venerdì 15 maggio 2020

Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero. Il capo di gabinetto: “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?” - Marco Lillo e Antonio Massari

Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero. Il capo di gabinetto: “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”

Agli atti dell'inchiesta della procura di Perugia sulle nomine dei magistrati ci sono anche le intercettazioni di Fulvio Baldi, capo di gabinetto di Alfonso Bonafede, che l'ex pm di Roma chiama "Fulvietto". Baldi è ovviamente estraneo alle indagini, ma gli investigatori riportano le registrazioni in cui è coinvolto perché sono un elemento utile a ricostruire l'enorme potere dell'ex presidente dell'Anm. E poi perché ricostruiscono come funzionano le correnti della magistratura, come gestiscono il potere, come si muovono, come spingono per far ottenere ai loro iscritti poltrone di prestigio. La replica: "Con Palamara siamo amici da tanti anni ma i suoi problemi giudiziari emergono solo dopo le conversazioni in questione. Le intercettazioni? Non le conosco ma non vedo nessun profilo disciplinare".
Luca Palamara lo chiamava “Fulvietto”. Gli faceva dei nomi di magistrate, gli chiedeva di piazzarle in posti di staff nei ministeri. Fulvietto rispondeva: “Te la porto qua stai tranquillo, perché è una considerazione che ho per te, un affetto che ho per te e lo meriti tutto”. E quando Palamara era dubbioso Fulvietto lo rassicurava: “Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”. I “nostri” erano probabilmente i magistrati di Unicost, la corrente moderata delle toghe, il cui leader era proprio il pm indagato nell’inchiesta sulle nomine al Csm. Fulvietto, invece, è Fulvio Baldi, già sostituto procuratore generale della Cassazione, candidato nel 2012 al Comitato Direttivo dell’Anm per Unicost e da quasi due anni capo di gabinetto di Alfonso Bonafede al ministero della giustizia. Sulla sua scrivania passano tutte le pratiche più delicate: le leggi, le nomine, i fascicoli giudiziari. Tra questi ultimi anche gli atti inviati dalle procure quando a finire sotto inchiesta sono i magistrati, affinché il guardasigilli possa esercitare l’azione disciplinare. È successo anche con l’indagine su Palamara e in quel caso il ministro Bonafede non ha perso tempo e ha attivato le sue prerogative: alla fine il magistrato è finito davanti al collegio disciplinare ed è stato sospeso dallo stipendio e dalle sue funzioni da pm di Roma, in attesa che la giustizia faccia il suo corso e confermi o smentisca le ipotesi accusatorie.
Da alcune settimane i pm perugini hanno chiuso l’inchiesta che ha provocato un vero e proprio terremoto fin dentro le stanze di Palazzo dei marescialli, con le dimissioni di cinque consiglieri e l’azzeramento dell’iter per la nomina del nuovo capo della procura di Roma. Agli atti sono finite anche le intercettazioni tra Palamara e Baldi, pure lui esponente di Unicost, la corrente più rappresentata (ma non l’unica) nelle stanze del ministero della giustizia. Oltre a Baldi ne fa parte Francesco Basentini, nominato dallo stesso Bonafede a capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, fino alle dimissioni di qualche giorno fa. Nel gabinetto c’è anche Leonardo Pucci, vice di Baldi e già compagno di studi a Firenze di Bonafede. Assistente volontario del professor Giuseppe Conte dal 2002 fino al 2009, poi giudice del lavoro a Potenza dal 2009 al 2015. In Basilicata Pucci conosce oltre a Basentini anche Luigi Spina, poi divenuto consigliere del Csm di Unicost, travolto dall’indagine per le intercettazioni con l’amico Palamara.
Pucci è l’uomo più vicino a Bonafede ma il ruolo di vertice nel gabinetto è occupato da due anni da Baldi. Salernitano, 52 anni, è ovviamente estraneo alle indagini su Palamara. Le parole intercettate della Guardia di Finanza non fanno ipotizzare a suo carico alcuna fattispecie di reato. Gli investigatori le riportano perché sono un elemento utile a ricostruire l’enorme potere di Palamara, pm sotto inchiesta. Ricostruiscono, infatti, come funzionano le correnti della magistratura, come gestiscono il potere, come si muovono, come spingono per far ottenere ai loro iscritti poltrone di prestigio e poi giù giù fino ai posti minori di staff. E anche come entrano in contrasto tra loro. A questo proposito, va detto che Bonafede è autore di una proposta di legge anti-correnti che puntava a introdurre il sorteggio per le elezioni al Csm. Dopo la caduta del governo con la Lega, però, il M5s ha dovuto discutere la nuova riforma della giustizia col Pd. E la proposta di sorteggiare i membri del Csm è svanita dal tavolo.
Col sorteggio lo strapotere delle correnti sarebbe stato indubbiamente azzerato. E non si sarebbero più lette intercettazioni come quelle di Palamara. Che al capo di gabinetto di Bonafede segnala una serie di nomi per incarichi negli staff di uffici e dipartimenti. In una conversazione si cita di passaggio anche il Dap, finito di recente al centro delle cronache per il “caso Di Matteo” e le scarcerazioni di mafiosi: anche lì Baldi pensava di poter piazzare una magistrata raccomandata da Palamara. Quella manovra, però, non è andata a buon fine. Forse anche perché, due settimane dopo le ultime telefonate intercettate con il capo di gabinetto del ministro, Palamara è stato travolto dall’inchiesta di Perugia. È proprio leggendo le carte dell’indagine umbra che si scopre come le trame dell’ex presidente dell’Anm passavano anche dall’ufficio di Baldi in via Arenula.
È il 3 aprile del 2018 e Palamara chiede al capo di gabinetto di Bonafede di sistemare al ministero una magistrata a lui vicina: si chiama Katia Marino ed è sostituto procuratore a Modena. Baldi risponde ‘presente’ e dice che la donna sarà contattata nel pomeriggio da Mauro Vitiello, capo dell’ufficio legislativo: “Ho passato il nome – dice – vediamo che cazzo succede prima o poi te la porto qua stai tranquillo perché è una considerazione che ho per te un affetto che ho per te e lo meriti tutto”. “Va bene”, risponde tranquillo Palamara. Ma c’è un problema. Mauro Vitiello, il capo dell’Ufficio legislativo del ministero citato da Baldi, è di un’altra corrente: appartiene a Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, e non ai moderati di Unicost. Già giudice fallimentare a Milano, Vitiello non è l’unico esponente di Md in via Arenula: sua compagna di corrente è la sua vice, Concetta Locurto, già coordinatrice nel capoluogo lombardo di Area, il cartello di correnti di sinistra dei magistrati. Quello può essere un problema, almeno a leggere le parole di Baldi, che chiama Palamara desolato: “Vitiello ha sentito la ragazza, Katia Marino, ed è andata come deve andare aggiungendo ‘uomini però di mala fede i soliti di Magistratura Democratica‘”. Poi Baldi sostiene che Vitiello gli avrebbe detto: “Prenditela tu”. Ma il capo di gabinetto di Bonafede ha esaurito i posti liberi: “Ho detto – continua – ma io se non ero completo non c’era nessun problema’”. A quel punto il magistrato mette a disposizione del suo capocorrente una serie di possibili incarichi al ministero della Giustizia: “Però – dice Baldi a Palamara – abbiamo varie strade. Abbiamo l’Ispettorato, abbiamo il Dap, ma la strada più praticabile a questo punto è dal 6 maggio la Casola prende possesso al Dag. E’ qui già dal 7 maggio la Casola e mattina può far partire la richiesta insomma”. Il riferimento è a un altro magistrato, Maria Casola, stimata giudice autrice di note di dottrina pubblicate sul sito di Unicost, che dopo pochi giorni effettivamente sarebbe diventata capo Dipartimento per gli Affari di Giustizia.
A Palamara sembra che la previsione di Baldi sia un po’ troppo semplicistica e quindi chiede: “Se la prende lei o no?”. Quasi indignato per la domanda, Baldi replica: “Eh beh ma la Casola è nostra ragazzi, gliela indichiamo noi che cazzo, e allora che cazzo piazziamo a fare i nostri?”. Una frase che dimostra meglio di cento indagini come funzionino le nomine basate sui criteri di appartenenza nel mondo della magistratura. Soprattutto perché a pronunciarla è il capo di gabinetto del ministero della giustizia. Che parlando con l’amico Palamara spiega come va il mondo: “Glielo dico io tranquillamente (a Maria Casola, Ndr) tanto abbiamo tempo fino al 6 maggio poi gliela presentiamo (la dottoressa Marino, Ndr) però glielo voglio dire che poi ci sei pure tu dietro perché vai rispettato pure tu (…) glielo diciamo tutti e due insomma”. Il capo di gabinetto è fiero del suo potere: “Quindi – dice – hai capito che cazzo questa gente deve capire che la ruota gira nella vita”. Baldi – annota il Gico della Guardia di Finanza – “continua dicendo che ha 51 anni e che per altri 19 dovrà lavorare ovvero che tutti si devono voler bene e rispettare”.
Le manovre non si fermano al ministero. Dopo aver chiuso la telefonata con Baldi, Palamara chiama Nicola Clivio, consigliere del Csm dal 2014 al 2018 in quota Area. “Ciccio me l’hanno purgata! La fonte sono quelli di Md che l’hanno bruciata però guarda che è una brava ragazza”. Clivio risponde spiegando che dopo il messaggino ha preso informazioni e gliene hanno parlato male. Palamara ribadisce: “Sono quelli di Area e Magistratura Democratica, i soliti”. L’ex pm di Roma chiude chiedendo a Clivio di parlare con Vitiello. Poi richiama Katia Marino e le dice che Fulvio Baldi gli ha detto: “Vitiello o non Vitiello Katia viene”. Anche la Marino conferma quella frase di Baldi, poi Palamara si vanta e le racconta che “lui è stato aggressivo come il suo solito dimostrando che deve forzare la mano affinché il trasferimento riesca”. Non riuscirà: oggi Katia Marino è ancora un pm di Modena e non è mai andata a lavorare la ministero.
Le manovre di Palamara non riguardano solo lei e non si fermano al ministero della Giustizia. Arrivano, infatti, anche in altri dicasteri, come alla Farnesina. È il 17 maggio 2019, esattamente un anno fa, e il pm sollecita un’altra nomina a Baldi, quella della dottoressa Francesca Russo. La definisce “vicinissima a noi”. Baldi, scrive il gip, “chiede i suoi contatti dicendo che al Ministero Affari Esteri ha questa possibilità avendo carta bianca”. Il capo di gabinetto di Bonafede, viste le difficoltà incontrate per la dottoressa Marino in via Arenula, punta sulla Farnesina. Scrivono le Fiamme gialle “chiede se a Katia Marino può interessare un posto all’ufficio Contenzioso del Ministero degli Esteri seppur senza indennità aggiuntive (…) Palamara si informerà specie sul discorso della lingua”. Evidentemente il capo di gabinetto di via Arenula ci tiene a sottolineare di avere una rete di rapporti che vanno oltre il suo dicastero: “Fulvio – continuano gli inquirenti – conclude dicendo dipende solo da me capito non da capi Dipartimento e tutto, la mando io la porto io eh eh eh”. La dottoressa Katia Marino, però, fa capire a Palamara, “che avrebbe delle difficolta con le lingue e che quindi sicuramente il posto proposto (al ministero degli Affari esteri) sarebbe per lei peggiore rispetto a dove è attualmente”. Insomma la pm non è fortissima sulle lingue, e quindi preferisce andare al ministero di giustizia, dove si parla solo italiano. “Palamara – annota la Finanza – le spiega che c’erano altre opportunità che per ora sono in stand by a causa di Vitiello che fa opposizione per privilegiare i suoi ovvero quelli di Md (…) quindi parlano di Fulvio Baldi nei confronti del quale formulano elogi e Palamara aggiunge che ha capito chiaramente che la Marino deve rientrare aggiungendo: Lo sa non solo Fulvio ma lo sanno anche quelli vicino al Ministro’”. Passano appena 12 giorni e sui giornali esce la notizia che Palamara è indagato. Tutto si ferma. La dottoressa Katia Marino e la dottoressa Francesca Russo, che non sono mai state indagate, sono ancora al loro posto al Tribunale di Roma e alla Procura di Modena. Non sono mai passate al ministero.
Sentito dal Fatto Fulvio Baldi dice: “Abbiamo già visto con il Ministro Bonafede alcune mie chat con Palamara su questa vicenda e non c’è nulla di male”. Le chat, secondo Baldi, sono arrivate all’ispettorato del Ministero competente a valutare eventuali profili disciplinari dell’inchiesta. Ovviamente non su Fulvio Baldi ma su altri. “Io non ho letto queste intercettazioni che lei mi riferisce ma non vedo nessun profilo disciplinare a mio carico nelle frasi che mi legge”, spiega Baldi al Fatto che gli chiede un parere sulle sue stesse parole. “Siamo amici con Luca Palamara da tanti anni – spiega Baldi al Fatto – ma i suoi problemi giudiziari emergono solo dopo le conversazioni in questione. Io non ho portato al Ministero la dottoressa Katia Marino. Nel novembre 2018 l’ho incontrata su segnalazione di Palamara ma non l’ho presa. Poi la ho segnalata al dottor Mauro Vitiello e lui non l’ha voluta prendere. Certo, ho detto a Palamara, ‘vedrai che te la porto‘ ma solo per non deludere un amico dicendo alcune cose negative. Anche la dottoressa Francesca Russo l’ho vista al Ministero e ho ritenuto di disporre il collocamento fuori ruolo al Mae per altre tre persone. La dottoressa Katia Marino non l’ho mandata al Mae. Al Ministero ci sono 80 persone. E sono tanti che mi segnalano persone. Io faccio colloqui e vedo se la persona segnalata è compatibile”. E le intercettazioni in cui Baldi dice a Palamara “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”. Baldi replica al Fatto: “Io definivo ‘i nostri’ quelli che appartenevano a quella che era la mia corrente Unicost. Io però sono uscito da Unicost a settembre 2019”. Quanto all’ex direttore del Dap Francesco Basentini, Baldi è netto: “Basentini lo ho conosciuto al Ministero, come anche Leonardo Pucci. Io non li ho mai visti in una riunione di corrente”.

Stampa senza speranza. - Gaetano Pedullà

MARIO ORFEO

In un Paese normale, un Governo che vara una delle manovre finanziarie più poderose di sempre raccoglie gli applausi. Ma di normale in Italia non è che ci sia rimasto molto, e così ieri in tutti i talk show televisivi, di qualunque canale, è stato un tiro al bersaglio contro il provvedimento, con la solita compagnia di giro di opinionisti riusciti ad andare oltre il senso del ridicolo, perché anche i sassi sanno che gli ultimi 55 miliardi tirati fuori da Conte, con effetti per 155 miliardi, nelle casse dello Stato prima non c’erano.
Tutto, ma proprio tutto, è stato contestato perché troppo poco, dato tardi o dato male. Con punte comiche, come i mille euro riconosciuti ai medici eroi nella guerra al Covid definiti una “mancetta” perché duemila euro erano meglio, e se la cifra fosse stata questa allora si doveva fare tremila, e così via all’infinito, tanto chi conduce quasi tutti i programmi Rai, Mediaset e La7 non c’è rischio che intervenga per spiegare che anche le fesserie hanno un limite. In questo contesto oggi la Rai toglie la direzione del Tg3 a una professionista che ne ha fatto crescere gli ascolti, Giuseppina Paterniti, per darla a Mario Orfeo (nella foto), già direttore generale della tv pubblica ai tempi di Renzi premier.
Un bel segnale a chi sui giornali e in video ci racconta il mondo come vuole la politica e il padrone, a senso unico e senza obiettività, purché non si disturbi il sistema e si assecondi il racconto mainstream, come quello che una manovra da 55 miliardi è una caccola, chi li ha trovati è debole e tra poco cade, i 5 Stelle sono pasticcioni e qui tutto va male pure per madama la marchesa.

Linciaggio neofascista. - Tommaso Merlo

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Dai social media al parlamento, il linciaggio di Silvia Romano non ha fine. Le squadracce sovraniste si sono scatenate contro la giovane cooperante. Da sgualdrina a neo-terrorista. Le hanno vomitato addosso di tutto. Senza pietà. Leoni da tastiera, presunti onorevoli. Una vergogna. Invece di gioire per una giovane vita salvata, è venuto a galla quel neofascismo che si cela dietro ai sorrisini di Salvini e della Meloni. L’Italia peggiore. Cattiva, violenta, retrograda. La vera colpa di Silvia Romano è quella di essere una cittadina libera che invece di disprezzare il diverso è andata ad abbracciarlo addirittura fino in Africa. La colpa di Silvia Romano è quella di non avere paura, di non rinchiudersi dietro qualche muro o confine anche mentale ma di rimboccarsi le maniche per un mondo migliore. La colpa di Silvia Romano è quella di non essere razzista e di credere nella solidarietà. La sua sola testimonianza urta i pilastri della propaganda sovranista e se non bastasse ha cambiato pure religione scatenando l’ipocrita bigottismo nero. Quello di coloro che vorrebbero sfruttare perfino il cristianesimo per perorare la causa sovranista. Facendo fuori il Papa comunista e mondialista per salvare la razza pura e tornare alla rigorosa famiglia tradizionale. È bastato quel velo per trasformare Silvia Romano da compatriota ad infame traditrice schierata dalla parte dei negri e degli islamici e dei terroristi e di tutti quei nemici invasori della patria. Cupe chimere delle destre vecchie e nuove. Il neofascismo non è mai scomparso dalla scena politica italiana. Si è solo dovuto camuffare per sopravvivere. A volto scoperto non lo votava nessuno e così si è nascosto dietro ai sorrisini complici di Salvini e della Meloni. Dietro ad una confezione più appetibile. Dietro ad un’immagine social più amichevole. Un neofascismo che negli ultimi anni è cresciuto lucrando sulle crisi. Quella economica, quella dell’immigrazione, quella europea. Lucrando sulle frustrazioni dei cittadini e sulle nuove paure. Una strategia che sta funzionando. Salvini e la Meloni hanno raggiunto percentuali vertiginose. È sparito il centro, è sparita la destra moderata. Sono rimasti solo i sovranisti che scalpitano per il potere e che dal neofascismo che pullula nelle loro viscere non hanno mai preso le distanze. Le lobby si riposizionano e l’Italia si appresta a diventar nera alla prima occasione. Come si trattasse di un normale avvicendamento democratico. Poi Silvia Romano viene liberata. E’ una giovane cooperante e ormai non ci sperava più nessuno. Sbarca con un velo in testa e invece di gioire per una vita salvata si scatena un linciaggio neofascista senza precendeti. Leoni da tastiera, presunti onorevoli. Le vomitano addosso di tutto. Perfino minacce. L’Italia peggiore. Cattiva, violenta, retrograda. Una vergogna. E una sciagura politica da evitare.

https://repubblicaeuropea.com/2020/05/13/linciaggio-neofascista/

Indignazione. - Massimo Erbetti.



Indigniamoci tutti, arrabbiamoci, protestiamo, ma mi raccomando facciamolo a corrente alternata. Non per tutto mi raccomando. Indigniamoci ad esempio per i 4 milioni di riscatto pagato per la liberazione di Silvia Romano. Ma siamo certi che sia stato realmente pagato? Si...cioè no...forse...comunque lo ha detto il fratello del cugino di mia zia, che conosce un tizio, che ha sentito dire da un suo conoscente al bar, che in una conferenza stampa uno dei sequestratori di Silvia Romano, avrebbe affermato che lo stato ha pagato!... Per cui è vero e allora Indigniamoci, Indigniamoci tutti,perche sai quanti italiani potevamo aiutare con quattro milioni? Eh? Ma tu lo sai? Ma anche Silvia Romano è italiana, si è vero, ma si è convertita e allora non si merita il nostro aiuto. Si giusto hai ragione, Indigniamoci, Indigniamoci anche se non sappiamo nemmeno se il riscatto è stato pagato, Indigniamoci anche se la costituzione dice che tutti gli italiani sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione. Indigniamoci e basta.
Non Indigniamoci invece per l'ospedale alla fiera di Milano, no per quello no, 600 posti letto, poi 500, poi 250 e alla fine 57, di cui solo 10 occupati, anzi no, 8 perché due pazienti sono stati dimessi. Non Indigniamoci assolutamente per i 26 milioni di euro spesi per costruirlo, quelli a differenza del riscatto (che ricordo non sappiamo neanche se è stato pagato) della Romano, sono soldi ben spesi. Ben 26 milioni che divisi per 8 pazienti, fanno ben 3.250.000 euro a persona...questo non ci fa indignare? Eh no questo assolutamente no, perché noi ci indignato a comando, noi l'indignazione la proviamo a corrente alternata..una volta si e una no...ci indigniamo quando ci fa comodo, anzi quando fa comodo a "qualcuno".
Buona indignazione "alternata" a tutti.


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Niente tamponi e morti che spuntano dal nulla, Agnoletto: “Commissariare la Lombardia per salvare il salvabile”. - Daniale Nalbone



Dietro questa richiesta non c’è una battaglia politica ma “la rabbia della gente”. L’hashtag #commissariarelalombardia è stato per giorni in “trend topic”, segno di una mobilitazione dal basso per chiedere l’intervento del governo nella gestione dell’emergenza. Al centro, ci spiega Vittorio Agnoletto, docente di Globalizzazione e politiche della salute all’università Statale di Milano, non solo le responsabilità della fase uno ma le modalità con cui si sta gestendo la fase due.

Dottor Agnoletto, partiamo dal lavoro che state facendo con Osservatorio Coronavirus, realizzato da Medicina Democratica in collaborazione con 37e2, trasmissione che conduce su Radio Popolare. Com’è nato questo progetto?

Partiamo da un presupposto: l’informazione ufficiale, istituzionale, in questo scenario ha mostrato tutte le sue lacune. Gli organi ufficiali della Regione Lombardia in particolare continuano a raccontare una realtà che non corrisponde minimamente alla quotidianità che vivono i cittadini. C’è un totale scollamento e la gente si sente abbandonata. Da qui la necessità delle persone di aggrapparsi ad altre realtà con il rischio, però, di incappare nelle tantissime bufale che stanno girando in rete. La televisione, poi, è diventata il regno del chiacchiericcio e delle polemiche che trasmettono solo, a parte qualche raro caso, confusione. Da qui è emersa la necessità di fare un’informazione seria e rigorosa dal punto di vista scientifico e divulgativo. Il risultato è che ogni giorno riceviamo centinaia di segnalazioni da parte di medici e infermieri, che il più delle volte chiedono di restare anonimi, e da cittadini.

Quali sono le “segnalazioni tipo” che vi arrivano?

In assenza di un riferimento sono molti i medici e gli operatori sanitari che si rivolgono a noi per denunciare le tantissime lacune del sistema sanitario lombardo in questa emergenza: negli ultimi giorni, ad esempio, ci è arrivata una segnalazione su ospedali dove operatori sanitari “covid positivi” sono rientrati al lavoro dopo aver fatto un solo tampone. In queste settimane abbiamo raccolto decine di casi che dimostrano il fallimento della gestione della pandemia. Ve ne racconto solo un paio. Sono stati i medici di medicina generale, i cosiddetti medici di famiglia, a denunciare di essere stati contattati dall’Agenzie di tutela della salute (Ats)– la Asl – per andare a ritirare le mascherine. Era il 2 marzo e la distribuzione sarebbe avvenuta il giorno seguente. Nel tardo pomeriggio del 3 marzo le mascherine erano già finite e il primo contagio accertato risale al 21 febbraio. Per 11 giorni i medici di base hanno lavorato senza che l’Ats procurasse al proprio personale alcun dispositivo di protezione. Pochi giorni fa, invece, ci è arrivata una lettera, umanamente bellissima, da parte di una ragazza che ci ha raccontato l’odissea vissuta dalla sua famiglia: la nonna è morta di Covid in una RSA. Durante l’ultimo periodo del ricovero non solo non sono mai riusciti a parlarle ma non sanno, ancora oggi, nemmeno il giorno in cui è deceduta. Questi sono solo due esempi delle segnalazioni che ci arrivano, tanto dal personale sanitario che dalla cittadinanza. Noi raccogliamo tutto questo materiale e avviamo indagini che, spesso, vengono poi riprese dai magistrati o dal Difensore civico regionale.

In questi giorni si parla tanto di commissariamento della sanità regionale. La richiesta, almeno guardando a quanto avviene sulle reti sociali, è spinta dal basso, tanto che su Twitter l’hashtag #commissariarelalombardia è stato per giorni in “trend topic”.

La gente è furibonda. Chi non è qui non si rende conto della situazione. Questo è il fallimento di tutti noi perché il servizio sanitario regionale è patrimonio comune delle persone. Non si tratta di una richiesta ideologica o politica. È una richiesta materiale, che arriva dalla drammatica esperienza quotidiana delle persone.

Volevo arrivare proprio qui: quanto c’è di battaglia politica dietro la richiesta di commissariamento della sanità regionale e quanto, invece, di decisione da prendere per la salute delle persone?

Qui non si tratta di “battaglia politica”! Abbiamo migliaia di persone, decine di migliaia, che sono a casa, in quarantena, e non saprebbero dirti perché: se sono a casa perché in convalescenza dopo essere stati colpiti dal Covid oppure no. Sanno di aver avuto la febbre e basta, nessuno gli ha mai fatto un tampone. Poi ci sono altre migliaia di persone costrette a casa per aver avuto contatti con parenti che, a loro volta, sono positivi, lo sono stati, o potrebbero esserlo stati. Ma non lo sanno. È un effetto domino inaccettabile che ha degli effetti incredibili sulla quotidianità delle persone.
Può farci qualche esempio per capire?

Anche qui ne basta uno e riguarda sempre quelle persone che avrebbero un bisogno disperato di fare il tampone per sapere se sono stati infettati o se sono ancora contagiosi. Nell’accordo del 24 aprile tra Governo e parti sociali, inserito poi nel decreto del 26 aprile, si prevede che il medico del lavoro debba attestare, fra coloro che sono risultati positivi al Covid, chi può tornare al lavoro. Ebbene, l’accordo prevede esplicitamente che il “nulla osta” per il rientro al lavoro debba essere certificato dopo due tamponi risultati negativi. Ma se il tampone non viene fatto a nessuno, cosa può fare il medico del lavoro? E il lavoratore? Va o non va a lavorare? Senza considerare il dramma che stanno vivendo i miei colleghi medici di famiglia: alcuni mi hanno scritto, disperati, chiedendo che gli fornissi indirizzi di laboratori in cui fare i tamponi o almeno il test sierologico, e iniziano ogni messaggio con le scuse per avermi chiesto di indirizzarli verso il privato. Ovviamente io gli rispondo di insistere a richiedere il tampone alle strutture pubbliche, ma sono esasperati. Eccolo il fallimento del sistema sanitario lombardo.

Le responsabilità, in questo scenario, però sono politiche. È inevitabile quindi che anche le polemiche intorno a questo fallimento siano politiche, non trova?

Sono “anche” politiche. Qui parliamo di un fallimento generale, strutturale, per aver sottomesso tutta la sanità regionale all’ideologia del privato. Il guadagno, in una sanità “privatizzata”, è nella cura del malato, non nella prevenzione che può diventare addirittura controproducente in relazione al proprio interesse economico. Non è un caso che le cliniche convenzionate siano concentrare negli ambiti più produttivi della sanità: niente pronto soccorso ma “tanta” cardiologia o alta chirurgia. La Regione Lombardia negli anni ha dato al privato uno spazio enorme e, soprattutto, non complementare ma sostitutivo del pubblico, che di riflesso ha introiettato ideologie e valori del privato arrivando a distruggere il sistema preventivo e la medicina sul territorio. Basta ricordare la tristemente famosa frase del leghista Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario, quando alla festa di Comunione e Liberazione dichiarò: “I medici di base appartengono al passato”.

La sensazione è che si stia andando un po’ al buio. Sbaglio?

In una pandemia si fa l’esame diagnostico, in questo caso il tampone, a chi ha sintomi, poi a chi è entrato in contatto con un positivo. Quindi si inizia a inseguire, letteralmente, ogni contagiato. Contatto dopo contatto si costruiscono cerchi concentrici e, soprattutto, si “mappano” gli operatori sanitari. Qui non è stato fatto nessuno studio, non esiste alcun campione di popolazione stratificata da analizzare. Nessuno sa ancora dire con esattezza come si è mosso il virus e come si sta muovendo. La medicina preventiva e territoriale è stata totalmente ignorata. Però nella medicina di alta tecnologia la Lombardia è un modello …

Non mi ha ancora risposto sulle responsabilità politiche, però.

Non le ho risposto perché non c’è molto da dire. La scelta dei dirigenti delle aziende sanitarie regionali avviene, da anni, per assoluta fedeltà politica. Veniamo da venti anni di regno Formigoni e ora abbiamo una giunta a trazione leghista che sta operando in perfetta continuità. Sa perché in Lombardia ci sono stati tanti morti nelle Residenze sanitarie assistenziali? Perché sono stati chiusi vari ospedali e molti reparti per far posto allo sviluppo di nuove strutture private, contemporaneamente non sono state realizzate le necessarie e previste strutture intermedie e i posti in emergenza erano pieni, così i malati “non gravi” sono stati mandati nelle Rsa. La politica in questo caso doveva fare solo una cosa: obbligare le cliniche private a partecipare alla gestione dell’emergenza fino ad arrivare a requisirle. E ovviamente non lo ha fatto.

Torniamo sulla richiesta di commissariamento. Ora che la “fase uno” è, almeno a parole, alle spalle, è ancora necessario a suo avviso procedere in quella direzione?

Stanno gestendo la fase due nella stessa modalità con cui è stata gestita la fase uno, cioè senza fare tamponi. Un governo nazionale come fa a fidarsi di un governo regionale che il 2 maggio tira fuori, così, dal nulla, 282 morti di Covid che non erano stati segnati ad aprile? Parliamo di 282 persone decedute, non di una ventina di morti in più da mettere nella contabilità dell’anno a livello nazionale come avviene con altre patologie. Il problema è che in Lombardia non funziona nemmeno il sistema di sorveglianza. E l’intera fase due è incentrata sul sistema di sorveglianza.

Veniamo a un altro tema caldo, i luoghi di lavoro. Lei è specializzato in medicina del lavoro, ci può spiegare qual è la situazione?

Le fabbriche, ma è un discorso che vale per tutti i luoghi di lavoro, sono state – diciamo così – chiuse e poi riaperte. Il messaggio arrivato dal governo è stato: non si può riaprire nelle stesse condizioni di prima. Quanti datori di lavoro si sono dati da fare per organizzare i luoghi della produzione in maniera diversa? Sono state messe in atto tutte le forme di prevenzione? La risposta non la sappiamo perché la medicina del lavoro è stata smantellata. Il medico del lavoro oggi è una partita iva che lavora con il proprietario dell’azienda e se non si adegua alla linea viene sostituito. Il medico di una fabbrica non è un medico del servizio sanitario nazionale, ma “della fabbrica”. Contestualmente nei servizi di Medicina del Lavoro delle ASL/ATS è stato ridotto il personale sanitario che si deve occupare di verificare quello che accade. In questo scenario uno degli errori più gravi è stato quello di non prevedere sanzioni per i datori di lavoro che non applicano le misure di sicurezza: il rischio che si corre è la chiusura della ditta fino alla sua messa in regola. La ratio, quindi, di un proprietario di fabbrica è la seguente: “Io riapro, se mi beccano, chiudo, investo nella sicurezza e riapro. Se non mi beccano, tanto di guadagnato”. Un altro problema riguarda i prezzi: è assurdo che lo stato non sia intervenuto per una calmierazione dei costi di sanificazione e ora molte aziende del settore stanno sfruttando questa emergenza facendo impennare le tariffe.

Quali sono gli scenari che abbiamo davanti?

Nessuno sa cosa succederà in autunno e poi in inverno, se avremo farmaci per contenere il virus e se questo evolverà in maniera più o meno aggressiva. Quel che è certo è che in futuro dovremo confrontarci e convivere con una moltitudine di agenti infettivi: attenzione, non si tratta di “nuovi” virus ma di agenti che non venivano a contatto con gli esseri umani. E qui entrano in gioco le responsabilità dell’uomo: dai cambiamenti climatici agli allevamenti intensivi fino alla deforestazione. L’unica strada è modificare radicalmente l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Dobbiamo pensare a una medicina fondata sulla collaborazione tra cittadino e mondo sanitario. Saremo davanti a patologie in cui sarà determinante il nostro comportamento: puntare solo sulla cura, che poi è il modello lombardo, sarebbe un errore imperdonabile. Educazione sanitaria e comportamentale e rafforzamento della medicina territoriale, non c’è altra strada. Non si tratta, attenzione, di un “modo nuovo” di concepire la tutela della salute: fin dal 1978, l’Oms ha messo come punto fondamentale, e uno degli indicatori dello sviluppo di un paese, la primary care ed è la medicina di base territoriale che si occupa della cura primaria, dove il cittadino è parte attiva. La strada da seguire è solo una: fare un’inversione a U, ridare centralità al pubblico ad un vero servizio sanitario universale sostenuto dalla fiscalità generale.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/agnoletto-commissariare-la-lombardia-per-salvare-il-salvabile/

È tornato Capannelle. - Marco Travaglio

Viterbo, l'informazione online: l'invasione dei "copincollisti ...
E niente, volevo assegnare il premio “Oggi le comiche” della settimana, ma ho dovuto arrendermi per eccesso di pretendenti, tutti meritevoli. Ex aequo.
Francesco Merlo, sulla nuova Repubblica alla Sambuca, non sapendo più cosa inventarsi contro Conte, spiega che fascisti e odiatori insultano Silvia Romano per colpa del governo che l’ha “esibita sul red carpet degli squilibrati”. Giusto: dovevano carrucolarla direttamente sui tetti di casa sua, onde evitare fotografi e telecamere.
A proposito di Silvia: Toni Capuozzo, inviato di guerra Mediaset con la sindrome di Rambo in tempo di pace, già noto per le equilibrate posizioni sul Covid, si associa su La Verità al frullo del Merlo e dice che “al governo hanno agito da cazzari e fatto pubblicità ai terroristi”, oltre ad aver “pagato il riscatto”. Sono opinioni rispettabili, o meglio lo sarebbero se il Capuozzo le avesse mai esternate quando a pagare i riscatti e a far pubblicità ai terroristi erano Berlusconi e Gianni Letta. Cioè quei cazzari che gli pagano lo stipendio. Ma non risulta.
A proposito di Mediaset: Elisabetta Casellati Alberti Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, interpellata sui vergognosi delirii alla Camera del siculoleghista Alessandro Pagano su Silvia “neo-terrorista”, risponde che “la stigmatizzazione di questo intervento esula dalle mie competenze”, essendo lei (inopinatamente) presidente del Senato. È fatta così: ha l’indignazione selettiva, retrattile e perimetrale. Al metro quadro.
Il Giornale, sul governo che stanzia 55 miliardi (oltre ai 25 dell’altro decreto: cifre mai viste tutte insieme) per le vittime dell’emergenza Covid, titola “Le mancette di Conte”. Urge colletta per Sallusti.
A proposito di mancette e anche di red carpet: la Regione Lombardia ha buttato dalla finestra una cinquantina di milioni di donazioni private (inclusi i 3 raccolti dagli incolpevoli lettori di Libero e Giornale) per il famoso ospedale alla Fiera di Milano, orgoglio e vanto della Nazione e di Bertolesso, che ora ospita 4 malati dopo aver raggiunto la vetta di 12 e ora – parola del capo delle Terapie intensive della Regione stessa – verrà presto chiuso per manifesta inutilità. Alla fine della Fiera.
A proposito di Lombardia: leggiamo su Libero che “Le Regioni sono stufe di aspettare” il governo. Povere stelle. E in prima fila c’è “la Lombardia in pressing sul governo”, cioè la Regione che – in tandem col gemello Piemonte – non ne ha azzeccata una, infatti continua a moltiplicare i morti e i contagi e a costringere tutte le altre a restare ferme. Stufe di aspettare.
A proposito di Vien dal Mare. Per imperscrutabili motivi, Pd e M5S vogliono promuovere direttori di Rai3 e Tg3 due sugheroni quattro-stagioni: Franco Di Mare, che faceva le marchette ai pannolini alle convention della Pampers con la scenografia del Tg1; e Moiro Orfeo, il cui curriculum spazia fra De Benedetti, Caltagirone e la Rai, in quota ora B., ora Monti, ora Renzi, plurimedagliato per aver cacciato la Berlinguer dal Tg3 e la Gabanelli e Giletti dalla Rai, ultimamente segnalato dalle parti del Pd ma anche del M5S. Due tipini di bosco e di riviera. Anzi, Di Mare.
A proposito di sugheroni galleggianti: l’emerito Sabino Cassese è tornato a colpire sul Corriere con uno dei suoi celebri editoriali senza capo né coda. Nel senso che si capisce sempre che ce l’ha con Conte, ma mai perché. Stavolta gli fa schifo il dl Rilancio: “Le ombre sui tempi (e sui modi)”. La data del 13 maggio non va bene, forse per via dell’anniversario della Madonna di Fatima. Peggio ancora i modi di Conte che, direbbe Totò, sono interurbani. Eppoi ’sto decreto ha un “intento risarcitorio” (orrore) e “il mezzo consiste nelle elargizioni” (paura). Lo fanno in tutto il mondo, i tipi studiati lo chiamano helicopter money, ma lui ci è rimasto male. E poi “lo strumento prescelto è il decreto legge, atto al quale si dovrebbe ricorrere ‘in casi straordinari di necessità e urgenza’. Il governo non ha tenuto conto dell’urgenza” perché il dl doveva arrivare a fine aprile e invece siamo a maggio: ergo – seguite la logica – tanto valeva arrivare a dicembre con un bel disegno di legge. Del resto 35 mila morti e qualche milione di contagiati non saranno mica motivi di necessità e urgenza: “Le opposizioni hanno ragione a lamentare che lo Stato di diritto è violato e il Parlamento non è messo nelle condizioni di vagliare questa massa di atti”. Infatti Conte ha lucchettato gli ingressi di Montecitorio e Palazzo Madama. Anche per l’impressionante somiglianza fisica, Scassese ricorda sempre più Capannelle, il malmostoso vecchietto de I soliti ignoti che ha sempre qualcosa da imprecare, ma non sa nemmeno lui il perché (“Che hai da guardare, mi sono vestito spurtivo!”, “Ma quale spurtivo, tu sei vestito da ladro!”. “Ma guarda un po’ dove son capitato: fra i lavoratori!”. “Ehi, dove vai, vedi che quelli ti fanno lavorare davvero!”). Poi però, a fine articolo, i motivi di tanto rosichìo vengono a galla: Incassese butta lì “la storica inadeguatezza degli uffici di staff dei ministri”. Che sono da sempre infestati da allievi suoi, ma ultimamente un po’ meno. Tutti i Capannelle del mondo sempre lì finiscono: nella pignatta della pasta e ceci.

“Quelle scarcerazioni scoraggiano i cittadini”. - Gianni Barbacetto

“Quelle scarcerazioni scoraggiano i cittadini”

“Il Dap non ha agito in malafede. Non do pagelle ad altri giudici”.
“L’effetto delle scarcerazioni di questi mesi è stato devastante. Ha minato la fiducia nella giustizia e nello Stato che avevamo faticosamente conquistato negli ultimi anni”. Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, magistrato antimafia, è anche sicuro che le organizzazioni criminali stiano già sfruttando l’emergenza coronavirus per mettere le mani su pezzi dell’economia italiana.
Il decreto Bonafede del 10 maggio è riuscito a fermare l’epidemia di scarcerazioni avvenute negli ultimi mesi?
Obbliga almeno a controllare, prima di scarcerare, se è attuale e concreto il pericolo che il detenuto possa infettarsi di Covid-19; e a trovare eventuali soluzioni alternative alla detenzione domiciliare. Nei mesi scorsi sono stati mandati a casa molti detenuti per ragioni di salute: nell’ipotesi che, se contagiati, sarebbero potuti morire. L’ipotesi si basa sulla possibilità di essere contagiati. Ebbene, due mesi fa avevo detto che era più facile essere contagiato in piazza Duomo a Milano che non nelle carceri di San Vittore o di Opera. Sono stato criticato e attaccato. Oggi i fatti mi danno ragione: i contagiati in carcere sono 159 su 62 mila detenuti. Intanto ottomila persone sono uscite di cella, diminuendo il sovraffollamento carcerario. Ma intanto sono state scarcerate 400 persone che erano detenute al 41 bis o in alta sicurezza. In nome di un pericolo di contagio che non si è manifestato. I detenuti avevano il 99,5 per cento di possibilità di non infettarsi: a dirlo è il Garante nazionale delle private libertà. Era più pericoloso fare la spesa al supermercato che stare in carcere.
Il decreto Bonafede impone anche di chiedere il parere, prima di scarcerare, alle Procure distrettuali antimafia e alla Procura nazionale.
Le Direzioni distrettuali devono rilasciare il parere in due giorni: troppo pochi, ce ne vorrebbero almeno cinque. Anche perché la Direzione nazionale antimafia, che invece ha a disposizione quindici giorni, il parere lo chiede a noi delle Procure distrettuali.
L’ondata di scarcerazioni è stata causata dalla circolare del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) del 21 marzo?
Non credo sia stata fatta in malafede. Chiunque l’ha pensata non voleva certo favorire i mafiosi e non prevedeva neppure l’ondata di uscite dal carcere.
La responsabilità è allora dei magistrati di sorveglianza?
Non voglio dare pagelle e non posso sovrappormi alle decisioni di altri magistrati, perché non conosco gli atti.
L’effetto delle scarcerazioni è stato comunque un rafforzamento dei gruppi criminali?
Le ragioni poste a fondamento delle scarcerazioni sono legate a rischi di salute per il detenuto; purtuttavia un rafforzamento c’è stato in ragione dell’alto valore simbolico del rientro nei territori di provenienza degli appartenenti ai gruppi criminali. Un effetto devastante. La gente è smarrita di fronte a certe scarcerazioni. Ho visto una ricerca secondo cui i cittadini calabresi sono quelli con maggiore fiducia nella giustizia in Italia: da calabrese sono fiero di questo risultato che mi riempie d’orgoglio. Spero che l’effetto delle scarcerazioni non venga interpretato come debolezza dello Stato.
Un effetto collaterale: a causa del coronavirus si è ripreso a parlare di mafia.
Sì, e una gran parte dell’informazione ha fatto un ottimo lavoro. Ora dovremmo fare dei passi avanti. Per esempio istituendo i Tribunali distrettuali antimafia, per celebrare i processi di criminalità organizzata. Ogni mattina dal mio ufficio, qui a Catanzaro, partono sette auto per portare i pm in sette diversi Tribunali della Calabria, perché i processi si celebrano nel luogo dove è stato commesso il reato. Ma sarebbe più razionale unificarli tutti nei capoluoghi sedi delle Direzioni distrettuali antimafia. Otterremmo anche dei giudici con maggiore specializzazione ed esperienza.
L’emergenza virus non ha fermato le attività dei gruppi mafiosi.
Per niente. Le difficoltà di tante attività produttive o commerciali spingerà a chiedere soldi a usura ai gruppi criminali, i quali prestano soldi per poi rilevare le attività, che saranno usate per fare riciclaggio. Dopo il traffico di cocaina, l’usura è l’attività criminale più facile e frequente. Le cosche sono già al lavoro.