venerdì 9 luglio 2021

Festeggia la banda dei disonesti. - Gaetano Pedullà

 

È da anni che ne avevo il sospetto, ma adesso c’è la prova che la campionessa olimpionica delle supercazzole è la ministra Cartabia. Nessuno si stupisca, perciò, se ce la ritroveremo Presidente della Repubblica, ma anche Papa se deciderà di farlo, perché vorrei vedere quanti saprebbero camuffare la prescrizione con l’improcedibilità e convincere tutti che non c’è trucco e non c’è inganno. Roba che Copperfield scansate!

Così finisce alle ortiche un’altra delle bandiere di civiltà – che i corrotti con i loro partiti di riferimento fanno passare per l’esatto contrario – secondo cui chi finisce sotto processo è innocente o è colpevole, mentre in Italia ogni anno migliaia di imputati la fanno franca, con una evidente maggioranza di chi ha i soldi per pagarsi gli avvocati più abili nell’allungare quanto basta i processi.

Purtroppo la caduta del governo Conte porta in dote anche questa schifezza, e se i Cinque Stelle avessero lasciato a Draghi e alle destre totale libertà di azione ora riavremmo la stessa prescrizione che c’era prima della legge Bonafede, e pure peggio, perché Italia Viva e Forza Italia (ormai due corpi e un’anima) hanno anche protestato per l’allungamento dei termini ottenuto dai ministri del Movimento in Appello e Cassazione prima che il processo si chiuda senza una sentenza.

Può bastare per giustificare l’appoggio a un Esecutivo tanto imbarazzante? Gli attivisti Cinque Stelle – non fa differenza se più simpatizzanti di Conte o Grillo – non ne possono più di queste concessioni, anche se è chiaro che andare all’opposizione non servirebbe a niente, perché con Maghi del calibro di Draghi e Cartabia i voti per approvare queste schifezze si materializzerebbero comunque.

E senza i 5S già oggi avremmo la separazione delle carriere, le Procure che indagano sui reati che decidono i partiti (e sugli altri lasciano fare), il gran ritorno delle correnti che si spartiscono il Csm e – allargando il tiro – Berlusconi presidente della Repubblica, una tassa su chi prende il Reddito di cittadinanza e due su chi nonostante questo marciume riesce a restare onesto in un tale Paese di Pulcinella.

LaNotiziaGiornale.it

Andrea Scanzi su FB

 

È straordinaria l’involuzione totale dei 5 Stelle. Davvero straordinaria. Dall’omicidio politico del Conte 2 per mano di quello lì, non ne hanno beccata una. E ogni giorno peggiorano.
Si sono arresi a Draghi, rinunciando in partenza pure a trattare (pur avendo la maggioranza in Parlamento). Hanno spacciato Cingolani per grillino. Hanno ammainato tutte le loro battaglie identitarie (tranne il reddito di cittadinanza, ma vedrete che a breve verrà raso al suolo pure quello). Si sono ridotti all’irrilevanza più totale.
Molti parlamentari hanno accettato, o addirittura avallato, il vergognoso accoltellamento dello PsicoBeppe a Conte. Una roba da vomito, per cui Grillo dovrebbe chiedere scusa in eterno (ma ovviamente non lo farà mai). E adesso i 5 Stelle si sono arresi pure su giustizia e spazzacorrotti: la battaglia delle battaglie, per loro. Una resa patetica, ridicola, colpevole. Non solo: già che c’erano, si sono arresi pure sulle clausole obbligatorie nel Dl Dignità. Leggende.
La loro mancanza assoluta di palle, morale e dignità nei confronti di San Draghi è ormai oltre ogni mitologia immaginabile. Masochismo, sete di potere, incoerenza, dilettantismo e sindrome di Stoccolma. Siamo al top!
Non so se se ne sono accorti, ma allo stato attuale i 5 Stelle paiono oltre ogni putrefazione politica. O si ripijano (cit) in fretta o ciao core. La loro è una noiosissima agonia autoimposta, che mette un po’ rabbia e un po’ malinconia. Potrebbe salvarli solo Conte, ma molti nei 5 Stelle non lo vogliono. La lentissima mediazione dei “pontieri” (?) tra Conte e l’ormai diversamente lucido Grillo prosegue mestamente. E Conte stesso, a questo punto, nicchia.
Giustamente: con un M5S ridotto così, per Conte sobbarcarsi questa sorta di salma politica rischierebbe di risultare più una zavorra che non una spinta. Forse gli conviene andare da solo, lasciando i 5 Stelle al loro imbarazzante - nonché inspiegabile - suicidio al rallentatore.
Condoglianze.

Forza Italia. - Marco Travaglio

 

Gli unici coerenti sul Salvaladri Draghi-Cartabia sono quelli che l’hanno sempre voluto, cioè i berluscones. Tutti gli altri devono semplicemente vergognarsi. Parliamo di una controriforma nata con tre teste, una più mostruosa dell’altra. 

1) Il ritorno della prescrizione in Appello (se dura più di 2 anni) e in Cassazione (se dura più di 1) incentiva le impugnazioni e gli ostruzionismi strumentali, moltiplicando il numero e la durata dei processi. 

2) Il divieto di appello per il pm, ma non per l’imputato, è stato dichiarato incostituzionale già due volte, da Ciampi e poi dalla Consulta, quando B. ci provò col ddl Pecorella. 

3) La direttiva annuale del Parlamento alle Procure sui reati da perseguire e da ignorare è altrettanto illegittima, perché viola l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112); ma è anche indecente perché favorisce i colpevoli dei reati tipici dei parlamentari (e dei loro amici e finanziatori), che si affretteranno a escluderli. Draghi dice che ce lo chiede l’Europa. Falso come Giuda: l’Europa ci ha sempre chiesto di cambiare le regole della prescrizione e ci ha elogiati per come le ha cambiate la Bonafede (norma popolarissima, che contribuì a portare il M5S al 33% e che ora un premier senza un voto cancella con un tratto di penna).

Salvini attacca la legge Bonafede perché è roba dei 5Stelle (“per loro la prescrizione non esiste e siamo 60 milioni di presunti colpevoli”), ma l’aveva promessa anche lui alle vittime della strage di Viareggio: infatti la votò anche la Lega nel 2018-2019, altrimenti non sarebbe mai passata. Per la Serracchiani, capogruppo Pd, la controriforma è “un’opportunità irripetibile per fare una riforma di sistema che serve al Paese. Non si può restare fermi, anche per non mettere a rischio le risorse del Pnrr. È il momento delle soluzioni condivise per il bene della comunità nazionale e non dei muri ideologici che in passato hanno impedito le riforme”. È raro trovare tante falsità e scemenze in sole tre frasi. “Irripetibile” non è, visto che ripete paro paro le controriforme di B., contro cui la Serracchiani si scagliò per vent’anni (basta Google per farla vergognare). Se “serve al Paese”, perché la combatté quando la proponeva il centrodestra, privando il Paese di cotale toccasana? In nome di “muri ideologici” che “hanno impedito le riforme” a causa sua? Il Pnrr non c’entra una mazza: nessuno ha mai promesso all’Europa né l’Europa ci ha mai chiesto di ripristinare la prescrizione, di rendere l’azione penale facoltativa (a discrezione dei politici) né di abolire l’appello del pm. L’Europa ci chiede una giustizia più semplice, efficiente e rapida, quindi con meno prescrizioni, ergo senza impugnazioni né cavilli dilatori.

L’esatto opposto del Salvaladri Cartabia&C. Che andava affossato a ogni costo, anche a quello di far cadere il governo. I classici due piccioni con una fava. Visti questi cinque mesi di “migliori”, ogni giorno che passa è un danno in più. Invece i 5Stelle, partito di maggioranza relativa senza cui il governo non sarebbe mai nato e non esisterebbe più, si sono piegati anche questa volta, anziché votare contro o almeno astenersi e farsi rincorrere da chi voleva salvare la baracca. E l’han fatto nella forma più mortificante, nascondendosi dietro una fogliolina di fico esposta al primo sbuffo di vento: oltre, forse, al ripristino dell’appello del pm, l’allungamento della durata massima dei processi d’appello (3 anni invece di 2) e di Cassazione (18 mesi anziché 12) per alcuni reati, tipo la corruzione (come se le vittime degli altri reati fossero figlie della serva). Una norma chiaramente incostituzionale, che durerà fino al primo ricorso alla Consulta: la prescrizione si calcola in base ai massimi di pena e fissare regimi differenziati per reati puniti con pene simili è illegittimo. Intanto, per gli avvocati o i magistrati collusi sarà un gioco da ragazzi far durare il secondo grado 36 mesi e il terzo 18 per garantire l’impunità ai clienti o compari (bel progresso, rispetto ai 24 e ai 12 mesi di prima). E non più con la prescrizione, che in fase processuale implica un giudizio di colpevolezza e fa salvi i risarcimenti alle vittime: ma con l’“improcedibilità”, che lascia pulita non solo la fedina penale, ma pure la coscienza del criminale impunito. La Cartabia, ex presidente della Consulta, lo sa bene e ha messo nel sacco gli allocchi grillini. I quali peraltro non vedevano l’ora di cacciarvisi: ormai, in piena sindrome di Stoccolma, digeriscono anche i sassi.

Fortuna che erano entrati nel governo Draghi per “vigilare”, “controllare” e “difendere” le loro conquiste: cadute quelle sulla giustizia, dopo il salario minimo, il cashback, l’ambiente, la progressività fiscale, i poteri dell’Anac, il dl Dignità, il no al Ponte sullo Stretto e alle altre opere inutili, i concorsi nella scuola, resta solo il Reddito di cittadinanza. Che sarà raso al suolo quanto prima insieme con loro. Cose che capitano a chi, come Icaro, si avvicina troppo al sole del potere, si ritrova le ali di cera liquefatte e si schianta al suolo. L’unica cosa che in cinque mesi i 5Stelle han saputo “controllare” è il loro harahiri. A questo punto, anche se troverà un accordo con Grillo, Conte dovrà valutare seriamente se gli convenga ereditare un guscio vuoto, anzi pieno di pusillanimi che svendono ideali e princìpi per un piatto di lenticchie. O se non sia meglio costruire qualcosa di nuovo, senza zavorre fra i piedi. O, in alternativa, tornare al suo lavoro, lui che ha la fortuna di averne uno.

ILFQ

Mini-prescrizione, tempi più lunghi per la corruzione. - Lorenzo Attianese

 

Su secondo-terzo grado ipotesi improcedibilità, reato non estinto.


Velocizzare i tempi e renderli compatibili con gli obiettivi del Recovery e degli standard europei: è lo scopo della riforma della Giustizia approvata in Cdm, il cui nodo principale era rappresentato dallo stop alla prescrizione, che il Movimento Cinque Stelle avrebbe inizialmente voluto estendere a tutti i gradi di giudizio. La mediazione della ministra Cartabia ha puntato sull'inclusione dei reati contro la Pubblica Amministrazione, come la corruzione e la concussione, tra quelli con tempi processuali allungati, e l'inserimento delle condizioni di 'improcedibilità' per il secondo e terzo grado, se si sforano determinate tempistiche.

PRESCRIZIONE - La Guardasigilli propone di bloccare definitivamente la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che si tratti di assolti o condannati. Nel processo di Appello verrebbe introdotto invece il termine massimo di due anni (arriverebbe a tre in caso di reati gravi), oltre il quale si dichiarerebbe l'improcedibilità. Lo stesso termine sarebbe di un anno in Cassazione (in caso di reati gravi la proroga sarebbe di ulteriori sei mesi). Dunque nel secondo e terzo grado di giudizio, oltre quei tempi stabiliti non si estinguerebbe il reato ma si sospenderebbe il processo, di fatto bloccato. Un caso diverso dunque dalla prescrizione, dove il reato è appunto cancellato. Per i reati imprescrittibili - come quelli punibili con l'ergastolo - non sarebbero posti limiti alla durata dei processi.

TEMPI PIÙ LUNGHI SULLA CORRUZIONE - I tempi processuali vengono allungati per quanto riguarda i reati contro la Pubblica amministrazione, come la corruzione e la concussione: oltre ai tempi già stabiliti, la proroga è di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione. In ogni caso sulla corruzione non ci sarebbe alcun automatismo sull'allungamento dei termini per appello e Cassazione, di un anno o meno, perché ciò sarebbe subordinato alla particolare complessità del procedimento, dovuta al numero delle parti o delle imputazioni.

CRITERI DI PRIORITÀ - Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all'approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura.
   
APPELLABILITÀ - Si conferma in via generale la possibilità - tanto del pubblico ministero, quanto dell'imputato - di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. L'inammissibilità dell'appello avviene invece per "aspecificità dei motivi".

DURATA INDAGINI PRELIMINARI IN BASE A REATO - Il pubblico ministero può chiedere il rinvio a giudizio dell'indagato solo quando gli elementi acquisiti consentono una "ragionevole previsione di condanna". Si rimodulano i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato. Inoltre, alla scadenza del termine di durata massima delle indagini, fatte salve le esigenze specifiche di tutela del segreto investigativo, si prevede un meccanismo di 'discovery' degli atti, a garanzia dell'indagato e della vittima.

MENO UDIENZE PRELIMINARI - L'udienza preliminare è limitata a reati di particolare gravità e, parallelamente, si estendono le ipotesi di citazione diretta a giudizio. Il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna.

CASSAZIONE E CORTE STRASBURGO - Si introduce un nuovo mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Cassazione, per dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.

DIGITALIZZAZIONE - Per risparmiare tempo, si prevede che il deposito degli atti e le notifiche possano essere effettuati per via telematica.

PATTEGGIAMENTO - Quando la pena detentiva da applicare supera i due anni (il cosiddetto patteggiamento allargato), l'accordo tra imputato e pubblico ministero si può estendere alle pene accessorie e alla loro durata, oppure alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare.

QUERELE - La procedibilità a querela è estesa a specifici reati contro la persona e contro il patrimonio con pena non superiore a due anni.

PENE SOSTITUTIVE - Le pene sostitutive come detenzione domiciliare, semilibertà, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria - attualmente di competenza del Tribunale di sorveglianza - saranno direttamente irrogabili dal giudice entro il limite di quattro anni di pena inflitta. E' esclusa la sospensione condizionale.

TENUITÀ DEL FATTO - Per evitare processi per reati minimi, si delega il Governo a estendere l'ambito di applicazione della causa di non punibilità a quei reati puniti con pena non superiore a due anni.

(fotoANSA)

ANSA

Stellantis, a Termoli la gigafactory italiana. 30 mld nell’auto elettrica e nel software. 4 nuove piattaforme. - Mario Cianflone

 

I punti chiave


Parte con il botto, il mega evento EV 2021 Day di Stellantis. Carlos Taveres, ceo del gruppo nato cinque mesi fa dalla fusione tra Psa e Fca, annuncia che a a Termoli in Italia ci sarà la terza gigafactory in Europa. Stellantis investirà oltre 30 miliardi di euro entro il 2025 nell’elettrificazione e nel software. L’obiettivo è che i veicoli elettrificati arrivino a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% di quelle negli Stati Uniti entro il 2030.L'obiettivo di Stellantis è che i veicoli elettrificati «arrivino - dice Tavares - a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% di quelle negli Stati Uniti entro il 2030. E nel futuro di Stellanti ci sono quattro piattafforme per le elettriche e anche le batterie a stato solido.

La gigafactory di Termoli.

«Il fabbisogno - dice Carlos Tavares - di batterie e componenti per EV di Stellantis sarà soddisfatto grazie a un totale di cinque gigafactory in Europa e in Nord America e l’allocazione del terzo sito europeo in Italia, dopo quelli in Francia e Germania, è la conferma dell’impegno di Stellantis in Italia e della volontà dell’Azienda di continuare ad investire sul suo sistema produttivo». Secondo il gruppo, l'identificazione dell’impianto di Termoli rappresenta una scelta coerente nel contesto del percorso di Stellantis verso la completa transizione energetica, sulla scia di quanto annunciato per Douvrin in Francia e per Kaiserslautern in Germania.“Stellantis - ha detto Tavares - sta lavorando con determinazione e velocità per anticipare e supportare la transizione energetica di tutti i suoi siti industriali italiani, con l’obiettivo di garantirne la sostenibilità attraverso il miglioramento delle loro performance e per far giocare al Paese un ruolo strategico tra i principali mercati domestici del Gruppo. Il piano sarà divulgato e comunicato con un approccio graduale e al momento opportuno”, ha concluso il numero uno.

Lo stabilimento di Termoli, in provincia di Campobasso Molise attualmente ha circa 2.500 dipendenti. La fabbrica è stata aperta nel 1972 e si è specializzata nella produzione di motori e trasmissioni.

Lo stabilimento di Termoli si estende su una superficie 1,2 milioni di metri quadrati. Secondo il procedente piano di Fca (che con Psa ha dato vita a Stellantis), l’impianto di Termoli avrebbe dovuto continuare a produrre motorizzazioni tradizionali e ibride. Allo stato, non è stato ancora deciso se ci sarà una totale riconversione del sito o se la gigafactory per la produzione delle batterie affiancherà quello dei motori.

La nuova famiglia di piattaforma STLA e le sue declinazioni.

Stellantis, in particolare, ha sviluppato una nuova famiglia di architetture multiruolo battezzata STLA pronta a dar vita alla futura gamma elettrificata dei 14 brand appartenenti al gruppo. Le piattaforme sono progettate con un alto livello di flessibilità (lunghezza e larghezza) e condivisione dei componenti, creando economie di scala con cui ogni piattaforma potrà supportare fino a due milioni di unità ogni anno. Le quattro versioni della piattaforma, che ovviamente hanno elementi in comune, sono:

STLA Small, con un'autonomia fino a 500 km/300 miglia;

STLA Medium, con un'autonomia fino a 700 km/440 miglia;

STLA Large, con un'autonomia fino a 800 km/500 miglia;

STLA Frame, con un'autonomia fino a 800 km/500 miglia.

Queste quattro piattaforme che saranno l'ossatura portante dei veicoli elettrificati dei brand del gruppo sono studiate in modo sinergico, con elementi in comune, ma gli ingegneri non hanno seguito l'approccio della taglia unica, della piattaforma universale modulare stile Volkswagen, ma hanno preferito un design ad hoc per ogni categoria di auto (piccole, grandi e medie) in modo da ottimizzare i processi produttivi e ridurre i costi industriali. Le piattaforme sono infatti concepite con un alto livello di flessibilità (lunghezza e larghezza) e condivisione dei componenti, creando economie di scala con cui ogni piattaforma potrà supportare fino a due milioni di unità ogni anno.

L'autonomia e la ricarica rapida sono stati considerati fattori cruciali per l’adozione su larga scala dei veicoli a ioni di litio. Stellantis affronterà questa sfida con un'offerta di Bev (Battery electric vehicle) che raggiunge autonomie comprese tra 500 e gli 800 km, con capacità di ricarica rapida di 32 km al minuto.

I motori elettrici.

I powertrain sarà affidata ad una famiglia di tre moduli di azionamento elettrico (EDM) che uniranno motore elettrico, cambio e inverter. Questi EDM, compatti e flessibili, sono facilmente scalabili e possono essere configurati per la trazione anteriore, posteriore, integrale e 4xe (quella usata dalle Jeep elettrificate). Questo insieme di piattaforme, EDM e pacchi batteria ad alta densità energetica - spiega il gruppo - darà origine a veicoli con prestazioni eccellenti in termini di efficienza, autonomia e ricarica.

Il software e le batterie: arriva lo stato solido.

Gli aggiornamenti della nuova generazione di vetture elettriche e di veicoli commerciali leggeri utilizzerà aggiornamenti online OTA (over-the-air) come avviene per gli smartphone. Una scelta che, a partire da Tesla stanno adottando tutti i costruttori.

Inoltre, l’interfaccia utente dei sistemi di bordo e di infotainment sarà personalizzata e concepita per preservare le caratteristiche tipiche di ogni brand: una Alfa Romeo deve restare tale, non può avere i comandi di un pick-up Ram. 

I pacchi batterie saranno configurati in modo differenziato per diverse tipologie di veicoli – dalle configurazioni più piccole per le city car fino ai pacchi ad alta densità energetica destinati ai veicoli commerciali e alle vetture ad alte prestazioni.

Per il 2024 è previsto l'impiego di due tipologie di batterie in risposta alle diverse esigenze dei clienti: un'opzione ad alta densità energetica e un'alternativa priva di nichel e cobalto.

A partire dal 2026 è invece prevista l'introduzione delle batterie allo stato solido che rappresentano il futuro dell’auto elettrica. Stellantis punta a joint venture per diverse tecnologie essenziali, che vanno dall'elettrificazione dei powertrain e delle trasmissioni alla chimica e alla produzione delle celle per batterie fino al cockpit digitale e ai servizi connessi personalizzati. Queste partnership dovrebbero dare Stellantis l'opportunità di sfruttare non solo le competenze interne, ma anche le specializzazioni dei partner per accelerare l'introduzione sul mercato di nuove tecnologie e soluzioni e ottimizzare, al contempo, l'allocazione del capitale per rafforzare ulteriormente la sua competitività sul mercato.

I costi delle batterie.

L'obiettivo di Stellantis è ridurre i costi dei pacchi batterie di oltre il 40% entro il 2024 e di un ulteriore 20% o più entro il 2030. Tutti gli aspetti del pacco batterie – secondo il gruppo - possono concorrere alla riduzione dei costi: l'ottimizzazione generale del pacco, la semplificazione del formato dei moduli, l'aumento delle dimensioni delle celle e i progressi nella chimica delle batterie. Il colosso dell'auto intende massimizzare il valore delle batterie nell'intero ciclo di vita attraverso la riparazione, la rigenerazione, il riutilizzo e il riciclo e creare un sistema sostenibile, che ponga al centro le esigenze dei clienti e le tematiche ambientali. 

Le reti di ricarica.

La strategia di Stellantis per promuovere la diffusione delle reti di ricarica parte dal Sud Europa con l’obiettivo di diffondere la rete anche in Nord Europa, per poi passare al Nord America e come ulteriore tappa al Sud America. Gli obiettivi per l’Europa sono al 2025 di avere oltre 1.500 location con circa 5mila punti di ricarica veloce e per il 2030 il target è di arrivare a 9mila punti con oltre 35mila punti di ricarica veloci.

Le sinergie.

La riduzione dei costi è una priorità per Stellantis, che punta a rendere il costo totale di proprietà degli EV equivalente a quello dei veicoli con motore a combustione interna entro il 2026.

Stellantis intende diventare leader di mercato nei veicoli a basse emissioni (LEV). Da qui al 2030, il mix di veicoli a basse emissioni (ibrido a vario titolo ed elettrici) di Stellantis è destinato a crescere stabilmente in Europa oltre il 70% - 10 punti percentuali in più rispetto alle attuali ipotesi del settore sul mix del mercato generale. Negli Stati Uniti, il mix LEV di Stellantis per autovetture e veicoli commerciali leggeri dovrebbe superare il 40% entro il 2030.

L'azienda riconferma l'impegno a espandere la sua leadership nei veicoli commerciali in Europa, a rafforzare la propria posizione in Nord America e a diventare leader mondiale nei veicoli commerciali elettrici. Facendo leva sulle conoscenze e sulle sinergie disponibili, nei prossimi tre anni il percorso di elettrificazione dei veicoli commerciali si estenderà a tutti i prodotti e a tutte le Regioni, anche con l'offerta di furgoni alimentati da celle a combustibile a idrogeno entro la fine del 2021.

La roadmap di Stellantis per l'elettrificazione abbraccia l'intera catena del valore. Con la sua strategia di approvvigionamento delle batterie per i veicoli elettrici, l'azienda prevede di assicurarsi oltre 130 gigawattora (GWh) di capacità entro il 2025 e oltre 260 GWh entro il 2030. Il fabbisogno di batterie e componenti per auto elettriche al 100%sarà soddisfatto grazie a un totale di cinque gigafactory in Europa e in Nord America, a cui si aggiungeranno altri contratti di fornitura e partnership a supporto della domanda totale.

IlSole24Ore

giovedì 8 luglio 2021

Peggio del dl Biondi. - Marco Travaglio


La riforma Bonafede della prescrizione ha un pregio fondamentale: crea un automatismo che espropria gli avvocati e i magistrati del potere di allungare i processi per mandarli in fumo. Dal 1° gennaio 2020 tutti sanno che, dopo la prima sentenza, rien ne va plus: i colpevoli saranno condannati e gli innocenti assolti a prescindere dalla durata dei giudizi d’appello e di Cassazione. Sulla schedina della giustizia sparisce la X del pareggio: l’impunità ai criminali ricchi e la giustizia negata alle vittime. In nome di questo principio sacrosanto, che solo i delinquenti, i loro avvocati e le toghe colluse possono contestare, il M5S ha sacrificato i suoi governi Conte-1 e 2, che sarebbero ancora in piedi se avessero restituito ai soliti noti l’impunità perduta. Quindi non c’è un motivo al mondo per immolarlo ora sull’altare di un governo che non è più il suo e non perde occasione per umiliarlo. La controriforma Cartabia, presentata mentre l’Italia è distratta dagli Europei, è un Salvaladri molto più grave del decreto Biondi votato (e poi ritirato a furor di popolo) dal governo B. il 13 luglio ’94 mentre l’Italia era distratta dai Mondiali.

Il Salvaladri Biondi risparmiava ai delinquenti in guanti bianchi “solo” la custodia cautelare. Il Salvaladri Cartabia risparmia loro addirittura la condanna. Con una furbata che finge di mantenere la Bonafede sulla carta, ma nella sostanza la spazza via: la prescrizione resta bloccata dopo il primo grado, ma solo se il processo non dura in appello più di 2 anni e in Cassazione più di 1 anno. Così l’automatismo salta e il potere di allungare i processi fino alla prescrizione torna nelle mani di avvocati e magistrati collusi: se sanno che l’impunità per il cliente o l’amico scatta dopo 24 mesi e 1 giorno in appello e dopo 12 mesi e 1 giorno in Cassazione, quanto faranno durare il processo? Quanto basta per farlo prescrivere. Nulla – né i filtri alle impugnazioni né la reformatio in peius (la possibilità di aumentare le pene in secondo grado) – è previsto per ridurre il numero dei processi. Che, dunque, dureranno ancor di più. L’opposto di ciò che ci chiede da anni l’Europa tramite la Cedu, anzi ci chiedeva prima della Bonafede. Ed è paradossale che il sedicente governo più europeista della storia cancelli la riforma giudiziaria più europeista della storia. In ogni caso il M5S ottenne dagli iscritti il via libera a entrare nel governo Draghi anche con questo mandato: “La riforma della prescrizione ha come soddisfacente punto d’incontro politico l’accordo precedentemente raggiunto con il Pd e LeU, oltre il quale il MoVimento non è disposto ad andare”. Per andare oltre, dovrà riconsultare gli iscritti. E almeno loro non si faranno fregare una seconda volta.

ILFQ

Idrogeno verde: una soluzione energetica sostenibile, ma attenzione al greenwashing. - Francesco Suman

 

La seconda delle sei missioni del Recovery Plan è dedicata a “Rivoluzione verde e Transizione Ecologica”. Questa missione è a sua volta suddivisa in 4 componenti, la seconda delle quali è “Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile”. A questa componente sono dedicati circa 18 miliardi di euro dei circa 222 del Recovery Plan e 2 miliardi sono allocati specificamente all’idrogeno.

L’idrogeno non è esattamente una fonte di energia, bensì quello che viene chiamato un vettore energetico, cioè un mezzo che consente l’immagazzinamento dell’energia che può poi venire erogata in altre forme, come l’elettricità o la combustione. L’idrogeno in forma di molecola (H2) è però piuttosto raro sul nostro pianeta e quindi va prodotto, a partire dall’acqua con gli elettrolizzatori (che scindono tramite elettrolisi la molecola d’acqua H2O) o a partire da gas o addirittura petrolio. A certe condizioni che dipendono dal modo in cui viene prodotto, l’idrogeno può rappresentare una soluzione energetica sostenibile e può andare ad affiancare o a sostituire fonti energetiche che hanno un maggiore impatto sull’ambiente.

A novembre 2020 il ministero dello sviluppo economico ha pubblicato le linee guida preliminari della Strategia Nazionale Idrogeno, in cui vengono sintetizzati gli obiettivi, e le mosse per raggiungerli, a cui mira questa soluzione energetica nel percorso di decarbonizzazione concordato con l’Europa. Il Recovery Plan o Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha assorbito i contenuti di questo documento e di altri, come il Piano Nazionale di Intesa per l’Energia e il Clima (PNIEC) che a gennaio 2020 è stato trasmesso a Bruxelles.

Gli obiettivi programmatici sono quelli di ottenere il 2% circa della penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica entro il 2030, fino a 5 GigaWatt per una riduzione delle emissioni di 8 Mton di CO2 equivalente, e di far salire questa percentuale al 13 – 14% entro il 2050, arrivando fino al 20%

Sono previsti investimenti fino a 10 miliardi di euro nella filiera dell’idrogeno, tra produzione (5 – 7 miliardi), strutture di distribuzione e consumo (stazioni di rifornimento e mezzi, 2 – 3 miliardi) e ricerca e sviluppo di tecnologie (1 miliardo circa). Un tale contributo potrebbe portare alla creazione di 200.000 posti di lavoro temporanei e 10.000 fissi, per un apporto di 27 miliardi di euro al Pil nazionale.


Fonte: MISE, Strategia Nazionale Idrogeno, Linee Guida Preliminari, novembre 2020.

Con Nicola Armaroli, direttore di ricerca dell’Istituto ISOF (Istituto per la Sintesi Organica e Fotoreattività) del CNR di Bologna e direttore della rivista SapereScienza, abbiamo provato a capire come l’idrogeno possa andare ad inserirsi nel paniere energetico attuale, in quali settori possa dare un contributo decisivo e quali suoi utilizzi sarebbe invece bene evitare.

L’idrogeno è una soluzione promettente per i trasporti pesanti come camion a lungo raggiotreni passeggeri e navi, dove assieme ai biocarburanti potrebbe andare a sostituire progressivamente il diesel. È promettente anche per alcuni settori dell’industria pesante come la siderurgia e il petrolchimico, dove andrebbe a sostituire il carbone attualmente utilizzato. Si tratta dei settori cosiddetti hard-to-abate, ovvero caratterizzati da un’alta intensità energetica e dalla mancanza di soluzioni scalabili di elettrificazione.

Meno promettente invece è l’idrogeno per i trasporti leggeri, dall’automobile in giù fino alla bicicletta, in quanto l’elettrico si sta dimostrando, tra quelle green, la soluzione di gran lunga più competitiva e difficilmente sostituibile. Allo stesso modo non sembrerebbe vantaggioso in termini di impatto ambientale pensare a un utilizzo dell’idrogeno per il riscaldamento degli edifici, nonostante si stia discutendo di un utilizzo della rete del gas come infrastruttura in cui miscelare una percentuale di idrogeno.

Tuttavia il punto chiave è che esistono diversi tipi di idrogeno: verde, prodotto da energie rinnovabili come l’elettricità ottenuta dal fotovoltaico; blu, prodotto partendo dal metano e intrappolando la CO2 di scarto nel sottosuolo; grigio, ottenuto dal petrolio, dal gas naturale o dal carbone senza che la CO2 di scarto venga intrappolata; viola, se ottenuto utilizzando energia nucleare. Di tutte queste tipologie solo alcune sono veramente sostenibili in termini di emissioni di gas climalteranti e impatto ambientale. Altre vengono solo fatte passare per soluzioni green.

“C’è un convitato di pietra che campeggia sulla discussione sull’idrogeno, che è il cosiddetto idrogeno blu” sostiene Armaroli. “Vuol dire partire dal metano, e la CO2 che si ottiene viene stoccata nel sottosuolo. Questa è la prospettiva che le grandi aziende energetiche europee e mondiali propongono dicendo che si può fare. In realtà noi siamo indietrissimo con lo stoccaggio della CO2 e tutti i progetti di stoccaggio della CO2 di grandi dimensioni nel mondo sono andati incontro, nelle ultime settimane uno in Texas e uno in Australia, a grandissimi fallimenti. Quindi la prospettiva dell'idrogeno blu non c'è al momento, non ci sarà per lunghissimo tempo e forse non ci sarà mai. L'unica strada è l'idrogeno verde da fonti rinnovabili”.

Secondo Armaroli l’utilizzo più proficuo che si può fare dell’idrogeno vede un sodalizio tra quest’ultimo ed elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Ma “per produrre idrogeno verde in quantità significativa dovremmo avere un enorme surplus di elettricità rinnovabile che al momento non abbiamo” sottolinea. “Se vogliamo arrivare all'idrogeno nel trasporto pesante ad esempio dobbiamo incrementare enormemente la produzione dell’elettricità rinnovabile, in particolare il fotovoltaico che si presta perfettamente, perché nei picchi giornalieri produco idrogeno, poi lo tengo lì nei grandi centri di produzione e magari la sera quando tornano gli autobus li riempio. Lo stesso vale per l’industria pesante. In Italia le fonti rinnovabili coprono già quasi il 40% della domanda elettrica, ma dovremmo quintuplicarla per fare in modo di avere un eccesso di energia elettrica con cui produrre l’idrogeno di cui abbiamo bisogno e che sarebbe sicuramente una buona prospettiva”.

Nonostante le tecnologie per spingere sull’elettrificazione ci siano, le grandi aziende energetiche dispongono di una quantità di gas naturale e metano a cui non sono disposte a rinunciare facilmente. Pertanto spingono in direzione dell’idrogeno blu, ottenuto dal metano, che in realtà potrebbe essere, secondo Armaroli, idrogeno grigio, perché sono ancora molto limitate le capacità di sequestrate e mettere nel sottosuolo l’anidride carbonica. “C'è una grande spinta da parte delle aziende private – ma è normale, è un lobbysmo normale, io non mi scandalizzo di questo – per fare in modo di continuare a utilizzare metano, consapevoli che non potranno bruciarlo in eterno. Tentano allora di usarlo in un altro modo, e a rivenderlo dandogli una patina verde come materia prima per produrre idrogeno. Ecco secondo me questa è una classica operazione di greenwashing, perché non possiamo pensare di risolvere i problemi che abbiamo creato con le strategie che abbiamo utilizzato finora per creare questi problemi stessi: il metano è una componente del problema che abbiamo adesso, non possiamo continuare a usare metano, bisogna cambiare radicalmente”.

Armaroli ha le idee chiare a riguardo: “Il punto è uno solo: buona parte degli idrocarburi che noi sappiamo già esserci, trovati da qualche parte, devono rimanere dove sono, non devono venire estratti. Bisogna completamente cambiare logica. Vogliamo produrre idrogeno? Dobbiamo farlo unicamente con fonti rinnovabili altrimenti noi non ne usciamo. Abbiamo fretta, abbiamo clamorosamente fretta. Come sottotitolo del mio libro “Emergenza energia” che ho scritto l’anno scorso, ho messo “non abbiamo più tempo”. Dobbiamo fare le cose che sappiamo fare: gli elettrolizzatori sono già a buon punto, andiamo avanti lì. L’elettrificazione la sappiamo fare, andiamo avanti lì. L'efficientamento lo sappiamo fare, andiamo avanti lì”.

Nicola Armaroli, Emergenza energia - non abbiamo più tempo, edizioni Dedalo, 2020

Di seguito proponiamo la trascrizione dell’intervista completa a Nicola Armaroli.

Professor Armaroli, partirei dalle basi: che cos’è l’idrogeno, inteso non come elemento della tavola periodica ma come soluzione energetica? Che caratteristiche ha, come si produce, quali e quante tipologie di idrogeno ci sono e che impatto ambientale hanno?

L’idrogeno di cui si parla quando si parla di energia è l'idrogeno molecolare, la molecola H2. L'idrogeno è l'elemento più abbondante nell'universo però nella sua forma molecolare almeno in questo angolo di universo che si chiama Terra praticamente non esiste. Di idrogeno ce n’è ovunque, attaccato gli idrocarburi, nel nostro corpo, nella materia organica, ma è un elemento molto socievole e tende ad attaccarsi ad altri atomi, al carbonio, all'ossigeno, all’azoto.

Quello che ci serve però è l’idrogeno molecolare, che però non c’è e quindi deve essere fatto. Pertanto l'idrogeno non è una fonte di energia ma è un cosiddetto vettore energetico, cioè qualcosa che io posso fare per immagazzinare l'energia e trasformarla da una forma all'altra. Per esempio se ho degli eccessi e di energia rinnovabile posso pensare di usare questa energia per produrre l'idrogeno scindendo l'acqua, H2O, da cui estraggo l’idrogeno (il processo si chiama elettrolisi, ndr), mentre l’ossigeno lo posso rilasciare in atmosfera o comunque riutilizzare.

Il fatto è che oggi l'idrogeno per lo più non lo facciamo così, purtroppo lo estraiamo tipicamente da un'altra molecola, il CH4, cioè il metano, e così si produce CO2 che viene rilasciata in atmosfera. Più del 95% dell’idrogeno prodotto attualmente viene prodotto in questo modo: principalmente dal metano, ma anche talvolta dal petrolio o dal carbone, con l'utilizzo del vapore acqueo e dei catalizzatori. Processi di questo tipo hanno un enorme impatto sull'ambiente.

Ad esempio la produzione di ammoniaca, una molecola fondamentale per produrre fertilizzanti quindi per farci mangiare tutti quanti, richiede la produzione di idrogeno, che poi viene mescolato all'azoto dell’aria ottenendo ammoniaca. Anche in questo caso la produzione di idrogeno è ottenuta partendo dagli idrocarburi e quindi rilasciando emissioni.

Quindi questa non è la strada, perché noi abbiamo il grande problema che produciamo troppa CO2 e stiamo mandando in pallino la termoregolazione del pianeta. Bisogna cambiare strada. L’idrogeno di cui ho parlato finora, quello ottenuto da metano, viene tipicamente chiamato idrogeno grigio. Poi ci sono altri colori, quello da carbone viene chiamato idrogeno marrone, colori i brutti, che richiamano diciamo non la primavera, come invece l’idrogeno verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili e in particolare da elettricità rinnovabile. Per produrre idrogeno verde si utilizzano degli elettrolizzatori, cioè le macchine che prendono energia elettrica prodotta da fotovoltaico, eolico, geotermico, idroelettrico e producono idrogeno dall'acqua, tramite elettrolisi. Non c’è carbonio di mezzo e quindi non c'è produzione di gas climalteranti. Questa è la direzione verso cui andare.

Poi c'è anche l'idrogeno viola che è quello ottenuto con l’energia nucleare: è prodotto sempre a partire dall’acqua solo che l’elettricità utilizzata dagli elettrolizzatori viene da centrali nucleari.

Infine c'è una soluzione ibrida, il convitato di pietra che campeggia sulla discussione sull’idrogeno, che è l’idrogeno cosiddetto blu. Vuol dire utilizzare il metano, quindi non acqua, e la CO2 che si ottiene viene stoccata nel sottosuolo.

Questa è la prospettiva che le grandi aziende energetiche europee e mondiali propongono dicendo che si può fare. In realtà noi siamo indietrissimo con lo stoccaggio della CO2 e tutti i progetti di stoccaggio della CO2 di grandi dimensioni nel mondo sono andati incontro nelle ultime settimane, uno in Texas e uno in Australia, a grandissimi fallimenti.

Quindi la prospettiva dell'idrogeno blu non c'è al momento, non ci sarà per lunghissimo tempo e forse non ci sarà mai. L'unica strada è l'idrogeno verde da fonti rinnovabili.

Dopo questa tassonomia dell’idrogeno, molto colorata, le chiederei per quali impieghi è pensato l’idrogeno?

L’idrogeno ha tre potenziali impieghi. Il primo, che è il più banale di tutti e che io scarterei a priori, è quello della combustione: noi possiamo bruciare idrogeno esattamente come facciamo col metano. Siccome il metano ce lo troviamo già bello e pronto nel sottosuolo mentre l'idrogeno ce lo dobbiamo fare, utilizzare l'idrogeno per bruciarlo sarebbe una follia dato che viene prodotto con tutta questa fatica e processi di inefficienza intrinseci. La cosa che noi dobbiamo mettere in cima ai piani del Green Deal dell’Unione Europea è smettere di bruciare il più possibile: dobbiamo uscire dalla logica delle combustioni, perché i motori a combustione sono i più inefficienti di tutti. Per fare l’esempio classico di un'automobile, su 100 unità di energia che entrano nel serbatoio 80 mediamente vengono sprecate in calore perché abbiamo un motore inefficiente. Mentre con l’elettrico la situazione è ribaltata: su 100 unità di energia in una batteria, 80 unità di energia vanno alle ruote, solo 20 vengono sprecate complessivamente nel ciclo.

Il secondo possibile impiego è quello di fare elettricità, cioè noi produciamo elettricità da fonti rinnovabili, con questa produciamo idrogeno dall’acqua e l’idrogeno e lo andiamo a mettere ad esempio in una cella a combustibile. Le celle a combustibile sono quei dispositivi che stanno nelle autovetture a idrogeno, poco diffuse, che convertono idrogeno in elettricità, cioè scindono l'idrogeno nel protone (lo ione H+) e nell’elettrone. Quest’ultimo circola esternamente nel circuito esterno e va ad alimentare il dispositivo, che sia automobile o un telefono, mentre il protone va a combinarsi con l’ossigeno e genera acqua. Le fuel cells hanno un’ottima efficienza quindi questa è una soluzione desiderabile.

Poi c’è la terza che sarebbe molto importante, anzi importantissima in prospettiva, che è quella di utilizzare l’idrogeno nell’industria pesante, ad esempio nelle acciaierie che utilizzano attualmente carbone per scindere in qualche modo il ferro dall'ossigeno: bisogna fare la riduzione del ferro, si dice così. Adesso utilizziamo carbone del per ridurre gli ossidi di ferro, ma un domani potremmo utilizzare idrogeno per fare esattamente la stessa cosa dal punto di vista chimico. È possibile dunque un utilizzo massiccio dell’idrogeno verde nell’industria pesante per decarbonizzarla.

Mi soffermerei sui motori a celle a combustibile, che hanno un’applicazione nei trasporti. L’idrogeno in che modo potrebbe inserirsi come carburante nel settore dei trasporti?

Sicuramente non per il trasporto leggero, intendo automobili, moto e biciclette, perché in quel settore c'è già un concorrente formidabile che è la mobilità elettrica. Non è assolutamente pensabile che l’idrogeno possa competere dalle auto in giù verso il monopattino con l'elettrico. Le ragioni sono molteplici. La prima è che l'elettricità ha già una rete di distribuzione presente ovunque. Possiamo caricare un automobile in garage. La rete di distribuzione dell’idrogeno non esiste. Un altro motivo è l’efficienza. Se io prendo 100 unità di elettricità rinnovabile e devo far funzionare un auto elettrica nei vari passaggi io ho un po' di perdite però di 100 unità di energia elettrica prodotta dal pannello fotovoltaico alla fine 77 di queste unità arrivano a muovermi le ruote di un’auto elettrica. Se faccio la stessa operazione con un auto a idrogeno, supponiamo di avere pannello fotovoltaico, elettrolizzatore che me lo produce dopodiché idrogeno va nell'auto dove deve essere compresso a 700 atmosfere, va nella cella combustibile e finalmente produce elettricità che va a muovere le ruote, in quel caso dalle 100 unità iniziali me ne arrivano 30, meno della metà di quelle della batteria. È assolutamente impensabile e irrazionale pensare di utilizzare l’idrogeno per la mobilità leggera.

Quando però passiamo al trasporto pesante la situazione cambia radicalmente. L’idrogeno può essere una prospettiva. Per trasporto pesante intendo camion, autobus, navi perché posso pensare di produrlo in grandi centri localizzati come porti, grandi parcheggi di autobus, In modo tale da produrlo lì con fonti rinnovabili e distribuirlo lì senza bisogno di rete di distribuzione. La cosa importante in questo settore è che gli autobus, i camion, le navi fanno percorsi definiti tipicamente mentre io con l'auto onestamente non so dove andrò fra qualche giorno, probabilmente da nessuna parte perché sono in zona rossa da domani.

Facendo grandi centri produzione, evitando la rete distribuzione per far arrivare l’idrogeno in casa di tutti che è costosissimo, posso pensare di utilizzarlo. Le prospettive che io vedo sul trasporto pesante a lungo termine non domattina possono essere interessanti. Fermo restando che per produrre idrogeno in quantità significativa dovremmo avere un enorme surplus di elettricità rinnovabile che al momento non abbiamo. di un momento non abbiamo. Quindi se vogliamo arrivare all'idrogeno nel trasporto pesante dobbiamo incrementare enormemente la produzione dell’elettricità rinnovabile, in particolare il fotovoltaico che si presta perfettamente perché nei picchi giornalieri produco idrogeno poi lo tengo lì nei grandi centri di produzione e magari la sera quando tornano gli autobus li riempio.

Lo stesso vale per l’industria pesante. In Italia le fonti rinnovabili coprono già quasi il 40% della domanda elettrica, ma dovremmo quintuplicarla per fare in modo di avere un eccesso di energia elettrica con cui produci l’idrogeno di cui abbiamo bisogno e che sarebbe sicuramente una buona prospettiva.

Un aspetto critico che ha evidenziato riguarda la rete di distribuzione dell’idrogeno. Come si pensa verrà strutturata la filiera dell’idrogeno, dalla produzione allo stoccaggio, passando per il trasporto e dunque per la rete di distribuzione?

Attualmente la filiera dell’idrogeno è molto semplice: quasi tutto l’idrogeno prodotto nel mondo viene utilizzato in loco, proprio perché il trasporto dell'idrogeno è un problema. Dove sta il problema? L’idrogeno è la molecola più piccola dell'universo, ha una capacità molto spiccata di andarsi a intrufolare negli interstizi delle strutture metalliche delle condotte attraverso i quali passa. Il materiale con cui si devono fare questi condotti è un acciaio molto particolare. Il costo di quest’acciaio con gli standard di sicurezza e di produzione attuale sarebbe assolutamente proibitivo. Se noi dovessimo pensare di fare una rete dell'idrogeno distribuita quanto la rete del metano, che va dai giacimenti in Siberia o in Algeria a casa nostra, avremo un costo ripeto proibitivo.

Sento dire in giro che per il trasporto dell’idrogeno si pensa a utilizzare la rete esistente del gas. Qui bisogna essere molto chiari e onesti. Finché io penso di utilizzare un mix del 10%-20% può darsi che i metanodotti più nuovi e più controllati possano reggere. Però in questa operazione l’idrogeno lo userei per bruciarlo, che è la cosa più stupida, l'ho già detto prima: non posso fare tutta questa fatica per andare a bruciare l’idrogeno. il futuro del riscaldamento non sono le caldaie che bruciano metano o idrogeno, sono le pompe di calore elettriche, l’elettrificazione del riscaldamento, ed è questo che dobbiamo fare in ottica Recovery Plan, ed è questo che la classe politica si deve mettere in testa. Basta metano, è una strada senza fine, nel senso che non ci porta da nessuna parte. Anche perché il metano ha questo problema ignorato largamente che nel suo cammino dalla Siberia a casa nostra ha varie fasi di perdita e queste perdite non sono minimamente considerate. Sono stati fatti recentemente degli studi negli Stati Uniti, in alcune città Boston, dove si vede che le perdite della rete del gas sono molto più elevate di quello che si pensava. E il problema è che il metano è un gas serra decine di volte più climalterante della CO2 e quindi alla fine il guadagno che io ho a bruciare metano al posto del carbone me lo gioco completamente nel metano che perdo in atmosfera e va a creare effetto serra da solo, di per sé, incombusto.

Quando puoi sento dire che arriveremo a mescolare idrogeno al 50% con il gas, questa è una cosa che non si può ascoltare. Addirittura qualcuno dice utilizzare i metanodotti ad esempio il Transmed che è stato posato 45 anni fa e pensare di utilizzare 100% idrogeno con un’infrastruttura vecchia di decenni è una cosa che francamente non si può ascoltare. Vuol dire non conoscere o far finta di non conoscere gli standard di sicurezza delle condotte. Il problema è che nessuno vuole pagare e allora ci raccontiamo che possiamo usare una rete esistente. Questa è una prospettiva che non ci porta da nessuna parte.

Chi sta investendo sull’idrogeno?

Ci sono delle coalizioni, chiamiamole così, di idrogeno che coinvolgono grandi aziende di produzione e distribuzione europea. C’è n’è una di cui fa parte anche la Snam che ha prodotto anche dei report per l'Unione Europea, perché è importante che il cittadino sappia che il rapporto che parla delle prospettive dell’idrogeno in Europa è stato prodotto da aziende di consulenza private, una delle quali è diretta emanazione di Engie, la più grande azienda energetica francese. Questi report della Commissione Europea non è che sono asettici, la Commissione Europea chiama degli esperti, capita anche a me, in questo caso il report è stato fatto da aziende private. Quindi c'è una grande spinta da parte delle aziende private, ma è normale, è un lobbysmo normale, io non mi scandalizzo di questo, per fare in modo di continuare a utilizzare metano consapevoli che non potranno bruciarlo in eterno tentano di usarlo in un altro modo, ovvero rivenderlo dandogli una patina verde come materia prima per produrre idrogeno. Ecco secondo me questa è una classica operazione di greenwashing, perché non possiamo pensare di risolvere i problemi che abbiamo creato con le strategie che abbiamo utilizzato finora per creare questi problemi stessi: il metano è una componente del problema che abbiamo adesso, non possiamo continuare a usare metano, bisogna cambiare radicalmente. A un certo punto quando i problemi diventano insormontabili bisogna cambiare radicalmente logica. È difficile, è costoso, è uno sfinimento, ma bisogna farlo. Non fossilizziamoci sull’idrogeno blu perché tecnicamente non si può fare.

Tipicamente quello che si fa oggi, che è una follia, è di utilizzare la CO2 per fare il cosiddetto recupero secondario del petrolio. La CO2 va nel sottosuolo, dove ho un gas che non mi serve niente, lo nascondo sotto il tappeto. È chiaro che dal punto di vista del business questa cosa non può stare in piedi, lo capisce anche un bambino di 5 anni. Allora le aziende, con i pochi impianti che ci sono, lo spingono nel sottosuolo dentro delle rocce porose che ospitavano inizialmente petrolio o gas per far uscire più petrolio e gas: si chiama inhanced recovery degli idrocarburi. Ecco io faccio tutta questa fatica, mi costa energia, attenzione, mettere CO2 nel sottosuolo a 2500 metri di profondità come fanno a Gorgon in Australia nell'impianto che è stato chiuso 3 settimane fa.

Quindi io faccio tutta questa operazione per andare a tirar fuori del petrolio e del gas per bruciarli e produrre altra CO2, è una follia. Poi ci sono altri problemi nel mettere la CO2 nel sottosuolo: nessuno può garantire la tenuta del tappo geologico, se me ne esce anche l’1% all’anno in 100 ani l’ho rimessa tutta in atmosfera. Il problema della CO2 è già su scala secolare, prima che il ciclo del carbonio se la mangi passeranno secoli e secoli.

Inoltre quando si va a iniettare CO2 nel sottosuolo è in forma fluida supercritica e quindi ha le caratteristiche per andare, semplifico, a lubrificare delle faglie. Bisogna fare attente considerazioni dal punto di vista sismico. E quando mi vengono a parlare di iniettare la CO2 nel sottosuolo dell'Emilia-Romagna e dell'Adriatico che sono zone notoriamente sismiche mi si gela il sangue.

Il punto è uno solo ed è stato detto e ridetto. Buona parte degli idrocarburi che noi sappiamo già esserci, trovati da qualche parte, devono rimanere dove sono. È inutile spendere energie mentali economiche, e energia vera e propria, per continuare a incaponirci sulla CO2. Bisogna completamente cambiare logica. Vogliamo produrre idrogeno? Dobbiamo farlo unicamente con fonti rinnovabili altrimenti noi non ne usciamo mai da questo problema.

La soluzione che lei caldeggia è l’idrogeno verde, ottenuto con elettrolizzatori a partire dall’acqua. A che punto è la ricerca e lo sviluppo degli elettrolizzatori?

Noi eravamo coinvolti come gruppo di ricerca in un consorzio che c'è ancora e che si chiamava Sunrise e adesso si chiama Sunergy, dove c’erano tante aziende tra cui ad esempio la Siemens. La tecnologia è già abbastanza avanzata. Uno dei problemi della tecnologia è che l’elettrolizzatore non ama molto il fatto dell'intermittenza, uno dei fattori da considerare quello. Però certamente la tecnologia degli elettrolizzatori è enormemente più avanti della tecnologia che non porta nessuna parte del sequestro di CO2. Sicuramente entro i prossimi 10 anni possiamo avere un dispiegamento di elettrolizzatori molto interessante in Europa anche e soprattutto di produzione europea perché l’Europa è molto avanti con questa tecnologia, in modo tale che si riesca a gestire la produzione intermittente e si riesce a gestire in grandi centri produttivi l’idrogeno e fare idrogeno verde. Questa è un'ottima soluzione.

Aggiungo una cosa importante: abbiamo poco tempo per agire. L'Unione Europea dice che al 2030 vuole abbattere le emissioni del 55% rispetto al 1990, cioè nei prossimi 10 anni dovremo fare meglio, per abbattimento di CO2, di quanto non abbiamo fatto negli ultimi 30 anni. E nel 2050 la neutralità climatica. Abbiamo fretta, abbiamo clamorosamente fretta. Come sottotitolo del mio libro “Emergenza energia” che ho scritto l’anno scorso, ho messo “non abbiamo più tempo”. Dobbiamo fare le cose che sappiamo fare: gli elettrolizzatori sono già a buon punto, andiamo avanti lì. L’elettrificazione la sappiamo fare, andiamo avanti lì. L'efficientamento lo sappiamo fare, andiamo avanti lì. Facciamo in fretta e tantissimo le cose che sappiamo fare e finanziamo la ricerca su quelle che non sappiamo ancora fare, ad esempio le varie tecnologie di sequestro della CO2 ce ne sono di più intelligenti rispetto a iniettare la CO2 nel sottosuolo.

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