domenica 15 dicembre 2019

‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, gli investigatori: “Il senatore eletto e il deputato mancato sponsorizzati alle elezioni dalle cosche”. - Diego Pretini e Giovanna Trinchella

‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, gli investigatori: “Il senatore eletto e il deputato mancato sponsorizzati alle elezioni dalle cosche”

La ricostruzione dei carabinieri di Aosta che hanno indagato per la Procura antimafia nell'informativa di 243 pagine in cui viene descritta l'azione iniziata vent'anni fa per infiltrare le istituzioni della piccola regione alpina. A beneficiare della raccolta di voti della "locale" della criminalità organizzata, spiegano, sono stati anche gli autonomisti Lanièce (riconfermato a Palazzo Madama) e Giampaolo Marcoz (che però fu preceduto dalla candidata M5s).
Uno studio lungo 20 anni per infiltrare le istituzioni della Val d’Aosta. Non solo regionali o comunali. Ma anche – dalla piccola regione del Nord – quelle nazionali, per arrivare in Parlamento. Al Senato, in particolare: lì – è la convinzione dei carabinieri di Aosta – un parlamentare è stato riconfermato a Palazzo Madama grazie ai voti delle cosche locali. Una ricostruzione messa nera su bianco in 243 pagine di informativa che la Procura antimafia di Torino ha depositato agli atti del processo Geenna, nel quale sono imputate 19 persone, tre delle quali elette a vario livello, scaturito dagli arresti dello scorso gennaio. Il sostegno al senatore autonomista Albert Lanièce, esponente del partito regionale dell’Union Valdoitane – forza politica un tempo quasi monopolista in Val d’Aosta e ora parecchio in crisi – sarebbe avvenuto attraverso Antonio Raso, ristoratore di origini calabresi, ritenuto componente della cosiddetta “locale” di ‘ndrangheta. Anzi: “L’uomo che pianifica le elezioni per conto del locale di ‘ndrangheta“. Viene definito da chi indaga un “sottile stratega”, perché tesse una tela di alleanze e patti nuovi e mantenuti con più candidati di partiti diversi. L’obiettivo è chiaro: avere più punti di riferimento nei consigli comunali e in quello regionale che siano in debito di riconoscenza nei confronti suoi e della “locale”. E quindi più “gestibili” in caso di necessità.
Per Raso e per la “locale” – secondo gli investigatori – il sostegno al senatore Lanièce alle Politiche del 4 marzo 2018 è quasi solo una dimostrazione di forza “preparatoria” per gli altri appuntamenti elettorali in Val d’Aosta: le Regionali del maggio dello stesso anno (che sono il centro dell’inchiesta che vede indagato l’ex governatore dimissionario Antonio Fosson per voto di scambio politico mafioso) e le Comunali di un piccolo paese della valle, Saint Pierre, dove vorrebbe diventare sindaca Monica Carcea, “fidata” di Raso, secondo la ricostruzione degli investigatori, e che Raso punta a far eleggere non certo gratis. In cambio – sottolineano i carabinieri nell’informativa inviata ai pm – ci sono posti di lavoro o pratiche amministrative “facilitate” per affiliati al sodalizio o affini.
Raso e Carcea, in una telefonata agli atti, parlano a lungo del sostegno al “Dottore“, come lo chiamano: per i carabinieri è Lanièce, che di mestiere fa il medico. E’ già senatore, ma in pochi anni il quadro è molto cambiato. I partiti autonomisti sono in crisi, si sono scissi, si sono moltiplicati e nel frattempo – inchiesta dopo inchiesta – nella valle sono cresciuti il M5s e la Lega, che dell’autonomismo al Nord fa comunque una bandiera. I concorrenti aumentano, i voti invece sono sempre gli stessi: il bacino elettorale non si è allargato nella piccola regione alpina. La riconferma di Lanièce sul seggio di Palazzo Madama, dove siede nel gruppo delle Autonomie, arriva, per pochi voti in più rispetto al candidato dei Cinquestelle Luciano Alfredo Nicola Mossa, ma – secondo l’indagine dei carabinieri – è frutto “di un rapporto derivante da una lunga intesa tra lo stesso e Raso Antonio, esponente del locale, sicuramente già in essere da tempo”. Raso, in una conversazione di qualche giorno precedente al voto, “intima” alla Carcea (in quel momento assessora a Saint Pierre) di far appoggiare Lanièce dal proprio elettorato. L’accettazione della promessa di voti, secondo chi indaga, è “pacifica”. In una intercettazione del 6 marzo 2018, due giorni dopo le elezioni, il senatore ringrazia la Carcea per il successo elettorale: “Bene! Bene! Insomma è stata una battaglia dura, volevo ringraziarti perché anche grazie a voi siamo riusciti… perché so che hai lavorato tanto”.
Il notaio sponsorizzato battuto dalla candidata 5Stelle –Ma la ‘ndrangheta, secondo i carabinieri, non ha puntato su un solo candidato. Proprio perché i partiti autonomisti sono entrati in crisi, la “strategia elettorale” che entra in gioco è quella della “locale” di Aosta, che decide di sostenere più candidati di diversi partiti (anche se sempre di estrazione autonomista) così da ottenere una rosa di eleggibili nelle varie liste. Un meccanismo che secondo i carabinieri vale anche per la corsa al seggio valdostano della Camera. Lo “sponsorizzato” in questo caso è il notaio Giampaolo Marcoz, candidato alla Camera per una coalizione di 4 forze politiche autonomiste (Mouv, Alpe, Stella Alpina, Pour Notre Vallée-Area civica). Marcoz non viene eletto: viene superato dalla candidata del M5s Elisa Tripodi e da quella del centrosinistra Alessia Favre. Nelle loro telefonate Raso e Carcea lo chiamano il “notaro”. Quindici giorni prima delle elezioni del 4 marzo 2018 si sentono e il ristoratore che per i carabinieri è esponente della “locale” valdostana dice che l’appoggio a Marcoz dimostrerà la capacità di portare voti a chiunque: “Così è vero che siamo stati noi i più bravi di Aosta. Un aiuto non gratuito perché poi il candidato dovrà aiutare: “Ah va bene, mi ha detto, non ti preoccupare mi farò… ricambierò naturalmente“. Ed è la stessa Carcea che a Raso racconta l’insoddisfazione della mancata elezione: “Ci sono delle cose da chiarire un attimo perché qualcuno… pensa che noi non abbiamo fatto il nostro lavoro”. Raso è categorico: “Impossibile“. L’apporto è stato significativo eccome perché altrimenti la differenza di voti con la grillina Elisa Tripodi sarebbe stata ben più larga. I carabinieri annotano infatti che la candidata M5s – ora parlamentare – non ha nessun tipo di contatto con la “locale”.
L’infiltrazione ai vertici delle istituzioni locali – Più profonda l’infiltrazione a livello locale. Un piano riuscito a tal punto che il presidente della Regione Valle d’Aosta, Laurent Vierin, eletto sempre secondo gli investigatori grazie ai voti di una “locale”, ha potuto stringere la mano della presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi. È l’ottobre del 2017 e la commissione arriva ad Aosta. La denuncia della Bindi sembra una profezia: “In una realtà con così pochi abitanti ed elettori, con una presenza del 30% di calabresi tra cui c’è una percentuale significativa di persone riconducibili a gruppi ‘ndranghetisti, è singolare che in Valle d’Aosta non si sia indagato sul voto di scambio per accertare si ci sono stati tentativi di condizionamento sulle scelte politiche e amministrative”. In realtà i carabinieri stanno intercettando, pedinando, fotografando da tempo, i movimenti degli ‘ndranghetisti valdostani. Indagini che non si sono mai fermate fino a fotografare Antonio Fosson – ex senatore, punto di riferimento di Comunione e liberazione nella regione e poi diventato governatore – mentre entra nel ristorante di Raso, per parlare di elezioni regionali.
L’intercettazione di Fosson: “Hanno fatto un bel discorso” – Fosson, che si dichiara totalmente estraneo, il 20 marzo 2018 – un paio di mesi prima del voto – viene intercettato al telefono con Giuseppe Petullà, considerato dagli inquirenti “vicino ad esponenti del locale di Aosta quali Antonio Raso e Marco Di Donato“. Fosson dice: “Son passato da Tonino ieri a fare quello che mi hai detto di fare. Hanno fatto un bel discorso eh. Proprio un bel discorso”. A Raso, nel suo ristorante (La Rotonda), l’ex senatore che diventerà presidente della Regione, il 3 marzo 2018 dice: “Quando ti vedo sto meglio… A Pasqua si cambia”.
Ma secondo i carabinieri non è il primo governatore a cui viene contestato un incontro del genere: tre ex governatori (Augusto RollandinLaurent Viérin e Pierluigi Marquis) si incontrano o cercano di incontrare nel corso della campagna elettorale i fratelli Di Donato coloro che l’indagine ha fatto emergere come vertici del ‘locale’ di ‘ndrangheta di Aosta”. Vierin – allora governatore – il 4 maggio 2018 vede Roberto Di Donato, a casa di un altro degli indagati, Alessandro Giachino, ad Aymavilles, paesino diviso da Saint Pierre dalla Dora Baltea. L’incontro “a fini elettorali” durò un’ora circa e anche questo è stato fotografato. L’accettazione della promessa di voti sarebbe stata poi concretizzata – dicono i carabinieri – otto giorni dopo quanto al bar Nord, nel quartiere di Cogne, “quello a maggior densità di calabresi” specificano gli investigatori, viene organizzato “un aperitivo in favore di Laurent Viérin al chiaro scopo elettorale”. Anche Pierluigi Marquis, presidente della Val d’Aosta per sei mesi nel 2017, chiede un incontro a Marco Di Donato, l’altro fratello. Ma viene rifiutato.
Venti anni di azione per infiltrare le istituzioni della Valle D’Aosta – È dal 1999 – con la creazione del Movimento Immigrati Valdostano – che i mafiosi di Calabria cercano di prendere possesso delle istituzioni locali. La strategia finale “è stata quella di puntare su più candidati di diverse liste che – come si legge nell’informativa dell’Arma depositata agli atti dell’udienza preliminare del processo Geenna – consentito loro di avere sette soggetti, di tre partiti diversi, direttamente o indirettamente legati agli associati all’interno del consesso regionale”: si tratta di Union ValdotaineUnion Valdotaine Progressiste e Area Civica-Pnv-Stella Alpina. Una “lenta, inquietante e inesorabile infiltrazione della mafia calabrese negli apparati politici, istituzionali e amministrativi” della regione a statuto speciale, ricostruiscono gli investigatori. Oltre Fosson, stando alle indagini, con i voti delle cosche sono stati eletti quattro consiglieri regionali – Luca Bianchi (1051 voti), Marco Sorbara (1071), Renzo Testolin (2291), Alessandro Nogara (660) e Augusto Rollandin (3417), già ex governatore per 15 anni dei 33 che sono trascorsi tra il 1984 e il 2017. Ma dell’attività di collettori dei voti dei clan hanno beneficiato – sempre secondo i carabinieri – anche gli assessori regionali ai Lavori Pubblici e al Turismo Stefano Borrello e Laurent Vierin, che, entrambi indagati, si sono dimessi insieme al governatore Fosson.
“Condizionati gli ultimi decenni di politica valdostana” – Per i carabinieri, dunque, questa e le precedenti inchieste “hanno rivelato che il ‘volere’ elettorale del locale ha condizionato gli ultimi decenni della storia politica valdostana creando un connubio politico-criminale ben radicato”. In cui, a differenza dei candidati storicamente supportati “con cui il legame è consolidato”, altri “hanno cercato direttamente o tramite terzi, di mettersi in contatto con gli esponenti dell’associazione criminale per giovarsi delle preferenze elettorali che questa è capace di convogliare”. Ogni candidato finito nell’inchiesta “dimostra di comprendere che per ottenere una cospicua approvazione elettorale deve per forza fare riferimento al sodalizio criminale“. Si tratta di “una situazione in cui il locale è predominante verso i politici e in tale condizione ha la possibilità di scegliere chi appoggiare e a chi rifiutare l’aiuto”. Come nel caso di Marquis. In cambio ci sono le solite richieste di un posto di lavoro, l’inserimento di una persona all’interno del collegio di revisori del Soccorso alpino, l’interessamento per un cantiere. Tanto, come dice uno dei Di Donato in una intercettazione, “mal che vada noi siamo in quattro o cinque parti“.

Craxi amari. - Luisella Costamagna

Craxi amari

Per evitare il tritacarne delle opinioni contrastanti su Matteo Renzi, è bene affidarsi ai dati di fatto. E il primo, inequivocabile, dato di fatto è che Renzi ieri ha parlato al Senato per rispondere all’inchiesta che riguarda la sua fondazione e attaccare i magistrati, chiamando su questo a raccolta tutta la politica e citando come auctoritates Giovanni LeoneAldo Moro e – soprattutto – Bettino Craxi. Poi uno dice la separazione e il rispetto tra poteri dello Stato…
Il secondo dato di fatto è che sul finanziamento pubblico ai partiti gli italiani si sono espressi con estrema chiarezza nel referendum del ’93, in occasione del quale il 90,3%, pari a 31 milioni di elettori, votò per l’abolizione. Ed è un altro dato di fatto che poi, negli anni, la politica abbia cercato di “aggirare” quel voto, per garantirsi comunque fondi per finanziarsi – perché la politica costa (non ditelo a noi italiani…) – attraverso rimborsi elettorali e fondazioni.
Tutto legale, per carità – anche perché le leggi se le facevano loro – ma un ulteriore dato di fatto è che le fondazioni politiche sono spuntate come funghi e non sempre c’è stata piena trasparenza su bilanci e finanziatori (me n’ero occupata, ad esempio, a proposito della Fondazione Kairos di Alessandra Moretti per le elezioni regionali in Veneto). Tutto legale dunque, ma fino a prova contraria.
E siamo alla fondazione Open e a Renzi: su eventuali problemi di natura penale – si sta indagando per finanziamento illecito, corruzione, riciclaggio – spetta, certo, solo alla magistratura fare piena luce e pronunciarsi.
Ma sul prestito da 700mila euro per l’acquisto della casa, sia pure usato parzialmente e restituito, fatto da un imprenditore a un ex presidente del Consiglio, che qualche anno prima lo aveva nominato nel cda di una società di Cassa Depositi e Prestiti (quindi pubblica), si pone indubbiamente un problema, se non di natura penale, di opportunità (ed eventuale conflitto d’interessi).
Infine, l’ultimo dato di fatto: se la valutazione della politica spetta ai cittadini, agli italiani, e non alla “barbarie” di magistrati e media “politicizzati e strumentali”, affidiamoci a loro. E a vedere i sondaggi il consenso per Renzi e il suo nuovo partito invece di salire cala – anche in virtù di queste vicende, degli attacchi e delle querele ai giornalisti – e ora è tra il 3 e il 4% massimo. Non se n’è già parlato (e ne stiamo parlando) pure troppo? Sipario.

venerdì 13 dicembre 2019

Violenze sessuali di gruppo, sequestrata una casa famiglia. - Federica Cravero, Cristina Palazzo

Risultati immagini per operazioni polizia.

Operazione della polizia: indagati cinque educatori per omissione. Gli stupri tra gli ospiti della struttura.

Blitz della polizia in una casa famiglia di Caresana, nel Vercellese. È scattato il sequestro preventivo della struttura e il divieto di esercitare per cinque educatori per omissioni su presunte violenze sessuali di gruppo avvenute all'interno. Alcuni ospiti della comunità avrebbero più volte e assieme stuprato una ragazza, anche lei presente in comunità. Per accertare le violenze è stato aperto un secondo fascicolo parallelo, oltre a quello che riguarda gli operatori.

Poco dopo le 8 i due pullmini della squadra mobile di Vercelli hanno lasciato la sede della casa famiglia finita sotto sequestro a Caresana, nel Vercellese. L'operazione era scattata questa mattina alle 6. Nella casa d'accoglienza restano al momento, oltre ai ragazzi ospitati, alcuni degli agenti per completare sopralluoghi e perquisizioni.

 
È stato notificato anche il divieto, per cinque educatori che operano nella struttura, di esercitare qualsiasi attività professionale a contatto con i ragazzi. L'ipotesi degli investigatori è che non avrebbero agito per evitare le presunte violenze.

La vicenda è uscita allo scoperto quando una delle vittime è fuggita dalla comunità e ha confidato alla sorella di essere stata violentata da alcuni ragazzi ospiti. In passato era già stato evidenziato dalla procura dei minori il rischio di promiscuità tra ospiti a Casa Vittoria, comunità che da anni lavora in contatto con servizi sociali e autorità giudiziaria.
La polizia è entrata nella struttura, in cui vivevano 11 adolescenti, e dai registri personali di tutti gli ospiti, in cui gli operatori avevano segnato che la ragazza aveva raccontato più volte gli abusi durati mesi, di notte e di giorni, chiusa in camera, la maniglia tolta per impedirle di fuggire.


In alcuni casi era stata anche malmenata, presa a pugni in faccia dai ragazzini, per aver cercato di sottrarsi alle violenze. Inoltre nel diario della ragazza sono stati trovati gli sfoghi per non essere creduta dagli educatori. In un’occasione erano entrati nella stanza mentre la giovane veniva malmenata, ma la situazione era stata sottovalutata. E anche di fronte al racconto delle violenze sessuali una delle operatrici l’aveva addirittura accusata di andare in giro vestita in maniera troppo provocante. Anche le intercettazioni hanno permesso di verificare che le coordinatrici erano preoccupate che ci fossero delle microspie. La ragazza ha descritto episodi specifici, confermati anche da un’amica ospite. Inoltre sul tablet di uno dei ragazzi è stato trovato anche un video amatoriale che i violentatori avevano girato. La ragazza era già nota alla polizia perché vittima di maltrattamenti da parte del padre, inchiesta per cui era stata allontanata dalla famiglia.


http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2019/12/13/-violenze-sessuali-di-gruppo-sequestrata-una-casa-famiglia_32595049-5d97-4c45-89b3-57166cdaa5d0.html

Open, le carte: “Nelle mail di Bianchi al governo Renzi le richieste di emendamenti graditi ai finanziatori della Fondazione”.

Open, le carte: “Nelle mail di Bianchi al governo Renzi le richieste di emendamenti graditi ai finanziatori della Fondazione”

I messaggi sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta su Open, la fondazione cassaforte dell'ex premier. Contenevano indicazioni e richieste che venivano recapitate ai vertici di governo quando l'ex segretario Pd era a Palazzo Chigi. Trovati anche una busta con una carta ricaricabile con scritto: "Bancomat Luca Lotti reso il 23 febbraio 2017 - Vecchia".

Una mail del 25 settembre 2014 con proposte di emendamenti allo “Sblocca Italia” inviate dalla segreteria dello studio di Alberto Bianchi alla posta elettronica di Antonella Manzione, ex capo dei vigili di Firenze nominata responsabile dell’ufficio Affari legislativi di Palazzo Chigi, quando il presidente del consiglio era Matteo Renzi. E poi un altro messaggio di posta elettronica che il 14 aprile 2014 l’avvocato Bianchi gira a Luca Lotti: è la mail di Luigi Scordamaglia, imprenditore diventato finanziatore della fondazione Open, la cassaforte che ha accompagnato l’ascesa politica dell’ex sindaco di Firenze. E un altro scambio tra Bianchi e Lotti in cui l’avvocato spiega di aver versato a Open e al comitato per il Sì al referendum costituzionale parte dei soldi ricevuti dall’avvocato dal gruppo Toto e dalla British American Tobacco.

L’inchiesta – Sono le comunicazioni che secondo Repubblica e Corriere della Sera la Guardia di Finanza ha sequestrato nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione renziana, che era presieduta dallo stesso Bianchi, indagato per traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti. Secondo i magistrati il legale avrebbe favorito gli interessi dei finanziatori di Open, intercedendo con i vertici del governo. Nel registro degli indagati è finito per finanziamento illecito anche Marco Carrai, storico componente del Giglio magico e consigliere di amministrazione di Open. Anche Luca Lotti e Maria Elena Boschi sedevano nel cda dell’ente privato chiuso dopo che l’ex premier ha perso la leadership del partito. Nelle comunicazioni sequestrate, in pratica, quelli che erano i finanziatori della fondazione inviavano mail con richieste di emendamenti e modifiche a leggi in quel momento in discussione. Bianchi si incaricava di farle pervenire ai vertici di governo.

Le accuse – È proprio per fare chiarezza su quei finanzimenti che la procura di Firenze ha aperto un’indagine. In pratica secondo gli inquirenti alcuni finanziatori agiravano le regole pagando parcelle allo stesso avvocato Bianchi, che poi trasferiva i soldi a Open e interveniva con Palazzo Chigi per perorare gli interessi dei clienti- donatori. Parallelamente, altri donatori della fondazione renziana avrebbero finanziato le società di Carrai in Italia e all’estero: il sospetto degli investigatori è che anche quel modo fosse un escamotage per veicolare altri soldi.

La mail – Sospetti legati alle migliaia di atti acquisiti dagli investigatori durante le perquisizioni, il cui contenuto è riassunto negli atti depositati in vista dell’udienza davanti al tribunale di Riesame. In un “fascicolo rosso” trovato nello studio di Bianchi gli investivatori scrivono di aver trovato una “cartellina bianca intestata Sblocca Italia emendam contenente una mail del 25 settembre 2014 inviata dalla segreteria studio Alberto Bianchi e diretta a a.manzione@governo.it avente ad oggetto ‘emendamento’ e come allegato ‘proposta di emendamento dl sblocca Italia‘ e lo schema decreto legge misure urgenti per l’ apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’ emergenza del dissesto idrogeologico per la ripresa delle attività produttive”.

I soldi di Toto e delle sigarette – Un capitolo a parte hanno le comunicazioni tra Bianchi e Lotti. “Particolarmente significativo – scrivono i finanzieri – è l’appunto indirizzato da Bianchi a Lotti, datato 12 settembre 2016; in tale appunto Bianchi riferisce di aver avuto 750K “sulla base dell’ accordo con Toto” e che riceverà 80K “sulla base dell’ accordo con British American Tobacco“; quindi, informa di aver determinato, con l’ aiuto del commercialista il netto di 830K (750 + 80) in euro 400.838, somma che dichiara di aver versato per intero alla Fondazione Open ed al Comitato nazionale per il sì”. Nelle informative della finanza emerge “l’interessamento dell’ onorevole Luca Lotti all’epoca sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri” nella vicenda del contenzioso tra Autostrade e il gruppo Toto. Bianchi assisteva il gruppo Toto e secondo gli investigatori si sarebbe confrontato con Lotti “i primi del mese di gennaio 2016… Avrebbe avuto una riunione e consegnato l’ appunto Toto, riferendogli l’esito di un incontro tenutosi il 5 aprile 2016 in merito alle trattative in corso“. Cioè il contenzioso in quel momento aperto tra il raggruppamento di imprese di cui faceva parte Toto e Autostrade per l’Italia. Secondo gli appunti sequestrati nello studio di Bianchi, l’avvocato voleva anche parlare con l’allora ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, ma l’incontro non ci fu mai.

La parcella girata alla fondazione – Un interesse sarebbe stato dimostrato anche da Carrai. “Dall’esame della corrispondenza email e degli appunti manoscritti emerge che, ai fini delle trattative con Aspi, I’avvocato Alberto Bianchi si è avvalso di Carrai il quale avrebbe avuto contatti diretti e/o incontri con l’ amministratore delegato di Aspi, Castellucci“. È in questo quadro che Bianchi incassa 750mila euro dal gruppo Toto e ne versa 400mila euro a Open. “Le operazioni di trasferimento di denaro dal gruppo Toto a Bianchi e da Bianchi alla fondazione Open risultano in effetti dissimulare un trasferimento diretto di denaro dal gruppo a Open“, scrivono gli investigatori, specificando che Bianchi “si è interessato a modifiche inerenti il settore delle infrastrutture autostradali“. I pm Luca Turco e Antonino Anastasi spiegano che durante le perquisizioni “è stata rinvenuta documentazione afferente l’intromissione di Bianchi con riguardo a proposte di modifiche normative concernenti il differimento del pagamento dei canoni di concessione autostradale“.

I soldi alle società di Carrai – Sia Bianchi che Lotti erano nel cda di Open, ragione che per gli avvocati giustifica anche queste comunicazioni. Ma i pm vogliono capire se i finanziatori della fondazione che sosteneva Renzi abbiano goduto di eventuali vantaggi legislativi in loro favore dai governi guidati dal segretario del Pd. Già a fine novembre gli investigatori delle Fiamme gialle sono andati a perquisire le società che hanno finanziato la fondazione vicina all’ex premier: dal gruppo titolare di concessioni autostradali all’armatore Onorato fino, appunto, alla British american tobacco. Non sono indagati ma gli inquirenti vogliono “accertare quali siano i rapporti instauratisi tra la fondazione e i soggetti finanziatori”. La Finanza indaga anche sulle società di Carrai in Lussemburgola Wadi Ventures Management e Wadi Ventures Sea . Scrivono gli investigatori: “Va evidenziato come tali iniziative imprenditoriali (sia quelle lussemburghesi che quelle italiane) sono state avviate e portate avanti in concomitanza temporale con le attività della fondazione. Le acquisizioni investigative evidenziano l’ intreccio tra iniziative imprenditoriali e finanziamenti alla Open”. Nel dettaglio: “Wadi Ventures risulta destinataria di somme di denaro provenienti, fra gli altri, da investitori italiani gia finanziatori della Fondazione Open. Le risorse finanziarie appaiono essere state utilizzate per acquisire partecipazioni in società ancora non individuate“.

Il bancomat di Lotti – Poi c’è tutta la questione delle carte bancomat. Nella prima perquisizione del 18 settembre nello studio di Bianchi vengono trovate due buste: sulla prima c’è scritto il nome di Eleonora Chirichetti, che era la segretaria di Lotti e dentro c’è una carta ricaricabile della Banca di Cambiano. Sulla seconda busta è scritto: “Bancomat Luca Lotti reso il 23 febbraio 2017 – Vecchia”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/13/open-le-carte-nelle-mail-di-bianchi-al-governo-renzi-le-richieste-di-emendamenti-graditi-ai-finanziatori-della-fondazione/5613406/

Catanzaro, 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso: finti rimborsi e commissioni inesistenti per avere il gettone. - Lucio Musolino

Catanzaro, 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso: finti rimborsi e commissioni inesistenti per avere il gettone

Complessivamente sono 34 gli iscritti nel registro degli indagati. Sotto inchiesta è finito praticamente tutto il Consiglio comunale di Catanzaro diventato, stando agli accertamenti della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri, una sorta di “gettonificio”. La Procura della Repubblica, guidata da Nicola Gratteri, ha notificato gli avvisi di garanzia.
Commissioni farlocche per le quali i consiglieri percepivano i gettoni di presenza. Ma anche finte assunzioni in aziende private che poi venivano rimborsate dal Comune per il tempo che i consiglieri comunali, troppo “impegnati” in attività istituzionali, non potevano lavorare: per questo a Catanzaro 29 consiglieri comunali su 32 sono indagati per truffa e falso. Complessivamente sono 34 gli iscritti nel registro degli indagati che si sono visti recapitare dagli uomini del maggiore Gerardo Lardieri l’avviso di conclusione indagini.
Era tutto finto: dalla presenza dei consiglieri alle riunioni, ai verbali delle commissioni che spesso non venivano nemmeno compilati, ai posti di lavoro. Tutto inesistente tranne le migliaia di euro che il Comune di Catanzaro, guidato dal sindaco Sergio Abramo (non indagato), sborsava ai consiglieri per le riunioni delle cinque commissioni (su cinque istituite) che in realtà non si tenevano. Non c’è un solo partito coinvolto, ma lo sono praticamente tutti: da Forza Italia al Pd, passando per l’Udc e le varie liste civiche di maggioranza e opposizione.
Nel registro degli indagati, infatti, sono finiti i consiglieri comunali di Forza Italia (Roberta Gallo, Luigi Levato, Francesca Carlotta Celi e Giulia Procopi), di “Catanzaro da vivere” (Agazio Praticò, Antonio Angotti, Antonio Mirarchi e Antonio Ursino), di “Catanzaro con Sergio Abramo” (Rosario Mancuso, Demetrio Battaglia, Enrico Consolante, Filippo Mancuso, e Fabio Talarico), di “Officine del sud” (Giuseppe Pisano e Francesco Gironda) e di “Obiettivo Comune” (Andrea Amendola e Manuela Costanzo).
Per l’opposizione sono indagati, invece, i consiglieri del gruppo misto (Eugenio Riccio, Giovanni Merante e Antonio Triffiletti), di “Fare per Catanzaro” (Sergio Costanzo, Fabio Celi e Cristina Rotundo), del Pd (Lorenzo Costa e Libero Notarangelo), di “Catanzaro in Rete” (Rosario Lostumbo), di “Cambiavento” (Nicola Fiorita e Gianmichele Bosco) e dell’Udc (Tommaso Brutto).
Quest’ultimo è indagato anche per truffa assieme Elzibieta Musielak e Carmelo Coluccio, amministratori della “Verdeoro società cooperativa produttori ortofrutticoli”, un’impresa agricola di Simeri Crichi che aveva assunto come direttore amministrativo il consigliere Brutto. Secondo il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e il pm Pasquale Mandolfino, in realtà l’esponente dell’Unione di Centro “non svolgeva alcuna prestazione effettiva per l’impresa”, ma il Comune di Catanzaro dal febbraio 2015 al giugno 2018 ha erogato alla “Verdeoro” più di 103mila euro “a titolo di rimborso” per i periodi orari “che impegnavano Brutto in attività istituzionali nelle vesti di consigliere comunale”. In sostanza, il Comune pagava all’impresa agricola la parte dello stipendio del suo direttore amministrativo per le ore di lavoro che questo dedicava, invece, alla politica.
Un sistema utilizzato anche dal consigliere comunale Andrea Amendola che, per essere stato assunto (solo formalmente) nelle aziende edili e immobiliari del fratello Antonio Amendola (indagato), è costato al Comune quasi 65mila euro “a titolo di rimborso”. Poco più di 23mila euro, invece, è la cifra che l’Ente locale ha dovuto versare alla società “La Notifica”, amministrata da Sabrina Scarfone (indagata), per pagare lo stipendio al consigliere Enrico Consolante.
Una partita di giro che, secondo i carabinieri guidati dal maggiore Lardieri, veniva utilizzata anche dal consigliere di opposizione Sergio Costanzo, formalmente assunto dal negozio di animali di Salvatore La Rosa (indagato). Piuttosto che vendere acquari e cibo per cani, però, il consigliere comunale “non svolgeva alcuna prestazione effettiva per l’impresa” che, tuttavia, ha avuto quasi 79mila euro “a titolo di rimborso” per il “dipendente” impegnato in politica.
Dalle indagini, però, è emerso che i 20 consiglieri comunali non facevano nemmeno quello. Chi più e chi meno, infatti, secondo il pm, avrebbero “partecipato” a riunioni di commissioni in cui non c’erano o che non venivano svolte. Per dimostrare la truffa, il pm ha depositato nel fascicolo dell’inchiesta i filmati registrati grazie alle telecamere nascoste dai carabinieri all’interno del Palazzo comunale.
Tra i consiglieri indagati ci sono anche componenti delle forze dell’ordine prestate alla politica. Anche loro, assieme agli altri, – è scritto nel capo di imputazione – “con artifizi o raggiri, consistiti nelle false verbalizzazioni relative allo svolgimento delle sedute di commissione consiliare”, in due soli mesi (novembre e dicembre 2018) hanno incassato più di 21mila euro dei cosiddetti “gettoni di presenza”.
Con la notifica dell’avviso di conclusione indagini, i politici locali coinvolti nell’inchiesta hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogati prima che il pm Mandolfino formuli, nei loro confronti, una richiesta di rinvio a giudizio.

I sovranisti e il trucco sul Mes finito male. - Gaetano Pedullà



Sgombriamo il campo da ogni partigianeria e riflettiamo su com’è finita la guerra del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità del quale gran parte degli italiani ancora adesso non hanno capito molto, e tra questi prima di tutti Matteo Salvini e Giorgia Meloni. In estrema sintesi si tratta di uno scudo da utilizzare in caso di gravi crisi finanziarie di sistema, salvando gli Stati che se fallissero manderebbero a ramengo il welfare, il lavoro, i risparmi e la stessa vita dei propri cittadini.

In passato questo strumento è stato utilizzato in ritardo e con condizioni capestro per chi vi ha fatto ricorso, a partire dalla Grecia, ma anche per questo si è deciso di modificarlo, e malgrado i Paesi più rigidi nel difendere l’austerità sui conti pubblici abbiano provato a renderlo pericolosamente vincolante, proprio l’Italia e gli altri governi che sostengono strategie economiche più espansive hanno imposto il veto sulle due insidie maggiori: la ristrutturazione automatica del debito degli Stati soccorsi e l’esclusione di restrizioni sui titoli di debito pubblico detenuti dalle banche.

Nulla a che vedere, dunque, con un aiuto mascherato agli istituti di credito tedeschi, come maramaldeggiano i sovranisti di casa nostra, oppure regali altrettanto segreti alla banche italiane, come denuncia l’estrema destra tedesca, alleata quando le serve alla Lega. Dopo aver accusato il premier Conte di aver firmato di nascosto il trattato, negando al Parlamento di dibatterne, con il voto di ieri sappiamo per certo che non è stato firmato un bel niente e anzi la firma delle modifiche all’accordo è rinviata.

Sappiamo poi che il Fondo non avrà il via libera italiano se non dopo aver conosciuto le altre riforme europee destinate a proteggere gli Stati in difficoltà. Sappiamo che c’è un’Europa solidale e un’altra ancora irriducibile nel vessare i popoli meno forti finanziariamente, e chi si oppone a cambiare gli strumenti di protezione fa esattamente il gioco dei più forti. E sappiamo infine che le Destre aiutate da qualche parlamentare transfuga pur di governare sono pronte a passar sopra i veri interessi nazionali, e se un giorno governeranno non faranno la gioia dei popoli ma delle élite, a partire da quelle tedesche che ci illudono di voler contrastare.

https://infosannio.wordpress.com/2019/12/12/i-sovranisti-e-il-trucco-sul-mes-finito-male/?fbclid=IwAR25VF7gReXQMgGYSanZTVJvgGdjhcheOyeXJjei08-0NYbigrPA--8NjsU

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S. - Luca De Carolis

Sigarette, chiamate e cene. Così la Lega “prende” M5S

Grassi si presenta in mensa con la spilletta verde. E Urraro tenta il blitz sulla prescrizione.

I complimenti per la “competenza”, oppure qualche battuta, per preparare il terreno. Occhiate e mezze frasi, seminate tra il fumo e i vapori delle sigarette. Poi quella domanda, scandita con il sorriso di chi finge di scherzare, e invece proprio no: “Ma tu passeresti con noi della Lega?”. Diversi senatori dei Cinque Stelle li hanno avvicinati così, nella sala fumatori di Palazzo Madama. Teatro di molte prove di campagna acquisti del Carroccio, che dopo la nascita del governo giallorosso è (ri)partita a pieno regime. Con i capigruppo leghisti primi ambasciatori con i colleghi grillini di commissione. Perché è più facile, corteggiare senatori con cui si lavora. Poi a forzare con gli indecisi provvedono i big. Con telefonate e qualche cena.
Strategia che mercoledì ha dato i suoi primi frutti, con tre senatori grillini che hanno detto no alla risoluzione di maggioranza sul Mes, rumoroso preludio al trasloco alla Lega. Puntualmente avvenuto ieri, con Ugo Grassi, docente napoletano di Diritto civile, che apre la fila con sentita lettera: “I vertici del Movimento decidono tutto in solitudine, ma oggi, forte di una reciproca stima costruita nei mesi appena trascorsi, la Lega mi offre una seconda opportunità per raggiungere i miei obiettivi”. E Matteo Salvini spalanca le braccia: “Benvenuto a Grassi, porte aperte per chi non è succube del Pd”.
Grassi celebra presentandosi in mensa con la spilletta della Lega. Mentre il Carroccio perfeziona l’entrata nei ranghi anche dell’umbro Lucidi, che nel pomeriggio discute i dettagli con il capogruppo Massimiliano Romeo e Stefano Candiani. E salta il fosso anche Urraro, dopo una telefonata con Roberto Calderoli. Avvocato campano di 46 anni, fa parte con Grassi della giunta delle elezioni che a febbraio aveva salvato Salvini dal processo per il caso della nave Diciotti, come indicato anche dagli iscritti al M5S sulla piattaforma web Rousseau. E comunque ieri il legale di Portici (Napoli) ha dato subito prova della sua vicinanza al centrodestra in commissione Giustizia. Già, perché da relatore del decreto fiscale, Urraro ha provato a inserire nel parere della commissione sul testo il rinvio dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione, prevista a gennaio dalla legge Spazzacorrotti. Racconta la 5Stelle Elvira Evangelista, anche lei in commissione: “Urraro ha sostenuto che andava rinviata al 2022, per contenere la spesa pubblica. Ma questa osservazione, inserita all’ultimo minuto senza alcun preavviso neanche a noi del M5S, non aveva attinenza con il decreto fiscale ed era chiaramente strumentale”. Così la maggioranza, Italia Viva compresa, ha fatto muro, e Urraro ha ritirato la proposta. Poco male per la Lega, che prosegue nell’assedio. E un veterano del M5S conferma: “Anche io sono stato avvicinato, mi hanno fatto i complimenti per la preparazione. Poi hanno lanciato l’amo: ‘Nella Lega troveresti spazio per le tue idee, verresti valorizzato”. L’assalto però è ragionato, sostiene un altro 5Stelle: “Il Carroccio punta soprattutto gli eletti del Sud, dove non ha classe dirigente, o nelle regioni ‘rosse’. Cerca professionisti con la fedina penale pulita”. Ecco perché il pressing su Grassi e Urraro, che in lista starebbero bene. “E poi a Grassi avevano promesso di fare il sottosegretario” ricordano diversi grillini. Ferita che ha inciso, sul suo addio.
Il più doloroso per il M5S, che infatti infierisce. Così Luigi Di Maio morde: “La Lega dica quanto costa al chilo un parlamentare”. E dal Movimento ricordano come il giurista avesse difeso la clausola del regolamento che prevedeva multe per i parlamentari che avessero lasciato il M5S. “Non sarei così sicuro che la clausola possa essere considerata nulla” sosteneva Grassi sul blog delle Stelle nel febbraio 2018. Ma ora, chi potrebbe saltare il fosso? Il pugliese Cataldo Mininno, militare, ha detto ai suoi che potrebbe non votare la manovra. “Ma non andrà mai alla Lega” giurano dai piani alti. Da dove smentiscono anche le voci sulla siciliana Tiziana Drago e sulla pugliese Angela Piarulli. E puntualmente si torna a parlare di un gruppo pro-Giuseppe Conte, con 10-15 fuoriusciti. Mentre Emanuele Dessì stilla amarezza: “Il M5S deve ritrovare i suoi valori, il suo senso. E non può farlo con un leader bollito”. Cioè con Di Maio.