martedì 28 aprile 2020

I congiunti sono anche fidanzati e compagni: la precisazione di Palazzo Chigi. - Stefano Rizzuti

Chi sono i congiunti che potremo visitare dal 4 maggio: ci sono i ...
Anche i fidanzati, le fidanzati e quelli che vengono definiti come affetti stabili rientrano tra i congiunti. Ovvero coloro i quali, secondo il dpcm firmato il 26 aprile dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sarà possibile incontrare a partire dal 4 maggio. Proprio fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che una prima interpretazione del testo approvato ieri sera permette di capire chi siano i congiunti definiti solo genericamente nel testo: “Parenti e affini, coniuge, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili”. Una ulteriore precisazione su questa definizione, comunque, verrà contenuta nelle Faq che verranno pubblicate nei prossimi giorni dal governo, che chiariranno alcuni aspetti della fase due.
Fase due, cosa prevede il dpcm sugli incontri dal 4 maggio. Il dpcm firmato da Conte prevede la possibilità, a partire dal 4 maggio, di incontrare alcune persone al di fuori delle urgenze, dei motivi di salute e di quelli lavorativi. In particolare, nel primo comma del primo articolo del testo, si legge che “sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie”. Secondo questo provvedimento, quindi, sarà possibile incontrare i congiunti. In ogni caso, comunque, rimane il divieto di spostarsi in Regioni diverse da quella in cui si risiede, anche per visite ai congiunti, fatta eccezione per il rientro presso il proprio domicilio.
La definizione giuridica di congiunti. A livello giuridico è l’articolo 307 del codice penale a stabilire cosa si intende per congiunti. In questa definizione rientrano: “Ascendenti, discendenti, coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, fratelli, sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. In questa definizione, quindi, sono esclusi i partner che – a livello interpretativo – verranno invece inclusi dal governo tra le persone che sarà possibile incontrare a partire dal 4 maggio.
Il caso dei ‘congiunti’ e le richieste della politica. La decisione di Palazzo Chigi, che verrà ufficializzata nei prossimi giorni, potrebbe arrivare anche su spinta di parte della politica e della stessa maggioranza. Solo pochi minuti prima il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, aveva sottolineato con un tweet il suo pensiero: “Abbiamo fatto le unioni civili, crediamo nelle libertà, non possiamo permettere allo Stato di decidere chi dobbiamo vedere. Altro che congiunti”, sono le sue dichiarazioni riportate da un’intervista a Tgcom24. “Non si può mettere in discussione se incontri Tizio o Caio, perché questo non ti compete, non tocca allo Stato”, aggiungeva Renzi. Anche per il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio, è giusto aprire agli incontri tra fidanzati, includendo nella definizione anche “tutti quelli che hanno veri moti d’affetto”, spiega a Un Giorno da Pecora, su Radio1.

Stasera da volontaria vi dico una cosa:.. - Aurora Masia

L'immagine può contenere: 1 persona, primo piano

Volete uscire? Volete passare le vacanze al sole e nelle vostre seconde case?
Non volete mettervi mascherine e guanti
Uscite andate dove volete
e fate quello che vi pare!!!
Però prima di uscire firmate una liberatoria dove rinunciate
ad OGNI CURA , in caso di contagio.
Perché il tuo diritto alla libertà finisce dove inizia il MIO, quello dei miei colleghi degli infermieri dei medici e della gente che come me vuole uscire serena
E non di morire per poter provare a curare te!!!!!

E CON QUESTO
BUONA NOTTE!!!


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Hanno tutti ragione... - Massimo Erbetti

Gruppo Di Bambini Felici Corre Attraverso Il Campo Verde ...

Si hanno tutti ragione...hanno ragione gli industriali, hanno ragione gli albergatori, i ristoratori, i parrucchieri, ha ragione la chiesa, hanno ragione i ragazzi, i negozianti...hanno ragione tutti quanti, così non si può andare avanti. 
Ripartire, uscire, bisogna tornare alla vita normale è vero, ma come? Le lamentele, le divisioni, le urla, gli insulti, servono a qualcosa? È forse colpa di Conte? Oppure del governo? Emergenza gestita male? 
Ma voi cosa avreste fatto? Quali sono le vostre ricette? Perché in questo momento ci vogliono risposte, non imprecazioni e lamentele...ci tengono chiusi in casa, ci hanno privato della libertà...vero verissimo...ma invece di lamentarvi, diteci cosa fareste voi, aprireste tutto? E poi? Cosa accadrebbe? Avete studi di esperti che assicurano o ci rassicurano sul fatto che la pandemia non riesploderebbe? 
l’Italia ha registrato il 90% dei decessi in più a marzo e aprile rispetto alla media dei cinque anni precedenti, il nostro Paese è il più colpito dalla pandemia, solo in Lombardia l’aumento dei morti è stato del 155% rispetto ai cinque anni precedenti, ben più impressionante il dato nella provincia di Bergamo che ha visto un aumento del 464%. Capite? Il 464% in più. 
Questa purtroppo è la realtà dei fatti. In questo dramma non siamo certo soli: a New York, i morti sono aumentati del 200%, a Madrid del 161%. Negli altri Paesi europei, in Belgio ad esempio, l'aumento dei decessi è del 60%, poi la Spagna con il 51%, i Paesi Bassi con il 42% e la Francia con il 34%. 
Questi purtroppo sono i numeri, questa la triste realtà...volete uscire? Lavorare? Ma non volete l'app per il tracciamento del virus...chiamate Angeli gli infermieri e i medici che rischiamo la vita tutti i giorni per salvare la nostra, ma tornando alla vita normale, non pensate che quegli angeli, tornerebbero a rischiare la vita, più di quanto facciano ora? E se i contagi tornassero ad aumentare? 
E se si tornasse ad avere più di mille morti al giorno? Ma le avete dimenticate le bare portate via dall'esercito? Non ci sono posti letto per tutti, ma anche se ci fossero? Sarebbe un buon motivo per riaprire? Non abbiamo una cura e senza cura, i posti letto e i ventilatori, potrebbero salvarne qualcuna, ma la maggior parte dei nostri anziani, continuerebbe a morire. La malattia non ce la siamo cercata, purtroppo è arrivata e ci ha sconvolto le vite...volete bene a questo paese? Lo amate? Lo amate veramente? Allora smettete di pensare che ci sia una soluzione semplice, che ci sia una bacchetta magica, che si possa risolvere il problema con una formuletta magica...siamo uomini...siamo vulnerabili...ci ammaliamo... possiamo morire e lo scopo principale del governo è quello di evitarlo.

lunedì 27 aprile 2020

Coronavirus, la cura c’è ma non se ne parla. - Antonio Amorosi

Coronavirus, la cura c'è ma non se ne parla. Da Pavia e Mantova la ...

Ospedali di Pavia e Mantova che non hanno morti da un mese. Curano con la sieroterapia, le trasfusioni di plasma dei guariti. Sintomi eliminati in 2 – 48 ore.

Quanto sta accadendo tra Pavia e Mantova ne è la prova: abbiamo medici eccezionali in un sistema globale discutibile, in tanti casi marcio. E’ stato normale mandarli a morire senza protezioni, come per la Cina ritardare di 2 settimane la comunicazione della sequenza del genoma o per l’OMS ripetere il 14 gennaio, a contagio diffuso, quanto affermava l’autorità cinese: “non ci sono trasmissioni da uomo a uomo”. Il 21 febbraio ancora dicevano che gli asintomatici non erano fonte di contagio.

Quando i morti sono tanti è sempre tardi per chiedersi se si poteva fare altro e se qualcuno ne risponderà mai. Nel nostro Paese ad un sistema sanitario che funziona a macchia di leopardo si contrappongono medici in prima linea che per salvarci ci stanno lasciando “le penne”. Per fortuna lo abbiamo nel dna: quando a noi italiani dici di fare qualcosa, non la facciamo. Cerchiamo prima di capire perché ci è stato dato quel comando. Come sarà successo al parassitologo molecolare Andrea Cristanti che facendo tamponi di massa a Vò Euganeo ha compreso che gli asintomatici sono fonte di contagio e andavano isolati. 

IN ALCUNI OSPEDALI NON CI SONO PIU' DECESSI PER COVID DA UN MESE.

L’autonomia di pensiero e una buona dose di coraggio e responsabilità, unita a molta competenza in un mare di mediocrità, porta oggi alcuni centri medici a raccontare la loro terapia di successo contro il Covid 19: la sieroterapia. Si, perché in alcuni ospedali non si verificano più decessi per Covid da un mese e il Coronavirus sparisce dopo un trattamento che va dalle 2 alle 48 ore, eliminando ogni traccia di sintomo. Wow, direte, e come mai non lo dicono in tv e non se ne sente parlare? 

“Non abbiamo un decesso da un mese. I dati sono splendidi. La terapia funziona ma nessuno lo sa”, racconta entusiasta ma con una vena di sarcasmo Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e Terapia intensiva respiratoria del Carlo Poma di Mantova. In questo strano cortocircuito tra scienza, politica ed informazione accade infatti altro. “Tutti i giorni in tv ”, dice De Donno, “ascoltiamo chi negava che il Coronavirus potesse arrivare in Italia o parlava di influenza o che colpiva solo gli anziani. Gli unici che ci capiscono qualcosa lavorano ventre a terra dal primo giorno dell’epidemia e non hanno il tempo di vivere in televisione. Hanno inventato questa terapia fantastica ma purtroppo lo spazio avuto fino ad ora sui media è esiguo”.

De Donno: “Sono entusiasta di vedere le persone guarite così velocemente. E’ l’unico trattamento razionale, sia biochimico che immunologico del Coronavirus che c’è in questo momento. Non esisterà farmaco più efficace del plasma. E’ come il proiettile magico, si usano immunoglobuline specifiche contro il Coronvirus. Va utilizzato in fase precoce. Se invece si aspetta che il paziente sia moribondo... allora si fa un errore e ci vuole solo il prete, ecco! Ma è lo stesso discorso dell’aspirina nella prevenzione dell’infarto. Se la usi in una persona che è già cardiopatica, non conta nulla”. I limiti della terapia? Ce li spiega De Donno ridendo: “Costa poco, è fattibile e pure democratica. Abbiamo 7 o 8 donatori tutti i giorni”.

Sono circa 80 i pazienti del Carlo Poma di Mantova curati con successo, tra loro anche una donna incinta di nome Pamela, uscita dal Covid in poche ore. Tra i medici del Carlo Poma guariti c’è chi dona il sangue, come il dottor Mauro Pagani, direttore della Plasmaferesi: “Ora sto bene e voglio aiutare chi ha bisogno”.

Funziona così. “Chi dona deve essere sano, guarito dal Covid e ad avere degli anticorpi neutralizzanti”, racconta il direttore di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Massimo  Franchini. “Si prelevano 600 ml di plasma, da cui si ricavano 2 dosi da 300 ml ciascuna. Il protocollo prevede 3 somministrazioni. Dopo la prima somministrazione c’è un monitoraggio clinico di laboratorio e nel caso di mancata risposta c’è la seconda somministrazione e così di seguito. A distanza di 48 ore l’una dall’altra. La compatibilità per il plasma viene fatta sul gruppo sanguigno”. Franchini ci spiega che il plasma ha un notevole livello di sicurezza virale ed è un prodotto assolutamente sicuro e rigoroso e va nei dettagli: “Se il vaccino, che non abbiamo, ti farebbe produrre gli anticorpi, questa che è un immunoterapia passiva trasferisce gli anticorpi dal guarito al malato. Il paziente non produce nulla e non crea nulla. Ma funziona per salvarlo”. 

Quando gli chiediamo perché non si diffonde questa strada ci spiega che effettivamente in Lombardia si sta adottando. Tra Mantova e il San Matteo di Pavia è partita la sperimentazione su un nucleo di 45 persone, tutte curate con successo.

Chi di sicuro non ha tempo per le passerelle tv è il Direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del policlinico San Matteo di Pavia, Cesare Perotti, che ha sviluppato il protocollo e lo studio sul sangue e si chiama “plasma iperimmune”.

Ma è un intervento empirico? Perotti: “Qui di empirico non c’è niente ma si fa in situazioni di grandi epidemia. C’è una validazione della terapia con il plasma iperimmune che non ha eguali nel mondo. Sono conosciuto per non essere uno che ‘le spara’ e le posso dire che in questo momento è il plasma più sicuro al mondo, perché la legislazione italiana ha delle regole stringenti che non ci sono in Europa e in nessun altro Paese al mondo, neanche negli Stati Uniti. Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per essere trasfuso, ma abbiamo degli esami aggiuntivi e il titolo neutralizzante degli anticorpi che è una cosa che facciamo solo noi al policlinico di Pavia. Neanche gli americani sono in grado di farlo in questo momento. Non ha eguali al mondo. Noi sappiamo la potenza, la capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico”.

Uno strumento importante questo da utilizzare nel caso, usciti dalla quarantena, si ripresentasse uno scenario di contagio. Perotti: “Stiamo accumulando plasma per un’eventuale seconda ondata di contagi. E’ una terapia per chi sta male oggi. Ben venga il vaccino ma in attesa il protocollo funziona eccome! Lo studio è stato depositato. Tutto quello che le hanno detto, che si esce in 48 ore, è vero”.

Certo non ci sono ancora migliaia di persone testate ma la sieroterapia è una cura moderna utilizzata dal 1880. 

https://infosannio.com/2020/04/25/coronavirus-la-cura-ce-ma-non-se-ne-parla/

Naturalmente si tratta di terapie in sperimentazione autorizzate dal Ministero della Salute.

domenica 26 aprile 2020

Incassese mica tanto. - Marco Travaglio

Chi è Sabino Cassese
Sabino Cassese e Giorgio Napolitano

Noi, come i lettori ben sanno, siamo fervidi ammiratori del professor Sabino Cassese da Atripalda (Avellino), giudice costituzionale emerito ed ex tantissime altre cose. E ci rallegra vederlo apparire nelle tv (ultimamente collegato da casa con le cuffiette da teenager per evitare il contagio che prende di mira soprattutto i suoi coetanei), sempre arzillo e combattivo alla veneranda età di 85 anni, sempre teso al bene comune. Inteso, si capisce, come il bene suo e del suo cenacolo di allievi, che negli anni ha sparso dappertutto nella PA con la pervasività della mucillagine. Ai tempi belli dell’Italia e di Cassese, non c’era governo che, per ministri, viceministri, sottosegretari, capi di gabinetto, direttori generali, capuffici legislativi, comitati di saggi e saggetti, non attingesse a piene mani dal pescoso laghetto denominato, sulle carte topografiche, “Allievidicassese”. Una volta era per la trota Giulio Napolitano (incidentalmente figlio di Re Giorgio), una per la tinca Bernardo Giorgio Mattarella (casualmente figlio del più illustre Sergio), un’altra per la triglia Giacinto della Cananea (nominato nell’aprile 2018 dal povero Di Maio, via Colle, “saggio” per la ricerca di compatibilità fra i programmi di M5S e Pd e giunto invece alla terrificante conclusione che i programmi più compatibili erano quelli di Pd e Lega).
Il record di allievidicassese si raggiunse nei tre governi di larghe intese – Monti, Letta e Innominabile – usciti dal cilindro di Re Giorgio e del suo tigellino Sabino, che ha sempre avuto una predilezione per il ministero della PA (già Funzione pubblica, poi Semplificazione burocratica): prima ne fu titolare nel governo Ciampi (1993-’94), poi lo controllò con gli allievidicassese che facevano da balie asciutte ai ministri pro tempore, ultima l’ineffabile Madia. Il che rende umoristiche le sue filippiche contro la burocrazia che asfissia l’Italia per colpa di Conte, visto che lui e la sua progenie hanno avuto 30 anni per disboscarla. Ma ciò che più lo inquieta, ultimamente, è il “golpe di Conte” che, fra decreti legge e dpcm, avrebbe calpestato e “dimenticato la Costituzione”. Un’accusa gravissima anche per il presidente della Repubblica che i dpcm ha concordato e i decreti ha firmato. Ma anche esilarante, visto che quattro anni fa il Cassese disprezzava la Carta al punto da volerla stravolgere, da uomo-sandwich della scombiccherata controriforma renziana, scritta a quattro piedi da Boschi&Verdini. Dopodiché propose di commissariare la sindaca Raggi con un non meglio precisato “gestore” perché non l’aveva scelta lui, ma il lurido popolo romano.
Attaccò i giallo-verdi perché osavano nominare chi pareva a loro e non a lui, o perché insidiavano il dogma dell’infallibilità di Bankitalia in base al bizzarro concetto di una “democrazia ridotta a elezioni” (anziché a lezioni: le sue). E si batteva come un leone, dopo il crollo del ponte Morandi, in difesa di Autostrade Spa che gli aveva garantito un bel posto in Cda con allegati 700mila euro. Ma nessuno, nelle copiose ospitate televisive e nelle quotidiane interviste qua e là, osa mai rammentargli i suoi trascorsi. Anzi, gli intervistatori lo trattano come l’oracolo di Delfi: mani giunte, sguardo estatico e boccuccia a cul di gallina. Ieri, per dire, l’anziano stalker pontificava sul Giornale contro il premier e il governo che, non essendo allievidicassese, sono “improvvisati” e “procedono per continui aggiustamenti”. A chi obiettasse che così fan tutti i governi del mondo, Cassese risponderebbe che lui è molto meglio di Conte e Mattarella: sa tutto, sul virus e sul da farsi. Il Genio di Atripalda non gradisce neppure che Conte parli agli italiani, come del resto tutti i capi di governo del mondo. All’inizio della pandemia, disse in tv che avrebbe preferito “far parlare il ministro della Salute”. Ma Conte, incurante, perseverò. E ora l’Emerito Irpino gli rimprovera di “usare strumenti sbagliati” (tipo la voce e il microfono) e soprattutto di non essere “la cancelliera tedesca” (che inopinatamente parla ai tedeschi pur non essendo il ministro della Salute), candidandosi anche a nuovo Casalino. Già che c’è, si crede pure il Csm e dà una lezione alle Procure che osano indagare sui morti ammazzati nelle Rsa: guai a “tornare alla Repubblica giudiziaria, all’Etat de justice che si sostituisce all’Etat de droit, su cui lo storico francese Jacques Krynen ha scritto tre importanti volumi”, dunque i pm prendano buona nota. Quanto ai politici, dovrebbero avere “idee, progetti, menti. Ma non ne vedo in giro”, a parte se stesso, si capisce.
A leggere parole così sconsolate e a vederlo così imbronciato e malmostoso, come il vecchietto dei western che sputacchia per terra bestemmiando mentre raccoglie nelle casse di legno i cadaveri della sfida all’Ok Corral, noi fan restiamo un po’ male. Il buonumore è fondamentale per gli anticorpi, soprattutto a un’età a rischio come la sua. Quindi Conte faccia qualcosa per restituire il sorriso all’emerito stalker. Trovi un posticino a lui o a un suo allievo in una delle sue numerose task force, o magari nella prossima. Basta poco per farlo contento. Appena si accomoda in poltrona, si ammansisce subito: non disturba, non sporca, dove lo metti sta.

Mascherine cinesi importate da Irene Pivetti, sequestro milionario. Lei: regole cambiate in corsa, colpita per il mio cognome. - Claudio Bozza

Mascherine cinesi importate da Irene Pivetti, sequestro milionario. Lei: regole cambiate in corsa, colpita per il mio cognome

L’ex presidente della Camera aveva firmato un contratto con la Protezione civile. Poi dei farmacisti le vendevano al +250% ed è intervenuta la Finanza: manca la certificazione.

Tutto inizia ai primi di aprile, nel momento più drammatico della pandemia. Nel Savonese vengono denunciati i proprietari (senza scrupoli) di alcune farmacie, che vendevano mascherine di protezione con ricarichi esorbitanti: 200-250%. La procura di Savona affida le indagini alla guardia di finanza, che inizia a risalire la filiera di questa fornitura. E gli uomini delle Fiamme gialle arrivano fino ad un hangar commerciale del terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa, dove sono custodite appunto migliaia di mascherine Fpp2 (modello che garantisce protezione medio-alta: di meglio ci sono solo le Fpp3, usate quasi esclusivamente negli ospedali. Qui l’inchiesta di Milena Gabanelli). Il carico viene sequestrato su disposizione della procura di Savona, che contesta l’assenza del marchio di certificazione. 

Il contratto. La Finanza scopre un particolare non da poco: le mascherine sono state importate dalla Cina dalla Only logistics Italia srl, società di cui è amministratrice unica Irene Pivetti, che nel 1994 (a 31 anni) con la casacca della Lega Nord diventò la più giovane presidente della Camera. Archiviata la carriera politica, Pivetti ha poi iniziato a fare l’imprenditrice, stabilendo tra l’altro una solida di rete di relazioni con l’estremo oriente. Nei giorni più tragici del Covid-19, con un’ondata di morti che sembra inarrestabile, le mascherine di protezione sono pressoché introvabili. La Protezione civile, per ragioni di estrema urgenza, firma con la società di Pivetti un contratto per la fornitura di 15 milioni di mascherine, al prezzo di 30 milioni di euro. E una buona parte di queste vengono appunto sequestrate a Malpensa. 

«Regole cambiate in corsa» Il motivo? «La mia società ha iniziato a importare questa partita sulla base della legislazione prevista dal decreto legge del 2 marzo, che poi è stata recepita in senso assai restrittivo nel Cura Italia — spiega Irene Pivetti, interpellata dal Corriere — . Noi abbiamo rispettato quanto previsto dal contratto con la Protezione civile, soltanto che poi le regole sono cambiate in corsa, affidando all’Inail la competenza di certificare i dispositivi di protezione», certificazioni che poi non sono state ritenute consone. 

La società di Pivetti. Pivetti è molto amareggiata mentre ripercorre la vicenda: « Abusivamente si pensa che una persona che venti anni fa ha fatto politica non possa fare l’imprenditrice: sono stata colpita per il mio cognome, mi fossi chiamata “Rossi” non sarebbe successo nulla — si sfoga —. Ma nel mio lavoro ho profuso anni di impegno e sacrifici». La società dell’ex presidente di Montecitorio nel 2018 ha fatturato 72 mila euro, con un utile di appena 2.300 euro. Poi un affare da 30 milioni, come è possibile un salto del genere? «Sono 10 anni che lavoro con la Cina: abbiamo grandi uffici e ampi spazi commerciali, un business poi strozzato dal Coronavirus — risponde Pivetti —. E grazie a queste relazioni ho pensato che avrei potuto dare una mano al mio Paese: che deficiente sono stata, ma lo rifarei». 

60% di pagamento anticipato. La struttura commissariale del governo per l’emegenza, guidata da Domenico Arcuri, ha previsto norme rigide per limitare i rischi di truffe: le forniture di mascherine oggi vengono pagate alla consegna. Mentre il contratto della società di Pivetti prevedeva il 60% di pagamento anticipato e il 40% alla consegna: perché? «Il contratto con la mia società era stato firmato con la Protezione civile: le regole erano quelle, poi sono cambiate. Io ho rispettato tutto, e quell’operazione era pure in leggera perdita per me». L’intesa stipulata tra la Only logistics Italia srl e la Protezione civile prevedeva anche che la società di Pivetti potesse vendere autonomamente a privati quelle mascherine. Che poi sono state acquistate dalle farmacie che, applicando rincari esorbitanti, hanno fatto scattare il sequestro.


Carta straccia. Ecco come l’offensiva al Governo si allarga sui giornali. - Gaetano Pedullà


Facciamo attenzione! Non è solo paradossale, ma decisamente inquietante che si sia scelto proprio il giorno della Liberazione per riportare in una logica di conservazione il governo del Paese, allargando ad alcuni grandi giornali il compito di cannoneggiare il cambiamento preteso dai cittadini alle ultime elezioni, e che seppure affannosamente sta impedendo ai soliti noti di trattare le istituzioni come cameriere. Ai più distratti, a cui sono sfuggite le novità di questo 25 Aprile, e che non danno grande importanza a quanto scrivono i giornali, perché convinti che non contano niente e non li legge più nessuno, mostriamo i puntini da unire per rivelare cosa si nasconde dietro.
I padroni di quella che una volta si chiamava Fiat, a cui l’allora premier Renzi non ebbe nulla da dire mentre traslocavano cuore e portafoglio dell’azienda ad Amsterdam, Londra e Detroit, hanno perfezionato il controllo de la RepubblicaLa Stampa, l’edizione italiana dell’Huffington Post e altro ancora, e cambiato – come è legittimo che sia – i direttori. Ora lasciamo perdere l’opportunità di spiegare come mai questi giornali siano detenuti attraverso un’anomala catena societaria, ma almeno all’esordio c’era da aspettarsi che MolinariGiannini e Feltri (non Vittorio, che preferisce dedicare il suo tempo ad insultare i meridionali, ma il figlio) facessero un po’ di chiarezza su una rotazione di poltrone che persino il loro ex presidente Carlo De Benedetti ha ammesso essere il segno di un cambio di rotta editoriale, di sicuro non a favore di quella parte di Sinistra che ha accettato l’accordo con i Cinque Stelle anche per non consegnare Palazzo Chigi alle destre. In una fase in cui: -1) c’è da investire tanti soldi per far ripartire il Paese dopo il Covid, -2) la maggioranza è in sofferenza e -3) le destre possono continuare a pasticciare perché tanto non si vota, la tentazione di una soluzione tecnica per il governo, magari per completare il lavoro iniziato da Monti, è chiaro che ha tanti estimatori. Se i politici si devono comprare (quando ci si riesce), i tecnici invece sono già al servizio dell’establishment. Perciò figure estranee al sistema, come Conte e soprattutto i Cinque Stelle, devono essere messe alla porta, rimettendo in sella chi può ripristinare l’ordine delle cose, socializzando i conti da pagare e privatizzando quel che resta nel fondo del barile. Così, per far capire dove butta il vento, più dei soporiferi editoriali dei nuovi direttori, su Repubblica brillava la festa della Liberazione ridimensionata in prima pagina rispetto al passato e poi relegata in coda al giornale: un bel segnale a chi ogni 25 aprile ha un attacco di ulcera. Altrettanto esplicito è stato Feltri, riuscito a spiegarci che per oltre 70 anni abbiamo creduto di festeggiare la Liberazione dal nazifascismo mentre invece andavamo ad affrancarci dal comunismo. Il più bravo di tutti, diciamo pure insuperabile, è stato però Giannini, che su La Stampa ci ha fatto deliziare con due perle. La prima era un’autentica fake news, cioè un titolo completamente fuorviante rispetto al testo di un’intervista all’ex capo politico dei 5S, Di Maio, in cui pare che il Movimento abbia deciso di accettare il Mes. Non meno luminosa la seconda perla: un’intervista inginocchiata all’amministratore delegato dell’Eni, Descalzi, ovviamente priva di accenni alla sua questione giudiziaria e ai padrini politici riusciti a farlo confermare nell’ultima tornata delle nomine. Insomma: poteri forti, informazione manipolata, strategia della restaurazione… bisogna essere davvero ciechi per non vedere l’offensiva che è in atto.