domenica 3 maggio 2020

Coronavirus, appello sul Manifesto: “Basta con gli agguati al governo. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla, ci preoccupano gli show permanenti dei ‘democratici liberali'”.

Coronavirus, appello sul Manifesto: “Basta con gli agguati al governo. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla, ci preoccupano gli show permanenti dei ‘democratici liberali'”

Il documento, diffuso il primo maggio, è stato sottoscritto da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura: da Lorenza Carlassare a Piero Ignazi e Stefano Bonaga. La presa di posizione, si legge, nasce come reazione a una "narrazione artificiosa e irresponsabile". L'esecutivo "non è il migliore", ma chi lo critica "non si prende la responsabilità di dire cosa farebbe al suo posto". Il dibattito è aperto e in rete c'è chi critica l'iniziativa.
“Basta con gli agguati al governo”. Inizia così l’appello pubblicato su il Manifesto del primo maggio e sottoscritto da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura. Una presa di posizione arrivata poche ore dopo gli attacchi di Matteo Renzi in Senato contro il premier e le accuse di presunte violazioni costituzionali secondo le opposizioni (e non solo). “Dalla destra populista”, si legge nel testo, “non ci aspettiamo nulla”. Mentre a preoccupare di più i firmatari sono “gli show dei democratici liberali“. Tra le prime adesioni ci sono quelle di Stefano Bonaga, Lorenza Carlassare, Thomas Casadei, Anna Falcone, Nadia Urbinati, Marco Revelli e Piero Ignazi. Il dibattito è aperto, soprattutto per quanto riguarda le presunte violazioni della Carta. Sbandierate da alcuni, sono state infatti smentite dai costituzionalisti. Uno fra tutti, Gustavo Zagrebelsky che, intervistato da il Fatto Quotidiano, ha ricordato come i poteri del governo siano stati concessi dal Parlamento. Sullo sfondo, e uno dei motivi che ha spinto i firmatari a esporsi, le manovre di alcuni per indebolire il premier e fare un governissimo che si occupi della ricostruzione. Il documento diffuso sul Manifesto non è passato inosservato in rete, dove non sono mancate le perplessità di alcuni, sia da sinistra che da destra. Secondo la professoressa ed editorialista Sofia Ventura, sono “prove di regime”. Mentre il saggista Vladimiro Giacchè ha parlato di “orrore del giorno”.

“Non passa giorno”, è l’esordio del documento, “senza che opinionisti (e politici in cerca di visibilità) mettano in croce il governo, con ogni più vario argomento. Dopo la conferenza stampa del 26 Aprile, l’accanimento ha raggiunto livelli insopportabili. I ‘retroscena’ impazzano e molti fanno di tutto per accreditare un Conte poco autorevole e drammaticamente non all’altezza della situazione, oppure un Presidente del Consiglio che si atteggia quasi a dittatore calpestando i diritti e la Costituzione”. Proprio partendo da qui retroscena, l’appello solleva alcune domande: “Ma siamo di fronte ad una ‘notizia’ o piuttosto ad una ‘narrazione’ artificiosa e irresponsabile? O anche all’espressione degli interessi e delle aspirazioni di coloro che vogliono sostituire questo governo e la maggioranza che faticosamente lo sostiene, per monopolizzare le cospicue risorse che saranno destinate alla ripresa? Il governo Conte non è il migliore dei possibili governi, sempre che da qualche parte possa esistere un governo perfetto. In aggiunta, viviamo in una condizione di inedita emergenza e anche di straordinaria incertezza, di cui nemmeno le discipline scientifiche vengono a capo pienamente”.
Il documento continua riconoscendo alcuni dei punti deboli dimostrati dall’esecutivo: “È certo che i messaggi di Palazzo Chigi non hanno sempre la chiarezza necessaria e che, con l’intento di orientarci nei meandri della nostra vita quotidiana, possono generare ambiguità interpretative e incertezza. Si possono (e si dovrebbero) discutere le priorità, comunque provvisorie, che il governo ha indicato e gli strumenti normativi che ha di volta in volta adottato (alcuni costituzionalisti e opinionisti lo hanno fatto)”. E ancora, “non c’è dubbio, neppure, che siano stati limitati alcuni diritti fondamentali come quello alla libertà di movimento (limitazioni peraltro previste dall’art. 16 della Costituzione), e sia stato limitato il pieno esercizio del diritto al lavoro, all’istruzione, alla giustizia nei tribunali. Ma niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani e questi interventi sono avvenuti nel rispetto delle prerogative emergenziali che la Costituzione assegna all’esecutivo”.
In generale, il giudizio sul governo è che “abbia operato con apprezzabile prudenza e buonsenso, in condizioni di enormi e inedite difficoltà, anche a causa di una precedente ‘normalità’ che si è rivelata essere parte del problema”. E le accuse sarebbero quindi da fare ad altri: “Molte di tali difficoltà dipendono infatti dallo stato di decadimento di gran parte del sistema sanitario, frutto di anni di scelte dissennate di privatizzazione e di una regionalizzazione sconsiderata e scoordinata. Ed invece sembra che tutto il male origini in questo governo, spesso bersaglio di critiche anche volgari e pretestuose, veicolate dai media”.
Quindi, basta agguati, è la tesi, anche perché “nessuno tra i critici si prende davvero la responsabilità di dire cosa farebbe al suo posto, come andrebbe ponderata una libertà con l’altra, una sicurezza con l’altra, e quale strategia debba essere messa in campo per correggere le lamentate debolezze dell’esecutivo”. E, proprio negli ultimi giorni, “la campagna che alimenta sfiducia e discredito ha raggiunto il suo acme“. Questo perché, “dietro alcuni strumentali e ipocriti appelli alla difesa dei diritti, o del sistema delle imprese e dell’occupazione, si coglie il disegno di gettare le basi per un altro governo: un governo dai colori improbabili o di pretesa unità nazionale, di cui non s’intravede nemmeno vagamente il possibile programma, tolto un disinvolto avvicendamento di poltrone ministeriali e la spartizione di cariche di alto rango”.
Infine, si conclude: “Il problema di questo Paese non sono gli italiani, che si stanno dimostrando in media più che all’altezza della situazione, peraltro aggravata in qualche caso da gestioni regionali arroganti e approssimative. Il problema sta nella sua classe dirigente, tra i registi dell’opinione pubblica o dentro quello che si diceva un tempo ‘il ceto intellettuale’. Dove il segmento per quanto ci riguarda più problematico è proprio quello ‘democratico’. Dalla destra populista non ci attendiamo nulla e ce ne guardiamo. Non ci incantano le sue repentine conversioni al liberalismo nel nome del “tutto subito aperto, tutti liberi”. A preoccupare sono invece “gli altri”, “i democratici ‘liberali’, i grandi paladini della democrazia e della Costituzione, i cui show disinvolti e permanenti non fanno proprio bene al paese, anzi lo danneggiano”.
Queste le adesioni finora: Luigi Alfieri, Manuel Anselmi, Daniele Archibugi, Luca Baccelli, Laura Bazzicalupo, Francesco Belvisi, Gabriella Bonacchi, Stefano Bonaga, Michelangelo Bovero, Lorenza Carlassare, Barbara Carnevali, Thomas Casadei, Adriana Cavarero, Rita Cenni, Pierluigi Chiassoni, Dimitri D’Andrea, Anna Falcone, Alessandro Ferrara, Luigi Ferrajoli, Davide Ferrari, Antonio Fico, Anna Fiore, Antonio Floridia, Simona Forti, Vittoria Franco, Rita Fulco, Giunia Gatta, Marco Geuna, Valeria Giordano, Gustavo Gozzi, Riccardo Guastini, Barbara Henry, Alfonso Maurizio Iacono, Piero Ignazi, Enrica Lisciani-Petrini, Anna Loretoni, Sonia Lucarelli, Andrea Mammone, Giovanni Mari, Giacomo Marramao, Oreste Massari, Alfio Mastropaolo, Tecla Mazzarese, Maurizio Melucci, Gian Giacomo Migone, Andrea Pisauro, Pier Paolo Portinaro, Mariano Puxeddu, Lucia Re, Marco Revelli, Gianpasquale Santomassimo, Anna Soci, Siriana Suprani, Annamaria Tagliavini, Francescomaria Tedesco, Fabrizio Tonello, Nadia Urbinati.

Olanda, da Fca a Ferrero e Mediaset ecco i gruppi italiani con sede ad Amsterdam. E la Ue vieta di escluderli dagli aiuti pubblici. - Mauro Del Corno

Olanda, da Fca a Ferrero e Mediaset ecco i gruppi italiani con sede ad Amsterdam. E la Ue vieta di escluderli dagli aiuti pubblici

Nel paese dei tulipani anche Eni, Enel, Luxottica, Illy, Telecom Italia, Prysmian e la Cementir. Il Paese formalmente non ha aliquote bassissime ma sono ridotti o inesistenti i prelievi su dividendi, guadagni da cessioni di partecipazioni, royalties. Francia, Danimarca e Polonia hanno deciso di escludere da contributi statali le società con sedi in paradisi fiscali. Per Bruxelles questa distinzione è contraria ai principi della libera circolazione dei capitali.
I gruppi italiani che hanno sede o filiali nei Paesi Bassi sono tanti. Fca e Ferrari hanno qui la loro sede legale, la Exor della famiglia Agnelli quella fiscale. Sede legale ad Amsterdam anche per Mediaset, ma ad aver creato holding qui sono pure alcune delle più importanti partecipate italiane: EniEnel e Saipem. In viaggio verso il paese dei tulipani anche Campari che sta per trasferire qui la sua sede. E poi Luxottica, qui dal 1999, FerreroIllyTelecom Italia, Prysmian e la Cementir di Caltagirone. La banche tendono invece a preferire i regimi fiscali di Irlanda e Lussemburgo. Uno dei grimaldelli impiegati negli ultimi anni per recuperare una piccola parte dei proventi fiscali sottratti in questo modo agli altri Paesi è stato contestare gli aiuti pubblici, proibiti da Bruxelles quando ledono la concorrenza. Ma la Commissione proprio in questi giorni ha sancito che – in nome della libera circolazione dei capitali – i piani di salvataggio pubblico adottati a causa dell’emergenza Covid non possono escludere chi ha la sede in un altro Stato.
Zone grigie e paradisi non dichiarati – Non è corretto fare processi alle intenzioni. Avere una sede in Olanda non significa automaticamente adottare comportamenti fiscalmente discutibili. Può trattarsi di trasparente e legittima ottimizzazione fiscale e scelte di corporate governance. Ma le zone grigie sono molte e trincerarsi dietro lo scudo arancione è facile. L’Olanda, ad esempio, non fa parte della lista dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea. Esclusione dettata da ragioni politiche. In materia di fisco l’Ue richiede l’unanimità dei voti (quindi compresi quelli di Olanda e Lussemburgo) per apportare modifiche. Le grandi aziende europee che approfittano dei vantaggi del fisco arancione fanno pressione sui loro governi per fare in modo che nulla cambi. Anche l’Ocse dispone di dati che sarebbero preziosi per aumentare la trasparenza sulle pratiche fiscali del paese, però non li rende pubblici a causa di veti di paesi membri. Così si va per deduzioni e per vie indirette.
Addio a 72 miliardi di profitti che finiscono in Olanda – L’Olanda è un buco nero che, ogni anno, risucchia dai paesi membri fino a 72 miliardi di euro di profitti aziendali. Una montagna di denaro che ricompare, molto rimpicciolita, ad Amsterdam. Quasi 10 miliardi di euro finiscono al fisco olandese, il resto rimane nelle casse delle multinazionali. Le stime sono dell’economista Gabriel Zucman, tra i più esperti e attenti osservatori del fenomeno a livello globale. Dalla sola Italia spariscono ogni anno profitti per quasi 30 miliardi di euro e di questi più di 3 miliardi finiscono in Olanda che in questo modo sottrae quasi un miliardo di euro all’anno al fisco italiano. Per contro quasi il 40% del gettito da tassazione sui profitti di impresa del paese dei tulipani deriva da questo scippo.
Ma perché l’Olanda è un forziere particolarmente difficile da scardinare? Formalmente le sue aliquote fiscali non sono particolarmente diverse da quelle di molti altri paesi europei. I prelievi sono però estremamente ridotti o inesistenti se si parla di dividendi, guadagni da cessioni di partecipazioniinteressi incassati da prestiti infra gruppo, royalties e quant’altro. Così le multinazionali stabiliscono qui le loro holding (società che hanno in pancia le partecipazioni chiave di un’impresa) e costruiscono strutture di gruppo artificiose per far affluire denaro sotto queste forme. Non solo.
Consulente Oxfam: “Accordi fiscali riservati permettono di ridurre la tassazione” – “Destano preoccupazione gli accordi fiscali riservati che i Paesi Bassi, come anche altri Paesi Ue, hanno siglato e continuano a siglare con le imprese multinazionali che verosimilmente permettono di ridurre in modo consistente il livello effettivo di tassazione delle corporation”, spiega Misha Maslennikov, consulente di Oxfam Italia in tema di fisco. “L’Olanda”, continua Maslennikov, “ha inoltre in essere un ampio network di convenzioni fiscali con altri Paesi che hanno natura particolarmente restrittiva, permettendo un abbattimento significativo delle aliquote sulle ritenute alla fonte per diverse fattispecie di reddito d’impresa che fluiscono verso Amsterdam”.
L’incredibile produttività di lussemburghesi, svizzeri e olandesi – Non è un caso se nella classifica globale dell’associazione Tax Justice Network, che denuncia e combatte pratiche fiscali scorrette, i Paesi Bassi vengano solo dopo Isole VerginiBermuda e Isole Cayman quanto a opacità delle pratiche fiscali. Una delle tecniche utilizzate è quella di valutare la discrepanza tra le risorse che una società possiede in un determinato paese (dipendenti, uffici) e gli utili che qui realizza. Incrociando questi dati si scopre che ogni singolo, e a quanto pare fenomenale, dipendente lussemburghese genera profitti per oltre 8 milioni di euro. Uno svizzero 760mila, in Olanda 530mila. La media di tutti gli altri paesi europei è di 60mila euro per dipendente, con Italia e Germania allineate intorno ai 42mila e Francia a 33mila.
Il grimaldello degli aiuti pubblici… – Uno dei grimaldelli impiegati in questi anni per recuperare una piccola parte del maltolto è stato quello degli aiuti pubblici, proibiti da Bruxelles quando ledono la concorrenza. Accordi tra azienda ed erario che abbassino sotto certi limiti il livello del prelievo sono stati equiparati ad indebite agevolazioni. Un alcuni casi si è arrivati a condanna nonostante l’opposizione, scontata, dei gruppi coinvolti ma anche dei soliti LussemburgoIrlanda e Olanda che si battono in aula per rafforzare la loro immagine di cani da guardia degli utili di azienda.
…e lo stop della Commissione: “No all’esclusione in base a dove è la sede” – In questa fase drammatica per il futuro economico dell’Europa i governi avrebbero avuto un’arma in più. Se la Commissione Ue non si fosse messa di mezzo. FranciaDanimarca e Polonia hanno infatti deciso di escludere dall’erogazione di aiuti pubblici le società con sedi in paradisi fiscali. Bruxelles, che predica bene ma razzola molto male, ha però puntualizzato che questa distinzione è contraria ai principi della libera circolazione dei capitali a sci sono improntati i trattati europei. Davvero un peccato anche perché sarebbe giusto che i contribuenti che pagano gli aiuti sapessero a chi stanno dando i loro soldi, come sottolinea Maslennikov. “Sarebbe opportuno che anche il nostro Parlamento emendasse in fase di conversione il DL Liquidità inserendo l’obbligo per le società italiane che fanno parte di grandi gruppi multinazionali e richiedono garanzie statali su nuovi finanziamenti di rendere pubbliche le proprie rendicontazioni paese per paese”, ragiona l’esperto di Oxfam Italia. “Volete il nostro supporto? Ben venga, ma vi chiediamo di permettere a cittadini e parlamentari un maggior scrutinio sulla vostra strutturazione societaria globale e sul livello di contribuzione fiscale in ciascun Paese in cui operate” conclude.

L’assedio a Conte. - Tommaso Merlo

Giuseppe conte Premier-2

Vogliono sbarazzarsi di Conte. Speravano di dargli il colpo di grazia con la pandemia ed invece il suo consenso è schizzato alle stelle. Il vecchio regime teme un premier alieno e apprezzato dal popolo. E lo teme soprattutto in un periodo così tumultuoso. La pandemia sta scuotendo le coscienze ma non solo. Sono saltati i vincoli di bilancio e dall’Europa stanno arrivando vagonate di soldi. Il vecchio regime vuole assicurarsi che non manchino i posti a tavola al momento dell’abbuffata. 

A voler far fuori Conte sono i potentati economici, coloro che nel vecchio regime erano abituati a tenere i partiti al guinzaglio. Conte dà fastidio perché non manipolabile e ricattabile. Perché troppo dalla parte dei cittadini e della propria coscienza. I potentati sono abituati a premier ben inseriti nell’intreccio lobbistico e con lo stesso modo di ragionare. Il manganello dei potentati è la loro stampa personale che picchia Conte quotidianamente. Giornali e televisioni che non potendo colpire il premier sui contenuti, si attaccano alla forma, alla comunicazione. Come se Lorsignori fossero degli esperti e non avessero invece distrutto la professione giornalistica a furia di servire un regime marcio fino al midollo. Presunti esperti di comunicazione di testate ignorate dai cittadini e che tacevano quando l’Italia era in mano ai delinquenti. A voler far fuori Conte sono poi le opposizioni che lo attaccano ferocemente fin dal suo insediamento. Scoppiata la pandemia le opposizioni hanno puntato sullo sciacallaggio ma il premier se la sta cavando egregiamente e i cittadini stanno punendo la loro irresponsabilità. Le opposizioni vorrebbero un governo ammucchiata che tradotto significa far fuori Conte e poi tornare al voto appena gli conviene. Vogliono tornare ad intossicare la vita del paese coi loro deliri sovranisti prima che passino definitivamente di moda. Vogliono la poltrona. A voler far fuori Conte ci sono poi brandelli di maggioranza. Il tentativo di risorgere di Renzi è fallito malamente. La strategia di logorare il premier alle spalle si è rilevata un boomerang e se si tornasse al voto per il renzismo sarebbe davvero game over. Quanto al Pd è un’incognita. Da quando si è derenzizzato ha smesso di litigare ma il partito è in mano agli stessi dinosauri di sempre. I sondaggi sembrano premiare l’alleanza col Movimento ma bisognerà vedere se il Pd riuscirà a restare dalla parte dei cittadini oppure se si farà risucchiare dal neoliberismo elitario e lobbistico in cui ha sguazzato per decenni. Conte può contare davvero solo sul Movimento 5 Stelle, per il resto è un assedio. Troppo alieno, troppo apprezzato. 

Conte dà fastidio al vecchio regime che non si è mai arreso e che vorrebbe sfruttare la pandemia per tornare ai bei tempi. Tutto dipenderà da come l’Italia uscirà dalla pandemia e dai suoi strascichi economici. Se ne uscirà a pezzi l’assedio a Conte riuscirà e il vecchio regime tornerà ad imperare. Se invece l’Italia ne uscirà a testa alta, allora l’ansia di cambiamento che ha portato ad un premier come Conte potrebbe trovare nuovo slancio.

https://repubblicaeuropea.com/2020/05/02/lassedio-a-conte/

Coronavirus, Bill Gates chiama Conte: “Ha riconosciuto l’impegno dell’Italia. Accordo su cooperazione mondiale per trovare il vaccino”.

Coronavirus, Bill Gates chiama Conte: “Ha riconosciuto l’impegno dell’Italia. Accordo su cooperazione mondiale per trovare il vaccino”

Conte ha ribadito l’intenzione italiana di portare il tema al centro dell’agenda del G20 del 2021, ma il primo step sarà la conferenza del 4 maggio organizzata dalla Commissione europea e con la quale si punta a raccogliere 7,5 miliardi di euro per la ricerca.
Uno sforzo comune per la lotta al Covid e la ricerca di un vaccino nel più breve tempo possibile. Sono questi i contenuti della conversazione telefonica che si è tenuta nel pomeriggio di sabato tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e Bill Gates, il fondatore di Microsoft oggi impegnato con la fondazione Bill & Melinda Gates, che ha più volte espresso la volontà di finanziare la produzione mondiale di un vaccino contro il coronavirus che si dovesse rivelare efficace.
Fonti del Governo fanno sapere che la promozione della cooperazione globale nella lotta al coronavirus, di cui la conferenza del 4 maggio promossa dalla Commissione Europea rappresenta un primo step, è stata al centro del colloqui tra i due. Il magnate americano ha riconosciuto l’impegno assicurato dall’Italia, negli anni, al contrasto alle pandemie e al sostegno della ricerca scientifica finalizzata ai vaccini. E Conte ha ribadito l’intenzione italiana di portare il tema al centro dell’agenda del G20 del 2021, a presidenza italiana, elemento questo fortemente sostenuto da Bill Gates anche nella prospettiva di fornire adeguata tutela a quei Paesi in via di sviluppo che dovessero risultare colpiti dalla pandemia e meno attrezzati a combatterla.
Il piano europeo per la ricerca di un vaccino: raccolta fondi da 7,5 miliardi.
L’iniziativa a cui hanno fatto riferimento Conte e Gates nel corso della chiamata è quella promossa dalla Commissione europea e sostenuta da FranciaItaliaGermaniaNorvegia e Consiglio Ue e rinominata World against Covid-19. Si tratta di un piano di cooperazione globale per la ricerca di un vaccino contro il coronavirus che proprio il 4 maggio sarà presentato ufficialmente in una conferenza di donatori con cui si punta a raccogliere almeno 7,5 miliardi di euro di finanziamenti.
Il testo è firmato da Conte, dal presidente francese Emmanuel Macron, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, dalla premier norvegese Erna Solberg e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “È questo il dovere della nostra generazione – si legge nella lettera – e sappiamo di potercela fare. Sostenendo insieme la scienza e la solidarietà oggi, getteremo le basi per una maggiore unità domani. La posta in gioco è alta per tutti. Nessuno è immune, nessuno può sconfiggere il virus da solo e nessuno sarà davvero al sicuro finché non lo saremo tutti, in ogni Paese. Dobbiamo riunire le menti più brillanti e più preparate del mondo per trovare i vaccini e le terapie necessari per rimettere in salute il pianeta”.
I leader dei Paesi Ue annunciano inoltre che “stiamo concretizzando l’impegno dei leader del G20 a fornire una risposta coordinata al virus su larga scala. Sosteniamo l’appello all’azione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Abbiamo inaugurato di recente l’acceleratore Access to Covid-19 Tools (Act), una piattaforma di cooperazione globale che intende dare impulso e potenziare la ricerca, lo sviluppo, l’accesso e la distribuzione equa del vaccino e di altri strumenti diagnostici e terapeutici in grado di salvare vite. Questo ha gettato le basi di una vera alleanza internazionale contro il Covid-19″.
I 7,5 miliardi di euro che la Commissione si augura di raccogliere serviranno ad avviare “una cooperazione globale senza precedenti che coinvolgerà scienziati e autorità di normazione, industria e governi, organizzazioni internazionali, fondazioni e operatori sanitari. Sosteniamo l’Oms e siamo lieti di unire le forze con organizzazioni esperte come la fondazione Bill & Melinda Gates e il Wellcome Trust.
Ogni euro raccolto sarà convogliato principalmente tramite organizzazioni sanitarie mondiali riconosciute come CepiGavi, l’Alleanza per il vaccino e tramite il Fondo mondiale e Unitaid, per sviluppare e distribuire il più rapidamente possibile e a più persone possibili gli strumenti diagnostici, le terapie e i vaccini che aiuteranno il mondo a superare la pandemia. Se riusciamo a sviluppare un vaccino prodotto dal mondo per il mondo, questo vaccino sarà un bene pubblico globale unico del 21esimo secolo. Insieme ai nostri partner, ci impegniamo a renderlo disponibile e accessibile a tutti”.

sabato 2 maggio 2020

La stella che danza attorno a un buco nero pronto a mangiarla. - Luigi Bignami

Buco nero
La rappresentazione artistica di un buco nero. 


Quando i buchi neri inghiottono grandi quantità di materia (gas e polveri) non passano certo inosservati agli astronomi, perché in queste occasioni irradiano grandi quantità di raggi X generati dal riscaldamento del materiale aspirato dal buco nero stesso.

La loro intensità è così elevata da potersi rilevare fin dalla Terra. Ma fin qui, nulla di nuovo. Ciò che invece è inusuale è che uno di essi, a un certo punto, inizi a farlo a cadenze regolari. È quanto hanno rilevato gli astronomi l'anno scorso per un buco nero che si trova nel cuore di una galassia a 250 milioni di anni luce da noi: ogni nove ore, un bagliore a raggi X molto intenso seguito da assenza di emissioni e così via.

LA SOLUZIONE! Ora, dopo uno studio durato mesi, l'astronomo Andrew King dell'Università di Leicester nel Regno Unito pensa di aver identificato la causa: si tratterebbe di una stella "morta", che è stata catturata e intrappolata su un'orbita ellittica attorno al buco nero, vicino al quale si ritrova a passare ogni nove ore. A ogni passaggio ravvicinato, il buco nero assimila un po' del materiale della stella: "un po'", si fa per dire, perché in realtà a essere letteralmente strappata via dalla stella è un'enorme quantità di gas che va a finire nel disco di accrescimento che si trova intorno al buco nero. Ogni volta che accade, si produce un lampo di raggi X.

Il buco nero in questione si trova nel nucleo della galassia chiamata GSN 069 ed è relativamente "leggero" se confrontato con altri buchi neri che si trovano al centro di galassie possiede una massa di "appena" 400.000 volte la massa del Sole. Per avere un'idea, buchi neri simili hanno in genere masse pari a decine di milioni di volte la massa del Sole. Ma anche se si tratta di un esemplare di taglia ridotta, il buco nero è di quelli attivi, circondato da un disco caldo di materiale in accrescimento.

E DOPO, CHE SUCCEDERÀ? Stando a King la stella che passa accanto al buco nero era una "gigante rossa", ossia una stella molto evoluta, simile alle condizione che raggiungerà il nostro Sole tra 3 o 4 miliardi di anni; il periodico passaggio ravvicinato ha accelerato l'evoluzione finale verso la fase di "nana bianca", che possiamo immaginare come il nucleo ormai morto di una stella che ha terminato tutto il combustibile nucleare e che oggi ha una massa pari a 0,21 volte quella del Sole. Secondo lo scienziato la stella dovrebbe rimanere in questa orbita per miliardi di anni, perdendo continuamente massa a causa dell'azione del buco nero, finché assumerà la massa come quella di un pianeta come la Terra o Venere.

Qui sotto, la "danza" di due buchi neri, in una recente animazione prodotta dalla Nasa:



Coronavirus, chi riparte il 4 maggio. Lo studio: “Per il 63% lavoratori del Nord. Tre su 4 sono uomini, solo il 37% sarà in smartworking”.

Coronavirus, chi riparte il 4 maggio. Lo studio: “Per il 63% lavoratori del Nord. Tre su 4 sono uomini, solo il 37% sarà in smartworking”

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenzia che le riaperture riguardano comparti - manifatturiero, costruzioni, commercio - in cui è quasi sempre necessario il lavoro in sede. E parla di "un quadro non coerente rispetto alla diffusione della pandemia" perché la ripresa si concentrerà nelle aree più colpite dal virus: di nuovo attivi 2,8 milioni di occupati al Nord contro 812.000 al Centro e 822.000 nel Mezzogiorno.

Per il 75% uomini, per il 60% impiegati nell’industria, per il 63% residenti al Nord e in prevalenza lavoratori dipendenti e over 40. È l’identikit di chi da lunedì 4 maggio – giorno di inizio della “fase 2” del lockdown – tornerà a lavorare in base al Dpcm del 26 aprile. Si tratta di 4,4 milioni di persone, mentre 2,7 milioni resteranno ancora fermi. Su 100 rimasti a casa per effetto dei provvedimenti di sospensione delle attività, dunque, il 62,2% potrà tornare al lavoro. Ma la ripresa presenta quelli che la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in uno studio basato sui microdati delle Forze Lavoro Istat, definisce “paradossi“, parlando di “un quadro non coerente rispetto alla diffusione della pandemia” per quanto riguarda la distribuzione geografica delle riaperture.
Infatti la ripartenza interesserà maggiormente il Nord Italia, più esposto al contagio: la ripresa delle attività produttive “si concentrerà proprio nelle aree più interessate dal Coronavirus“, perché a fronte di 2,8 milioni di occupati nel Settentrione, “saranno 812.000 al Centro e 822.000 nel Mezzogiorno” a ricominciare a svolgere le proprie mansioni. Tra le regioni interessate, si legge nello studio dei professionisti, “LombardiaEmilia-RomagnaPiemonte, Veneto e Marche, dove il tasso di rientro oscilla intorno al 69%;”. Molto più basse le percentuali nelle altre zone del Paese, ossia “in Valle d’Aosta (49,3%), Lazio (46,7%), Sicilia (43,4%), Calabria (42,5%) e Sardegna (39,2%)“: qui, la ‘fase 2’ coinvolgerà meno di un lavoratore su due tra quelli sospesi per effetto dei decreti del governo.
L’altro paradosso segnalato dai consulenti è che su 100 occupati in settori sospesi, rientreranno al lavoro dal 4 maggio il 48,8% degli under 30, il 59% dei 30-39enni, il 67,1% dei 40-49enni, ben il 68,7% dei 50-59enni e il 60,1% degli over 60 fermi finora. Dunque “la popolazione più anziana riprenderà a lavorare prima di quella giovanile” nonostante sia la più vulnerabile al virus. Va detto che ovviamente la riapertura non comporta necessariamente la presenza in sede e anzi il governo ha chiesto di promuovere il più possibile il lavoro agile. Tuttavia i Consulenti del Lavoro segnalano come “solo nel 36,6% dei casi i lavoratori chiamati a riprendere le proprie attività potranno farlo in smart working; la maggioranza (63,4%), per le caratteristiche del proprio lavoro, non potrà che farlo in sede“.
Riaprono infatti tutte le attività di manifattura, il commercio all’ingrosso e i cantieri privati, settori in cui il lavoro richiede la presenza. La ‘fase 2’, scrivono i consulenti del lavoro, “interesserà principalmente i dipendenti dell’industria, dove l’attività potrà tornare a pieno regime (col 100% dei settori riaperti)”, e su 100 addetti che riprenderanno le redini del proprio impiego il 60,7% opera “nel settore manifatturiero, il 15,1% nelle costruzioni, il 12,7% nel commercio e l’11,4% in altre attività di servizio“.
L’altro effetto collaterale della riapertura dei settori industriali – mentre per esempio negozi e parrucchieri restano chiusi fino al 18 maggio – è che sarà favorita “soprattutto la ripresa dell’occupazione maschile, tradizionalmente più presente in tale comparto”. A ripartire saranno 3,3 milioni di uomini (il 74,8% del totale) e 1,1 milioni donne (25,2%). Per queste ultime “si prospettano tempi di ripresa più lunghi, considerando che meno della metà di quante sono rimaste a casa per effetto dei diversi decreti (44,1%) tornerà al lavoro dal 4 maggio, a fronte di una quota molto più alta per gli uomini (72,2%)”.
Infine, la maggioranza degli occupati che riprenderanno a lavorare è dipendente (3,5 milioni, pari al 79,4% di
chi riprenderà a lavorare) mentre gli autonomi (il restante 20,6%) dovranno ancora aspettare per riprendere a pieno le proprie attività lavorative: solo il 49% di quanti sono stati interessati dai provvedimenti di sospensione potrà riaprire già dal 4 maggio.
Il profilo degli occupati ancora “sospesi” al contrario vede fermo il 21% degli under 30 (contro il 13,1% dei 30-39enni, il 10,3% dei 40-49enni e l’8,4% degli over 50). Stessa cosa vale per le donne: resta ancora a casa il 14,3% delle occupate, contro il 9,4% degli uomini. Anche gli autonomi, “che hanno più diretto e urgente interesse alla ripresa lavorativa, sono ancora per il 17,8% costretti a casa”. Mentre a livello geografico si conferma il ritardo di ripartenza al Mezzogiorno. Su 100 lavoratori in settori “sospesi”, il 29,1% è al Sud, il 22,2% al Centro e il 48,7% al Nord.

Bergamo, azienda edile con 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato. Ma non pagava le tasse.

Bergamo, azienda edile con 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato. Ma non pagava le tasse

Ordinanza di custodia cautelare per due imprenditori. Un terzo ai domiciliari. Sequestrati beni per 2,3 milioni di euro

Gestivano un'impresa edile con oltre 270 dipendenti e 8 milioni di fatturato, ma evadevano il fisco. Per questo il gip di Bergamo ha chiesto l'arresto di due persone, una già in carcere, l'altra ricercata, e gli arresti domiciliari per una terza. Il magistrato ha anche disposto il sequestro di beni e disponibilità finanziarie per oltre 2,3 milioni di euro.

Le indagini, condotte dai finanzieri della Tenenza di Sarnico (Bergamo) si sono concentrate "su una società, con sede dichiarata a Telgate (Bergamo), attiva nel settore edile, che ha operato con oltre 270 dipendenti in diversi cantieri tra la Lombardia, il Veneto, il Trentino Alto Adige, la Liguria e l'Emilia Romagna e che, nonostante un fatturato di oltre 8 milioni di euro, non ha presentato le dichiarazioni fiscali e sarebbe stata "tenuta in vita due anni per poi essere messa in liquidazione".


L'attività investigativa ha permesso, inoltre, di identificare i reali amministratori della società, un sessantaseienne di origini bresciane e un quarantanovenne albanese, entrambi residenti in provincia di Brescia, gravati da diversi precedenti anche per reati fiscali e già in passato arrestati. Dovrà invece scontare gli arresti domiciliari il liquidatore della società, un sessantunenne sempre bresciano. Anche i prestanome, succedutisi nel tempo nella formale amministrazione dell'azienda, sono stati indagati: si tratta di tre uomini, uno originario della provincia di Brescia, uno della provincia di Napoli ed uno di quella di Como, tutti con precedenti.

A fronte del volume d'affari realizzato e non dichiarato negli anni 2017 e 2018, la società avrebbe dovuto versare all'Erario 2,3 milioni di euro tra Iva e imposte dirette ed ulteriori 1,6 milioni di euro a titolo di ritenute fiscali, contributi previdenziali ed assistenziali a favore dei propri dipendenti. Ma nulla è stato versato nella casse dello Stato, attraverso indebite compensazioni per crediti inesistenti, finte erogazioni del "bonus Renzi" ovvero inesistenti crediti d'imposta riconducibili all'incremento della base occupazionale.


https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/04/30/news/bergamo_azienda_edile_con_270_dipendenti_e_8_milioni_di_fatturato_evadeva_il_fisco-255264531/?fbclid=IwAR1H65ytgbq68Ge3FQXTMmGUUGsp-y4if1r09m5NlaQaZwstAfSKz78gcps