venerdì 2 ottobre 2020

La Ue ci rimprovera sull’informazione (e ha le sue ragioni). - Peter Gomez


 


Visto che la stragrande maggioranza dei giornali e delle tv, certamente a causa di un’incolpevole svista, ieri non ve l’ha raccontato, oggi ve lo raccontiamo noi. Quasi fossimo un’Ungheria qualsiasi, la Commissione Ue dice che “l’indipendenza politica dei media italiani” è e “resta un problema”. Ricorda che a 15 anni di distanza dai primi allarmi ufficiali, l’Italia non ha ancora una vera legge sul conflitto d’interessi e, nel suo primo rapporto sullo Stato di diritto nell’Unione, ci colloca tra i Paesi a rischio “medio” in materia di libertà di stampa.

Per Bruxelles, da noi “l’influenza politica continua a farsi sentire in modo significativo nel settore audiovisivo” (vedi Berlusconi) e, sia pure in “misura minore”, in quello “dei giornali, a causa dei rapporti indiretti tra gli interessi degli editori e il governo, a livello nazionale così come a livello locale”.

Traduzione: nel nostro Paese la maggior parte degli editori non stampa quotidiani e riviste perché spinta da una sana capitalistica voglia di guadagnare. In Italia invece i grandi editori sono spesso dei signori che fanno i soldi in altro modo: ad esempio con le costruzioni (Caltagirone), con la sanità privata (Angelucci), con le auto (Agnelli-Elkann). Le loro fortune non dipendono dal numero di copie vendute, ma da altri affari molto più remunerativi che dipendono, quelli sì, dalle scelte della politica. Decidere se rendere edificabili o meno delle aree, se accreditare a livello regionale una clinica o se tassare i veicoli più inquinanti fa parecchia differenza nei loro bilanci. Essere proprietari di mezzi d’informazione permette così di blandire gli amministratori nazionali o locali più vicini ai propri interessi e di stangare gli altri. Come? Non solo con opinioni e commenti, ma anche scegliendo quali notizie pubblicare o non pubblicare, o quale rilevanza dare agli articoli. Nelle scorse settimane, ad esempio, prima Il Tempo e poi Libero (editi da Angelucci) hanno dato ampio spazio a una notizia riguardante l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato: l’apertura di un’indagine da parte della Corte dei conti su 275mila euro versati nel 2006 e 2007 dalla Regione a un’associazione a lui riconducibile. Sulla vicenda c’era stata pure un’inchiesta penale per truffa da cui Amato era uscito grazie alla prescrizione.

Attenzione: la notizia era vera ed è giusto che sia stata pubblicata. Quello su cui si deve invece riflettere è la tempistica. La campagna stampa contro D’Amato parte dopo che l’assessore revoca l’accreditamento alla residenza per anziani San Raffaele Rocca di Papa del gruppo Angelucci. Nella Rsa c’erano stati 43 morti per coronavirus e 168 contagiati. E D’Amato, dopo aver constatato che il dirigente sanitario non aveva i titoli per quel ruolo, che le “violazioni dei protocolli”, peraltro redatti da un infermiere, erano state gravissime, era passato all’azione. Un bel danno per il “re delle cliniche romane” Antonio Angelucci, 76 anni, deputato di Forza Italia. In passato, secondo un avviso di chiusura indagini notificato proprio ieri, Angelucci aveva già avuto problemi con D’Amato. Nel 2017, sostengono i pm di Roma, aveva tentato inutilmente di corromperlo con 250mila euro, 50mila dei quali “asseritamente” da consegnare subito, per ottenere l’ok a dei pagamenti in favore di un’altra clinica di Velletri a cui era pure stato revocato l’accreditamento. Vedremo come finirà l’istruttoria. Ma già ora possiamo dire che, con editori così, in Italia tra le mazzette dei giornali e quelle vere è sempre più arduo cogliere le differenze. E in Europa lo sanno.

(foto: da "Silenzi e Falsità" tramite internet)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/la-ue-ci-rimprovera-sullinformazione-e-ha-le-sue-ragioni/5951392/

La Luna Blu e Marte protagonisti del cielo di ottobre.

 














La Luna Blu e Marte, il pianeta più luminoso della prima parte della notte, sono i protagonisti del cielo di ottobre. Entrambi sono pronti a dare spettacolo e la Luna piena, osserva l'Unione Astrofili Italiani (Uai), si affaccerà nel cielo due volte, a salutare l'inizio del mese, e il 31 ottobre a rischiarare la notte di Halloween. La seconda Luna piena in un mese è note per essere la Luna Blu, ma non è prevista nessuna variazione nei colori del nostro satellite naturale: il nome deriva dall'espressione popolare anglosassone "once in a blu moon" ("una volta ogni luna blu"), usata per indicare un evento raro.

L'altro protagonista del cielo di ottobre, Marte, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, pari a 62 milioni di chilometri, il 6 ottobre, mentre il 13 il pianeta sarà in opposizione, cioè nella posizione opposta al Sole, rispetto alla Terra, e sarà quindi nelle condizioni migliori di osservazione: visibile per tutta la notte e per alcune settimane sarà il pianeta più luminoso della prima parte della notte. L'opposizione significa infatti che Sole, Terra e Marte sono allineati: al tramonto del Sole dalla parte opposta della volta celeste sorge Marte, che si potrà osservare ad Est nel corso della sera, culminante a Sud nelle ore centrali della notte, ad occidente prima dell'alba.

Nella prima parte della notte saranno visibili anche Giove e Saturno, nella costellazione del Sagittario. Venere resta ancora protagonista del cielo del mattino, luminoso ad Est nelle ore che precedono il sorgere del Sole. Anche il pianeta Urano, sarà in opposizione, il 31 ottobre, e anch'esso sarà nella migliore condizione di osservazione per l'anno in corso, ma è comunque necessario un telescopio, perché non è visibile ad occhio nudo. Il corteo di pianeti luminosi visibile in orario serale genere una sequenza di suggestive congiunzioni con la Luna: Marte e Luna per esempio si incontrano due volte, il 2 e il 29 ottobre, mentre Giove e Saturno formeranno uno spettacolare terzetto con la Luna, il 22 e il 23 ottobre. Durante il mese, infine, saranno visibili numerosi transiti in orario serale della Stazione Spaziale Internazionale.

(foto: Rappresentazione artistica della Luna Blu (fonte: pixy.org ANSA)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/01/la-luna-blu-e-marte-protagonisti-del-cielo-di-ottobre-_21db7675-8821-4ba2-8f4f-7b1a7406f133.html

Natangelo - ilFQ del 2-10-2020

 


Picchiato perchè non li invita a festa, perde un occhio.

 

L'aggressione a Ladispoli, vicino Roma, arrestati dai carabinieri due fratelli pugili.

Aggredito e picchiato davanti alla fidanzata da due fratelli pugili per non averli invitati a una festa. Vittima un 28enne di Ladispoli, vicino Roma, che per le botte ricevute quella sera ha perso un occhio. L'episodio è accaduto il 20 luglio scorso. I due fratelli, insieme al cognato, sono stati arrestati stamattina dai carabinieri della compagnia di Civitavecchia per lesioni personali gravissime. A quanto ricostruito, la vittima conosceva gli aggressori poiché iscritti alla stessa palestra.

Le indagini sono scattate dalla denuncia presentata dalla vittima a fine luglio ai carabinieri della stazione di Ladispoli. Gli investigatori, anche tramite le dichiarazioni di alcuni testimoni, hanno accertato che la vittima conosceva gli aggressori poiché iscritti alla stessa palestra. Quella sera il ragazzo era in compagnia della fidanzata quando ha incontrato la sorella degli aggressori che li ha avvisati di essere in compagnia del 28enne. Così i due fratelli si sono recati sul posto e l'hanno aggredito improvvisamente mentre la sorella (indagata per violenza privata) impediva alla fidanzata di intervenire in suo aiuto. A quanto ricostruito, uno dei due fratelli nutriva rancore nei confronti del 28enne oerché, dopo aver interrotto il rapporto di amicizia con lui per i suoi comportamenti, non li avrebbe invitati a una festa. Dopo tale "affronto" uno dei fratelli avrebbe minacciato con messaggi la vittima, fino alla sera del pestaggio. Uno degli arrestati ha precedenti per reati conto la persona, contro il patrimonio e per uso di stupefacenti. Stamattina i carabinieri della compagnia di Civitavecchia hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Civitavecchia su richiesta della locale Procura, nei confronti dei tre fratelli e del cognato, ritenuti responsabili di lesioni personali gravissime.

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/lazio/notizie/2020/10/02/picchiato-perche-non-li-invita-a-festa-perde-occhio_ded1a217-9b48-45a2-a9f0-aa9ee464b282.html

Reddito di demenza. - Marco Travaglio















Gli storici chiamati fra cent’anni a raccontare l’Italia del 2020 si arrenderanno subito, in preda a terribili emicranie, e cederanno il passo agli psichiatri. Solo un esperto in patologie mentali potrà tentare di spiegare il dibattito pubblico del nostro manicomio quotidiano. Appena sopita, per manifesta demenzialità, la polemica sullo stipendio del presidente dell’Inps, che guadagnava un quarto di decine di suoi dirigenti e ora va a prendere poco più della metà, s’è riaccesa quella sul Reddito di cittadinanza, che dà da mangiare a 3 milioni di persone alla fame più alcune migliaia di ladri e truffatori che risultano sul lastrico e invece guadagnano benissimo in nero e aggiungono pure i 500 euro al mese del Rdc ai loro introiti clandestini. Le perdite per lo Stato, che vanno comunque recuperate con controlli a campione (chi sgarra rischia fino a 6 anni di carcere), sono irrisorie: una manciata di milioni. Nulla al confronto dei danni fatti da altri furbastri, come gl’imprenditori che potrebbero riaprire l’attività, ma preferiscono arraffare i soldi pubblici della cassa integrazione: l’Inps ne ha già beccati 2.700, per un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro (un quarto della spesa annua del Rdc). Ma di questi non si parla mai perché sono amici e colleghi dei padroni dei giornali. Molto meglio continuare a riempire paginate sul tal ladrone o assassino o mafioso col Reddito e dedurne che “i controlli non ci sono o non funzionano” (“Verifiche mancate. La bandiera della legalità sacrificata per il consenso”, Carlo Nordio, Messaggero). Oh bella: ma se i controlli non ci fossero o non funzionassero, non sapremmo mai che il tal ladrone o assassino o mafioso percepiva il reddito. Ogni caso che finisce sui giornali è un controllo che ha funzionato e per giunta è già chiuso: con la sospensione del sussidio e la restituzione del maltolto.

Siccome poi la madre dei cretini è sempre incinta, la polemica si concentra su altri aspetti, ovviamente negativi anzi nefasti, del Reddito: “Non fa trovare lavoro” (Pietro Garibaldi, La Stampa) e lo prende “chi non lavora” (Messaggero). Oh bella: ma, se uno lavora, si suppone che guadagni, dunque non ha diritto all’assegno. Il guaio è che il lavoro non c’è, o è scarso, e proprio per questo esiste il Rdc: per chi il lavoro non ce l’ha e non lo trova. Siccome però ci sono pure quelli che non ce l’hanno perché non lo cercano, il Rdc è stato studiato anche per collegare i disoccupati ai centri per l’impiego, assistiti dai navigator, per “attivarli” con proposte di lavoro (quando ce n’è) e, se le rifiutano, escluderli dal sussidio. I sabotaggi di molte Regioni e i ritardi dell’Anpal, dell’Inps, delle Regioni e degli ex-uffici di collocamento sono noti.

E tutt’altro che scandalosi: la misura è in vigore da 17 mesi appena. Eppure hanno già trovato lavoro – stabile o precario – 196mila percettori del Reddito. Mica pochi, vista la stagnazione del mercato del lavoro (-500mila posti in un anno). Ma non passa giorno senza che qualcuno chieda di abolire il Reddito perché qualcuno ne approfitta. Come se lo Stato fosse un negozietto e potesse affiggere il cartello: “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Ma, se la logica (si fa per dire) è quella, abolire solo il Rdc sarebbe riduttivo.

Un mio amico la mattina accompagna sulla sua Smart la figlia alla scuola materna, per cui paga la retta intera, e viene regolarmente sorpassato da altri genitori col Suv, a cui vorrebbe tanto forare le gomme perché la retta non la pagano, risultando nullatenenti. Per non indurlo in tentazione, io abolirei il bonus-asilo per i non abbienti.

Il bonus di 80 euro al mese inventato dall’Innominabile andava a tutti i lavoratori con redditi inferiori ai 28mila euro annui e ora va fino a 40mila. Ma siccome un conto è quanto guadagni e un altro quanto dichiari, milioni di evasori lo intascano senza diritto. Quindi aboliamo gli 80 euro.

Siamo pieni di gente in cassa integrazione o in disoccupazione che arrotondano con lavoretti da idraulici, elettricisti, carpentieri, falegnami ecc. Dunque aboliamo Cig e sussidio di disoccupazione.

I falsi invalidi con pensione ad hoc non si contano: ergo cancelliamo le pensioni di invalidità e non ne parliamo più.

Ospedali, scuole, strade, autostrade, caserme, posti di polizia, autobus, discariche ecc. sono finanziati dalle tasse. Ma molti non le pagano e beneficiano ugualmente dei servizi pubblici: chiudiamoli tutti.

Le truffe più diffuse sono quelle sui fondi europei: quindi l’Italia li rifiuti, compresi i 209 miliardi del Recovery Fund (per non parlare del Mes, che andrebbe alla sanità, gestita dalle Regioni: brrr), e il problema è risolto alla base.

E le truffe alle assicurazioni? Via anche le assicurazioni, mica si può andare avanti così.

E la corruzione negli appalti, nelle nomine e nei concorsi? Via, aboliamo tutto: appalti, nomine e concorsi.

Gli sportelli bancari sono spesso teatro di rapine a mano armata: chiudiamoli tutti, così i rapinatori imparano.

Alla fine, quando avremo abolito tutto, con la stessa logica di Angelina Jolie che si amputa i seni per fregare il cancro alla mammella, ci accorgeremo che il problema non sono questa o quella norma: siamo noi italiani, popolo più avvezzo di altri all’illegalità per la certezza dell’impunità. E a quel punto avremo due strade: o combattere finalmente l’illegalità e l’impunità; o abolire l’Italia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/reddito-di-demenza/5951349/

giovedì 1 ottobre 2020

A chi non piace la Raggi. La sindaca colpevole a prescindere

 















Non piace alla gente che piace. Nei salotti, ai piani alti, tra i notabili di Roma c’è un solo nome che mette d’accordo tutti: Virginia Raggi, la sindaca colpevole a prescindere, fosse anche dei peccati millenari della città. I trasporti, per dire, da quando c’è lei sono una piaga d’Egitto, e si fa una fatica inutile a spiegare che l’azienda dei bus ha chiuso il primo bilancio in utile dai tempi di Romolo e Remo, e perciò sta acquistando centinaia di nuovi mezzi, che andranno a sostituire quelli vecchi, pericolosi e spesso andati a fuoco. Incassato il colpo, per chiudere la discussione arriva sistematicamente chi sentenzia che la Capitale fa schifo!

Eppure non è che prima splendesse, ed è fin troppo ovvio che continuando a dare ai privati centinaia di milioni per il trattamento dei rifiuti – come si è sempre fatto in passato – poi non resta un soldo per la pulizia e il decoro affidati al servizio pubblico. Solo aver resistito al monopolio privato e alle intimidazioni di chi ha dato a fuoco gli impianti comunali e centinaia di cassonetti varrebbe una medaglia e può darci una possibilità di avere in futuro una città migliore. A questo punto diventa divertente guardare le facce di chi sta sudando per cercare nella memoria qualche altro disastro della prima cittadina, fin quando dai ricordi più lontani tornano le buche. Avete presente?

Fino a qualche anno fa erano proverbiali, ne scrivevano pure i giornali stranieri e ci si facevano più battute che sui carabinieri. Facendo un po’ di pulizia, togliendo sprechi e ruberie, nonostante i debiti ereditati dalle Giunte precedenti, l’amministrazione grillina ha riasfaltato gran parte delle strade, facendo lavorare un mucchio di imprese e riportando su livelli fisiologici i rischi della viabilità. A questo punto scatta quindi la domanda: ma perché una sindaca così non piace? E la risposta non è mai sincera. C’è chi farfuglia, chi ammette di poterci ripensare, chi continua a cercare il pelo nell’uovo, ma il motivo vero è uno solo: la Raggi ha un peccato originale, è dei Cinque Stelle, fa le cose sul serio e non fa rubare.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/a-chi-non-piace-la-raggi-la-sindaca-colpevole-a-prescindere/

Conte ha detto cose di sinistra. - Daniela Ranieri

 














I “moderni”. Eravamo abituati ad ascoltare “premier” che, citando a vanvera La Pira, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano con la finanza.

Se uno è povero e disoccupato è un po’ colpa sua. Bisogna lasciar fare al mercato. Il Reddito di cittadinanza crea un esercito di fannulloni. Dobbiamo aiutare le imprese, basta sussidi a pioggia. Quanto vi urtano queste asserzioni? Se poco, è perché ormai le abbiamo introiettate; ce le hanno somministrate per via intramuscolare per quarant’anni.

Il 27 settembre, in collegamento col Festival nazionale dell’Economia civile di Firenze, Giuseppe Conte ha fatto un discorso al cui centro erano invece queste parole: giustizia sociale; sviluppo sostenibile; spesa pubblica; valorizzazione della dignità del lavoro opposta al consumismo individualista. “Negli ultimi decenni – ha detto – il capitalismo si è avviluppato in una prospettiva neoliberale, inadeguata ad affrontare le crisi recenti”. Noi eravamo rimasti che il capitalismo era l’igiene del mondo e il neoliberismo lo Spirito del Tempo, e non bisognava mostrarsi schizzinosi ad abbracciarlo, altrimenti si finiva come in Cina.

“Distruzione del valore d’impresa, massimizzazione del profitto di breve periodo, l’uomo ridotto a una visione economicistica”, ha proseguito, impongono di “rimeditare il nostro agire in politica economica e sociale”, per rompere il “fallace incanto del benessere” secondo “l’obiettivo della giustizia sociale”. Sono parole da tempo impronunciabili, anche a sinistra; a parte Bersani, che infatti dal Pd è uscito, governanti e oppositori del centro(-)sinistra, dal D’Alema di Nanni Moretti in poi, si sono ben guardati dal dire “cose di sinistra”, convinti dai guru della comunicazione che ogni idea radicale fosse “massimalismo” e “pregiudizio ideologico” (del resto già De Gasperi, nel 1958, veniva accusato dai liberali e dal Sole 24 Ore di aver concesso all’opposizione, in nome della giustizia sociale e del solidarismo cristiano, troppe restrizioni all’economia di mercato); parimenti, i politologi spiegavano che “si vince al centro”, e intanto vinceva la Lega. Berlusconi ha insegnato a generazioni di servitori dello Stato che l’elettore appena sente l’espressione “giustizia sociale” pensa alla patrimoniale, e non bisogna spaventare il ceto medio produttivo, sennò poi quello si offende e porta i soldi all’estero (intanto i ricchi lo facevano lo stesso, impuniti o condonati, e la politica servile e cieca creava 8 milioni di poveri assoluti). Eravamo abituati a sentire “premier” che, citando a vanvera La Pira e vantandosi di guidare “il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni”, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano coi magnati e gli squali apolidi della finanza, mentre la destra additava ai poveri i poverissimi quali causa della loro miseria, così da spezzare ogni solidarietà tra disgraziati. Non era solo questione di linguaggio: secondo alcuni leaks stranoti, la nostra Costituzione andava rivista in senso meno “socialista”, manovra peraltro tentata e per fortuna fallita. Norberto Bobbio, in Destra e Sinistra (1994), scrisse che la diade destra/sinistra va vista nell’ottica della dicotomia tra eguaglianza e diseguaglianza; per ironia crudele della sorte, l’edizione del 2014 uscì con un commento di Matteo Renzi, che dichiarava “superati” i confini stabiliti da Bobbio e li sostituiva con altri: “Aperto/chiuso”, come “dice oggi Blair. Avanti/indietro, chissà, innovazione/conservazione, movimento/stagnazione”. E invece no: la pandemia ha reso vieppiù chiaro che esiste una destra, nazionalista, individualista, antiscientifica, che difende il profitto a ogni costo ed è tarata sul singolo (persino sulla sua presunta libertà di infettare), e una sinistra che tutela la collettività e i diritti sociali, prevede l’intervento dello Stato in economia e a soccorso dell’indigenza e valuta le autonomie regionali nell’ottica di un’amministrazione pragmatica e funzionale, non di un’egemonia monetaria su questioni fondamentali di salute pubblica. Ci voleva un evento mondiale di portata catastrofica per demolire le farneticazioni su terze vie e “problemi né di destra né di sinistra”, perché se è vero che il virus non fa distinzioni di ceto, i suoi effetti sono diversi su fasce diverse della popolazione (e per fortuna il Reddito di cittadinanza dei “grillini” ha attutito il colpo per 3 milioni di cittadini), e le soluzioni per contenerlo e limitare i danni economici del lockdown sono eccome di destra o di sinistra. Ci sono gli squinternati, i minimizzatori devoti al Pil, Bolsonaro e Trump, Gallera e Fontana, “Milano non si ferma” e “Bergamo non fermarti”; oppure c’è la soluzione di Speranza e Conte di ascoltare gli esperti e adottare misure d’emergenza e di Sanità pubblica mettendo in secondo piano il Pil. Ogni terza via ambigua, come quella di Macron in Francia, si è rivelata non efficace. L’ha capito pure il premier inglese Johnson: “Non risponderemo a questa crisi con ciò che la gente chiama austerità”, e ha specificato: “Non sono un comunista”. Ci voleva tanto, per pronunciare l’indicibile: esiste un problema di distribuzione della ricchezza, di sfruttamento schiavistico del lavoro, di erosione del welfare e quindi dell’uguaglianza e della dignità umana. Questo perché la sinistra ha fallito proprio nell’interpretazione nel suo ruolo dentro la globalizzazione, omettendo di rappresentare la sua base d’elezione – i poveri, gli operai, i disoccupati, i precari, gli insegnanti – e consegnandola allegramente agli aguzzini dei finti contratti e dell’indegno salario, condividendone e ricalcandone pedissequamente il lessico e i non-ideali. Così la giustizia sociale, sotto la scure di una manipolazione progressiva, è diventata “invidia sociale”, mentre il lavoro è (ri)diventato una concessione dei padroni e il mero luogo della riproduzione della loro ricchezza, in una sudditanza psicologica che gli elettori hanno fatto pagare, da ultimo, al Pd di Renzi, il più alacre nel rinforzo ai forti col sacrificio dei deboli (vedi Jobs Act). La Lega di Salvini, che aveva preso i voti come forza di aggregazione dei popoli contro le élite e i poteri forti, si è rivelata invece una propaggine neoliberista del potere a guardia dello status quo, con, in più, innesti di furbo provincialismo finanziario. In un momento in cui i soliti rottweiler competitivisti (spesso “progressisti”) attaccano quotidianamente e con ferocia i lavoratori, il settore pubblico, il blocco dei licenziamenti e le misure di sostegno al reddito (anche con volgari spiritosaggini da bar, come fa il dottor Bonomi) e assolvono bonariamente gli imprenditori che hanno finto la Cassa integrazione per rubare soldi pubblici, Conte ha pronunciato parole-tabù, liberandole da decenni di interdizione; sarebbe bene che il M5S e il Pd le facessero proprie e le traducessero in politica vera, invece di allontanare sempre più il popolo con astratti bizantinismi identitari.

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