lunedì 27 settembre 2021

Enrico Laghi, l’ex commissario straordinario dell’Ilva agli arresti domiciliari. Sequestrati 270mila euro. - Francesco Casula



 

L’ex commissario straordinario dell’Ilva Enrico Laghi è stato arrestato e posto ai domiciliari su ordine del gip del Tribunale di Potenza per vicende legate alla gestione del siderurgico tarantino. L’inchiesta è un nuovo filone dell’indagine sull’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo che coinvolge anche l’ex consulente esterno di Eni Piero Amara. La misura cautelare è stata notificata dalla squadra mobile e dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Potenza. A Laghi, scelto dal governo di Matteo Renzi come commissario del polo siderurgico tarantino, sono stati sequestrati anche 270mila euro. Nell’indagine si ipotizza la corruzione in atti giudiziari in concorso con Amara, il magistrato Capristo, il suo amico e avvocato Giacomo Ragno, il poliziotto Filippo Paradiso e Nicola Nicoletti, consulente dell’Iva. L’inchiesta, si legge nella nota diffusa dal procuratore Francesco Curcio, su basa su “plurime e convergenti dichiarazioni accusatorie supportate da elementi investigativi di riscontro, hanno fatto emergere un quadro indiziario grave da cui è emerso il sopra descritto ruolo svolto dall’indagato Enrico Laghi nella contestata fattispecie di corruzione in atti giudiziari”.

La misura cautelare di oggi è uno sviluppo dell’inchiesta che nel giugno scorso aveva portato all’obbligo di dimora dello stesso Capristo. Il procuratore di Taranto, secondo le accuse, “stabilmente vendeva ad Amara, Laghi e Nicoletti, la propria funzione giudiziaria, sia presso la Procura di Trani ( a favore del solo Amara) che presso la Procura di Taranto (a favore di Amara, Laghi e Nicoletti). L’intermediario di questa corruzione era Paradiso. In pratica il magistrato, “in cambio dell’utilità costituita dal costante interessamento di Amara e Paradiso (il
secondo stabilmente remunerato dal primo) per gli sviluppi della sua carriera (il Capristo, sul punto, risultava particolarmente sensibile, in quanto, cessando definitivamente dal suo incarico di Procuratore della Repubblica di Trani nel 2016, sarebbe rimasto privo di incarichi direttivi, al cui immediato conferimento, invece, anelava) nonché per ottenere i vantaggi economici e patrimoniali in favore del suo inseparabile sodale l’avvocato Giacomo Ragno. Quidni da parte di Amara “si manifestava in una incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione svolta, in favore del Capristo, dai suddetti corruttori su membri del Csm (da loro conosciuti direttamente o indirettamente) e/ o su soggetti ritenuti in grado d’influire su questi ultimi”. In cambio di questa attività di sponsorizzazione di Amara e ed in cambio “anche di favori materiali (quali le nomine e gli incarichi ad amici da parte di Ilva” da parte di Laghi “garantiva stabilmente, come di seguito meglio specificato, sia ad “Amara che a Laghi e quindi ad Ilva utilità e vantaggi processuali, nonché garantiva da Amara, mostrando apertamente la sua amicizia con il predetto innanzi al Laghi ed Nicoletti, l’agevolazione professionale consistita nel suo accreditamento presso Ilva”.

ILFQ

Riforma fiscale e imposte sostitutive: nel mirino 8 aliquote fino al 26%. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

(llustrazione di Giorgio De Marinis)

I parlamentari propongono di avvicinare cedolari e ritenute allo scaglione Irpef del 23% ma agendo sull’imponibile si possono evitare rincari. Già prevista un’eccezione per il regime forfettario.

Un’eccezione dopo l’altra, le imposte sostitutive dell’Irpef sono arrivate a contare otto diverse aliquote. Dal 5% dei vecchi minimi (e dei forfettari start up) al 26% dei redditi di capitale. Nell’atto d’indirizzo al Governo sulla riforma fiscale, le commissioni parlamentari la chiamano plural income taxation. Dove l’aggettivo “plurale” sta a significare «elevata frammentazione» e regimi «quasi mai tra di loro correlati». E proprio il riordino delle tante flat tax è uno degli obiettivi del disegno di legge delega atteso domani – martedì – in Consiglio dei ministri.

Sostitutive in salvo.

Tra i parlamentari nessuno pensa di azzerare tutte le sostitutive. Anche perché i regimi fiscali alternativi ormai assorbono un decimo dell’imponibile Irpef e non si intravede la volontà di affrontare l’impopolarità di una loro eliminazione. Per dire, cancellare la cedolare sugli affitti, e rimpiazzarla con le aliquote progressive dell’Irpef, farebbe aumentare il prelievo di 2,3 miliardi; eliminare il regime forfettario di 1,5 miliardi, almeno secondo le stime dell’ultimo Rapporto sulle spese fiscali 2020.

Piuttosto, le commissioni parlamentari guardano a «un modello tendenzialmente duale»: cioè, un sistema adattato alla realtà italiana. In teoria, la dual income taxation prevede un’imposta proporzionale (flat) solo sui redditi di capitale. Ma l’intenzione di deputati e senatori è mantenere anche gli altri «regimi sostitutivi cedolari», avvicinando le loro aliquote a quella del primo scaglione Irpef (23%) e facendo salvo il regime forfettario delle partite Iva.

Che un riordino sia necessario, comunque, lo ammettono anche i parlamentari, perché la proliferazione delle sostitutive ha creato un «carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito». Tema sottolineato tra l’altro dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, giovedì scorso all’assemblea degli industriali di fronte al premier Mario Draghi. I prelievi forfettari, secondo Bonomi, «hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili sia orizzontali sia verticali».

Sempre giovedì, Draghi ha voluto riaffermare che «il Governo non ha intenzione di aumentare le tasse». Tracciando così una linea di demarcazione anche in vista dell’intervento sulle cosiddette flat tax.

Molte aliquote, infatti, oggi sono lontane dal 23% del primo scaglione Irpef. Ce ne sono alcune settoriali o poco usate, come il 15% sulle lezioni private degli insegnanti o la tassa fissa di 100 euro sulla raccolta di funghi o tartufi. Ma altre sono molto diffuse, come il 12,5% sugli interessi dei titoli di Stato, il 10% sui premi di produttività ai lavoratori e la cedolare secca del 10% sulle locazioni a canone concordato. Come si fa, allora, a portarle verso il 23 per cento? Una soluzione è già stata suggerita dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, in audizione al Parlamento, che l’ha fatta propria: si potrebbero alzare le aliquote proporzionali, ma abbassare le basi imponibili, così da lasciare invariata l’imposta netta.

Se una manovra del genere può sembrare un gioco a somma zero, nella delega per la riforma potrebbero esserci anche altri interventi sulle basi imponibili. In particolare, nel campo del risparmio, dove la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” oggi impedisce di compensare alcune minusvalenze e crea distorsioni che «pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali», come si legge ancora nell’atto d’indirizzo del Parlamento. Atto che suggerisce anche una riduzione dell’aliquota del 26% oggi applicata praticamente sulla totalità dei redditi finanziari, pari a una base imponibile di circa 43 miliardi: in questo caso, allineare l’aliquota al primo scaglione Irpef comporterebbe un risparmio d’imposta (o un minor gettito) di 1,4 miliardi.

Il nodo degli autonomi.

Due aliquote che il Parlamento non vorrebbe riallineare all’Irpef sono invece quelle della flat tax degli autonomi (5 e 15%). La partita, qui, potrebbe giocarsi sui coefficienti di redditività che determinano l’imponibile su cui applicare l’aliquota proporzionale. Coefficienti che non sono stati modificati dopo l’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi o compensi per l’accesso al regime agevolato. E che, come ha avvertito il direttore Lapecorella, oggi «non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute».

/Il Sole 24 Ore

Marte troppo piccolo per avere acqua e vita.

 

Marte ‘travestito’ da Terra (fonte: NASA Earth Observatory/Joshua Stevens; NOAA National Environmental Satellite, Data, and Information Service; NASA/JPL-Caltech/USGS; Graphic design by Sean Garcia/Washington University)

Nuova ipotesi dall'analisi dei meteoriti.

Marte è troppo piccolo per trattenere quantità di acqua necessarie a supportare la vita: è la conclusione a cui sono giunti i ricercatori della Washington University a Saint Louis dopo aver valutato la composizione chimica di una ventina di meteoriti marziani caduti sulla Terra. I risultati dello studio, che potrebbero aiutare la ricerca di pianeti abitabili al di fuori del Sistema solare, sono pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).

“Il destino di Marte era scritto fin dall’inizio”, afferma il ricercatore Kun Wang. “C’è probabilmente una soglia per quanto riguarda le dimensioni dei pianeti rocciosi affinché possano trattenere acqua a sufficienza per permettere l’abitabilità e la tettonica a placche, con una massa che è superiore a quella di Marte”. Il suo team lo ha dedotto esaminando la composizione di 20 meteoriti marziani, di cui ha valutato in particolare gli isotopi del potassio per stimare la presenza e la distribuzione di elementi e composti ancora più volatili come l’acqua.

“Questi meteoriti risalgono ad un’epoca compresa tra centinaia di milioni e 4 miliardi di anni fa e hanno registrato la storia evolutiva degli elementi volatili su Marte”, sottolinea Wang. “Misurando gli isotopi di elementi volatili come il potassio possiamo dedurre come sono stati persi e fare confronti tra i diversi corpi del Sistema solare”. Grazie a questo approccio innovativo, i ricercatori hanno stabilito che Marte, durante la sua formazione, ha perso più potassio ed elementi volatili rispetto alla Terra, ma ne ha trattenuti di più rispetto alla Luna e all’asteroide Vesta (due corpi più piccoli e aridi sia di Marte che della Terra).

“Questo studio evidenzia che c’è un intervallo piuttosto ristretto per quanto riguarda le dimensioni dei pianeti affinché abbiano abbastanza ma non troppa acqua per essere abitabili”, aggiunge il co-autore dello studio Klaus Mezger dell’Università di Berna. “Questi risultati guideranno gli astronomi nella ricerca di esopianeti abitabili in altri sistemi solari”.

ANSA

Ricostruito il Dna degli Etruschi. - Paola Catani

 

Ricostruito il Dna degli Etruschi (fonti: in primo piano particolare di un affresco etrusco del 510 a.C, diDave & Margie Hill/Kleerup; sullo sfondo la doppia elica del Dna, di Christoph Bock, Max Planck Institute

Erano cugini degli Italici, ma la loro lingua resta un mistero.

Etruschi cugini degli Italici, lo svela il Dna antico, ma la lingua parlata da questo popolo rimane un mistero. A provare la stretta parentela uno studio genomico definito il più grande mai realizzato sugli Etruschi, condotto da un team di studiosi internazionali, coordinato da Cosimo Posth, del dipartimento di Archeogenetica dell'Istituto tedesco Max Planck per la storia delle Scienze umane a Jena e condotto con le università di Firenze, Tubinga e Jena. Per l'Italia hanno contribuito anche le università di Siena, Napoli Federico II, Ferrara e Padova. Pubblicata sulla rivista Science Advances, la ricerca ha esaminato il Dna di 82 individui vissuti in Italia nell'arco di quasi 2000 anni, dall'800 a.C. al 1.000 d.C, in dodici siti, tra Toscana e Alto Lazio.

I risultati? Gli Etruschi "condividono il profilo genetico dei Latini della vicina Roma e gran parte del loro genoma derivi da antenati provenienti dalla steppa Eurasiatica durante l'età del bronzo". Lo studio, a cui hanno preso parte ricercatori degli Atenei di Firenze, Siena, Ferrara e del Museo della Civiltà di Roma, di Germania, Stati Uniti, Danimarca e Regno Unito, risolve così, si spiega, "l'enigma sulle origini di questa cultura altamente avanzata e ancora poco conosciuta", fiorita durante l'età del ferro nell'Italia centrale, e che ha incuriosito gli studiosi per millenni, coivolgendo storici illustri già dai tempi del greco Erodoto.

Per quest'ultimo discendevano da gruppi migratori anatolici o egei. Per gli archeologici invece hanno avuto un'origine locale, ipotesi suffragata in passato da alcune ricerche su Dna antico. E ora confermata da questa ricerca che fornisce "risposte definitive" sulle origini degli Etruschi. Resta però il mistero della loro lingua, non indoeuropea, estinta, solo in parte compresa. Se "i gruppi legati alla steppa Eurasiatica furono probabilmente responsabili della diffusione delle lingue indoeuropee, ora parlate in tutto il mondo da milioni di persone, la persistenza di una lingua etrusca non indoeuropea in Etruria è un fenomeno intrigante - si spiega - che richiederà un'ulteriore indagine".

"Questa persistenza linguistica, combinata con un ricambio genetico, sfida la tesi che i geni siano uguali alle lingue - afferma David Caramelli, docente di antropologia all'Università di Firenze - e suggerisce uno scenario più complesso che potrebbe aver coinvolto l'assimilazione dei primi popoli italici da parte della comunità linguistica etrusca, forse durante un periodo prolungato di mescolanza nel secondo millennio a.C."

Lo studio ha anche rivelato "importanti trasformazioni genetiche associate a successivi eventi storici" con riferimento sempre all'Italia centrale: una, durante il periodo imperiale romano, legata alla commistione con le popolazioni del Mediterraneo orientale che probabilmente includevano schiavi e soldati trasferiti attraverso l'Impero Romano; l'altra nell'Alto medioevo, identificata con la diffusione di antenati dell'Europa settentrionale nella penisola in seguito al crollo dell'Impero romano d'Occidente.

"Questo cambiamento genetico - afferma Johannes Krause, direttore del Max Planck Institute per l'evoluzione antropologica - descrive chiaramente il ruolo dell'Impero Romano nello spostamento delle persone su larga scala in un momento di maggiore mobilità socioeconomica e geografica". "L'Impero Romano - afferma Cosimo Posth, docente all'Università di Tubinga e Centro Senckenberg per l'evoluzione umana e il paleoambiente - sembra aver lasciato un contributo duraturo al profilo genetico degli europei meridionali, colmando il divario tra le popolazioni europee e del Mediterraneo orientale sulla mappa genetica dell'Eurasia occidentale"

ANSA

Continua l'eruzione alle Canarie, sepolte altre case.

 

Continua l'eruzione vulcanica iniziata il 19 settembre sull'isola di La Palma (Canarie): nelle ultime ore, autorità ed esperti di vulcanologia hanno osservato che il flusso di lava espulsa verso la costa si è ravvivato e ieri sera la colata era già arrivata a 1,6 chilometri dalla costa, dopo aver travolto diverse case della località di Todoque. Secondo Efe, tra gli edifici distrutti dalla lava ci sono la chiesa del paese e il centro sanitario locale.

Da inizio eruzione, oltre 500 edifici sono stati sepolti dalla lava. Le autorità locali hanno ordinato alla popolazione di alcuni nuclei urbani situati sulla costa di rimanere in casa.

Ora si riapre la possibilità che la lava raggiunga il mare, fenomeno che provocherebbe "colonne di vapore d'acqua cariche di acido cloridrico" che potrebbero rappresentare un "pericolo locale" per persone che si trovino lì vicino, secondo quanto spiegato dall'Istituto di Vulcanologia delle Canarie. Di fronte a questa possibilità, per precauzione le autorità locali hanno ordinato alla popolazione di alcuni nuclei urbani situati sulla costa ovest di La Palma di rimanere in casa.
Attualmente l'aeroporto di La Palma è operativo, ma ma rimangono possibili ritardi o cancellazioni di voli. 

ANSA

domenica 26 settembre 2021

Processi somari. - Marco Travaglio

 

Credevo di aver visto tutto, l’altra sera a Otto e mezzo, quando Sallusti è riuscito a dire nel giro di mezz’ora che: la trattativa Stato-mafia non c’è stata; non è reato quindi chissenefrega se c’è stata o non c’è stata; c’è stata e i carabinieri han fatto benissimo a trattare. Avevo anche apprezzato il paragone fra i Ros che trattano con Riina e Provenzano tramite Ciancimino e Cinà, e i poliziotti che trattano coi rapinatori di una banca per liberare gli ostaggi: purtroppo non si sono mai visti dei poliziotti trattare coi rapinatori di una banca, lasciarli scappare, avvertire la Questura che bisogna dargli qualcosa in cambio sennò rapinano altre banche e infine nominarli direttori della banca per evitare che la svaligino di nuovo. Ecco, dopo quell’esperienza psichedelica, pensavo di non divertirmi mai più così. Poi ho letto su La Stampa la sapiente analisi di Mattia Feltri: l’inchiesta sulla trattativa dipende dal fatto che “il grillismo arrivò molto prima di Grillo”, infatti “per 30 anni abbiamo raccontato la storia del nostro Paese come una storia criminale e le nostre istituzioni come istituzioni criminali”. Invece profumavano di verbena. Sì, è vero, siamo l’unico Paese occidentale che, da Portella della Ginestra a oggi, ha avuto decine di stragi politiche – nere, rosse, mafiose, multicolori – e non è riuscito quasi mai a scoprirne e/o a condannarne i colpevoli grazie ai sistematici depistaggi di politici, servizi segreti (tutt’altro che deviati: deviato in Italia è chi cerca la verità), forze dell’ordine, magistrati; un ex premier (Andreotti) colpevole di associazione mafiosa fino al 1980 e altri tre (Craxi, Forlani e B., più uno stuolo di ministri e parlamentari) condannati per gravissimi reati. Però sospettare una storia criminale è “terrapiattismo politico” di “populisti, demagoghi e arlecchini”.

Pensavo a quel punto che nessun comico avrebbe potuto fare meglio, quando sono incappato, sul Domani, nel commento dell’ex lottatore continuo Enrico Deaglio: viva il presidente della Corte d’appello che “ha assolto i rimanenti imputati di una messa in scena durata 12 anni, o meglio quasi 30” (massì, abbondiamo) e “messo uno stop a tutta questa schifezza”, “oscura nebulosa”, “mattana” (l’indagine, non la trattativa). E lo sapete perché la Procura di Palermo e poi la Corte d’Assise hanno imbastito quella “messa in scena” con la loro “insipienza investigativa rara”? Ce lo rivela, posato il fiasco, lo stesso Deaglio: per garantire “il successo del partito di Grillo e del giornalista Travaglio” e “la candidatura di Ingroia”, ma anche per trasformare “il giudice Di Matteo (che è un pm, ma fa niente, ndr) in un eroe nazionale, protetto con il bomb jammer”.

Il tutto, con la scusa che “era stato condannato a morte dal vecchio Riina in carcere, minacce addirittura trasmesse in tv” (quindi se l’era fatte da solo). Così si è “costruito il famoso ‘pensiero unico’ fatto di niente”: tutti i giornali e le tv, com’è noto, non fanno che parlare di trattativa da 12 anni, o meglio quasi 30. E il povero Deaglio, vox clamantis in deserto, a gridare la verità. Infatti è costretto alla clandestinità sul Domani, perché nessun altro quotidiano osa contraddire il “famoso pensiero unico” sulla trattativa. Eppure lui l’aveva sempre detto ciò che quei dementi di Ingroia, Di Matteo, Scarpinato e giudici d’Assise “ci hanno messo 30 anni a capire: le bombe le avevano messe i fratelli Graviano”. Ma va? Il fatto che questo processo non dovesse decidere chi mise le bombe (l’han deciso da mo’ le Corti di Caltanissetta e Firenze), ma chi trattò con la mafia e se fu reato, non importa: sottigliezze. Lui va a braccio, a spanne, anzi alla cieca, tant’è che ricorda “le intercettazioni tra Napolitano e Mancino che si scambiavano gli auguri di Capodanno” (così, a capocchia: una è del 31 dicembre 2011, ma le altre tre sono del 24 dicembre 2011, del 13 gennaio e del 6 febbraio 2012, quindi i due si scordavano di essersi già fatti gli auguri e se li rifacevano ogni due settimane). E “le accuse a Dell’Utri”, ovviamente “risibili”: in effetti, tirare in ballo per i suoi incontri con Mangano il creatore di FI pregiudicato per mafia che nel novembre ’93 aveva nell’agenda due incontri con Mangano, è pura follia.
Nella fretta, il nostro Sherlock Holmes si scorda di spiegare come mai il suo amato giudice, “persona seria, schietta, riservata” ha condannato Cinà e Bagarella e dichiarato colpevole ma prescritto Brusca: il primo per aver trattato con Ciancimino e col Ros e minacciato con loro lo Stato; gli altri due per averci riprovato con Dell’Utri. Anzi, non se n’è proprio accorto, sennò non scriverebbe che l’amata Corte “ha assolto i rimanenti imputati”: perché, fra i rimanenti imputati, tre sono risultati colpevoli. Se mai dovesse scoprirlo, gli verrebbe un’ernia al cervello. Poi però ci spiegherebbe che, nella trattativa Stato-mafia, c’era solo la mafia. Perché lui i gialli li risolve sempre 12, o meglio quasi 30 anni prima, o almeno così crede. Nel 2006 scrisse un libro (Il broglio) e un film (Uccidete la democrazia!) sui brogli elettorali anti-Prodi, purtroppo rivelatisi una bufala: la democrazia sopravvisse. Gli andò meglio nel 1989 quando la moglie di Sofri lo avvisò in America che avevano appena arrestato il marito per il delitto Calabresi e lui, senza sapere nulla, rispose a botta sicura: “È Marino quello che ha parlato?”. E, almeno quella volta, ci azzeccò. Non che sapesse qualcosa, questo mai: semplici intuizioni.

ILFQ

sabato 25 settembre 2021

Giorgetti “caccia” Morisi e conta le truppe al Nord. - Giacomo Salvini

 

La “bestia” - Numeri social crollati con Draghi.

Di vittime, politicamente, ne hanno già mietute due. Entrambe eccellenti. Prima Claudio Durigon scaricato con un’alzata di spalle da Giancarlo Giorgetti (“Al governo bisogna stare attenti a quando si parla”) e dal silenzio dei governatori. E adesso Luca Morisi, spin doctor di Matteo Salvini e ideatore della “Bestia” social della Lega. Dietro l’addio del 48enne guru social del Carroccio ci sono sicuramente motivazioni personali (questa è la versione ufficiale) ma anche di più: un certo disagio sull’ambiguità della linea “di lotta e di governo” del Carroccio, ma soprattutto l’ostracismo dell’ala governista che non sopportava più i modi di fare e la comunicazione da populista della porta accanto di Morisi. “Quando si sta al governo non si può comunicare tutto e subito come all’opposizione”, spiega un parlamentare vicino a Giorgetti.

Che Morisi fosse finito in mezzo anche allo scontro tra Salvini e Giorgetti lo si era capito anche nelle ultime settimane. Raccontano che, durante i primi Consigli dei ministri dell’èra Draghi, 4-5 membri della squadra della comunicazione di Morisi si spostassero al ministero dello Sviluppo economico mentre Giorgetti partecipava alle riunioni a Palazzo Chigi. Un modo per coordinare la comunicazione leghista durante i Cdm e far uscire sulle agenzie, sui siti e sui social cosa stava succedendo in chiave leghista. A marzo e aprile, alla vigilia dei Consigli dei ministri, il Mise diventava una succursale di via Bellerio: i funzionari del ministero in diverse occasioni si sono visti arrivare Salvini spesso accompagnato dai suoi fedelissimi tra cui Durigon, in quel momento di casa al Tesoro. Quando però ad agosto, tra Salvini e i ministri si è rotto qualcosa sui primi decreti Green pass, con la sconfessione della linea del segretario, tutto si è fermato: Giorgetti ha imposto che in via Veneto non entrasse più nessuno della squadra di Morisi e della comunicazione della Lega. Secondo qualcuno, nelle ultime settimane, c’erano state anche delle frizioni tra Salvini e Morisi: il guru lamentava di non essere “più ascoltato” dal segretario. Di certo c’è che i numeri della “Bestia” – un sistema editoriale in grado di automatizzare i contenuti delle pagine “Matteo Salvini”, “Lega” e “Noi con Salvini” – negli ultimi sei mesi avevano risentito dell’effetto Draghi. La macchina si era inceppata e i numeri sono crollati: in quanto a crescita dei follower, Salvini è stato superato da Giuseppe Conte (più un milione contro i 700 mila del leghista) e tallonato da Giorgia Meloni a 600 mila. Le interazioni settimanali si sono dimezzate passando da 10 milioni a 5 mentre è stato sorpassato dalla leader di FdI sull’engagement (3,5 a 7,6%) e sulle interazioni per post (0,3 a 1,2%). Tutto questo nonostante in due anni la “Bestia” sia costata 400 mila euro al partito.

E così, dopo Durigon e Morisi, l’ala governista guidata da Giorgetti e dai governatori – Zaia, Fontana e Fedriga – può rivendicare un altro successo. Ma non si fermerà qui ed è già pronta a chiedere i congressi dopo le Comunali. Un primo assaggio arriverà oggi da Varese, feudo del ministro dello Sviluppo economico, dove si terranno gli “Stati Generali” della Lega Lombarda. Un appuntamento pre-elettorale, ma anche un modo per organizzare le truppe del nord Italia: oltre a Giorgetti ci sarà Fontana, Garavaglia, Centinaio e Locatelli. Ai 200 sindaci leghisti lombardi spiegheranno cosa sta facendo il governo nazionale. Un modo per iniziare a contarsi e rivendicare che la linea della Lega non è quella di Salvini, ma la loro. Il leader non ci sarà e manderà solo un saluto. Intanto anche Luca Zaia manda segnali: i suoi uomini stanno mettendo all’indice i 10 salviniani veneti che nei giorni scorsi non hanno votato in aula sul Green pass. Una frattura che difficilmente si ricomporrà.

ILFQ