domenica 18 settembre 2016

IL PENTAGONO – UNA VORAGINE DI DENARO. - DAVE LINDORFF*


117-thumb.jpg

Che cosa potrebbe succedere se l’ispettore generale del Dipartimento di Salute e dei Servizi Umani dovesse rilevare che dai libri contabili risulta che si sono persi seimila e cinquecento miliardi e che questi soldi sono irreperibili? Potremmo immaginare che titoli farebbero i giornali, giusto?
E se si fosse trattato di 65 mila-miliardi di dollari? I titoli sarebbero a caratteri cubitali come quelli del primo sbarco sulla luna o dello sbarco a Omaha Beach nella seconda guerra mondiale. Ma se un rapporto è dell’Ufficio dell’Ispettorato Generale del Pentagono e dice che l’esercito americano ha seimila e cinquecento miliardi di dollari di spese inspiegabili delle quali semplicemente non c’è nessuna traccia cartacea? Stiamo parlando di sessantacinquemila milioni di dollari ! Ne avete già sentito parlare? Probabilmente no.
Questo dannatissimo rapporto è stato pubblicato il 26 luglio – ben due settimane fa – ma fino ad oggi non ne ha parlato nessun giornale dei media ufficiali.
Non è che si tratta di nessuna informazione segreta e non è difficile da trovare. Questo report è disponibile online sul sito del Department of Defense’s OIG. E afferma:
L’Ufficio dell’Assistant Secretary dell’Esercito (Financial Management & Comptroller) (OASA[FM&C]) e del Defense Finance and Accounting Service di Indianapolis (DFAS Indianapolis) non dispone di un adeguato supporto per 2,8 miliardi di dollari nel terzo quadrimestre come risulta dai libri contabili (JV) portando così il progressivo annuo a 6.500 miliardi di dollari sui dati AGF dichiarati nella compilazione.2 del bilancio dell’anno finanziario 2015. I dati senza giustificativi trovati sui JV sono stati rilevati perché la OASA (FM & C) e il DFAS di Indianapolis non hanno tenuto conto delle rettifiche del sistema per le quali si erano prodotte le irregolarità riportate sul JV, e perché non erano state fornite sufficienti istruzioni per evitare quel tipo di irregolarità generate dal sistema.
Inoltre, il DFAS di Indianapolis non ha nessun documento o pezza d’appoggio per giustificare il motivo per cui il Report del Sistema-bilancio (DDR-B) del Dipartimento alla Difesa – un sistema di reporting finanziario – abbia rimosso non meno di 16.513 su un milione e trecentomila voci registrate nel terzo trimestre dell’esercizio 2015. Tutto è successo perché il DFAS di Indianapolis non ha ricevuto una documentazione dettagliata in accompagnamento ai dati inseriti nel DDRS-B e perché i rapporti di sistema ricevuti non erano né accurati, né completi.
Di conseguenza, i dati utilizzati per la redazione del Bilancio Finanziario FY 2015 – AGF del terzo trimestre – e progressivo a fine anno – sono stati dichiarati inaffidabili e senza adeguata tracciabilità. Oltre al fatto che il DoD e chi gestisce le spese dell’esercito non hanno potuto contare sui dati dei sistemi contabili per poter prendere decisioni relative alla gestione delle risorse.
Questa fitta burocratizzazione non significa che seimila e cinquecento miliardi siano stati rubati, o che questo denaro sia da considerare in aggiunta ai 600 miliardi di dollari spesi dal Pentagono nell’anno fiscale 2015. Questo significa che per anni – e seimila e cinquecento miliardi corrispondono al valore di circa 15 anni di spesa militare USA – il Dipartimento della Difesa (sic), non ha monitorato, non ha registrato, né effettuato controlli su tutto il denaro dei contribuenti assegnato dal Congresso – su quello che è stato speso, su quanto bene sia stato speso, o dove quel denaro sia effettivamente finito. Qui ci sono parecchie opportunità per corruzione, tangenti, finanziamenti segreti per “Black Ops” e per attività illegali, e naturalmente per semplici sprechi nell’esercizio di un grande esercito, della marina e dell’aeronautica. E tra l’altro, le cose non vanno meglio per la Navy, per l’Air Force e per i Marines.
Incredibilmente, nessun giornalista o editorialista dei media tradizionali USA ha visto questo fatto come una storia di cui valesse la pena scrivere un articolo per il pubblico americano.
Tanto per dare un senso sulla portata di questo scandalo, si consideri che il totale delle spese discrezionali federali nel FY 2015 sono state poco più di 1,1 miliardi di dollari. Tutto incluso, Istruzione (70 miliardi di $), Edilizia e sviluppo sociale ($ 63 miliardi), Medicare e la Salute ($ 66 miliardi), Pensioni per i veterani ($ 65 miliardi), Energia ($ 39 miliardi), Trasporti ($ 26 miliardi) e Affari Internazionali ( $ 41 miliardi ), e, naturalmente, che $ 600.000.000.000 per i militari.
A tutte le altre agenzie responsabili per spese analoghe, come il Dipartimento della Pubblica Istruzione, il Dipartimento dei Veterans Affairs, il Dipartimento di Housing and Urban Development, ecc, è stato richiesto dal Congresso – fin dal 1996 – di redigere relazioni annuali sui controlli effettuati sui loro bilanci. Anche il Pentagono è soggetto alla stessa legge del Congresso, ma per 20 anni di seguito ha omesso di farlo. Ha semplicemente fatto ostruzionismo, e finora è riuscito a starne lontano.
Nessuno al Congresso sembra preoccuparsi di questo disprezzo per il Congresso stesso e nemmeno i due candidati – della politica tradizionale – a presidente, il repubblicano Donald Trump e la democratica Hillary Clinton, sembrano preoccuparsenee. Nessuno dei due ha accennato a questo scandalo epico.
Secondo il rapporto della OIG, questo problema in realtà risale indietro di una generazione, al 1991, cinque anni prima che il Congresso approvasse la legge che impone a tutte le agenzie federali di agire nel rispetto dei principi contabili federali e di effettuare verifiche annuali, quando il Government Accountability Office rilevò che “adjustments senza giustificativi ” erano stati riportati sui bilanci militari durante un audit condotta sull’esercizio di bilancio dell’esercito del 1991. Giusto 17 anni dopo, l’esercito, nella sua dichiarazione di affidabilità sul controllo interno per l’anno finanziario 2008, rilevò che la “debolezza” rilevata nel 1991 “sarebbe stata corretta entro la fine dell’esercizio 2011” scandaloso dopo un secondo decennio. Ma il rapporto OIG continua dicendo :
Comunque la dichiarazione di affidabilità sui controlli interni per l’anno 2015, indica che questa debolezza materiale rimane ancora nelle registrazioni e che non potrà essere corretta fino al terzo trimestre del 2017.
Un atteggiamento tanto apatico da parte del Pentagono, del Congresso e dei media verso una irregolarità contabile tanto abnorme da arrivare a migliaia di miliardi di dollari è semplicemente sbalorditiva, non esiste nessuno del Congresso che si metta di traverso, che interpelli la Casa Bianca, oppure chieda una audizione del Comitato dell’Armed Services per avere risposte e per chiedere teste. Nessun presidente e nemmeno nessun candidato alla presidenza ha denunciato questa atrocità.
A parte la questione politica su quanto, in realtà, dovrebbe essere per gli Stati Uniti la spesa per i militari — e se gli USA possano spendere per la guerra e per la preparazione della guerra, quasi quanto tutto il resto del mondo messo insieme — e se questa sia giustificabile. Come può, qualsiasi persona di qualsiasi convinzione politica, accettare l’idea di spendere somme di denaro da capogiro senza pretendere che qualcuno ne sia responsabile?
Si consideri che i politici di entrambi i maggiori partiti politici chiedono la tracciabilità per ogni centesimo speso per il welfare, inclusa la richiesta ai destinatari delle sovvenzioni di dimostrare che stanno cercando di trovare un lavoro. Idem per le persone che ricevono il sussidio di disoccupazione.
Consideriamo inoltre quanto tempo e quanto denaro si spende per fare test sugli studenti delle scuole pubbliche in un vano tentativo di rendere gli insegnanti responsabili per le “performance degli studenti”. Ma allo stesso tempo i militari non devono rendere conto di nessuno delle loro migliaia di miliardi spesi in manodopera e armi – anche se il Congresso già da più di una generazione ha approvato una legge che richiede che si assumano le loro responsabilità.
Tutte le richieste via e-mail e telefoniche inviate all’Ufficio stampa del DoD, per chiedere un commento sui fatti sono rimaste senza risposta.
Mandy Smithberger, direttore del Straus Military Reform Project del Project on Government Oversight (POGO), dice: “La contabilità presso il Dipartimento della Difesa è un disastro, ma nessuno sta urlando per questo fatto perché c’è un sacco di persone nello stesso Congresso che credono in maggiori spese militari, per questo motivo non si oppongono concretamente alle spese militari ” – e aggiunge: ” Non si vedrà nessun cambiamento a meno che il Congresso non tagli il budget del Pentagono, per ottenere qualche risultato, e il Congresso non ha nessuna intenzione di farlo. ”
Potrebbe anche aver aggiunto che giornalisti, redattori e editori dei media main-strem sono tutti per la spesa militare, dato che i media non dicono niente di questo scandalo cosicché il pubblico continua a restare al buio e si dimostra indifferente su questo fatto. Certo, i media racconteranno dei sedili del water degli aerei pagati 600 dollari e il pubblico sarà opportunamente indignato per questi soldi, ma nemmeno una parola sui sei trilioni e mezzo di dollari di spesa militare di cui non esiste nessuna traccia e di questo il pubblico non potrà sentirsi assolutamente indignato —- a meno che forse, qualcuno leggerà qualche pubblicazione alternativa, come questa.
Ma ora credo di averne avuto abbastanza! Non voglio sentire più denunce su troppa spesa pubblica per il welfare, per l’Istruzione, per l’ambiente, per i sussidi, per l’assistenza sanitaria, per i benefici per gli immigrati o per qualsiasi altra cosa, fino a quando il Pentagono non avrà riferito su questo fatto e non abbia giustificato e controllato ogni singolo dollaro che sta spendendo per la guerra.
Basta con questi passaggi gratis ai militari. 
*Dave Lindorff è membro fondatore di ThisCantBeHappening!, un giornale on-line collettivo, ed ha contribuito Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion (AK Press). 
Fonte : http://www.counterpunch.org/ 11 agosto 2016
autore della traduzione Bosque Primario

giovedì 15 settembre 2016

Renzi e Sala firmano il “Pacco per Milano” (con nuovo buco Expo). - Gianni Barbacetto

Renzi e Sala firmano il “Pacco per Milano” (con nuovo buco Expo)


La Roma di Virginia Raggi, si sa, è il male. La Milano di Giuseppe Sala, invece, è il bene. 
E Matteo Renzi plana sotto la Madonnina a celebrare il bene, a dar manforte all’eroe di Expo e ad annunciare un fantastico “Patto per Milano” che promette investimenti per 1,5 miliardi – che nel corso dell’incontro, ieri, sono diventati addirittura 2,5. Poi, a leggere la tabella nel documento firmato da Renzi e Sala, si scopre che i soldi previsti per il periodo 2016-2018 sono solo 644 milioni.

“Milano”, scandisce il presidente del Consiglio, “deve prendere per mano il resto del Paese e portarlo fuori dalla crisi”. Peccato però che quando si passa dagli annunci ai fatti, il “Patto per Milano” rischi di diventare un “Pacco per Milano”. Firmato da Sala e Renzi sotto il gonfalone della città, in un clima che ricorda vagamente il “Patto con gli italiani” di Silvio Berlusconi. Il portentoso annuncio promette di tutto e di più: interventi per innovazione, internazionalizzazione, welfare, mobilità, piano per le case e le periferie, per le metropolitane, per sanare il dissesto idrogeologico e, infine, per realizzare nell’ex area Expo la “prima zona economica speciale” d’Italia. Manca solo la riapertura dei Navigli, promessa in campagna elettorale da Sala, e il libro dei sogni è completo.
Il prolungamento delle metropolitane: M1 fino a Baggio; ammodernamento di M2; galleria per collegare M3 e M4 al Policlinico; e, soprattutto, M5 fino a Sesto, Cinisello e Monza. È la normale programmazione dei trasporti di una Città metropolitana che non finisce ai confini del Comune di Milano. Ma chissà quando si farà. I lavori non inizieranno prima del 2019. Anche perché intanto, per onorare vecchi patti dell’era Penati, hanno messo i soldi nella M4, una linea tutta dentro la città, che in parte raddoppia linee già esistenti ed è costosissima (2,2 miliardi), tanto da mettere a rischio i conti del Comune per i prossimi 20 anni. 
A proposito: la Città metropolitana (cioè la vecchia Provincia a cui hanno cambiato nome e tolto i finanziamenti) ha bisogno di almeno 25 milioni per chiudere il bilancio. Sala ha detto, su questo, di “aver avuto rassicurazioni dal governo”.
La messa in sicurezza di Seveso e Lambro, che regolarmente esondano a ogni temporale. Se ne parla da anni. Già il sindaco precedente, Giuliano Pisapia, aveva chiesto che le vasche di contenimento fossero finanziate con i soldi Expo risparmiati per le famose, contestate, indagate e mai completate “vie d’acqua”. Ora arriva Renzi e le inserisce nel “Patto per Milano”, anche se i 151 milioni necessari sono già stati annunciati e in parte perfino finanziati, anche dalla Regione di Roberto Maroni.
Il piano per le case popolari: necessari 174 milioni, tra fondi del Comune, dell’Unione Europea e del governo. L’assessore al bilancio, Roberto Tasca, e quello alla casa, Gabriele Rabaiotti, hanno detto di aver già trovato 33 milioni. Aspettiamo gli altri. Renzi ha gia messo le mani avanti: “Per rifare le periferie servono i soldi dei privati”.
La “zona economica speciale”: il sito Expo diventerà una piccola Irlanda, nella speranza di attirare le aziende – con la promessa di non far loro pagare le tasse – in un luogo che ha succhiato 2,2 miliardi di investimenti pubblici e su cui ancora non c’è un progetto chiaro. Dovrebbe ospitare Human Technopole, il polo di ricerca affidato all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, che è stato però contestato dai rettori lombardi, dai ricercatori come Elena Cattaneo, perfino dall’ex presidente Giorgio Napolitano. Ora si è – in parte – cambiata rotta, togliendo il comando a Iit e formando una (nebulosa) “commissione di garanzia” che sarà presieduta da Stefano Paleari, ex presidente della Cruii, la Conferenza dei rettori. L’internazionalizzazione dovrebbe passare anche per trasferimento, da Londra a Milano, dell’Agenzia europea del farmaco. Chissà.
Un capitolo è dedicato all’accoglienza dei migranti e alla candidatura di Milano come sede del Consiglio nazionale del Terzo settore. Poi c’è il capitolo sicurezza dei cittadini, con l’auspicio di aumentare la polizia municipale, sforando il tetto alle assunzioni.
Ps. Alla pagina 6 del “Patto per Milano” è nascosta una notizia. Un ulteriore buco di Expo: servono altri 23,69 milioni per liquidare la società.

mercoledì 14 settembre 2016

Ok fusione Bayer-Monsanto da 66 mld dlr.

 © ANSA

Nasce big agricoltura. Gruppo tedesco alza offerta a 128 dollari.

ANSA) - ROMA, 14 SET - Accordo fatto tra Bayer e Monsanto per un'operazione valutata circa 66 miliardi di dollari incluso il debito. Le due società hanno ufficializzato l'intesa precisando che l'azienda farmaceutica tedesca pagherà 128 dollari in contanti per ogni azione Monsanto (alzandola rispetto alla precedente di 127,50 dollari) e ha aumentato da 1,5 a 2 miliardi la commissione da pagare se l'Antitrust dovesse bocciare l'operazione.

*** TERREMOTO GIUDIZIARIO NEL MATESE *** La fase un pò concitata dell’arresto del sindaco Vincenzo Cappello: “Voi non ne avete idea di chi sono io!” - Francesco Papa


Risultati immagini per vincenzo cappello
Vincenzo Cappello sindaco di Piedimonte Matese

Alle 6,30 di questa mattina i militari del Nucleo di Polizia Tributaria e dei Carabinieri hanno bussato alla porta dell’abitazione del primo cittadino di Piedimonte Matese. Alla fine lo hanno ammanettato…

Una fase un pò concitata, quella riguardante l’arresto del sindaco di Piedimonte Matese, Vincenzo Cappello, per altro comprensibile poiché non si aspettava di essere svegliato da Carabinieri e Guardia di Finanza alle 6,30 del mattino. Pare infatti che il primo cittadino, logicamente inconsapevole di essere in stato di arresto, sbigottito sulle prime non voleva seguire gli inquirenti che erano andati nel capoluogo matesino per accompagnarlo presso la Caserma di Caserta e dar corso agli adempimenti burocratici previsti nell’ambito di un’ordinanza di custodia cautelare, per altro in carcere. “Voi non ne avete idea di chi sono io!” e in quel frangente il capopattuglia gli avrebbe risposto con tranquillità: “Si lo sappiamo avvocato, lei è il sindaco di Piedimonte Matese!” Ed alla fine per accompagnarlo a Caserta si è reso necessario l’utilizzo delle manette. In quel frangente si trovavano per caso a transitare anche alcuni cittadini matesini, rimasti letteralmente allibiti nel dover constatare che il sindaco era stato arrestato e, per giunta, accompagnato ammanettato e scortato dalle auto delle forze di polizia. Difficilmente molti cittadini del posto riusciranno a metabolizzare questa giornata che segna letteralmente la fine non di un’epoca, ma di un’epopea!

La Luna è una costola Terra, strappata con violenza.

Un impatto violentissimo fra la Terra e un piccolo pianeta ha dato origine alla Luna


Nata dalle sue polveri.


La Luna è una 'costola' della Terra strappata in modo violentissimo. La conferma definitiva arriva da analisi chimiche più raffinate di quelle finora possibili pubblicate su Nature, dal gruppo coordinato da Kun Wang, dell'università americana di Harvard. Le analisi mostrano che Terra e Luna hanno composizione identica e di conseguenza quest'ultima sarebbe nata dall'aggregazione delle polveri della Terra strappate dall'impatto di un pianetino che polverizzò e vaporizzò completamente buona parte del nostro pianeta. ''I nostri risultati forniscono la prima prova concreta che l'impatto ha fatto letteralmente vaporizzare gran parte della Terra'', ha detto Wang. 

I ricercatori hanno riesaminato sette campioni di roccia lunare portati sulla Terra da diverse missioni del programma americano Apollo e hanno confrontato i risultati con le analisi di otto rocce terrestri che si sono formate nel mantello, ossia lo strato che si trova tra la crosta e il nucleo. Le analisi che sono 10 volte più precise dei metodi precedenti, hanno mostrato che tutte queste rocce hanno le stesse 'impronte digitali' cioè hanno gli stessi elementi chimici. Inoltre nelle rocce lunari è presente una forma molto pesante del potassio che potrebbe essere nata solo ad altissime temperature, come quelle che avrebbero vaporizzato parte del mantello della Terra. 

Secondo gli autori, la collisione avrebbe vaporizzato e polverizzato gran parte della Terra, che allora era in formazione, come capita a un'anguria colpita con violenza da un martello. Queste misure smentiscono anche l'ipotesi finora prevalente sull'origine della Luna, secondo la quale il nostro satellite sarebbe nato dalla fusione dei materiali sia della Terra sia del pianetino che l'ha colpita. Questo modello, hanno spiegato gli autori, ha cominciato a vacillare sin dal 2001, quando è stato scoperto che molte rocce terrestri e lunari hanno elementi identici.

Tir si incastra sotto torre medievale.



Camionista, 'tradito dal gps', a sera camion ancora incagliato.

(ANSA) - VENEZIA, 13 SET - Un autoarticolato italiano è rimasto incastrato questo pomeriggio nello stretto passaggio di una porta delle mura medievali di Noale (Venezia), quella sotto la torre campanaria. Il conducente del Tir, nonostante i molti cartelli di divieto, ha sperato che il mezzo riuscisse a passare ma si è trovato bloccato, il muso del camion oltre il varco, il rimorchio dall'altra parte. A sua discolpa ha detto d'essere stato tradito dalle indicazioni del sistema gps. Sul posto sono intervenuti i carabinieri di Noale e la polizia locale, che verso sera stava ancora coordinando le operazioni per 'disincagliare' il Tir da sotto la torre e poter così verificare i danni causati alle mura. (ANSA).

http://www.ansa.it/veneto/notizie/2016/09/13/tir-si-incastra-sotto-torre-medievale_59ea11f8-9cd1-4373-a951-6fcbb9cd183c.html

Referendum, gli apocalittici che mettono in guardia contro il No: da Confindustria a Goldman Sachs, da Fitch a Marchionne. - Marco Pasciuti

Referendum, gli apocalittici che mettono in guardia contro il No: da Confindustria a Goldman Sachs, da Fitch a Marchionne

L'endorsement sul referendum costituzionale firmato dall'ambasciatore Usa in Italia, John Phillips, sorprende ma non troppo: numi tutelari della politica e vertici della finanza nostrana e mondiale si sono a più riprese espressi a favore delle riforme del governo Renzi. Il più delle volte con toni da day after, prefigurando 'caos politico', recessione e tracolli dell'occupazione.

In principio fu Jp Morgan. Hanno costituzioni “influenzate da idee socialiste”, “esecutivi deboli”, tutele dei diritti dei lavoratori”, ma anche “la licenza di protestare contro modifiche sgradite dello status quo”, si legge in un report di 16 pagine, datato 28 maggio 2013. La banca d’affari annoverata tra le protagoniste della finanza creativa, e quindi della crisi dei subprime che dal 2008 ha inceppato l’economia mondiale, giudicava così i “sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni”, definendole “inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”. In questo contesto l’endorsement sul referendum costituzionale firmato dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia,John Phillips, sorprende ma non troppo: numi tutelari della politica e vertici della finanza nostrana e mondiale si sono a più riprese espressi a favore di riforme di respiro liberista come quelle del governo Renzi.
I toni si fanno spesso apocalittici, degni del più cupo dei day after gli scenari prefigurati in caso di fallimento: la vittoria del “No” al referendum, rilevava il 1° luglio l’ufficio studi di Confindustria, causerebbe un “caos politico” e lo scenario economico interno “sarebbe caratterizzato da cinque eventi ciascuno dei quali foriero di recessione“. Tradotto in numeri: “L’effetto complessivo della vittoria del “No” è stato quantificato per il triennio 2017-2019: il Pil cala dello 0,7% nel 2017 e dell’1,2% nel 2018, salendo dello 0,2%nel 2019. In totale si riduce dell’1,7%“. E il Pil pro capite, “una misura di benessere, calerebbe di 589 euro. Ciò porterebbe a un aumento di 430mila persone in condizione di povertà“. Senza contare la perdita di posti di lavoro: “L’occupazione diminuisce complessivamente di 258mila unità, mentre altrimenti salirebbe di 319mila”. “Noi siamo per il sì – ribadiva quindi il 20 luglio al Meeting di Rimini il presidente Vincenzo Boccia, eletto il 25 maggio – perché riteniamo che la governabilità e la stabilità siano la precondizione per una politica economica di lungo termine”.
Apocalittici anche i toni usati da Fitch, che esprimeva il proprio parere nelle stesse ore in cui Phillips spiegava che una vittoria del “No” sarebbe un “passo indietro” per attrarre gli investimenti stranieri in Italia: “Ogni turbolenza politica o problemi nel settore bancario – ha spiegato il responsabile rating sovrani per Europa Medio Oriente Edward Parker – che si possano ripercuotere sull’economia reale o sul debito pubblico, potrebbe portare a un intervento negativo sul rating dell’Italia. Se ci fosse un voto per il No, lo vedremmo come uno shock negativo per l’economia e il merito di credito italiano”. Più o meno lo scenario delineato anche da Goldman Sachsche in un rapporto di 14 pagine mette in rilievo i rischi che un fallimento del referendum comporterebbe per le banche: “Una fase di turbolenza politica e uno stop al percorso riformista ridurrebbe le probabilità di arrivare a una soluzione di mercato per le banche in difficoltà, aumentando per contro quelle di un intervento del governo”.
Lassù, tra le nubi che circondano i resti di quello che fu Olimpo della grande industria italiana, le riforme piacciono anche a Sergio Marchionne, che con Matteo Renzi ha dimostrato di avere un feeling particolare: “Quello che interessa a noi come azienda è la stabilità del sistema”, spiegava il 27 agosto a margine di un convegno alla Luiss l’amministratore delegato di Fca, dicendosi ”a livello personale per il sì” al referendum. ”Non voglio – tentava quindi un distinguo – prendere una posizione. Ma personalmente condivido alcune delle scelte che sono state fatte per cercare di alleggerire il costo di gestione di questo Paese. Non voglio giudicare se la soluzione è perfetta, ma è una mossa che va nella direzione giusta”.
Più in basso, nella Castalia della politica nostrana, il nome che spicca per qualità e quantità degli interventi in favore delle riforme è quello di Giorgio Napolitano: “Sosterrò la conferma della legge di riforma approvata dal Parlamento e mi auguro che le opposte parti politiche si confrontino sul referendum nella sua oggettività”, rompeva gli indugi il presidente emerito in un’intervista al Corriere della Sera il 6 gennaio, per poi esprimere il 5 luglio un invito direttamente agli italiani: “Auspico che la stragrande maggioranza dei cittadini non faccia finire nel nulla gli sforzi messi in atto in questi due anni in Parlamento”, fino all’ultimo appello, datato 10 settembre: “Bocciare la revisione della Carta sarebbe un’occasione mancata“. Difficile, comunque, quantificare le occasioni in cui l’ex capo dello Stato ha sponsorizzato le riforme firmate da Maria Elena Boschi, ampiamente ricambiato con l’iscrizione a caratteri cubitali (secondo i maligni, un epitaffio) che il premier ha scolpito loro in calce: “Portano la sua firma“. Con tutte le conseguenze che in termini di giudizio storico da questa affermazione potrebbero discendere.
Per un certo periodo, più o meno corrispondente alla durata del patto del Nazareno, le riforme hanno riscosso successo anche negli ambienti berlusconiani: “In un Paese che ha bisogno di riforme – argomentava il 2 luglio 2014 Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente di Mediaset, alla presentazione dei palinsesti autunnali – come italiano e come imprenditore io tifo per Renzi, e chi non lo farebbe con chi ha preso il 40% (alle elezioni europee di quell’anno, ndr)? Abbiamo bisogno innanzitutto di stabilità e in secondo luogo di riforme che facciano ripartire l’economia“. Perché è “indispensabile” intervenire su “giustizia, lavoro, tasse”. Poi però, sottolineava il delfino, “è importante vedere come sono le riforme, perché vanno fatte bene, e con chi si fanno”. Renzi le avrebbe fatte con suo padre Silvio, fino a che quest’ultimo, scottato dall’inversione a “U” fatta dal premier in occasione dell’elezione di Sergio Mattarella al Colle, non aveva fatto crollare il patto. Passando quindi l’ideale staffetta a Denis Verdini. Ma questa è un’altra storia.
La lista degli insospettabili tifosi delle riforme arriva fino a Jyrki Katainen, implacabile fustigatore delle mollezze amministrative di Atene. Il 15 gennaio 2015, nella prima tappa a Roma del suo tour per lanciare il fondo Juncker per gli investimenti, il vicepresidente della Commissione europea parlava di un “programma di riforme coraggioso”, promuovendo a pieno voti il Jobs Act: “Aiuterà soprattutto i giovani a trovare un impiego”, assicurava il falco finlandese la cui affabilità nei confronti di un’Italia che chiedeva flessibilità era giustificata dalla necessità di Bruxelles di dare un segnale di distensione a quei Paesi che rischiavano di essere attratti come mosche dal miele dalle ricette greche di Syriza. Che prometteva ai greci, prima di auto-normalizzarsi, un’Unione Europea meno ostaggio del partito dell’austerity.