giovedì 11 marzo 2021

Bancarotta delle cooperative, i genitori di Renzi a processo. - Valeria Pacelli

 

Non solo Consip per T. - Padre e madre di Matteo in aula il 1° giugno.

Il 1º giugno, i genitori di Matteo Renzi si ritroveranno ad affrontare un nuovo processo. Quello che li vedrà imputati a Firenze con l’accusa di bancarotta fraudolenta di tre cooperative di cui, secondo i magistrati, Laura Bovoli e Tiziano Renzi sono stati, ma per anni passati, amministratori di fatto. Il decreto che dispone il rinvio a giudizio è stato emesso ieri mattina dal giudice dell’udienza preliminare, Giampaolo Boninsegna. È l’epilogo di un’inchiesta che a febbraio del 2019 portò Renzi senior e la moglie agli arresti domiciliari (misura revocata dal Tribunale del Riesame dopo 18 giorni).

Ieri il gup ha disposto il processo anche per altri 14 imputati, tra legali rappresentanti delle coop, componenti dei cda e imprenditori. E durante l’udienza preliminare, ha patteggiato una pena a 6 mesi di reclusione l’imprenditore ligure Mariano Massone, accusato di bancarotta fraudolenta.

Al centro del processo dunque ci sono tre cooperative: la “Delivery Service”, la “Europe Service” e la “Marmodiv”. Secondo la Procura – come ha ricostruito il pm Luca Turco nella memoria depositata in udienza preliminare – si tratta di “società cooperative” che “sono state costituite essenzialmente per consentire alla srl ‘Chil Post/Eventi6’ di avere a disposizione manodopera, senza essere gravata di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse”. “Il modus operandi adottato da Tiziano Renzi e Laura Bovoli – si legge ancora nella memoria del pm – (…) è consistito nel costituire e nell’avvalersi” delle tre cooperative, “sorte in successione temporale e ciascuna destinata all’abbandono con il proprio carico debitorio, non appena raggiunto uno stato di difficoltà economica, sostituita da una nuova cooperativa, all’uopo costituita”.

Ma vediamo quali sono le accuse mosse dalla Procura.

La bancarotta fraudolenta è il reato contestato anche ai coniugi Renzi e ad altri imputati: per quanto riguarda la Delivery Service, secondo l’impianto della Procura, con altri – tra cui Roberto Bargilli, l’autista del camper di Matteo Renzi per le primarie del 2012 e dal 2009 al 2010 componente nel Cda della cooperativa – “cagionavano il fallimento della società per effetto di operazione dolosa consistita nell’aver omesso sistematicamente di versare gli oneri previdenziali e le imposte”. Nel caso della Europe Service, dichiarata fallita nel 2018, invece, per l’accusa i Renzi con altri, “sottraevano, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e altre scritture contabili”. In entrambe le cooperative il padre e la madre di Matteo Renzi sono ritenuti, ma per gli anni passati, amministratori di fatto.

C’è poi il capitolo Marmodiv, dichiarata fallita nel marzo 2019. In questo caso ai genitori dell’ex premier è stata contestata la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti e poi l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per “consentire alla srl ‘Eventi6’ l’evasione delle imposte sui redditi”. Inoltre, secondo i pm, Renzi, Bovoli, Giuseppe Mincuzzi (presidente del Cda della Marmodiv dal 2016 al 2018) e Daniele Goglio (“amministratore di fatto dal 15 marzo 2018”) “concorrevano a cagionare il dissesto” della Marmodiv “esponendo, al fine di conseguire un ingiusto profitto, nel bilancio di esercizio al dicembre 2017, (…) nell’attivo patrimoniale, crediti per ‘fatture da emettere’ non corrispondenti al vero” per più di 370 mila euro.

E questo è il quadro accusatorio, che la difesa dei Renzi ritiene completamente infondato. “La decisione del gup era attesa visto il tipo di vaglio a cui questo è chiamato per legge – hanno affermato ieri i legali dei genitori dell’ex premier –. È però emersa già dalle carte la prova della infondatezza del castello accusatorio, il cui accertamento necessariamente dovrà avvenire in dibattimento. Confidiamo quindi di poter confutare la tesi inquisitoria in tale sede”.

Quello che dunque inizierà il 1º giugno non è l’unico processo che Tiziano Renzi e Laura Bovoli dovranno affrontare. Dovrà essere infatti discusso in Appello un altro processo in cui sono imputati: nell’ottobre del 2019 entrambi sono stati condannati a un anno e nove mesi di reclusione. L’accusa è di aver emesso tramite due società – la Eventi6 e la Party Srl – due fatture per operazioni inesistenti. Sentenza contro la quale i legali dei Renzi hanno fatto ricorso.

Il solo Tiziano Renzi ha poi un’altra grana giudiziaria da risolvere, stavolta a Roma. Il 26 aprile si terrà l’udienza preliminare di uno dei filoni dell’inchiesta Consip. Il padre del leader di Italia Viva, è accusato di traffico di influenze e turbativa d’asta in merito a due gare: l’appalto Fm4 indetto da Consip (del valore 2,7 miliardi di euro) e la gara per i servizi di pulizia bandita da Grandi Stazioni.

Per Tiziano Renzi la Procura aveva chiesto l’archiviazione, respinta dal gip. In primavera si saprà se nella Capitale il “babbo” sarà prosciolto o dovrà affrontare un processo. Come a Firenze.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/11/bancarotta-delle-cooperative-i-genitori-di-renzi-a-processo/6129485/

Ridiamo con Vauro.

 

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I vaccini ai politici-avvocati mentre gli anziani aspettano. - Giacomo Salvini

 

In Toscana molti over 80 non sanno ancora quando potranno vaccinarsi – a ieri la prima dose di Pfizer è stata somministrata solo a 43.000 anziani su un totale di 324.000 (poco più del 13%) –, ma per una settimana gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose di Astrazeneca e tra questi ci sono anche diversi esponenti politici di tutti i partiti – da Italia Viva al Pd passando per la Lega e Fratelli d’Italia – che sono al contempo iscritti all’albo dell’Ordine degli Avvocati anche se, in alcuni casi, non esercitano la professione da anni. La Toscana, interpretando una circolare del ministero della Salute, dal 19 febbraio scorso, su richiesta dell’Ordine forense, ha dato infatti la possibilità a tutto il personale giudiziario di registrarsi e ricevere la prima dose di AstraZeneca, inserendo avvocati e personale del- l’amministrazione della giustizia, cancellieri compresi, tra le categorie che, al pari degli insegnanti, forniscono un servizio essenziale. Così gli avvocati – non solo in Toscana, a dir la verità, ma in tutta Italia – hanno chiesto di essere inseriti per “difendere” dal virus le aule dei Tribunali. E, alla fine, molti amministratori ed esponenti politici che sono iscritti all’albo degli Avvocati ne hanno “approfittato”: tutto legittimo, è nelle regole, ma la questione ha scatenato una bagarre in un momento in cui la campagna vaccinale procede a rilento per alcune categorie.

Il caso che ha destato più clamore è stato quello dell’ex assessore alla Salute renziana Stefania Saccardi, oggi vicepresidente della giunta regionale, che in un post su Facebook ha ammesso di aver ricevuto la prima dose in quanto iscritta “all’albo dal 1989” ma senza specificare da quanto non eserciti più la professione. E giù sulla sua bacheca una marea di commenti indignati: “Ho 60 anni, sono paziente oncologica e cardiopatica e ancora non sono stata chiamata per il vaccino” scriveCheti. E ancora: “Ma non si vergogna un po’, non ha rispetto delle persone che non sanno dove sbattere la testa per vaccinarsi? Difendete i vostri privilegi, è una vergogna”, si sfoga Paolo.

Anche tre assessori-avvocati della giunta di Dario Nardella a Firenze hanno fatto il vaccino: Cecilia Del ReFederico Gianassi Benedetta Albanese, tutti del Pd. Quando è emerso il caso e le opposizioni – Lega e Fratelli d’Italia in particolare – hanno annunciato interrogazioni sul tema, Palazzo Vecchio ha diramato una nota per difendere i propri assessori e parlando di “rischio di deriva populista” che può portare a “pericolose campagne no vax per chi esercita funzioni pubbliche”. Ma le polemiche sui politici toscani vaccinati riguardano anche la Lega e FdI con il sindaco di Massa del Carroccio Francesco Persiani che ha ricevuto la prima dose ma anche gli assessori meloniani a Siena e Pistoia, Francesco Michelotti e Margherita Semplici. Anche il senatore fiorentino molto vicino a Matteo Renzi, Francesco Bonifazi, si è vaccinato nei giorni scorsi in quanto avvocato. A fine ottobre aveva contratto il Covid.

Dopo le polemiche la Regione Toscana ha deciso di fare marcia indietro: da lunedì è stato abbandonato il criterio delle categorie, dando la precedenza alle fasce di età e alla patologia. In una settimana però negli uffici giudiziari toscani sono stati vaccinate 8.100 persone. Ma la Toscana non è l’unica regione dove gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose.

Anche in Sicilia si è iniziato due giorni fa a somministrare AstraZeneca agli avvocati, mentre in Campania la vaccinazione partirà nei prossimi giorni. Potenzialmente, la platea relativa alle tre regioni interessata è di circa 50.000 avvocati. In Campania la giunta De Luca ha inviato una lettera agli ordini forensi regionali per avvertirli, mentre in Sicilia siamo già a un migliaio di somministrazioni. Chissà se l’assessore alla sanità siciliana, Ruggero Razza, avvocato anche lui, sarà tra i “fortunati” iscritti.

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Pallanzani. - Marco Travaglio

 

Tra i “colleghi” affetti da incontinenza delle ghiandole salivari, aveva destato un estasiato stupore il Draghi che “fa la fila al supermercato”: segno che qualcuno lo sospettava di farsi largo tra gli avventori col machete fino alle casse. Ora la stessa ammirata meraviglia si effonde su Mattarella allo Spallanzani che, prima del vaccino “attende il suo turno con gambe incrociate, mani in grembo e regolare dispositivo di protezione fpp2 assieme ai coetanei”, devoto com’è al “valore della normalità”, dunque è “uno di noi” e la sua foto “resterà nella storia” (Gabriele Romagnoli, Stampa). Evidentemente il Romagnoli si aspettava che il capo dello Stato irrompesse allo Spallanzani col bazooka spianato per saltare la fila. Che si facesse carrucolare sul tetto dal verricello di un elicottero. Che strillasse “Fermi tutti, fate largo o vi spiezzo in due, io so’ io e voi nun siete un cazzo?”. Che le mani e le gambe le mulinasse per prendere a pugni, calci e ginocchiate gli altri pazienti. O che portasse una mascherina tarocca o se la calasse per sputacchiare sugli astanti. Insomma, l’aveva scambiato per un incrocio fra il marchese del Grillo e Ivan Drago (al singolare) di Rocky IV. Sul Messaggero, Mario Ajello è incredulo e rapito per la sua “lezione a furbetti e no vax”. Pensate: “è entrato nel salone delle vaccinazioni, gli han fatto l’iniezione ed è uscito” (anziché okkupare il locale e dormire nel sacco a pelo, come le Sardine al Nazareno). Non contento, “si è seduto su una poltroncina” (non su un trono dorato, o una sedia sulle spalle di quattro corazzieri). E, “fatta la siringa, ha indossato di nuovo cravatta, gilet e giacca”, quando tutti scommettevano che sarebbe uscito in mutande a torso nudo. Queste estrose stravaganze, commesse peraltro con “semplicità e normalità”, han colto di sorpresa i suoi coscritti, che “hanno faticato a riconoscerlo: ma è Mattarella? Possibile? Così, senza i corazzieri?”. Eh sì, è andata così: o se li era scordati a casa, oppure avevano pilates.

Sono tempi sorprendenti. L’altra sera, per dire, chi si sarebbe mai aspettato che Draghi esponesse la “Grammatica del Draghismo” nel noto e raro Videomessaggio “sobrio e solenne” con “postura statica, se non fosse per il braccio e la mano destri che si muovono per sottolineare alcuni passaggi del discorso”? Noi, diversamente da Massimiliano Panarari della Stampa, non ci avevamo fatto caso. E adesso siamo qui a domandarci in ambasce: e il braccio e la mano sinistri? Reumatismi? Gomito del tennista? Paresi da freddo? Captatio a Salvini e B.? Ma no, dài. Quando, dopo la Grammatica, Draghi vorrà declinarci pure la Sintassi, vedrete che inizierà a muovere, sobriamente ma solennemente, anche la parte sinistra.

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mercoledì 10 marzo 2021

L’agenzia per i giovani dà l’appalto da 4 mln a E&Y (da cui viene la direttrice). - Stefano Vergine

 

L’ultimo appalto milionario porta la data di venerdì 5 marzo 2021. Quel giorno il gigante mondiale della consulenza Ernst & Young – un fatturato di 37,3 miliardi di dollari – ha ricevuto una bella notizia dall’Italia. Una delle sue controllate, EY Advisory Spa, si è aggiudicata la gara numero 7841608: un contratto di consulenza affidatole dalla Agenzia Nazionale per i Giovani, l’ente governativo che gestisce in Italia i programmi europei di istruzione giovanile come l’Erasmus. E proprio di questo si dovrà occupare Ernst & Young, una delle cosiddette Big Four della consulenza insieme a Deloitte, Pwc e Kpmg: aiutare l’istituzione italiana nella “gestione e attuazione dei programmi Erasmus+/Youth in action, European solidarity corps, degli analoghi programmi europei per i giovani del settennato 2021–2027 e delle iniziative proprie dell’Agenzia nazionale per i giovani”, si legge nel bando. Il tutto per un valore stimato dall’ente pubblico in 4,2 milioni di euro Iva esclusa. Fin qui niente di strano.

Da anni l’Italia, così come tante altre nazioni del mondo, affida infatti contratti di consulenza ai giganti mondiali del settore, come dimostra il controverso caso della McKinsey appena assoldata per assistere il ministero del Tesoro nella scrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’appalto assegnato lo scorso 5 marzo ad Ernst & Young ha però una particolarità. È il nome della dirigente al vertice dell’ente statale che ha affidato l’incarico alla multinazionale britannica: Lucia Abbinante. Barese, 33 anni, esperta di educazione, la direttrice generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani fino a poco tempo fa lavorava infatti proprio per Ernst & Young.

I documenti letti da Il Fatto raccontano che è stata proprio Abbinante a comunicare ai suoi ex datori di lavoro l’aggiudicazione del contratto. La commessa è stata vinta al termine di una gara d’appalto e la multinazionale londinese se l’è aggiudicata grazie a un eccellente punteggio: 98,33 su 100. Il fatto di aver affidato un contratto milionario all’azienda che fino a poco tempo fa le pagava lo stipendio deve avere però creato qualche imbarazzo alla stessa Abbinante. Lo suggerisce quello che c’è scritto sul sito internet della Agenzia Nazionale per i Giovani o, per essere più precisi, quello che non c’è più scritto. Fino a poche settimane fa, cliccando sul nome di Lucia Abbinante l’utente veniva infatti reindirizzato al pdf del suo curriculum in formato europeo, mentre adesso il sistema rimanda a una più semplice pagina web in cui sono riassunte in forma discorsiva le esperienze lavorative della dirigente pubblica.

Dieci anni come coordinatrice di Radio Kreattiva, “la prima web radio antimafia italiana partecipata dagli studenti e dalle studentesse”. I progetti sviluppati per ong internazionali come Save The Children e Terres Des Hommes. Le “docenze in comunicazione e progettazione sociale”. La collaborazione con il dipartimento per le Politiche giovanili e quello per le Pari opportunità. Fino al ruolo di consigliere dell’ex ministro per le Politiche giovanili e lo Sport, Vincenzo Spadafora, l’esponente del Movimento 5 Stelle che lo scorso 7 agosto ha nominato la giovane project manager barese alla direzione generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani con uno stipendio annuale di 317mila euro (lordi) e un incarico che scadrà nel 2023.

Di tutte le esperienze citate sulla pagina web ora attiva sul sito dell’Agenzia ne manca una. Proprio quella in Ernst & Young, dove Abbinante ha lavorato a partire dal luglio del 2018 come consulente. Mansione svolta: “Servizio di supporto specialistico e assistenza tecnica presso il Comune di Bari per l’implementazione del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane”. Contattata per un commento, la dirigente conferma di aver lavorato per Ernst & Young “fino al settembre del 2019 come consulente junior”, si dice “dispiaciuta per il fatto che sul sito dell’Agenzia non sia più riportata quell’esperienza di lavoro”, ma garantisce che “l’affidamento della gara non ha nulla che fare con il mio passato: le decisioni sulle gare vengono prese da una commissione di cui io non faccio nemmeno parte”, spiega, “e comunque Ernst & Young lavora per l’Agenzia almeno dal 2016, ben prima che io arrivassi”. Il ministero incaricato di vigilare sull’Agenzia è quello delle Politiche giovanili e lo Sport. Oggi è guidato dalla 5 Stelle Fabiana Dadone.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/10/lagenzia-per-i-giovani-da-lappalto-da-4-mln-a-ey-da-cui-viene-la-direttrice/6128300/

Il Movimento di Conte e la sua stella. - Tommaso Merlo

 

L’enorme consenso personale di Giuseppe Conte sta gonfiando i sondaggi del Movimento a dismisura da quando viene accreditato come nuovo capo politico. Con Conte il Movimento ha davvero vinto la lotteria. Prima due anni da premier-fuoriclasse come nessun dirigente del Movimento sarebbe mai stato capace di fare. Adesso il consenso che rimbalza nonostante i disastri compiuti degli stessi dirigenti. È sempre più il Movimento di Conte. Avvitato in una profonda crisi, il Movimento si è affidato al suo campione per salvarsi. Un leader incontrastato che sta lavorando dietro le quinte per riformare il Movimento e prima o poi comunicherà il suo piano. Nessuno sa ancora nulla, ma i dirigenti sono già tutti entusiasti e i sondaggi sono già schizzati alle stelle. Leadersimo salvifico. A scatola chiusa. C’è da aspettarsi che prima dell’incoronazione organizzeranno qualche assise di “signor sì” e qualche votazione online che passerà con percentuali bulgare, ma di certo non era questo il progetto originario del Movimento. I fallimentari dirigenti parlano di evoluzione e di maturazione, ma è nei vecchi partiti che i dirigenti s’inventano svolte da calare dall’alto. Il Movimento doveva funzionare al contrario e cioè erano i cittadini che evolvevano e maturavano e quindi determinavano svolte che i portavoce dovevano incarnare nei palazzi. Cambiamento dal basso, non dall’alto. Esattamente il contrario. Eppure i sondaggi premiano il Movimento di Conte a priori, senza cioè che nessuno conosca nemmeno la sua “riforma”. L’organizzazione, i contenuti, le cose da fare, la linea. Nulla. Questo perché sia i fallimentari dirigenti che i cittadini da casa si fidano e si affidano alla persona di Giuseppe Conte. Al loro leader, al loro capo salvifico. Tutto il resto è marginale. È questa una delle fotografie più nitide di come la rivoluzione anche culturale proposta dal Movimento sia rimasta sulla carta. E tutto sta avvenendo senza uno straccio di dibattito. I fallimentari dirigenti del Movimento parlano di maturazione e di evoluzione ma quello del leaderismo è in realtà un enorme passo indietro. Affidarsi a Giuseppe Conte è furbo e redditizio nel breve periodo, ma dal punto di vista democratico è un palese ritorno alla vecchia politica italiana che da sempre si affida a qualche Salvatore della Patria coi risultati disastrosi che conosciamo. Cambiano i salvifici leader che si affacciano dai balconi, cambiano le cerchie e gli slogan delle folle urlanti, ma l’Italia non cambia mai. Questo perché la storia non la fanno i leader e i loro seguiti. La storia la fanno le idee. E il Movimento era prima di tutto una idea. Non solo valori rinverditi e nuove “cose da fare”, ma anche un’idea diversa di politica e di democrazia. Più partecipata, trasparente, dal basso. E fatta da cittadini. Tutti sullo stesso livello. Uniti attorno ad un progetto. Un’idea che è riuscita ad arrivare al cuore della democrazia italiana contro ogni previsione ma che oggi è avvitata in una profonda crisi. Questo non perché l’idea del Movimento si sia rivelata cattiva. Niente affatto. L’idea del Movimento ha prodotto risultati sbalordivi. La crisi dell’idea del Movimento è solo dovuta agli uomini che hanno provato a metterla in pratica. Ce lo insegna la storia. Idee anche buone hanno fallito perché gli uomini che hanno provato a realizzarle non si sono rivelati all’altezza. E col tempo le hanno travisate o abbandonate, le hanno piegate alle bizze del loro ego oppure alle circostanze del momento. Proprio come sembra stia succedendo oggi al Movimento con la sua fantomatica evoluzione e maturazione senza uno straccio di dibattito. Col salvifico leader Conte impegnato dietro le quinte a disegnare la grande “riforma” e tutti pronti a votarla a scatola chiusa. Tutti sotto al balcone del salvifico leader fino a che la sua stella brillerà. Fino a che non si capirà che sono le idee a fare la storia.

https://repubblicaeuropea.wordpress.com/2021/03/10/il-movimento-di-conte-e-la-sua-stella/

Per l’Inps è il via libera ai furbastri di ogni tipo. - Salvatore Cannavò

 

La beffa - Dall’ente non è mai uscito alcun nome.

Raccontano fonti qualificate che all’Inps la decisione del Garante della Privacy sia stata presa male, molto male. Non certo per la multa inflitta, quanto perché vi si legge una sconfessione totale dell’operato di controllo e verifica che l’Istituto porta avanti.

La scelta del Garante, infatti, contraddice tutto il lavoro portato avanti dalla Direzione Centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza voluta nel 2019 dall’attuale presidente Pasquale Tridico. Si tratta dell’organismo che è preposto alla verifica che le prestazioni erogate siano correttamente dovute. E il senso di questa scomunica sta nel ragionamento che ai piani alti dell’Istituto viene fatto apertamente da ieri mattina: “Perché non ci hanno mai multato per il Reddito di cittadinanza o la Cassa integrazione illecita? I controlli che facciamo sono gli stessi”.

Il documento. L’ampio documento del Garante si incunea in una quantità di cavilli e norme difficili da comprendere per i più. Addentrandosi nella sua decrittazione, senza abbandonarsi alla facile lettura del comunicato stampa, si capisce che a essere contestato è l’aver avviato verifiche e controlli prima che fossero chiari i requisiti con cui poi i bonus sarebbero stati erogati. Come se i parlamentari, i consiglieri comunali, regionali etc, avessero potuto mai beneficiare di un provvedimento come il bonus. In questo caso la puntualizzazione del diritto fa a pugni direttamente con la morale.

Quanto alla violazione della privacy più in generale, si ragiona all’Inps, dall’ente previdenziale non è mai uscito alcun nome. I nomi di deputati e consiglieri vari sono emersi in seguito alle loro auto-denunce.

Il Garante contesta all’Inps che “il trattamento dei dati personali è stato effettuato in una data anteriore a maggio 2020”. All’Inps si ritiene però di non essersi mossi impropriamente perché la convinzione che quei soggetti non avessero diritto, e quindi sottoposti a controllo, è stata ampiamente avallata dal ministero del Lavoro, ente vigilante sull’Istituto. La presidenza dell’Inps, infatti, vanta il parere emesso dal ministero del Lavoro, richiesto a settembre 2020 e consegnato il 2 dicembre a firma del responsabile dell’ufficio legislativo, Giuseppe Bronzini. Il parere è molto esplicito sull’inconsistenza di quel diritto per chi riceve un’indennità paragonabile a un reddito da lavoro dipendente e che, comunque, è iscritto a una gestione previdenziale, per quanto anomala come quella che regola i vitalizi parlamentari.

Nella sanzione comminata, poi, si parla anche di una “mancata valutazione dell’impatto sulla protezione dei dati”, ma le considerazioni interne all’Inps dicono che con il senno di poi si sarebbe fatto esattamente lo stesso: prendere dati esterni pubblici e confrontare i codici fiscali, unico modo per cercare di prevenire le frodi da parte di un ente che possiede ampie banche dati, ma non le ha tutte. Certamente, non ha i dati dei parlamentari che, come è noto, hanno un regime previdenziale basato sul vitalizio, gestito direttamente dalle Camere di appartenenza.

Il recupero dell’illecito Il punto più rilevante però è che ora rischia di fermarsi l’attività di recupero delle prestazioni indebite. Nel caso dei parlamentari si tratta di 2,5 milioni di euro, ma ci sono tutti gli altri casi, molto più onerosi e per i quali nessuna critica finora è stata mossa. I dirigenti dell’Inps hanno fatto sapere alla presidenza che ora vogliono delle garanzie prima di muoversi perché “non è possibile fare i controlli sulla base delle preferenze mediatiche del Garante” che si muove sui parlamentari, ma non ha mai contestato il modo in cui colpiscono gli indebiti sul Reddito di cittadinanza. Come se ci fossero “furbetti” di serie A e “furbetti” di serie B.

Infine, vale la pena svolgere anche una valutazione politica di questa decisione, perché nel comminare la sanzione, il Garante (pagina 13 della sua “sentenza”) compie un legame diretto tra il modo in cui l’Inps si è mossa e la divulgazione dei dati a ridosso del referendum del 20-21 settembre sul taglio dei parlamentari. Come se, si insinua, l’Inps avesse voluto dare rilevanza mediatica alla vicenda per influire sul voto.

Accusa che Tridico respinge in toto, ma che potrebbe dare vita a un altro leitmotiv dell’era Draghi: la rimozione dello stesso Tridico. Il presidente del Reddito di cittadinanza e dei controlli a tappeto, potrebbe mai resistere alla restaurazione?

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