venerdì 30 luglio 2021

Scartabia. - Marco Travaglio

 

Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Già il fatto di porsi questa domanda su un governo che ha tentato fino all’ultimo di mandare al macero centinaia di migliaia di processi per reati gravissimi segnala il livello criminale delle classi dirigenti che lo esprimono.

Comunque la risposta è: più pieno che vuoto. Il compromesso al ribasso che salvava solo i processi per associazione mafiosa e voto di scambio, condannando all’improcedibilità tutti i delitti “strumento” dei clan – corruzione, estorsione, usura, riciclaggio, turbativa d’asta, truffa, frode, traffico di droga, armi, rifiuti tossici, prostituzione ecc. – è stato evitato dall’intransigenza di Conte, in una trattativa che partiva disperata: i processi d’appello per tutti i reati con l’aggravante mafiosa potranno durare 6 anni fino al 2024 e poi 5. E quelli per associazione mafiosa, voto di scambio, terrorismo, droga e reati sessuali avranno proroghe senza limiti. In più la sabbia nella clessidra inizierà a scendere non alla sentenza di primo grado, ma 90 giorni dopo.

Per gli altri processi d’appello, gli anni non sono più i 2 voluti dalla Cartabia, ma 3+1, poi scenderanno di 1 solo se l’apposito Comitato tecnico dirà che il sistema è pronto. Non solo: se si riapre l’istruttoria dibattimentale per nuovi atti d’indagine o interrogatori, la clessidra si ferma: così i 3+1 o i 2+1 valgono solo per i processi che ridiscutono carte e sentenze di tribunale; per gli altri il termine sale.

Resta lo scempio (sia pure annacquato) del Parlamento che indica alle Procure i reati prioritari, ma lì si spera che intervenga la Consulta; e l’obbligatorietà dell’azione penale tutela ogni pm che osi indagare sui delitti “fuori menu”.

I pericoli peggiori (anche se non tutti) della schiforma Cartabia sembrano sventati: basta confrontare il testo originario con quello stravolto dall’accordo di ieri. I 5Stelle, dopo mille cedimenti e sbandate, ridanno agli elettori un motivo per votarli. Lega, FI e i renziani del Pd e di Iv si confermano i santi patroni dell’impunità. Ma questo già si sapeva, anche se il M5S, la parte sana del Pd e Leu dovrebbero prenderne atto.

A uscirne con le ossa rotte sono la cosiddetta ministra della Giustizia e Draghi che, o per malafede o per incompetenza (non si scappa: delle due l’una), hanno fino all’ultimo negato l’evidenza e tentato di imporre un testo che tutti gli addetti ai lavori (oltre al Fatto) giudicavano un Salvamafia&ladri. Una Guardasigilli che nega in Parlamento qualsiasi effetto sui processi di mafia e poi ingoia quel po’ po’ di eccezioni imposte da Conte sui reati di mafia (416bis, 416bis.1 e 416ter), dovrebbe scusarsi e dimettersi. Da ieri è ufficiale che o non sa quel che dice, o ci ha provato e le è andata male. Altro che aspirare al Quirinale: dovrebbe andarsene a casa.

ILFQ

Vaccinazione con doppia dose: l’epidemia si può fermare così. - M.T. Island

 

Non siamo fuori dall'emergenza, anzi siamo nel pieno di una nuova fase di crescita dei casi, ma i dati internazionali di chi ha vaccinato più di noi fissano due obiettivi chiari: con il 55-60% circa della popolazione protetta con doppia dose l’epidemia inizia a rallentare. Di conseguenza con l'80% circa potremmo arrivare all'immunità di gregge e al pieno controllo della Covid-19 causata dalla variante Delta. Il traguardo è a portata di mano e dobbiamo tagliarlo in fretta, sicuramente prima dell'autunno e della piena ripresa delle attività (scuole incluse).

In questa analisi toccheremo i vari punti utilizzando due diverse chiave interpretative: la teoria, per la quale esistono certezze, e la pratica, per la quale vivendo di incertezze dovremo affidarci in particolare a confronti internazionali. Tenendo sempre presente che le previsioni, soprattutto in presenza di un virus nuovo come il Sars-CoV-2, sono un esercizio difficile e ad alto rischio. Questo non significa che la scienza sbaglia, come è fin troppo facile sostenere, ma piuttosto che impara dai propri errori e si corregge. E che proprio grazie a questi continui aggiustamenti arriva al risultato finale.

La situazione attuale dell'epidemia.

Come abbiamo anticipato a partire da metà luglio (anche grazie al commento “I numeri della settimana”) siamo nel pieno di una fase di forte crescita dell'epidemia. La variante Delta è caratterizzata da una rapidità diffusionale di almeno il 60% superiore a quella della vecchia variante Alfa (ex inglese) ormai soppiantata anche nel nostro Paese.

La settimana epidemiologica 17-23 luglio, l'ultima completa mentre scriviamo, si è chiusa con un totale di 26.321 nuove infezioni individuate: l'incremento rispetto al periodo precedente (10-16 luglio) è del 106,8%, che conferma un tempo di raddoppio dei casi compreso tra 6 e 7 giorni. Una rapidità anche maggiore di quella (14 giorni) a cui abbiamo assistito a inizio maggio in Uk. Ossia quando, nei Paesi del Regno Unito, si è verificata l'inversione della curva del contagio nonostante un livello di vaccinazioni apparentemente già molto elevato: 35% della popolazione protetto con doppia dose e 54% con “almeno” la dose singola.

Numeri adeguati per affrontare la variante Alfa, che infatti aveva iniziato a declinare rapidamente già con questo livello vaccinale, ma insufficienti per contrastare un virus più veloce e diffusivo come il Sars-CoV-2 nella variante Delta.

Un aspetto importante, che rende particolarmente efficace il confronto dei dati italiani con quelli britannici, è che il momento di inversione della curva nel nostro Paese si è verificato a inizio luglio, con dati vaccinali quasi esattamente sovrapponibili a quelli del Regno Unito di inizio maggio. Anche per noi, dunque, si è confermata l'impossibilità di fermare la variante Delta con lo stesso livello di protezione che aveva tenuto a bada la variante Alfa.

Torniamo rapidamente ai dati dell'ultima settimana epidemiologica: i casi quotidiani hanno raggiunto una media di 3.760 (erano 1.817 la settimana precedente); i ricoverati nei reparti di medicina generale sono saliti dai 1.088 del 16 luglio ai 1.304 del 23 luglio (e attualmente sono in una fase di crescita più consistente); i nuovi ingressi in terapia intensiva (70) hanno iniziato a registrare un incremento sensibile (+29,6% sui 54 della settimana precedente).

Stiamo assistendo, solo con una rapidità maggiore rispetto alle ondate precedenti, alla classica manifestazione temporale delle fasi espansive della Covid-19: prima aumentano i nuovi casi (lo stiamo vedendo da inizio luglio); poi i ricoveri nei reparti ordinari (iniziamo a vederlo chiaramente adesso); poi aumenteranno anche i posti letto occupati in area critica (per ora registriamo l'aumento dei nuovi ingressi, che fino a pochi giorni fa era ancora compensato dalle uscite). Nulla di inatteso quindi, se non per la rapidità estrema che conferma tutta la pericolosità della nuova variante.

La rapidità del contagio inizia a frenare.

Anche questa era una situazione attesa: abbiamo sottolineato più volte come, dopo una prima fiammata, anche l'epidemia italiana avrebbe probabilmente rallentato per portarsi a un tempo di raddoppio dei nuovi casi intorno ai 14 giorni, come già visto in Uk. Questa dinamica sta iniziando a manifestarsi dall'inizio della settimana epidemiologica in corso: mentre scriviamo la crescita è contenuta nel 47,5% contro il 106,8% della settimana epidemiologica precedente, e avvicina il tempo di raddoppio dei nuovi casi ai 14 giorni che abbiamo appena ricordato. Si tratta di un aspetto tutt'altro che secondario, perché ci permetterà di arrivare al momento di picco con un numero di casi più basso rispetto a quello che avremmo raggiunto con il tempo di raddoppio della scorsa settimana.

Come vedremo più avanti in dettaglio, il momento di inversione della curva del contagio è strettamente legato al livello di dosi somministrate, e in Italia è collocabile indicativamente verso la fine di agosto.

Cosa dicono i dati internazionali.

Per capire cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane possiamo osservare l'andamento epidemico in Paesi che ci precedono temporalmente, e che hanno un livello di copertura vaccinale superiore al nostro. In particolare abbiamo considerato Regno Unito (numeri aggregati), Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord con i dati consolidati del 25 luglio. Prima di procedere ricordiamo che l'Italia, alla data del 28 luglio (ultima disponibile mentre scriviamo) aveva vaccinato con dose doppia il 52,3% della popolazione, includendo però nel conteggio anche 906.947 soggetti che hanno contratto la malattia e che hanno effettuato una dose di richiamo. Senza questa “aggiunta” i vaccinati con doppia dose sarebbero il 50,8% della popolazione: lo segnaliamo per rendere uniforme il confronto con Paesi che usano un diverso criterio di conteggio delle vaccinazioni, escludendo dai vaccinati “a ciclo completato” i soggetti che hanno contratto l'infezione per via naturale e che hanno ricevuto una sola dose di richiamo.

Uk (dati aggregati): 55,9% della popolazione vaccinata con doppia dose, 69,9% con almeno la dose singola. I nuovi casi, che sulla spinta della variante Delta avevano ripreso a crescere da inizio maggio, sono in calo dal 21 luglio scorso.

Disaggregando i dati del Regno Unito troviamo:

Inghilterra: 55,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 69,9% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 21 luglio.

Scozia: 56,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 73,3% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 4 luglio.

Galles: 63,8%% della popolazione vaccinata con doppia dose; 73% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 20 luglio.

Irlanda del Nord: 53,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 63,5% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 25 luglio.

Come vediamo anche in Paesi con caratteristiche molto simili la manifestazione dell'epidemia non è esattamente sovrapponibile. Per cercare una possibile spiegazione possiamo considerare un altro dato, quello della densità della popolazione, che con una maggiore o minore concentrazione degli abitanti può favorire o sfavorire la diffusione del contagio: Scozia 66 abitanti per chilometro quadrato; Irlanda del Nord 133; Galles 281; Inghilterra 462. Per avere un confronto immediato ricordiamo il dato dell'Italia (196).

Dai numeri appena esposti, a prima vista troviamo nella bassa densità della popolazione una spiegazione al calo precoce della Scozia: dove la curva del contagio si è invertita a inizio luglio, in anticipo sugli altri Paesi. Ma questa tesi viene smentita guardando i dati dell’Irlanda del Nord, che nonostante una densità della popolazione più bassa rispetto a Inghilterra e Galles ha dovuto attendere fino al 25 luglio (ultimo Paese del gruppo) per registrare il calo dei nuovi casi individuati. Per contro osserviamo che proprio l'Irlanda del Nord, con il 53,7% della popolazione vaccinata con doppia dose, mostra il livello più basso di copertura vaccinale completa tra tutti i Paesi del Regno Unito. Possiamo quindi ipotizzare che l'inversione della curva del contagio sia correlabile al livello raggiunto di copertura completa della popolazione, e che avvenga in un range collocabile tra il 55 e il 60%.

Le proiezioni dell'epidemia in Italia.

Non siamo lontani da questo traguardo, che potremmo raggiungere entro poche settimane: in particolare, se consideriamo una media di 500.000 vaccinazioni al giorno (restando in linea con quanto fatto nelle ultime settimane) delle quali 300.000 circa destinate alla somministrazione delle seconde dosi, arriveremo al 55% della popolazione vaccinata entro la prima settimana di agosto, e al 60% nella seconda decade di agosto. Se dovessimo replicare la tendenza emersa in Uk, e confermata dall'analisi separata dei singoli Paesi che ne fanno parte, avremmo una crescita dei nuovi casi almeno fino alla seconda metà di agosto, quando si potrebbe manifestare l'inversione della curva epidemica.

Questa ipotesi temporale conferma peraltro quanto emerge dalle proiezioni statistiche, che indicano il possibile picco epidemico proprio nell'ultima parte del mese di agosto. Come abbiamo visto la fase di rallentamento della crescita potrebbe essere già iniziata, e si manifesta con un incremento del tempo di raddoppio dei casi (da 6-7 a 14 giorni): se tutte le ipotesi precedenti trovassero conferma potremmo raggiungere il picco della fase attuale intorno al 20-30 agosto, dopo aver raggiunto un livello massimo di nuove infezioni intorno ai 15.000 casi. Un livello inferiore a quello (30.000) che solo una settimana fa i numeri disponibili proiettavano per la fine di agosto.

A causa dello sfasamento temporale delle curve dei contagiati, ricoverati, ricoverati in area critica e decessi, assisteremo probabilmente a una crescita dei ricoverati fino a inizio settembre, delle terapie intensive fino a metà settembre e dei decessi fino a fine settembre. Prima che, in seguito alla riduzione del contagio, si arrivi all'inversione di rotta anche per questi parametri.

Considerando i dati Uk (tasso di letalità dell'ultimo periodo 0,45%, rapporto ricoverati/casi totali 2,0%) e parametrandoli su un picco atteso di 15.000 casi giornalieri, in Italia potremmo arrivare a un massimo di 300 nuovi ricoveri e di 67 decessi giornalieri. Non ci sono ovviamente certezze in proposito, ma se così fosse l'impatto sarebbe praticamente dimezzato rispetto alle stime basate sui numeri e sulla dinamica epidemica di due settimane fa (600-650 ricoveri e 140-150 decessi).

Siamo in una fase di difficile interpretazione, caratterizzata da oscillazioni fortissime che influiscono direttamente sulle stime del contagio: basti pensare che in Italia, più che un picco vero e proprio, è attesa una fase di plateau come accaduto in passato. Mentre, osservando i dati del Regno Unito, il momento di picco è individuabile con estrema precisione in un giorno singolo.

Le condizioni perché si verifichino queste ipotesi sono legate alla prosecuzione della campagna vaccinale con i ritmi attuali e alla manifestazione epidemica entro i parametri che abbiamo illustrato per Uk (il range dello scostamento possibile varia dalla situazione della Scozia a quella dell’Irlanda del Nord).

Perché è importante la seconda dose.

I dati che arrivano dagli studi condotti sull'efficacia del vaccino sono molto confortanti e testimoniano, come vedremo, la drastica riduzione delle complicanze nei soggetti che hanno ricevuto una doppia dose. Dobbiamo però partire da un dato preliminare: contro la variante Delta i vaccini in uso, dopo la somministrazione della sola prima dose, hanno un'efficacia limitata per quanto riguarda la possibilità di contrarre l'infezione. La riduzione del rischio, infatti, è di poco superiore al 30%: questo significa che il Sars-CoV-2 continua a circolare con una buona efficienza anche tra i soggetti protetti parzialmente, generando nuovi contagi e allargando la base dei positivi totali.

Dopo la seconda dose la situazione cambia in modo radicale, e per verificarlo possiamo ricorrere a dati italiani, recentemente pubblicati dal nostro Istituto superiore di Sanità:
1) Il ciclo completo di vaccinazione (doppia dose o vaccino monodose) protegge dal rischio di infezione, in base alla fascia di età, con valori compresi in un range tra il 79,8% e l'81,5%.
2) Il ciclo completo di vaccinazione, contro il rischio di ricoveri nei reparti di medicina generale e sempre in base alla fascia di età, ha un'efficacia compresa tra il 91,0% e il 97,4%.
3) Il ciclo completo di vaccinazione, nelle fasce di età fino a 59 anni, ha un'efficacia del 100% contro il rischio di ricovero in terapia intensiva e resta su livelli molto elevati (96,6%) anche tra i soggetti over 80.
4) Il ciclo completo di vaccinazione, nelle fasce di età al di sotto dei 59 anni, ha un'efficacia del 100% contro il rischio di morte. Con performance elevatissime anche al di sopra dei 59 anni; 98,7% nella fascia 60-79 anni e 97,2% tra gli over 80.

In sintesi, la doppia dose funziona in modo eccellente ed è in grado di limitare (purtroppo non di eliminare) la circolazione del virus sul territorio. Lo scudo del vaccino risulta ancora più evidente dai dati dell'ultimo Rapporto sui decessi pubblicato dall'Iss (si veda in particolare l'ultima pagina). Dei 35.776 decessi “Covid positivi” registrati tra il 1° febbraio e il 21 luglio 2021, solo 423 hanno riguardato soggetti che avevano completato il ciclo vaccinale: ovvero l'1,18% del totale. Inoltre è corretto registrare che l'età media dei deceduti nonostante la doppia dose è di 88,6 anni, contro una media di 80 anni da inizio epidemia; e che i deceduti presentavano una media altissima (5) di patologie concomitanti. Due elementi che testimoniano come il rischio, nei soggetti con ciclo vaccinale completo, sia legato a situazioni cliniche estremamente complesse in soggetti di età molto avanzata.

Per completezza di informazione segnaliamo che l'Iss ha preso in considerazione i soli numeri successivi al 1° febbraio 2021, e non precedenti, perché quella data coincide con la fine del periodo di 5 settimane necessario per il completamento dei primi cicli vaccinali dopo l'avvio della campagna di immunizzazione, che in Italia è stata avviata il 27 dicembre 2020.

Tutti questi numeri confermano l'utilità, o meglio l'indispensabilità, della seconda dose di vaccino: con la sola prima dose il virus può circolare ancora efficacemente, e anche i soggetti immunizzati con dose singola possono essere veicolo di infezione. Dopo la seconda dose, non solo diminuisce in modo sensibile come abbiamo visto il rischio di contrarre l'infezione; ma le osservazioni in corso testimoniano anche una bassissima capacità dei positivi immunizzati di trasmettere l'infezione ad altri soggetti. Un fattore di progressiva demoltiplicazione che giocherà un ruolo chiave nel contenere la diffusione del Sars-CoV-2.

Il traguardo da raggiungere: l'immunità di gregge.

Siamo arrivati all'ultimo aspetto da considerare, ovvero l'immunità di gregge: che, come abbiamo visto in passato, secondo la teoria non è raggiungibile. Ne riassumiamo brevemente i motivi. Per il calcolo teorico dell'immunità di gregge si utilizza la formula 1-1/R0 (R0 indica la “velocità” diffusionale del virus in assenza di contromisure). La variante Delta viene accreditata di un R0 di 8,0, ma considerando le stime più conservative possiamo limitarci a un 5,0. Quindi dobbiamo calcolare: 1-1/5. Dalla divisione otteniamo 0,2. Procediamo con la sottrazione (1-0,2) per arrivare al risultato finale: 0,8. L'immunità di gregge teorica è fissata all'80% della popolazione immunizzata con doppia dose.

Per calcolare come arrivare a questa soglia grazie alla campagna vaccinale dobbiamo introdurre un secondo elemento, ovvero la reale efficacia dei vaccini contro l'infezione: che non arriva al 100%, come abbiamo visto, ma secondo i dati dell'Iss si ferma all'80% (range tra il 79,8% e l'81,5% in base alla fascia di età).

Il calcolo della copertura minima vaccinale si effettua dividendo l'immunità di gregge teorica per l'efficacia del vaccino: nel nostro caso 0,80/0,80. Il risultato (1,0) ci dice che per arrivare all'immunità di gregge dovremmo vaccinare il 100% della popolazione, cosa ovviamente impossibile. A questo punto ci viene però in soccorso la pratica, che utilizza come punto di partenza la teoria e la adatta alle situazioni che si presentano sul campo.

Sulla base delle stime epidemiologiche che deriviamo dai dati del Regno Unito, sappiamo infatti che il primo effetto di rallentamento del contagio si manifesta su livelli molto più bassi (il 60% della popolazione protetto con doppia dose): questo grazie all'effetto combinato dei vaccinati e degli immunizzati in modo naturale, in quanto hanno contratto l'infezione e sviluppato gli anticorpi. In Italia i positivi individuati ufficialmente sono il 7,5% della popolazione, ma è comunemente accettata la stima che indica in un numero “almeno doppio” gli italiani venuti a contatto con il Sars-CoV-2. La parte ignota dell'infezione è legata all'alto numero di asintomatici, che nel nostro Paese restano spesso nascosti a causa del basso numero di test eseguiti (un quinto circa rispetto a Uk).

Per semplicità possiamo stimare un 15-20% della popolazione italiana già immunizzata per via naturale: di questi una parte sono stati individuati ufficialmente, e una parte è stata comunque sottoposta a vaccinazione perché non era nota l'infezione pregressa. Non conoscendo con esattezza i numeri in gioco, che peraltro sono anche in questo caso molto simili a quelli del Regno Unito, possiamo stimare che la soglia del 60% della popolazione protetta con doppia dose corrisponda nella realtà a un 75-80% della popolazione in grado di opporre una risposta immunitaria alla Covid-19 (sommando vaccinati e immunizzati in modo naturale). Dell'efficacia di questo effetto combinato nel frenare l'infezione abbiamo certezza, grazie ai dati che mostrano il punto di inversione della curva nel Regno Unito. Spostando un po' più in alto l'asticella possiamo stimare che, arrivando a vaccinare con doppia dose il 75-80% della popolazione, non solo arriveremmo a ridurre tutti i principali parametri dell'epidemia, ma probabilmente raggiungeremmo quell'immunità di gregge “pratica” a cui tanto miriamo.

Non è un obiettivo facile, ma è l'obiettivo da raggiungere per mettere sotto controllo la variante Delta. E potremmo arrivarci prima della fine dell'anno in corso, godendo tra l'altro dei vantaggi del rallentamento della curva che si dovrebbe manifestare, come abbiamo visto, già tra fine agosto e inizio settembre.Per questo sarà importantissimo procedere il più rapidamente possibile con le vaccinazioni, accompagnando la campagna con il mantenimento di alcune misure precauzionali che facciano da ulteriore argine all'infezione e alla malattia che potenzialmente ne consegue.

In tal senso deve essere letta la decisione di imporre il “green pass” come documento indispensabile per poter accedere a una gamma crescente di servizi. Da un punto di vista epidemiologico la scelta di concederlo dopo una singola dose è molto debole, un po' come la riduzione del rischio di infezione che segue la sola prima somministrazione. Ma ha il merito di avviare sul percorso vaccinale molti soggetti indecisi, che a quel punto avranno anche tutto l'interesse a completare il ciclo di immunizzazione: capace, come abbiamo visto, di azzerare o quasi il rischio di decesso a causa di una malattia che finora ha generato oltre 127.000 morti.

In conclusione

Fissiamo alcuni punti fermi per il nostro prossimo futuro:
1) Al raggiungimento del 60% circa della popolazione protetta con doppia dose, sulla base delle evidenze che stanno emergendo in Uk, potremmo avere una prima inversione della curva del contagio.
2) Dopo l'inversione della curva dei contagi giornalieri vedremo crescere ancora per 1-2 settimane il numero dei ricoverati; per 2-3 settimane il numero delle terapie intensive; per 3-4 settimane il numero dei decessi.
3) Al raggiungimento del 75-80% della popolazione vaccinata con doppia dose dovremmo ottenere l'immunità di gregge, grazie alla somma con un numero consistente di soggetti (il 15% circa della popolazione) che hanno contratto la malattia e sono quindi immunizzati per via naturale.

Si tratta ovviamente di stime e ipotesi, quindi suscettibili di errori e variazioni in base all'andamento epidemico. Ma soprattutto di stime basate sulla circolazione della variante Delta e sull'efficacia dei vaccini in uso nel fermarne la diffusione e ridurne le ricadute cliniche. Se arrivasse una nuova variante tutti i calcoli dovrebbero essere rivisti: con la certezza, però, di poter aggiornare rapidamente i vaccini (in particolare quelli a mRna).

La battaglia è ancora lunga e tutt'altro che finita; ma, forse per la prima volta, vediamo davvero una luce in fondo al tunnel nel quale ci stiamo dibattendo da inizio 2020.

IlSole24Ore

giovedì 29 luglio 2021

Riforma Cartabia, il nuovo emendamento del Governo salva i colletti bianchi della mafia. Cinque stelle: “Su questo non si transige”.












Nessuno stop all'improcedibilità, ma soltanto "ulteriori proroghe" a discrezione del giudice. Dall'elenco però restano fuori i reati commessi avvalendosi dell'organizzazione mafiosa o al fine di agevolarne l'attività: ad esempio l'estorsione, la corruzione, il riciclaggio, il sequestro di persona, il favoreggiamento (come quello di cui era accusato l'ex governatore della SiciliaTotò Cuffaro).

Nessuno stop all’improcedibilità, ma soltanto “ulteriori proroghe” alla durata dei processi più complessi, di non più di un anno (in Appello) e sei mesi (in Cassazione) ciascuna, per una serie di reati: quelli di associazione mafiosa e terroristica, il voto di scambio politico-mafioso, le ipotesi di violenze sessuali e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Non è incluso però l’articolo 416-bis.1 del codice penale, che prevede l’aggravante per i reati commessi avvalendosi dell’organizzazione mafiosa o al fine di agevolarne l’attività: ad esempio il tentato omicidio, l’estorsione, la corruzione, il riciclaggio, il sequestro di persona, il contrabbando, il favoreggiamento (come quello per cui è stato condannato a 7 anni di carcere l’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro) o il depistaggio (come quello delle indagini sulla strage di via d’Amelio, per cui si indaga a Caltanissetta).

Ecco il contenuto più importante della bozza di accordo sulla riforma del processo penale in discussione in queste ore. In sostanza si escludono dall’ampliamento dei termini i reati dei “colletti bianchi della mafia“, che restano soggetti alla ghigliottina dopo tre anni in Appello e 18 mesi in Cassazione. Ed è questo il punto decisivo, su cui sono più forti le resistenze del Movimento 5 Stelle che valuta l’astensione in Cdm. “I processi che riguardano i reati del 416-bis.1, che agevolano l’attività delle associazioni di tipo mafioso o si avvalgono dell’appartenenza alla mafia oltre al concorso esterno, non possono concludersi con un nulla di fatto. Cioè sulla mafia non si transige“, spiegano fonti grilline all’AdnKronos.

La mediazione studiata dal premier Draghi e dalla ministra Cartabia è diversa da quella aspettata e chiesta dal M5s. Nella bozza non viene ampliato il novero dei reati per cui è esclusa l’improcedibilità, che rimangono soltanto quelli puniti con l’ergastolo. Si stabilisce invece che le possibili proroghe (singole) di un anno e di sei mesi “quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso“, già previste per un elenco di reati, siano estese alla generalità dei processi. E che possano essere concesse potenzialmente all’infinito nei procedimenti per associazione mafiosa, terrorismo, violenza sessuale e traffico di stupefacenti. Contro il “fine processo mai” per questi reati, secondo Repubblica, hanno insistito in particolare il Pd e Forza Italia, che già stamattina con Antonio Tajani aveva chiesto “correttivi garantisti”. Ok anche dalla Lega per bocca di Matteo Salvini Giulia Bongiorno. Accolto anche il cosiddetto “lodo Serracchiani”: per consentire al sistema di andare a regime, i processi nati dalle impugnazioni svolte fino al 31 dicembre 2024 possono durare fino a quattro anni in Appello senza bisogno di proroghe.

Un’altra novità riguarda il “Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale”, il nuovo organo consultivo del ministero già previsto dall’articolo 15-bis del testo Cartabia. In base all’emendamento, il Comitato riferirà “al ministero della Giustizia con cadenza annuale, a far data dall’entrata in vigore della presente legge, in ordine all’evoluzione dei dati sullo smaltimento dell’arretrato pendente e sui tempi di definizione dei processi”. E il ministero “assume le conseguenti iniziative (…) necessarie ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi di ragionevole durata del processo“.

ILFQ

Canone Rai: l’imposta resta nella bolletta elettrica. Ecco quanto pesa e l’impegno preso dal governo con l’Europa. - Celestina Dominelli

 

I punti chiave


L’unica certezza per ora è la seguente: il canone Rai continuerà a essere riscosso attraverso la bolletta elettrica. L’ipotesi di eliminare l’imposta dalla fattura energetica, rilanciata nei giorni scorsi da alcuni rumors di stampa e sostenuta da alcuni ambienti della maggioranza, non trova conferme nell’esecutivo né risulta che sia oggetto di un intervento ad hoc nella bozza del disegno di legge per la concorrenza. Quest’ultimo, peraltro, in base alla tabella di marcia dettata dal Recovery Plan, doveva essere presentato entro fine luglio, ma si va verso uno slittamento del provvedimento che potrebbe essere procrastinato a fine agosto o all’inizio di settembre.

La misura introdotta dal governo Renzi.

Ma quanto pesa il canone Rai in bolletta e quando è stato introdotto? Come si ricorderà, la misura è stata predisposta nel 2015 dal governo Renzi per contrastare la diffusa evasione sull’imposta per la tv pubblica: si tratta di un esborso per le famiglie di 9 euro al mese per 10 mesi, per complessivi 90 euro all’anno a fronte dei 113 riscossi prima della riforma. Per le casse della Rai, l’introduzione del canone in bolletta ha comportato un flusso di ricavi certo che è stato quantificato in 1,7 miliardi di euro l’anno.

Quanto entra nelle casse Rai.

È bene, però, ricordare, come hanno precisato più volte gli stessi vertici Rai che, a fronte dei 90 euro di ammontare annuo, Viale Mazzini ne percepisce 75,4 euro. Il passaggio del canone infatti non avviene direttamente dalla bolletta alla Rai, ma transita per l’agenzia delle Entrate e poi da questa alle casse della televisione pubblica. E i 90 euro sono comprensivi del contributo al Fondo per l’Editoria in capo alla presidenza del Consiglio e di quello per le antenne locali, in capo al Mise. Da qui, la differenza che finisce alla tv pubblica rispetto alla cifra riscossa in bolletta.

L’impegno inserito nel Recovery Plan.

Fin qui, il perimetro dell’imposta e la sua destinazione. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, però, il governo ha messo nero su bianco con l’Europa uno sforzo chiaro come si evince dagli allegati tecnici trasmessi a Bruxelles insieme al Recovery Plan: nessun cenno esplicito al canone Rai, sia chiaro, ma una duplice sottolineatura. Da un lato, l’impegno ad aumentare la trasparenza nella bolletta elettrica - aspetto, quest’ultimo, su cui l’Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente è al lavoro ormai da tempo - fornendo ai consumatori pieno accesso «alle subcomponenti che rientrano sotto la voce oneri di sistema» e, dall’altro, l’esigenza di eliminare la richiesta in capo ai fornitori di riscuotere «charges unrelated to the energy sector», vale a dire tasse non collegate al settore dell’energia. E tra queste rientrerebbe anche il canone Rai. Se dunque l’impegno nel Pnrr è di andare verso l’eliminazione di spese “improprie” in bolletta non collegate all’energia, bisognerà trovare, non solo per il canone Rai, forme di riscossione alternativa. Che siano altrettanto efficaci.

La natura giuridica del canone tv.

Sull’imposta, però, va fatta un’ultima precisazione. Quello che viene definito impropriamente canone Rai, infatti, è una tassa la cui natura giuridica rinvia a un regio decreto-legge del 1938, mai abrogato, che stabilisce quanto segue: chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto». A chiarire ulteriormente la natura del canone sono poi intervenuti diversi pronunciamenti che hanno stabilito che la sua imponibilità dipende esclusivamente dalla detenzione di un apparecchio e non è collegata «all’effettiva ricezione dei programmi della Rai o alla mancanza di interesse a riceverne».

IlSole24Ore

Come volevasi dimostrare, il "Canone rai" resta in bolletta Enel con la doppia anomalia: 1) non è un canone rai, 2) non si dovrebbe pagare attraverso la bolletta relativa alla fornitura di altro servizio.
Il governo commette reati relativi all'uso improprio di denominazione di un servizio e relativo obbligo di pagamento dello stesso, inserendolo nella bolletta relativa ad altro servizio, e nessuno, ripeto, nessuno gli fa causa o scende in piazza per protestare?
Siamo messi veramente male...
Cetta.

Referendum: Salvini arruola Totò Cuffaro, Paolo B. e Alemanno. - Lorenzo Giarelli

 

Il variegato universo dei promotori del referendum della Giustizia si arricchisce ogni giorno di fantasiose sorprese. A fianco a Lega e Radicali – binomio già di per sé insolito – si stanno facendo avanti pregiudicati e impresentabili, innamorati come Matteo Salvini ed Emma Bonino della separazione delle carriere, della responsabilità civile dei pm, delle limitazioni alla custodia cautelare e della revisione della legge Severino, oltreché delle modifiche ad alcune norme relative al Csm.

Gli ultimi a firmare per i quesiti sono stati, ieri, Catello Maresca e Paolo Berlusconi. Il primo, candidato sindaco del centrodestra a Napoli, fa rumore soprattutto perché magistrato, evidentemente già calatosi alla perfezione nelle vesti del politico. Anche Paolo Berlusconi firma in virtù di una certa familiarità con le aule dei tribunali, lui che nel 2010 è stato condannato in Cassazione a 4 mesi di reclusione per alcune false fatturazioni dopo aver patteggiato 1 anno e 9 mesi per concorso in corruzione e reati societari nella gestione di una discarica del milanese.

Ma ai banchetti di raccolta-firme sarà possibile imbattersi pure in Totò Cuffaro, la cui nuova Dc sostiene i quesiti referendari. In questi giorni l’ex presidente della Regione Sicilia, condannato a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, partecipa a una serie di incontri con l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, a sua volta impegnata sul tema delle carceri e della giustizia.

Fresco di firma è poi Gianni Alemanno, l’ex sindaco di Roma che si porta dietro una condanna definitiva a sei mesi per finanziamento illecito ed è in attesa che la Corte d’appello ridetermini la pena per traffico di influenze, dopo la pronuncia della Cassazione. Il tutto per colpa “di due sentenze basate su teoremi – assicura lui – che dimostrano che molto deve essere cambiato anche nel rapporto tra politica, magistratura e mondo giornalistico”.

Insieme ad Alemanno, al gazebo c’era Guido Bertolaso, factotum della Sanità che durante l’emergenza Covid si è spostato tra Lombardia, Umbria, Abruzzo e Sicilia, secondo il quale la riforma della Giustizia “è la madre di tutte le battaglie”. Una sensibilità che nei giorni scorsi ha smosso anche Matteo Renzi, ai gazebo con altri italovivi come Davide Faraone e Raffaella Paita e festeggiato anche dai social della Lega appena dopo la firma.

Non un gran portafortuna in materia di referendum, l’ex premier, ma una tessera in più in un mosaico partitico già pittoresco. Basti pensare che a mobilitarsi per le firme sarà anche CasaPound, che a inizio settembre organizzerà iniziative in favore dei referendum durante la propria festa nazionale.

E se poi nemmeno tutti questi illustri testimonial dovessero bastare, Salvini e compagnia potranno sempre affidarsi alle Regioni, secondo Costituzione titolate – se si coordinano almeno in cinque – a richiedere i referendum anche senza il raggiungimento delle 500 mila firme: ieri la Sicilia è stata la quinta Regione a far approvare alla propria assemblea di eletti i quesiti sulla giustizia, raggiungendo gli altri feudi di centrodestra in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Umbria.

ILFQ

Fondamentali di robotica per i ragazzi che non frequentano l’ora di religione, l’Unione atei: “Così promuoviamo la cultura scientifica”. - Alex Corlazzori

 

L'Unione ha messo in campo 70mila euro che hanno consentito di distribuire 170 kit “LEGO® Spike” per la didattica legata alla scienza e alla robotica. “Non pensavamo che sarebbero arrivate così tante richieste - spiegano - Probabilmente se dal ministero arrivassero risorse adeguate, le scuole riuscirebbero a valorizzare al meglio questo tempo. Nel frattempo saremmo felici di essere copiati su larga scala”.

Chi non studia a scuola la vita di Gesù d’ora in poi, grazie a un’iniziativa dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, imparerà la robotica grazie ai kit “LEGO® Spike”. È quando accadrà dal prossimo anno scolastico in 85 scuole secondarie di secondo grado che hanno partecipato al bando promosso dall’Uaar in sostegno dell’ora alternativa all’insegnamento della religione cattolica. Un’idea che ha trovato la condivisione di molti dirigenti scolastici. Le scuole che hanno presentato richiesta si trovano infatti in Liguria, Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Puglia, Calabria, Campania, Sicilia e Sardegna.

D’altro canto, oggi, chi non fa l’ora di religione spesso o torna a casa prima dalle lezioni o viene affidato a progetti estemporanei che non sempre riescono a fornire un sufficiente apporto di conoscenze negli studenti. L’Uaar ha così pensato di mettersi in campo con una spesa di 70mila euro che ha consentito di distribuire 170 kit per la didattica legata alla scienza e alla robotica. “La nostra associazione da anni sostiene il diritto a un valido insegnamento alternativo a quello della religione cattolica. Ci siamo chiesti – spiega Manuel Bianco, responsabile della comunicazione interna e ideatore dell’iniziativa – cosa potevamo fare per dare un aiuto concreto alle scuole che spesso, date le scarse risorse economiche, non hanno a disposizione grandi mezzi per valorizzare quello spazio di apprendimento. Avendo tra i nostri obiettivi la promozione della cultura scientifica, abbiamo pensato di investire su uno strumento utile a insegnare le materie attualmente fondamentali per capire il presente e modellare il futuro, come scienzatecnologiaingegneria e matematica”.

I ragazzi delle medie che riceveranno questi strumenti potranno avere l’opportunità di sperimentare un metodo innovativo. Il set “LEGO® Education SPIKE™ Prime” è lo strumento di apprendimento ideale per gli alunni della fascia di età 11-14 anni. Si possono combinare elementi di costruzione colorati Lego attraverso un hardware semplice da usare e con un intuitivo linguaggio di programmazione. Nulla di noioso: il kit coinvolge gli alunni in attività di apprendimento progressive e giocose mirate a sviluppare il pensiero critico e a risolvere problemi complessi, indipendentemente dal livello di apprendimento. Inoltre l’intuitività dello strumento non richiede conoscenze tecnologiche pregresse degli insegnanti.

Una risposta concreta ai tanti ragazzi che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica: secondo i dati della Conferenza episcopale italiana, nel 2020 gli studenti che uscivano dall’aula quando entrava l’insegnante di religione erano il 14%. Un dato sempre più in aumento visto che negli ultimi trent’anni, ovvero dalla riforma del Concordato tra Stato italiano e Chiesa Cattolica, i frequentanti sono diminuiti di circa il 10%. Lo dimostra anche il successo dell’iniziativa dello Uaar: “Non pensavamo che sarebbero arrivate così tante richieste. Ne siamo felici – spiega Bianco – perché lo riteniamo un segnale positivo per l’ora alternativa. Probabilmente se dal ministero arrivassero risorse adeguate, le scuole riuscirebbero a valorizzare al meglio questo tempo. Nel frattempo saremmo felici di essere copiati su larga scala”.

ILFQ

Delenda Cartabia. - Marco Travaglio

 

Stupirsi perché l’informazione non informa, anzi disinforma, è come meravigliarsi perché la pioggia non è asciutta. Eppure, a vedere le tv e i giornali sulla “riforma” Cartabia, c’è da rabbrividire. L’Anm, che non è un covo di terroristi ma il sindacato dei magistrati, prevede la morte di 150 mila processi in corso e chissà quanti futuri. Cafiero de Raho, che non è una testa calda ma il procuratore nazionale antimafia, dichiara in Parlamento che l’improcedibilità in appello dopo 2 anni dalla sentenza di primo grado e in Cassazione dopo 1 anno da quella d’appello “mina la sicurezza e la democrazia” perché manda impuniti “reati gravissimi di mafia, terrorismo e corruzione”; e affidare al Parlamento la scelta dei reati da perseguire o ignorare “non è conforme alla Costituzione”. Gli stessi concetti, condivisi da magistrati, giuristi e avvocati, li esprimerà oggi il Csm, che non è un covo di tupamaros ma un organo costituzionale presieduto dal capo dello Stato, se finalmente il Colle gli leverà il bavaglio. Davigo dimostra sul Fatto, sentenze Cedu alla mano, che la procedura d’infrazione, scampata grazie alla blocca-prescrizione Bonafede, ora è assicurata.

Cosa arriva ai cittadini dell’immane catastrofe che sta per abbattersi sulla giustizia, sulla sicurezza, sulla Costituzione, sul dovere dello Stato di punire i colpevoli, sul diritto delle vittime a essere risarcite e degl’innocenti a essere assolti? Nulla, se non che c’è uno “scontro” fra il cattivo Conte e i “giustizialisti” 5Stelle da una parte e i bravi e onniscienti Draghi e Cartabia dall’altra per mettere i bastoni fra le ruote ai Migliori. Sul merito, non una sillaba. Sulle decine di migliaia di processi di mafia, corruzione, stupro, rapina, frode fiscale, giù giù fino ai reati minori (un saluto affettuoso alla legge Zan) al macero, tutti zitti. Dove sono i grandi costituzionalisti che si stracciavano le vesti nel 2009, quando B. tentò la stessa porcata (un po’ meno porca) col “processo breve”? Spariti. Dove sono i Saviano e gl’intellettuali antimafia e anticamorra da parata e da anniversario? Estinti. Nessuno si prende neppure la briga di smentire De Raho, Davigo, l’Anm, il Csm. L’unica cosa che conta è non disturbare il governo, che peraltro nessuno disturba. A questo punto è inutile avvitarsi in mediazioni al ribasso, come se evitare di incenerire 150 mila processi non fosse un dovere di Draghi & Cartabia, ma una gentile concessione a Conte (e naturalmente al Fatto). Molto meglio lasciar passare la porcata così com’è. Chi la vuole vota sì, chi non la vuole vota no. Ciascuno si assume le proprie responsabilità. Poi, ai primi mafiosi, stupratori e rapinatori improcedibili cioè impuniti, le vittime sapranno chi andare a ringraziare. E anche i lettori e gli elettori.

ILFQ