lavoro per il 24,3%. Per quanto riguarda le tasse sul lavoro al primo posto tra i Paesi OCSE troviamo la Svizzera, seguita dal Belgio e dalla Germania (dove però lo stipendio lordo è molto più consistente).
Ma l’Italia non solo risulta tra i primi Paesi OCSE per la tasse sul lavoro, ma occupa anche gli ultimi posti in classifica per quanto riguarda il reddito medio. Secondo i dati del JobPricing nel Salary Outlook 2016 (anticipati dal Sole 24 Ore), nel 2015, la retribuzione annua lorda di un dipendente in Italia era di 28.693 euro. Circa 3.700 euro in medio rispetto alla media UE di 32.419 euro.Con questo dato l’Italia si posiziona al nono posto con un forte distacco dalla Francia (37.427 euro) e dalla media tedesca (45.953 euro). Non solo i lavoratori in Italia incassano uno stipendio medio nettamente inferiore rispetto ai loro colleghi europei, ma viene anche eroso da una tassazione sul lavoro tra le più alte dei 34 Paesi dell’OCSE.
Come se non bastasse questa mattina è arrivato anche l'ultimo rapporto trimestrale su occupazione e situazione sociale, pubblicato dalla Commissione Ue su dati relativi al terzo trimestre 2015. L'Italia risulta essere il Paese europeo con il tasso più basso di popolazione attiva, l'unico dove rimane sotto il 65% a fronte di una media del 72,8% in costante miglioramento. Il Belpaese detiene anche il primato per il tasso più elevato di 'scoraggiati' (14,4% della forza lavoro), cioè coloro che hanno smesso di cercare lavoro.
Questi sono numeri, dati, provenienti da fonti internazionali attendibili, non da gufi nostrani e raccontano di un mondo del lavoro italiano tutt’altro che vantaggioso. A cui si aggiunge la difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro con un rapporto che non sia precario e magari sottopagato. Il governo Renzi nel momento del suo insediamento ha dichiarato guerra alla disoccupazione, in particolare quella giovanile, promettendo ricette vincenti per ridare slancio all’occupazione messa in ginocchio da 7 anni di crisi economica. Purtroppo, però, i risultati attesi non sono mai arrivati perché l’esecutivo continua a seguire la strada delle mancette e degli sgravi fiscali una tantum anziché imboccare la strada di una riduzione strutturale e permanente delle tasse sul lavoro.
La scorsa settimana anche il Fondo monetario internazionale è tornato per l’ennesima volta a ribadire l’importanza della riduzione del cuneo fiscale in Paesi che ancora hanno problemi di occupazione. “Le riforme che comportano uno stimolo fiscale sono le più preziose, compresa la riduzione cuneo fiscale e l'aumento della spesa pubblica per le politiche attive del mercato del lavoro” scrive il FMI nel suo World economic outlook.“Ora – prosegue - è il momento giusto in molte economie avanzate per portare avanti ulteriori riforme dei prodotti e del mercato del lavoro: c'è un forte bisogno e c'è margine sostanziale per riformare, il contesto politico è favorevole, e tali riforme possono aumentare i potenziali livelli di produzione e di occupazione nel medio termine”.
Insomma il messaggio è chiaro e corretto, ma il governo proprio non ci sente. Gli 80 euro ai dipendenti per aumentare i consumi non hanno sortito l’effetto sperato perché i lavoratori hanno considerato questo bonus una mancetta passeggera e se lo mettono da parte. Stesso discorso per gli sgravi fiscali per le assunzioni: hanno fatto registrare un aumento dei contratti a tempo indeterminato nel 2015, ma già nei primi mesi del 2016 quando gli sgravi di sono dimezzati nel valore economico e nella durata, i contratti sono crollati, così come l’occupazione.
Il vero problema del mercato del lavoro italiano, è bene ripeterlo fino allo sfinimento, sono le tasse sul lavoro. Un cuneo fiscale troppo alto impedisce ai datori di lavoro di assumere e frena i consumi perché la maggior parte dei lavoratori a conti fatti si mette in tasca un magro stipendio.Una diminuzione consistente e strutturale delle tasse sul lavoro per alleggerire il carico sui datori di lavoro e mettere in tasca dei lavoratori più soldi e un piano serio di investimenti per ridare slancio alla produttività: questa è l’unica strada da seguire per dare una possibilità all’Italia. Peccato che il governo le abbia girato le spalle.