domenica 12 luglio 2020

La vita agra dei rampolli delle ’ndrine in Lombardia. - Gudo Visconti

La vita agra dei rampolli delle ’ndrine in Lombardia

La nebbia sale dall’acqua del Naviglio, rimonta oltre la strada provinciale verso i campi che un tempo furono del ducato della famiglia Visconti. Tra Milano e Pavia, mondo sospeso oltre il caos della metropoli. Eccolo il nuovo santuario delle cosche. Campi, marcite, cascine abbandonate, piccoli comuni, tre strade, un bar: il Jolly di Calvignasco. Ci passano camionisti e agricoltori, qualche agente di commercio.
È il 14 dicembre del 2018. Luigi Virgara, giovane calabrese di Platì affiliato alla ’ndrangheta con dote di “picciotto” oggi è felice. “Auguri!” dice al telefono appena fuori dal bar. “Ti giuro su Dio sto morendo per la contentezza. Ora si gioca in casa, berrò due bicchieri di vino per te!”. Poi attacca e ridigita un altro numero. “Mi ha chiamato u Sceiccu”. “Ti chiamò? E che ti disse?”, risponde una voce dal chiaro accento dell’Aspromonte. “Lo hanno fatto uscire, ci fu un errore, abbiamo gioito”. Poche ore dopo, i due sono a bordo di una utilitaria bianca. Sul sedile di dietro alcune bottiglie prese al bar Jolly. Da Calvignasco guidano piano verso Gudo Visconti, ancora poche case, le solite tre strade, un sindaco e un assessore. U Sceiccu vive qui. Scarcerato il giorno prima, ora sta ai domiciliari. Virgara e Pasqualino Barbaro, incensurato e fratello minore di Saverio, secondo la Procura trafficante di cocaina affiliato alla mafia di Platì, stanno andando da lui per festeggiare. Già, perché lo Sceicco è il 39enne Domenico Marando, così descritto dal collaboratore di giustizia Domenico Agresta, alias Micu McDonald: “È il picciotto di Micu Murruni ed è affiliato alla ‘ndrina di Platì”. In galera ci era finito per una tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. U Sceiccu ha diversi fratelli. Uno di loro vive a Calvignasco, un altro, Giuseppe, detto u Parpigliuni viene descritto nelle carte come “affiliato”. E vive sempre a Gudo Visconti. Qualche via più su, hanno domicilio gli Zappia, altro nome noto da inserire negli organigrammi delle cosche della Montagna. Tutte bandierine sulla nuova mappa della ‘ndrangheta di Platì in Lombardia.
La Platì del Nord non è più Buccinasco
Alcuni comuni storici come Buccinasco, definito negli anni Novanta la Platì del nord, si sono svuotati. “Qui – suggerisce la definizione un investigatore esperto – è rimasta solo la sede legale della Mafia spa”. Già perché quella operativa ora sta qua, tra Calvignasco e Gudo Visconti, tra Bubbiano, Casorate Primo, Vermezzo, Zelo Surrigone. Un agro-mafioso al confine con la provincia di Pavia, dove gli spazi da controllare sono vasti e i numeri delle forze dell’ordine molto piccoli. Dove comuni da meno di mille abitanti si trasformano in fortini inaccessibili, circondati solo da campi, cascine, capannoni. Luoghi ideali per summit e trattative. Il tutto in mano ai nuovi eredi della cosca Barbaro-Papalia.
Una rete inedita messa insieme dalla piccola squadra investigativa dei carabinieri di Corsico, guidata dal capitano Pasquale Puca e dal tenente Armando Laviola. Una compagnia al confine, composta da sentinelle in terra di mafia. Sono loro i convitati di pietra durante gli incontri di Luigi Virgara salito a Milano due anni fa con il compito di riannodare la rete delle cosche di Platì dietro la copertura di bidello, in un istituto scolastico di Buccinasco intitolato a don Pino Puglisi, il prete di Brancaccio ucciso da Cosa nostra. Tutto finisce nell’inchiesta “Quadrato bis” coordinata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci ed eseguita pochi giorni fa con 17 arresti. Ma più che la droga sono i contatti. I carabinieri e l’antimafia ripartono da questi. E così ecco Virgara di nuovo a Gudo Visconti, in via XX settembre: stradina a fondo chiuso, casette a due piani in mattoni rossi, il giusto silenzio.
“Qui – scrivono i magistrati – risultano risiedere parecchi soggetti calabresi con legami diretti con esponenti di vertice della ’ndrangheta platiota”. È impossibile arrivarci senza essere notati. I carabinieri piazzano una microtelecamera e fanno bingo. Virgara – e non solo lui – da lì passa spesso. Solita utilitaria bianca, si ferma davanti al civico 43 e incontra Domenico Papalia, alias Micu u Bruttu, nessuna condanna per mafia, ma, secondo gli investigatori, contatti importanti con vecchi e nuovi boss. Braccio operativo, sostengono i carabinieri, degli eredi di Micu Barbaro detto l’Australiano, deceduto nel 2016, con rapporti diretti, a leggere le carte, con il boss di Platì Rocco Papalia oggi tornato nella sua casa di Buccinasco, dopo anni di carcere.
Del resto, qui abita Rosario Barbaro con la moglie, qui si è trasferita Serafina Papalia, consorte di Salvatore Barbaro, altro figlio dell’Australiano, oggi in carcere per mafia dopo una breve latitanza. Qui ha abitato Antonio Barbaro, nipote del padrino di Platì Beppe Barbaro u Nigru, e già titolare di un negozio di frutta e verdura nel comune di Gaggiano, non distante da Gudo.
Quattro mesi di indagini. E una Tlc nella nebbia.
Immortalata per quattro mesi da una telecamera, quindi, la via della ’ndrangheta, con la sua vita e i suoi incontri. Dopodiché una soffiata indica a Papalia il luogo in cui è installata la telecamera. Un po’ di vernice e lo schermo si fa nero.
Eppure in quei 120 giorni, molto emerge e si chiarisce. In particolare la rete di relazioni e nuove figure come quella di Francesco Romeo detto u Pettinaru, anche lui residente a Gudo e un fratello, Pasquale, in contatto, secondo il pentito Agresta, con Giuseppe Molluso definito “una vera macchina da guerra per la cocaina”.
Ora Molluso abita a Bubbiano, a qualche chilometro da Gudo. Molluso viene definito dagli investigatori “soggetto di elevatissimo rilievo investigativo”. E se lui sta a Bubbiano, suo zio Francesco, dopo una galera trentennale per droga e sequestri di persona condivisi con i compari di Platì, ha il suo buen ritiro pochi chilometri dopo, a Zelo Surrigone che, assieme ai Gudo e a Calvignasco, costituisce un altro punto in questa nuova linea di confine.
L’agro-mafioso: l’ultimo tassello.
E arriviamo all’ultimo paese di questo inedito agro-mafioso lombardo. Si tratta di Casorate Primo. Qui vive il boss Saverio Agresta, uno degli ultimi vecchi platioti ancora attivi, secondo la procura di Milano.
Agresta oltre a essere il suocero di Molluso, frequenta abitualmente un bar assieme ad altri personaggi legati, leggendo le carte, al mondo criminale. Un perfetto ufficio dove pianificare affari: i compari lo chiamano “il praticello”. Agresta senior è poi il padre del pentito Micu McDonald che con le sue dichiarazioni ha rimesso in ordine i tasselli di questo nuovo santuario mafioso, dove tutto si tiene, rapporti e interessi.
“Sto bastardazzo di merda ha voluto rovinarci, lo ammazzo”.
Così disse il padre.

Una vita da Caimano/3. - Marco Travaglio

Trattativa Stato mafia, Berlusconi indagato a Firenze. La moglie ...

Per chi ha dimenticato, anzi vuole dimenticare, prosegue il nostro viaggio nella galleria degli orrori del berlusconismo.
2001-2006. Il 13 maggio 2001 B. stravince le elezioni alla guida della Casa delle Libertà (61 collegi su 61 in Sicilia). Il suo secondo governo durerà cinque anni. Un lungo rosario di leggi ad personam processuali e aziendali (29, in aggiunta alle 4 del primo governo), controriforme devastanti (dalla scuola all’università, dalla sanità alle grandi opere, sfascio della Costituzione con la “devolution” (poi bocciata nel referendum dagli elettori), condoni fiscali ed edilizi, politiche finanziarie e sociali scriteriate, favori alle mafie, guerra ai magistrati, ai giornalisti e agli artisti scomodi (l’“editto” bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi, subito radiati dalla Rai), leggi contro la scienza (la n. 40 sulla fecondazione assistita), scontri con l’Europa, figuracce internazionali come l’insulto “kapò nazista” al vicepresidente Ue Martin Schulz, commissioni parlamentari per calunniare con falsi testimoni i leader dell’opposizione e perfino il presidente Ciampi (Telekom Serbia e Mitrokhin), dossieraggi illegali del Sismi e della collegata Security Telecom contro gli avversari, guerre in Afghanistan e in Iraq, rendition targate Cia come il sequestro a Milano dell’imam Abu Omar, mano libera ai poliziotti violenti (al G8 di Genova nel 2001). Dulcis in fundo, a fine legislatura (dicembre 2005): B. cambia la legge elettorale a colpi di maggioranza e vara il Porcellum (poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta), che danneggia l’Unione, favoritissima nei sondaggi, e gli garantisce almeno il pareggio.
2006-2008. Il 2006, a tre mesi dal voto, si apre con la pubblicazione sul Giornale della telefonata segreta di Fassino a Consorte sulla scalata Unipol-Bnl (“Allora siamo padroni di una banca?”), trafugata da un amico di Paolo B., portata in dono a Silvio e approdata sul quotidiano di famiglia. Il 10 aprile l’Unione vince di un soffio, mentre B. grida ai brogli. Il Prodi2 si regge al Senato su un pugno di seggi. E non gode dei favori del neopresidente Giorgio Napolitano, grande fautore delle larghe intese, né di Walter Veltroni, che terrorizza gli alleati minori col suo Pd autosufficiente a “vocazione maggioritaria”. B. corrompe subito, con 3 milioni di euro (di cui 2 in nero, cash) il senatore Idv Sergio De Gregorio, che passa da sinistra a destra. Tentativi analoghi compirà con altri senatori di maggioranza per rovesciare il governo. Intanto l’Unione lo salva un’altra volta dall’ineleggibilità (in barba alla legge 361/1957 col solito trucco di dichiarare ineleggibile Confalonieri al posto suo).
E regala a lui, a Previti e a decine di migliaia di criminali un indulto di 3 anni. Così Previti – appena condannato a 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria e cacciato dal Parlamento – si risparmia pure il fastidio dei domiciliari e B. intasca un bonus di impunità triennale da spendere alla prima occasione. Prodi cade il 24 gennaio 2008 per mano del ministro della Giustizia Clemente Mastella, indagato a S. Maria Capua Vetere con la moglie e mezza Udeur, subito arruolato da B. (che lo ricambierà con un seggio al Parlamento europeo).
2008-2013. Il 3 aprile 2008 il Popolo delle Libertà sbaraglia il Pd di Veltroni, che predica il dialogo con B. e non osa neppure nominarlo (“il principale esponente dello schieramento avverso”). B. sale per la terza volta a Palazzo Chigi con la sua maggioranza più̀ schiacciante e un carico di processi da record mondiale. E riparte con le leggi ad personam (altre 8, in aggiunta alle 4 del primo governo e alle 29 del secondo: totale 41), ad aziendam e ad mafiam, l’occupazione militare della Rai, i bavagli alla stampa, la guerra alle toghe, i conflitti d’interessi, l’oscurantismo bigotto (vedi il decreto, bloccato da Napolitano, per impedire una fine dignitosa a Eluana Englaro), le figuracce mondiali, gli scandali suoi e dei compari, l’illegalità elevata a sistema.
Il 25 aprile 2009 si presenta a Onna, nell’Abruzzo terremotato, travestito da partigiano, col fazzoletto al collo, per celebrare la sua prima Liberazione. Ovazioni da destra a sinistra. Poi sposta a L’Aquila il G8 già previsto a La Maddalena con svariati miliardi buttati, e si autocelebra coi grandi del mondo, Obama in testa, passeggiando sulle macerie del sisma. Tutto fa pensare a una legislatura trionfale. Ma a fine aprile Veronica Lario denuncia lo scandalo di una ventina di “veline” nelle liste europee di FI (“ciarpame senza pudore”). E si scopre che il premier ha festeggiato in quel di Casoria (Napoli) il 18° compleanno di Noemi Letizia, una ragazza che lo chiama “Papi” e lo frequenta da quando aveva 14 anni. Veronica annuncia il divorzio: “Mio marito è malato, non posso stare con un uomo che frequenta minorenni”. A giugno parte un’inchiesta a Bari sulle escort Patrizia D’Addario&C. portate a Palazzo Grazioli dal pappone Gianpi Tarantini, pagato dal premier. Santoro, rientrato in Rai per ordine del Tribunale di Roma, intervista la D’Addario e si occupa della trattativa Stato-mafia: B. ordina in gran segreto alle sue quinte colonne in Rai e Agcom di trovare il modo di “chiudere tutto” (Annozero e i pochi programmi che ancora lo infastidiscono).
Nel 2010 il presidente della Camera Gianfranco Fini contesta la legge-bavaglio Alfano contro le intercettazioni. E viene subito linciato dagli house organ di B. per un alloggio a Montecarlo acquistato a prezzi di favore dal cognato Giancarlo Tulliani dal patrimonio di An. Fini fonda Futuro e Libertà, che a novembre si associa alle mozioni di sfiducia delle opposizioni. Ma Napolitano rinvia il voto a dopo la finanziaria, dando a B. il tempo di reclutare una trentina di deputati di centrosinistra per rimpiazzare i finiani e salvarsi in extremis.
Nel gennaio 2011 la Procura di Milano lo indaga per la prostituzione minorile di Karima El Mahrough in arte Ruby e per la concussione ai danni di un funzionario della Questura, a cui il premier telefonò nel maggio 2010 per far rilasciare la minorenne dopo un fermo per furto, spacciandola per nipote di Mubarak. Dagli atti escono fiumi di intercettazioni a luci rosse con e fra le escort in fila per i “bunga bunga” nella villa di Arcore. Camera e Senato, con 315 e 170 voti di maggioranza, si coprono di ridicolo e vergogna sollevando un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta contro il Tribunale di Milano, sostenendo che B. agì nell’esercizio delle funzioni di capo del governo per evitare un incidente diplomatico con l’Egitto di Mubarak, noto “zio” di Ruby. In estate le Borse crollano, lo spread sfonda quota 700, gli speculatori scommettono contro l’Italia e il governo, spaccato e inerte, viene commissariato via lettera dalla Bce. Nel centrodestra è il fuggifuggi generale. L’8 novembre, sul rendiconto dello Stato, il governo va sei voti sotto la quota minima di maggioranza. Bossi invita B. a “farsi di lato”, lui però annuncia che resisterà. Ma il crollo in Borsa anche delle aziende di famiglia induce la figlia Marina, Fedele Confalonieri ed Ennio Doris a suggerirgli di mollare e pensare alla “roba”. Il 12 novembre B. sale al Colle per dimettersi, fra due ali di folla che festeggiano e lo insultano. E lascia il Quirinale da un’uscita secondaria. Il successore è Mario Monti, a capo di un governissimo tecnico sostenuto da tutti i partiti, eccetto la Lega Nord e l’Idv. B. sembra finito e forse lo crede anche lui. Infatti il 24 ottobre 2012 annuncia il ritiro e lancia Alfano alle primarie per il nuovo leader Pdl. Che non si terranno mai. Il capo resta B., che cambia idea e si ricandida, stavolta al Senato.
2013. Alle elezioni del 24-25 febbraio il Pdl perde 6,5 milioni di voti. Il Pd, dissanguato dalle politiche antisociali di Monti, ne lascia per strada 3,5 milioni e arriva primo a pari merito col M5S (passato da zero al 25,5%). Il partito di Bersani incassa il premio di maggioranza del Porcellum solo grazie all’alleanza con Sel, ma non ha i numeri per governare. È quel che sperava Napolitano, che rivuole le larghe intese appena bocciate dagli elettori per tagliare fuori i vincitori 5Stelle, anche a costo di ricandidarsi al Quirinale. Il 17 aprile Bersani incontra B. a casa di Enrico Letta per concordare un candidato comune al Colle: Franco Marini. Tutto per sbarrare la strada a Stefano Rodotà sostenuto da M5S e Sel. Ma sia Marini sia Prodi vengono impallinati dai franchi tiratori Pd. Così il 20 aprile tutto è pronto per la rielezione di Napolitano (primo caso nella storia repubblicana). Che ringrazia B.: “Silvio ha parlato da statista”. E il Caimano ricambia cantando a Montecitorio “Meno male che Giorgio c’è”. Il Pd gli fa pure scegliere il nuovo premier: Enrico Letta, nipote del fido Gianni. Poi respinge la richiesta del M5S di applicare finalmente la legge 361/1957 e dichiararlo ineleggibile. E resta alleato di B. anche dopo le nuove condanne: in primo grado a 7 anni per prostituzione minorile e concussione (Ruby); e in appello a 4 anni per frode fiscale (Mediaset). In nove mesi di vita, il governo Letta fa una sola cosa degna di nota: il rinvio di un anno della rata dell’Imu per tutti i proprietari di prime case, inclusi i ricchissimi magnati con ville e castelli (primo punto del programma elettorale di B.). Per il resto rimane paralizzato dai veti incrociati Pd-Pdl.
Il 1° agosto 2013 il Cavaliere è condannato definitivamente in Cassazione per frode fiscale sui diritti Mediaset: 4 anni di carcere (di cui 3 coperti da indulto) e 2 di interdizione dai pubblici uffici (che lo rendono ineleggibile e lo privano anche del diritto di voto). Lui fa il diavolo a quattro contro i giudici, tenta di ricattare il Quirinale minacciando di rovesciare il governo per avere la grazia. Napolitano gliela fa balenare attraverso il ministro dell’Interno Alfano, ma solo in cambio delle sue dimissioni da senatore. Che lui ovviamente non dà. Così il 27 novembre viene espulso dal Senato per la legge Severino. Ed esce dalla maggioranza, abbandonato però dai suoi ministri Alfano, Lorenzin, Lupi, De Girolamo, che fondano il Nuovo Centro Destra per restare imbullonati alle poltrone. Stavolta pare davvero finito, ma mai dire mai.
(3 – continua)

sabato 11 luglio 2020

Pedopornografia, scoperta chat “degli orrori” con 20 minori che si scambiavano immagini hard e foto di suicidi e mutilazioni.


Pedopornografia, scoperta chat “degli orrori” con 20 minori che si scambiavano immagini hard e foto di suicidi e mutilazioni

La polizia postale di Lucca ha ritrovato negli smartphone dei ragazzi filmati hard con giovani vittime, suicidi, mutilazioni, squartamenti e decapitazioni di persone, in qualche caso di animali . Il più grande all'interno della chat ha 17 anni, sette sono 13enni. L'inchiesta nata dalla denuncia di una madre.
Venti minori si scambiavano immagini “di orribili violenze e con contenuti di alta crudeltà” in una chat, scoperta dalla polizia postale. I ragazzi che partecipavano al gruppo Whatsapp, che gli investigatori definiscono “degli orrori”, erano tutti di età compresa tra i 13 e i 17 anni. L’inchiesta, coordinata dalla procura dei minori di Firenze guidata da Antonio Sangermano, è nata dalla denuncia a Lucca di una madre che aveva scoperto sul cellulare del figlio 15enne filmati hard con anche bimbi. Sul telefono trovati poi file provenienti anche dal dark web con video di suicidi e di mutilazioni e decapitazioni di persone e animali.
Le ipotesi di reato per le quali si procede, in concorso, sono detenzionedivulgazione e cessione di materiale pedopornografico, detenzione di materiale e istigazione a delinquere aggravata. Come spiegano gli investigatori in una nota, dall’analisi del telefonino del quindicenne, la cui madre aveva chiesto aiuto alla polizia postale lucchese, “è emerso un numero esorbitante di filmati e immagini pedopornografiche, anche sotto forma di stickers, scambiate e cedute dal giovane, rivelatosi l’organizzatore e promotore dell’attività criminosa insieme ad altri minori”, attraverso WhatsappTelegram e altre applicazioni di messaggistica istantanea e social network. Sul telefono del ragazzo, aggiunge la polizia postale, erano inoltre presenti “numerosi file ‘gore’, la nuova frontiera della divulgazione illegale, video e immagini provenienti dal dark web raffiguranti suicidi, mutilazioni, squartamenti e decapitazioni di persone, in qualche caso di animali”.
Dopo oltre cinque mesi d’indagine i poliziotti hanno identificato le persone che a vario titolo avrebbero detenuto o o scambiato immagini e video pedopornografici: tutti minori, tra cui 7 tredicenni. Sono poi scattate le perquisizioni, eseguite dalla polizia postale – e coordinate dal Centro nazionale contrasto alla pedopornografia online – nei confronti di minori residenti a Lucca, Pisa, Cesena, Ferrara, Reggio Emilia, Ancona, Napoli, Milano, Pavia, Varese, Lecce, Roma, Potenza e Vicenza. Dai telefonini e computer sequestrati sarebbero emersi “elementi di riscontro inconfutabili”. Le indagini proseguono anche per verificare il coinvolgimento di eventuali altre persone.

“Chiappone impiegatizio da lavoro sedentario”. - Massimo Erbetti

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Questo è il titolo di Dagospia, accompagnato da foto in costume del Ministro Azzolina. Ma non finisce qui:
"Lucia Azzolina, la ministra-sirenetta in bikini. Solite malelingue, ecco le foto"
"La Azzolina prima se ne va al mare in bikini, poi straparla di Salvini:" È un predatore politico"
"Lucia Azzolina, sexy sirenetta nel mare di Sperlonga"
E potrei metterne molti altri, ma non ne vale la pena. Vedete questo è il livello dell'informazione In questo paese, questo è il modo di trattare, ancora oggi nel 2020, le donne. Come possiamo pretendere di sradicare il sessismo, il machismo, la discriminazione, se chi fa, anzi dovrebbe fare una corretta informazione, continua a sbattere in prima pagina una donna per il suo aspetto fisico e non per meriti e perché no, per demeriti lavorativi?
"Chiappone impiegatizio"... "Sexy Sirenetta"... "Ministra sirenetta", ma è questo il modo di apostrofare una donna? Quale messaggio si lascia passare titolando in questo modo?
"La Azzolina prima se ne va al mare in bikini, poi straparla di Salvini:", anche in questo caso, con questo titolo, si tenta di sminuire il Ministro, facendo passare un messaggio denigratorio: il Ministro, prima va al mare...per cui prima si fa gli affaracci suoi...come se andare a riposarsi qualche ora al mare sia un delitto (chissà che ne pensano di questa cosa i milioni di italiani che lo fanno durante il periodo estivo) ...e poi parla male, "straparla" di Salvini...come se le due cose fossero collegate...una becera comunicazione sessista, volta a screditare un Ministro della Repubblica. Ma è questo il paese che vogliamo? È questa la comunicazione che vogliamo? È questo il modo per superare le differenze uomo donna?
Poi magari questi stessi giornali, pubblicano, scandalizzati, articoli contro atti di sessismo o discriminazione di genere...quanta falsità, quanta incoerenza, quanta piccolezza...


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Coronavirus: l'annuncio di Conte, verso la proroga dello stato di emergenza a tutto il 2020.

Il Pantheon, Roma ©
Il Pantheon, Roma.

Si tratta di una decisione che non è ancora stata presa, l'intenzione del premier sarebbe comunque quella di passare per il Parlamento.

"Ragionevolmente ci sono le condizioni per proseguire, dobbiamo tenere sotto controllo il virus". Con i contagi ancora in salita, focolai "anche rilevanti" in diverse zone d'Italia e l'Rt sopra l'1 in cinque Regioni, il premier Giuseppe Conte conferma quello che tecnici di istituzioni e ministeri davano ormai per scontato: lo stato d'emergenza sarà prorogato fino al 31 dicembre, quindi per tutto il 2020, e si porterà dietro una serie di norme connesse, a partire da quella sullo smart working.
"Non è ancora stato deciso tutto - prosegue il presidente del Consiglio -, ma ragionevolmente si andrà in questa direzione". La proroga potrebbe arrivare già la settimana prossima: il 14 luglio scadrà il Dpcm attualmente in vigore, quello che contiene tra l'altro le modalità d'ingresso in Italia e la sospensione delle crociere. E' molto probabile, dicono fonti di governo, che possa essere quella l'occasione per definire la proroga, riordinare le norme attualmente in vigore e per una "messa a sistema" delle modalità di ingresso nel nostro paese, anche alla luce dell'ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza che giovedì ha stabilito il divieto d'ingresso per chi proviene da 13 paesi: Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù e Repubblica Dominicana. Un elenco che potrebbe allungarsi se la situazione peggiorasse anche in altri paesi.
La scelta del governo di prorogare lo stato d'emergenza non piace però all'opposizione e solleva dubbi anche nella maggioranza, non tanto per la proroga in sé, sottolineano fonti del Pd e di Iv, quanto perché su certe decisioni è necessaria una maggiore collegialità. Il costituzionalista e deputato Dem Stefano Ceccanti lo dice apertamente, chiedendo all'esecutivo di presentarsi "in Parlamento per spiegare le ragioni e raccogliere indirizzi, in particolare rispetto alla durata della proroga e alle concrete modalità".
Ed in serata fonti di Palazzo Chigi, dopo aver premesso che lo stesso Conte ha affermato che la decisione non è stata ancora presa, hanno precisato che se si andasse verso la proroga l'intenzione del premier sarebbe comunque quella di passare per il Parlamento. Netto invece è il no del centrodestra. "Gli italiani - dice il segretario della Lega Matteo Salvini - meritano fiducia e rispetto. Con tutte le attenzioni possibili, la libertà non si cancella per decreto". Gli fa eco Giorgia Meloni.
"Non mi pare che ci siano i presupposti per prorogare fino alla fine dell'anno lo stato emergenza - sottolinea la leader di FdI -, che è uno strumento del quale il governo dispone per fare un po' quello che vuole, accelerando dei passaggi che altrimenti avrebbero bisogno di maggiori contrappesi". 
Al di là del dibattito politico e delle scelte che farà nei prossimi giorni l'esecutivo, il dato di fatto è la necessità di tenere sotto controllo il virus. I numeri giornalieri e quelli relativi al monitoraggio settimanale dimostrano che il Covid è tutt'altro che sconfitto. I nuovi contagi continuano a salire: mercoledì erano 193 in 24 ore, giovedì 229 e venerdì 276 per un totale di positivi al coronavirus che dall'inizio dell'emergenza ha raggiunto quota 242.639. Un incremento dovuto soprattutto ai 'casi d'importazione', come quelli nel Lazio legati alla comunità del Bangladesh o a focolai come quello scoppiato al corriere Tnt a Bologna con 18 nuovi casi.
Non solo: i dati relativi al monitoraggio effettuato nella settimana dal 29 giugno al 5 luglio dicono che l'Rt è superiore all'1 in cinque regioni - Emilia Romagna (1,2), Veneto (1,2), Toscana (1,12), Lazio (1,07) e Piemonte (1,06) - e che "in quasi tutte le regioni e province sono stati diagnosticati nuovi casi d'infezione, in aumento" rispetto alla settimana precedente. Nonostante il quadro generale resti a "bassa criticità" - l'Rt nazionale resta sotto l'1 e l'incidenza negli ultimi 14 giorni è di 4.3 ogni 100 mila persone -, il ministero della Salute avverte che in alcune regioni "continuano ad essere segnalati numeri di nuovi casi elevati" e "persiste una trasmissione diffusa del virus che, quando si verificano condizioni favorevoli, provoca focolai anche di dimensioni rilevanti".
La conclusione è una sola: la circolazione del virus è ancora "rilevante" e serve "cautela" rafforzando, dice il direttore per la Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza, le misure di distanziamento sociale. Con o senza proroga dello stato d'emergenza.
La decisione non è stata ancora presa, ma grazie ai deficienti che non hanno capito nulla di ciò che è successo e, purtroppo, continua a succedere, chi ha rispettato le regole subirà un ulteriore blocco della libertà personale.
Nessuno vuole mettersi in testa che quella attuale è una pandemia che sta mietendo vittime in tutto il mondo e che solo rispettando le regole potremo sconfiggerla, qualunque sia la sua origine.
Ci soffermiamo a ridimensionarla in qualsiasi modo, ma non facciamo altro che darle spazio e libertà di azione, a nostro esclusivo danno. cetta

Promemoria/2 - Marco Travaglio

Trattativa Stato mafia, Berlusconi indagato a Firenze. La moglie ...
Mentre gli spingitori del cavaliere lo rivorrebbero nella maggioranza o addirittura al governo o magari senatore a vita e il Parlamento straparla di giornate per le vittime della giustizia, cioè per lui, prosegue il nostro promemoria di vita e opere del vecchio malvissuto che si vorrebbe trasformare in benvissuto solo perché vecchio.
1992. Il 21 maggio, mentre il Parlamento vota per il nuovo presidente della Repubblica dopo le dimissioni di Francesco Cossiga, Paolo Borsellino, procuratore aggiunto a Palermo, rilascia un’intervista a due giornalisti francesi di Canal Plus, svelando indagini ancora in corso sui rapporti fra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Due giorni dopo, il 23 maggio, Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta saltano in aria a Capaci. Un mese dopo Dell’Utri convoca a Milano2 Ezio Cartotto, un ex Dc consulente di Publitalia, per una missione segreta: organizzare “un’iniziativa politica della Fininvest” finanziata occultamente da Publitalia, in previsione dell’imminente tracollo dei partiti amici sotto i colpi delle indagini di Mani Pulite avviate a febbraio dal pool di Milano (anche su una serie di top manager Fininvest). Il 19 luglio un altro attentato mafioso stermina anche Borsellino e la sua scorta.
1993. Dopo l’arresto di Totò Riina, gli altri capi di Cosa Nostra – da Provenzano in giù, in contatto con Gelli, gruppi neofascisti e logge deviate – creano il partito secessionista “Sicilia Libera”, ultima nata di una serie di “leghe meridionali” in tutto il Sud. Dell’Utri, che nel gruppo B. si è sempre occupato di pubblicità (e di mafia), è tarantolato dalla politica: è in contatto telefonico con un promotore di Sicilia Libera e intanto continua a lavorare al partito Fininvest. In aprile B. annuncia ai suoi principali collaboratori l’intenzione di entrare in politica: Dell’Utri, Previti e Ferrara sono favorevoli, Costanzo, Letta e Confalonieri contrari. Il 14 maggio Costanzo scampa per miracolo a un’autobomba mafiosa in via Fauro, a Roma: il primo attentato organizzato da Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Il 27 maggio, nuova strage mafiosa a Firenze, in via dei Georgofili. Il 29 giugno Dell’Utri, Previti e altri due fedelissimi di B., Antonio Martino e Mario Valducci, costituiscono l’“Associazione per il buon governo”, base ideologica dei futuri club Forza Italia. Il 12 luglio B., che secondo Cartotto ha il terrore di subire l’accusa di “essere un mafioso”, dirama alle testate del gruppo il memorandum “Valutazioni dei comportamenti dei giudici di Tangentopoli”: gli house organ della ditta dovranno iniziare ad attaccare i magistrati anti-tangenti e anti-mafia, ma anche i collaboratori di giustizia.
Solo il Giornale di Montanelli disobbedisce, infatti il direttore-fondatore verrà ben presto rimpiazzato con Vittorio Feltri. Il 27 luglio, strage mafiosa in via Palestro a Milano e bombe contro due basiliche a Roma. Il 6 settembre B. inaugura il primo club di FI: è in via Chiaravalle 7/9 a Milano, nel palazzo del finanziere Rapisarda, legato alla mafia e a Dell’Utri. Il 29 ottobre il pm romano Maria Cordova, che indaga su tangenti al ministero delle Poste e i retroscena della legge Mammì, chiede l’arresto di Carlo De Benedetti, Gianni Letta e Adriano Galliani. Ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, arresta solo l’Ingegnere, perché i due uomini Fininvest sono amici di famiglia. Intanto Dell’Utri incontra Mangano, il boss da poco scarcerato dopo 11 anni di galera per mafia e droga, nella sede di Publitalia: nelle agende la segretaria ha annotato “2-11. Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale” e “Mangano verso il 30.11”. Molti pentiti racconteranno che in quei giorni Provenzano ha stretto un patto con Dell’Utri per sciogliere Sicilia Libera e far votare FI. Graviano dirà ai giudici di aver “incontrato Berlusconi, da latitante, almeno tre volte, l’ultima a cena nel ’93”.
1994. Il 19 o 20 gennaio il killer stragista Gaspare Spatuzza viene convocato dal suo boss Giuseppe Graviano al bar Doney di via Veneto a Roma. “Era gioioso, felice”, racconterà ai pm: “mi comunica che avevamo chiuso tutto e avevamo ottenuto tutto quello che cercavamo grazie alla serietà di… quello di Canale 5 e il nostro paesano”, cioè B. e Dell’Utri. I quali, dice Graviano a Spatuzza, “ci stanno mettendo l’Italia nelle mani”. Graviano aggiunge che bisogna “dare il colpo di grazia” con la strage di carabinieri allo stadio Olimpico, in programma per domenica 23 dopo Roma-Udinese. Nell’hotel davanti al bar, il Majestic, la notte fra il 18 e il 19 ha alloggiato Dell’Utri, impegnato nelle selezioni dei candidati di FI. Domenica 23 l’autobomba allo stadio non esplode per un guasto al telecomando. Ma i killer mafiosi rimangono a Roma per riprovarci. Il 26 però B. annuncia in un videomessaggio la sua “discesa in campo”. Il 27 Graviano e il fratello Filippo vengono arrestati a Milano, dove cenano in compagnia di un loro favoreggiatore, salito al Nord per seguire il figlio calciatore, che ha appena fatto un provino nei “pulcini” del Milan grazie a Dell’Utri. Il 27-28 marzo B. vince le elezioni e diventa deputato, sebbene sia ineleggibile in base alla legge 361/1957 in quanto concessionario pubblico per le tv. L’8 aprile Brusca e Bagarella – racconterà il primo – rispediscono Mangano a Milano da Dell’Utri per avvertire il nuovo premier: “Devono scendere a patti altrimenti, senza la revisione del maxi processo e del 41-bis e la fine dei maltrattamenti in carcere, le stragi continueranno”. L’attentato all’Olimpico può essere ritentato in qualunque momento. Mangano deve aggiungere che “anche la sinistra sapeva” della trattativa in corso da due anni fra Stato e mafia: se il governo B. aiuterà Cosa Nostra, non incontrerà opposizioni, perché dietro la prima trattativa c’era la “sinistra Dc che fino ad allora aveva governato il Paese” ed era ricattabile. Mangano va e – sempre secondo i pentiti – torna vincitore: “Dell’Utri ha detto ‘grazie, grazie, a disposizione’”. Il commando di Spatuzza rientra a Palermo: la guerra è finita, ora si fa la pace. O la tregua, in attesa che i nuovi “referenti” paghino le cambiali. E il 13 luglio ecco la prima rata: il decreto Biondi che riduce al minimo la custodia cautelare in carcere. Sulle prime si pensa solo a una norma salva-ladri per gli inquisiti di Tangentopoli. Pochi notano nel testo una serie di favori a Cosa Nostra. Il decreto viene ritirato a furor di popolo, ma diventa un disegno di legge che sarà approvato di lì a un anno. Negli stessi mesi – appureranno i giudici del processo Trattativa – Dell’Utri riceve altre due volte Mangano nella sua villa a Como e gli anticipa le mosse legislative pro mafia del governo B. Fatti che indurranno i giudici a ritenere B. “vittima consapevole” del ricatto mafioso. Il 22 dicembre, senz’aver fatto che norme ad personam (dl Biondi, condoni edilizio e fiscale, legge Tremonti per far risparmiare tasse alla Fininvest), B. si dimette: la Lega l’ha sfiduciato sulla controriforma delle pensioni. Da un mese è indagato per corruzione su quattro tangenti pagate alla Guardia di Finanza da suoi manager per ammorbidire verifiche fiscali in Edilnord, Mondadori, Videotime e Tele+. Convocato dal pool Mani Pulite, si presenta solo dopo aver indotto Di Pietro alle dimissioni con dossier ricattatori passati per le mani del fratello Paolo e di Previti.
1995. Nasce il governo tecnico Dini, con l’appoggio di Lega e centrosinistra l’astensione di FI. Il 25 maggio Dell’Utri viene arrestato a Torino per frode fiscale (false fatture di Publitalia). A luglio lo stesso Dell’Utri e B. sono indagati a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (B. sarà sei volte archiviato, Dell’Utri invece verrà condannato a 7 anni).
1996-2001. B. perde le elezioni, vinte dall’Ulivo di Romano Prodi. Ora è indagato con Previti e alcuni avvocati e giudici romani per corruzione giudiziaria dopo le rivelazioni della testimone Stefania Ariosto. Una terza indagine riguarda la maxitangente di 23 miliardi in Svizzera a Craxi dalle società estere della galassia All Iberian e i relativi falsi in bilancio. Pare politicamente morto, ma il centrosinistra lo resuscita in cambio di una finta opposizione: proroga sine die il passaggio su satellite di Rete4, imposto dalla Consulta nel ’94; consente al suo gruppo inguaiato in falsi in bilancio e frodi fiscali di quotarsi in Borsa; nega ai giudici di Milano e Palermo l’autorizzazione all’arresto per Previti e per Dell’Utri; e lo promuove B. padre costituente nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. Che poi, quando B. fa saltare il tavolo in extremis e Bertinotti il governo, prende il posto di Prodi.
1998-’99. L’avvocato inglese David Mills, consulente di B. che negli anni 80 ha costruito il “comparto B” del Biscione con decine di società nelle isole del Canale e in altri paradisi fiscali, in cui vengono nascosti centinaia di miliardi di lire destinati a corruzioni, frodi fiscali e scalate finanziarie illecite, è chiamato a testimoniare nei due processi chiave per B.: Guardia di Finanza e Craxi-All Iberian. Ma non dice tutto quel che sa su B., come confesserà lui stesso in una lettera al suo commercialista (“Ho tenuto fuori Mr B. da un mare di guai”). In cambio, dai conti esteri del Biscione, riceverà una tangente di 600 mila dollari. Risultato: nel processo Gdf, il Caimano viene condannato in primo grado e poi assolto per insufficienza di prove (quelle che avrebbe dovuto fornire Mills); nel processo Craxi-All Iberian, viene condannato in tribunale e poi prescritto. Mills, per la sua testimonianza prezzolata, sarà condannato in primo e secondo grado, poi prescritto in Cassazione; B. invece la tirerà in lungo fino a strappare la prescrizione già in primo grado.
(2 – continua)

venerdì 10 luglio 2020

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”. - Luigi Franco

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”

Lombardia - Macché regalo. La Guardia di Finanza in Regione.
L’offerta da 513 mila euro per la fornitura alla Regione Lombardia dei camici dell’azienda del cognato di Attilio Fontana ha in calce una firma. Ed è proprio quella di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo oltre che proprietario e ad di Dama, la società di cui detiene il 10% Roberta, moglie di Fontana. La sua firma fa fuori in un colpo solo la versione propinata per un mese sul contratto concesso a Dama in affidamento diretto, poi trasformato in donazione. E dimostra che tutti quei camici all’inizio erano ben lontani dall’essere un dono. Eppure Fontana il 7 giugno, dopo le anticipazioni del Fatto sull’inchiesta di Report che ha svelato il caso, scriveva su Facebook che c’era “alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia”, mentre Dini dava la colpa a un fraintendimento dei suoi collaboratori, responsabili di aver trattato per errore la donazione come un normale contratto. Ma ora il Fatto è in grado di rivelare che nell’offerta di Dama da cui tutto è partito i prezzi dei prodotti erano in bella mostra. E sotto i prezzi, il timbro dell’azienda e una firma. Non un collaboratore, ma il “dott. Andrea Dini”. Un elemento inedito in una vicenda al vaglio della procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione. Ieri la guardia di finanza si è presentata in Regione per acquisire i documenti relativi alla fornitura.
Altro che donazione. Nell’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro.
Iniziano le consegne, tutte fatturate da Dama, finché il 20 maggio Dini invia un’email ad Aria annunciando la decisione di trasformare il contratto in una donazione. Ma solo per i camici già consegnati, visto che la fornitura del resto viene interrotta. L’email arriva dopo che da giorni Report ha iniziato a investigare sul caso. Quando l’inviato Giorgio Mottola citofona a Dini, lui sostiene che la commessa avrebbe dovuto essere sin da subito una donazione: “Non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha mal interpretato la cosa. Me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Parole che ora vanno in fumo, di fronte alla sua firma sull’offerta.
L’offerta di Dini è indirizzata a Bongiovanni e fa riferimento alle “indicazioni” ricevute dall’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, sentito ieri come testimone insieme a Francesco Ferri, presidente di Aria. Perché Cattaneo fa da intermediario tra Dama e Aria? “Durante l’emergenza Cattaneo è stato in contatto con tutte le aziende che si sono offerte di riconvertire la propria produzione, affinché potessero produrre dispositivi di protezione individuale di qualità”, rispondono dall’assessorato ricordando che Cattaneo è stato a capo della task force per coordinare i fornitori. “I rapporti con le aziende per le fasi successive, come donazioni o forniture, sono invece stati gestiti da altri interlocutori”.
Altri interlocutori che ora dovrebbero rispondere a diversi quesiti. Per esempio sui 25 mila camici mai consegnati dopo che il contratto è diventato donazione. “Per quali motivi Aria non ha diffidato Dama a completare la fornitura? Perché non richiede il risarcimento danni per inadempimento contrattuale? La Regione non ritiene di segnalare Dama all’Anac?”, chiede in un’interrogazione il consigliere M5S Marco Fumagalli, che mette in dubbio anche la congruità del prezzo di 6 euro proposto da Dama: “Tra gli ordini di Aria c’è un acquisto di 44 mila camici su Amazon, a 1,6 euro l’uno”. Quattro volte in meno del prezzo del cognato di Fontana.