lunedì 22 novembre 2021

Uno su 3 non usa la cintura in auto, il 50% dei bimbi è senza seggiolino. -



Studio Anas: italiani imprudenti, 2 giovani su 10 al telefono.

Italiani imprudenti alla guida: uno su tre non utilizza la cintura di sicurezza mentre è al volante, senza dispositivi di ritenuta la metà dei bambini a bordo e due giovani su dieci maneggiano impropriamente il telefono mentre l'auto è in marcia.

E' l'impietosa fotografia scattata dalla Ricerca Osservatorio Stili di Guida Utenti, commissionata da ANAS e condotta dallo Studio Righetti e Monte Ingegneri e Architetti Associati presentata oggi nell'ambito del convegno "Sicurezza stradale: obiettivo zero vittime" organizzato in occasione della giornata mondiale in ricordo delle vittime della strada (21 novembre). 
Dallo studio, che ha analizzato i comportamenti di guida lungo tre differenti tipologie di strade e autostrade in gestione ad Anas di un campione di 6.000 utenti, emerge come il 28,38% dei conducenti non allaccia le cinture, dato che si alza se riferito al passeggero anteriore (31,87%) e passeggero posteriore (80,12%). Dati molto lontani dalla media registrata negli altri Paesi europei dove il 90% degli automobilisti indossa le cinture anteriori e ben il 71% dei passeggeri quelle posteriori.
Indisciplina anche per quanto riguarda i dispositivi di ritenuta per bambini, ben il 49,47% non li utilizza, e per gli indicatori luminosi: il 55,63% non li accende per la manovra di sorpasso o rientro (76,46%), o per l'entrata (59,20%) o uscita (43,71%) da rampa. Infine un automobilista su dieci (12,41%) utilizza in modo improprio il cellulare alla guida, cifra che balza al 18,06% nella fascia di età 18-40 anni. Scendendo nel dettaglio, si evince che le violazioni, nel complesso, sono commesse all'incirca nella stessa percentuale senza distinzione tra city car e berline (11,8% e 11,3%). Aumentano tra chi è alla guida di un suv (13,4%) o di un veicolo commerciale (14,6%).
L'indisciplina decresce con l'aumentare dell'età: se nella fascia 18-40 anni la percentuale è del 30,0%, in quella 40-60 anni scende al 28,6%, per toccare il 24,8% tra gli over 60. In genere, sono gli uomini i meno attenti alle norme di sicurezza, tranne che nell'utilizzo delle cinture nei sedili posteriori e nell'adoperare i sistemi di ritenzione per bambini: qui il rapporto si inverte.
Lo studio analizza alcuni tra i fattori psicologici che influiscono sulla mancata percezione del rischio alla base dei comportamenti all'origine degli incidenti stradali, distinguendo tra le violazioni deliberate al codice della strada e gli errori del conducente (es. sviste, manovre o valutazioni errate). Il comportamento in violazione non dipende infatti da un problema nel raccogliere o elaborare le informazioni necessarie per attuare il comportamento corretto, ma da una scelta influenzata da fattori psicologici, psicosociali e motivazionali. In particolare l'analisi ha richiamato questi fattori associandoli ai dati delle violazioni riscontrate. L'analisi della percezione del rischio è stata accompagnata anche da 17 interviste semi-strutturate a utenti delle tre differenti tipologie di strade e autostrade oggetto dell'indagine.
L'obiettivo è stato quello di indagare le motivazioni percepite come sottostanti i propri comportamenti rischiosi e quelli posti in essere dagli altri utenti della strada. I primi riconducibili per lo più a stress, abitudine, mancanza di senso civico mentre i secondi ascrivibili a mancato uso degli indicatori di direzione, manovre di sorpasso a destra, sorpassi pericolosi, velocità rischiosa. Invece in relazione alla percezione di sicurezza della strada, le dichiarazioni degli intervistati variano a seconda della tipologia di strada. L'82% del campione ritiene le strade sicure o non evidenzia una rilevante percezione del pericolo rispetto a tutte le tipologie di strade analizzate.

https://www.ansa.it/canale_motori/notizie/sicurezza/2021/11/22/-auto-1-su-3-non-usa-cintura-50-bimbi-senza-seggiolino-_955136e8-4b02-4a51-8834-b9bda8928d25.html

domenica 21 novembre 2021

Draghiciello. - Marco Travaglio

 

All’avvento dei Migliori, tutto avremmo immaginato fuorché di ritrovarci tal Antonio Funiciello, ex veltroniano poi renziano, noto per aver presieduto il Comitato Basta un Sì (quello del referendum stravinto dai No) e chiesto la nostra cacciata dalle tv, poi promosso a capo di gabinetto del premier Gentiloni. Ora, dalle carte dell’inchiesta Open, salta fuori che faceva – per usare un’espressione dell’amico Matteo su Letta – “marchette”: alla British American Tobacco (Bat) e al gruppo Toto. Nessun reato, per carità: non risulta indagato. Ma fatti perlomeno inopportuni, documentati dalle sue chat col pr di Bat Gianluca Ansalone e con Alfonso Toto. Bat, a fine 2017, teme un emendamento in Senato alla legge di Bilancio che aumenta le tasse sulle sigarette di fascia bassa. E a chi si rivolge per cancellarlo? Ai renziani, a cui finanzia Open e la Leopolda dal 2014. L’8.11. 2017 Ansalone attiva Funiciello, capo di gabinetto di Gentiloni, che si scapicolla e lo informa via via: “Ok, cerco di capire”, “Sono già all’opera, complicato però”, “Bene… non ancora chiusa, ma bene”, “In via di rassicurazione”. Il 14.11 è fatta: niente tasse in più. Ansalone scrive a Funiciello: “Un grazie non formale per aver condiviso merito e contenuto delle nostre preoccupazioni. Abbiamo evitato una cosa molto pericolosa”. Ma un mese dopo riciccia alla Camera lo stesso emendamento. Ansalone rimobilita Lotti, Bianchi e Funiciello per “disinnescare la bomba”. Il 19.12 missione compiuta: “Caro Antonio, finalmente dopo un nuovo round alla Camera possiamo rilassarci un attimo. Ti voglio ringraziare sinceramente per il tuo ascolto e il supporto”. Il 21.12 Bat, riconoscente, bonifica 20 mila euro alla fondazione Open.

La scena si ripete con Alfonso Toto, ceo del gruppo autostradale concessionario dello Stato, che si scrive un emendamento alla manovra 2017, “nel superiore interesse pubblico”, sullo scaglionamento dei fondi pubblici per la manutenzione dell’A24 e A25, poi lo fa presentare e approvare dal Pd renziano. Un affare da decine di milioni che passa – scrive la Gdf – grazie all’“interessamento di Boschi, attivata da D’Alfonso, e di Funiciello”. Toto scrive a D’Alfonso: “Sono stato da Funiciello e Canalini che hanno lavorato ventre a terra avendo compreso la drammaticità della ns infrastruttura”. Anche Toto finanzia Open tramite Bianchi.

Sapete dov’è ora Funiciello? Di nuovo a Palazzo Chigi come capo di gabinetto di Draghi, regista fra l’altro della lottizzazione selettiva della Rai. Nell’atto di nomina, ad aprile, Draghi precisa che dovrà esercitare le funzioni “unicamente per finalità di interesse generale”. Escluse, par di capire, le marchette alle lobby. Che aspetta ora ad accompagnarlo alla porta?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/21/draghiciello/6399963/

Open, ecco perché su Renzi il Senato non può sostituirsi all’autorità giudiziaria: lo dice la Consulta. - Piercamillo Davigo

 

IL MARCHESE DEL GRILLO - Lo “scudo” parlamentare reclamato a più riprese dall’ex premier non trova alcuna giustificazione. La Consulta è stata chiara su quali siano i reali confini della tutela dei parlamentari.

Nel testo originario della Costituzione, era previsto che nessun membro delle Camere (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) potesse essere sottoposto a procedimento penale senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

A fronte dell’indignazione popolare conseguente all’uso fatto del diniego di autorizzazioni, non solo sulla base di sacrosante ragioni di tutela della libertà dell’attività parlamentare, ma anche per assicurare l’impunità per reati comuni (persino per un omicidio colposo conseguente a incidente stradale), l’art. 68 della Costituzione fu modificato con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.

Rimase la necessità di autorizzazione per perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza, oltre che per le ipotesi di limitazione della libertà personale. Invero, se è comprensibile la tutela della libertà personale, è incomprensibile come possano essere subordinate ad autorizzazione preventiva atti a sorpresa quali perquisizioni o intercettazioni. Infatti un dibattito nella assemblea di cui il parlamentare fa parte vanificherebbe l’utilità dell’atto. Solo uno sciocco, per esempio, saputo che si sta per perquisirlo, per esempio per trovare stupefacenti, continuerebbe a detenere ciò che gli inquirenti ricercano. Altrettanto deve dirsi per le intercettazioni: chi converserebbe sapendo che è stata autorizzata una intercettazione nei suoi confronti?

Gli atti a sorpresa non possono perciò essere compiuti, ma può capitare (e concretamente capita) che intercettando altro soggetto si acquisiscano conversazioni rilevanti in sede penale con un parlamentare. In questi casi l’autorità giudiziaria deve chiedere alla Camera di appartenenza l’autorizzazione all’utilizzo di tali conversazioni.

La Corte costituzionale è più volte intervenuta su dinieghi di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni.

Con sentenza n. 74 del 26.02.2013 la Corte costituzionale, in riferimento a un procedimento penale per concorso esterno in associazione mafiosa, ha annullato la deliberazione della Camera dei deputati di diniego dell’autorizzazione alla utilizzazione, da parte della magistratura procedente, di intercettazioni telefoniche coinvolgenti casualmente il parlamentare, a seguito di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il tutto affermando che: “Non spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del 22 settembre 2010, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, a utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all’epoca dei fatti, nell’ambito del procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato. Invero, premesso che ai sensi dell’art. 6, della legge n. 140 del 2003, il criterio alla stregua del quale deve essere valutata la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri delle Camere è costituito dalla ‘necessità’ processuale e la valutazione circa la sussistenza di tale necessità spetta all’autorità giudiziaria richiedente, mentre al Parlamento compete di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio, accertando che il giudice abbia indicato gli elementi sui quali la richiesta si fonda e che questa sia motivata in termini non implausibili, nella deliberazione impugnata la motivazione formulata dal GIP a giustificazione della necessità di acquisire le intercettazioni non è stata in alcun modo esaminata e il diniego espresso dalla Camera è fondato su argomenti che hanno solo una remota attinenza con il requisito della necessità e comunque non concernono la plausibilità o sufficienza della motivazione del giudice, essendo volti piuttosto a negare in modo assiomatico rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate. Conseguentemente la delibera della Camera risultando assunta sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’art. 68, terzo comma Cost. e interferiscono con le attribuzioni assegnate in via esclusiva al giudice penale, deve essere annullata”.

Semplificando: la Camera di appartenenza non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nell’esercizio dei poteri di questa.

Ciò che è avvenuto per quanto riguarda le conversazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze non ha rappresentato “una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari”, bensì una “utilizzazione che ha evidenti e inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale”.

Nella recente vicenda che riguarda le indagini sulla Fondazione Open, il 4 ottobre la Procura di Firenze ha dichiarato il non luogo a provvedere rispetto all’istanza dei legali di Renzi, che qualche giorno prima avevano avanzato “formale intimazione al Procuratore aggiunto, dott. Luca Turco, di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa in base all’articolo 68 della Costituzione (sulle guarentigie dei parlamentari, ndr)” e dall’utilizzo di “conversazioni e corrispondenza casualmente captate (…) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. Ciò in quanto l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato che non essendo parlamentare non poteva invocare quelle garanzie riconosciute agli eletti.

Il senatore Renzi ha richiesto che l’Assemblea valutasse tale situazione e il senatore Pietro Grasso aveva segnalato come, al momento, non risultasse l’uso nei confronti del parlamentare di dati sequestrati a un terzo.

Con sentenza n. 390 del 2007 24.10.2007 la Corte costituzionale ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo l’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate. Infatti, le disposizioni impugnate sono incompatibili con il fondamentale principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, accordando al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell’art. 68 Cost., che finisce per travolgere ogni interesse contrario, poiché si elimina, a ogni effetto, dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare. Così si introduce una disparità di trattamento non solo fra il parlamentare e i terzi, ma anche fra gli stessi terzi, posto che la posizione del comune cittadino, cui gli elementi desumibili dalle intercettazioni nuocciano o giovino, viene a risultare differenziata in ragione della circostanza, casuale, che il soggetto sottoposto ad intercettazione abbia avuto come interlocutore un membro del Parlamento. Quel che rende contrastante l’art. 6, commi 2, 5 e 6, non solo con il principio di eguaglianza ma anche con il parametro della razionalità intrinseca è il fatto che sia stato delineato un meccanismo integralmente e irrimediabilmente demolitorio, omettendo qualsiasi apprezzamento della posizione dei terzi, anch’essi coinvolti nelle conversazioni”.

Una pronuncia del Senato di segno contrario alle decisioni della Corte costituzionale ricorderebbe il celebre motto del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un c…”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/20/lautorizzazione-a-non-procedere/6399183/

sabato 20 novembre 2021

Il Paese di Sottosopra. - Marco Travaglio

 

Nel Paese di Sottosopra, una ministra vota alla Camera contro il suo governo con due partiti della maggioranza, che va in minoranza; ma il premier, anziché salire al Quirinale, fischietta. Nel Paese di Sottosopra tutti applaudirono Renzi quando fece fuori tutti i partiti dalla Rai tranne il suo; oggi, per coerenza, applaudono Draghi perché fa fuori un solo partito, quello che ha vinto le elezioni, per spartirsi la Rai con tutti gli altri, quelli che le hanno perse; e la colpa è del leader dell’unico escluso. Nel Paese di Sottosopra, le Regioni sabotano i centri pubblici per l’impiego che dovevano attivare con 1 miliardo dello Stato; il governo, anziché obbligarle a farlo o riprendersi il miliardo, licenzia i navigator dopo averli formati e s’affida alle agenzie di Confindustria; Chiara Saraceno, consulente del governo, dice che “la stretta del governo sul Reddito non si basa su dati, ma su una narrazione fantasiosa e ideologica sui beneficiari nullafacenti”.

Nel Paese di Sottosopra il governo annuncia per mesi che cercherà “casa per casa” i 3,5 milioni di over 50 non vaccinati (che rischiano più dal Covid che dal vaccino); poi, siccome non riesce a convincerne uno, prova a farlo imponendo il Green Pass per lavorare; ma i non vaccinati, non essendo obbligati dal governo, non si vaccinano e si fanno i tamponi; allora il governo, per fare numero, minaccia di vaccinare i bambini (che rischiano più dal vaccino che dal Covid). Nel Paese di Sottosopra, quando il governo impone il Green Pass per lavorare, le imprese fanno notare che perderanno manodopera con gravi danni all’economia; allora il governo non fa i controlli (mille multe in due mesi), così i No Pass continuano a lavorare senza neppure il fastidio del tampone; ma tutti restano convinti che lavori solo chi ha il Green Pass e l’Italia sia un modello per il mondo intero (che però si guarda bene dall’imitarla). Nel Paese di Sottosopra, deve avere il Green pass chi lavora da solo in un ufficio di 100 mq o a distanze siderali dai colleghi, o viaggia su un vagone Frecciarossa o Italo semivuoto (sennò l’intero convoglio viene fermato in aperta campagna); invece non deve averlo chi si ammucchia nei carnai di bus, metro e treni per pendolari e studenti; e a scuola il metro di distanza è obbligatorio “ove possibile”. Nel Paese di Sottosopra, alcuni spostati che si fanno chiamare “governatori” o “ministri” chiedono il “lockdown per i non vaccinati” (ideona già fallita in Austria), come se questi fossero fosforescenti, distinguibili a occhio nudo dalle decine di milioni di vaccinati, ergo facili da scovare e rinchiudere ai domiciliari. Nel Paese di Sottosopra, questa allegra brigata di buontemponi viene chiamata “Governo dei Migliori”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/20/il-paese-di-sottosopra/6399113/

venerdì 19 novembre 2021

Il mondo è fuori. - Marco Travaglio

 

L’altroieri, mentre Conte denunciava la spartizione della Rai fra i perditori delle elezioni che per coerenza ha escluso i vincitori, lo stato maggiore pentastellato alle sue spalle esibiva una rassegna di facce da funerale, tipo quando ti muore il gatto. Le prefiche grilline dovrebbero vedersi la commedia A che servono questi quattrini di Eduardo De Filippo: “A un contadino cinese fuggì il cavallo. E tutti vennero a fargli le condoglianze. ‘E chi vi dice che sia una disgrazia?’, rispose il contadino. Infatti il cavallo tornò con altri sette. Tutti tornarono per congratularsi. ‘E chi vi dice che sia una fortuna?’, rispose il contadino. Infatti, cavalcando uno dei sette cavalli, il figlio cadde e si ruppe una gamba. Tutti tornarono a fare le condoglianze al contadino, che rispose: ‘E chi vi dice che sia una disgrazia?’. Infatti scoppiò la guerra e il figlio, grazie alla gamba rotta, fu riformato”. Ecco: chi l’ha detto che essere sbattuti fuori dalla Rai sia una disgrazia e non, invece, un’insperata fortuna?

Le intenzioni di Draghi le conosciamo: dare a Conte e a 11 milioni di elettori l’ennesimo schiaffo, che il premier può permettersi grazie al filo diretto con i governisti a oltranza Grillo e Di Maio. Un’operazione di regime, che taglia fuori da tg e gr il partito di maggioranza relativa dopo aver escluso dal Cda l’unico partito di opposizione (FdI). Ma è tutto nella logica della vecchia politica, di cui Draghi – a dispetto della sua finta estraneità al Palazzo – è maestro da quando portava i calzoni alla zuava: chi è fuori dalla Rai muore. Era così quando il servizio pubblico era servizio ed era pubblico. Oggi è una via di mezzo fra un postribolo, un ospizio, un manicomio e una barzelletta: più ne stai lontano, più vinci. Non a caso uno dei pochi programmi d’informazione rimasti credibili, Report, i politici deve inseguirli per inchiodarli alle loro responsabilità. La Lega delle origini (quella vera di Bossi) e il M5S sfondarono anche perché avevano tutta la Rai contro. Oggi le ospitate a Saxa Rubra servono alle salme tipo bin Rignan ad allontanare un altro po’ le esequie, non a chi vuole e può vincere fra la gente normale. Che ormai si ritrova in luoghi meno malfamati: i social e le piazze. Nei loro primi 9 anni i 5Stelle hanno imparato a fare opposizione: riprendano a farla, diano battaglia per il loro ddl di riforma (giacente da tre anni per mancanza di alleati), facciano le pulci a chi gestisce i soldi del canone, chiedano le carte degli appalti esterni, denuncino sprechi e marchette. E muovano il culo per tornare in piazza. Lì giocano in casa, anche grazie a un leader che, unico insieme alla Meloni, quando esce di casa viene ascoltato e applaudito (mentre quell’altro, se mette il naso fuori, lo menano). E chi vi dice che sia una disgrazia?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/19/il-mondo-e-fuori/6397738/

giovedì 18 novembre 2021

Lavoro sottopagato – Ecco cosa offre il mercato: stipendi da fame con la promessa di “inquadramento” e stage-truffa con il requisito di due anni di esperienza. - Charlotte Matteini

 

Per farsi un'idea delle storture basta un giro sui portali dedicati. Full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un'eccezione. E quando si chiedono chiarimenti sulle offerte fuorilegge le aziende parlano di errori durante la pubblicazione dell'annuncio. Un quadro che aiuta a mettere nella giusta prospettiva il dibattito sul salario minimo e gli strali di ristoratori o imprenditori che raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o "per colpa del reddito di cittadinanza". 

“Si tratta di un refuso: non serve esperienza pregressa”. “È stata una svista, lo modificheremo”. Sono le risposte fotocopia arrivate a ilfattoquotidiano.it da datori di lavoro che attraverso annunci online cercavano “tirocinanti” ma con uno o più anni di esperienza. Ovvero lavoratori a tutti gli effetti che queste società volevano però inquadrare con il contratto di tirocinio, che per legge è un periodo di formazione e prevede compensi molto bassi. E’ solo un esempio delle storture di un mercato in cui offerte di lavoro full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un’eccezione. Per farsi un’idea della situazione basta un giro tra gli annunci pubblicati sui portali dedicati. Il risultato aiuta a mettere nella giusta prospettiva sia il dibattito sulla necessità di fissare per legge un salario minimo sia gli strali di ristoratori o imprenditori che (smentiti dai numeri, ma molto ascoltati da alcuni partiti) raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o “per colpa del reddito di cittadinanza“.

L’agenzia per il lavoro Gesfor, con sede a Salerno, cercava attraverso Indeed un manutentore che avesse almeno un anno di esperienza alle spalle per un’azienda operante nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti dolciari, offrendo un tirocinio. Contattata, si è difesa sostenendo che l’annuncio fosse stato pubblicato per errore e che su LinkedIn si poteva trovare il testo corretto. In realtà, anche su LinkedIn la richiesta era identica. E’ stata cancellata e sostituita da altre – senza la richiesta di esperienza pregressa – solo dopo la segnalazione de ilfattoquotidiano.it. Idem con l’associazione Consaf di Torino, che era alla ricerca di un barista con pregressa esperienza per un tirocinio full time dal lunedì al sabato in orario pomeridiano e serale. Anche in questo caso, contattata telefonicamente, l’agenzia formativa ha dichiarato di aver pubblicato l’annuncio per sbaglio, promettendo che avrebbe provveduto a modificare il testo dell’offerta.

Cambiando settore, i problemi restano gli stessi. Dealflower è una testata giornalistica di Milano nata lo scorso giugno che da mesi cerca attraverso LinkedIn uno stagista con almeno due anni di esperienza per un tirocinio formativo in redazione. “Essendo appena nati non abbiamo le risorse per aggiungere un’altra persona con alto livello di seniority e questo spiega l’offerta di stage”, spiega la direttrice Laura Morelli. Comunque l’esperienza “non è assolutamente obbligatoria” e “uno o due anni può significare molte cose, come una piccola o saltuaria collaborazione con qualsiasi realtà editoriale, la frequentazione di una scuola di giornalismo o di qualche stage nell’ambito del percorso di studi. Serve per trovare qualcuno che sa almeno riconoscere come è fatto un comunicato stampa e ha un minimo di infarinatura della professione”. Nessuna risposta è arrivata alle domande sul trattamento economico previsto.

Non sono solo le offerte di stage a presentare le peggiori storture. Nell’ambito della cura della persona, le vette sono spesso inarrivabili. A Nola, per esempio, si ricerca una donna delle pulizie che lavori per 400 euro mensili – 500 euro in caso sia automunita – dalle 6.45 del mattino alle 14.30 dal lunedì al sabato. Il datore di lavoro, non pago dell’offerta, sottolinea: “Astenersi perditempo. Siete pregati di contattarmi solo se avete voglia di lavorare. Siete pregati di non dare fastidio. Evitate di essere mandati a quel Paese”. Chissà se è questo che intendono imprenditori e politici quando parlano della necessità di “soffrire e mettersi in gioco”.

Passiamo alla ristorazione? Nulla cambia. A Napoli, la pizzeria Pizza&Sfizi cerca un cameriere di sala per 8 turni settimanali – suddivisi dalle 10:00 alle 17:00 dal lunedì al sabato e il venerdì e il sabato dalle 18:00 a chiusura – per 120 euro a settimana. “Con possibilità di essere inquadrato”. E avverte: “Attenzione: il lavoro è adatto a un ragazzo con poca esperienza, ma con tanta voglia di lavorare”. Com’è umano, lei, verrebbe da replicare. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiedere conto dell’offerta, ma nessuno ha voluto rispondere alle domande. Sempre a Napoli, la caffetteria l’Oro Nero cerca “una figura femminile per consegne esterne più aiuto all’interno del locale”. La paga? 500 euro mensili più mance per un full time che prevede una settimana alternata di sei giorni lavorativi dalle 7.30 alle 14 o dalle 13.30 alle 20.00. Sempre meglio che stare sul divano, no? Raggiunti al telefono, hanno dapprima tergiversato e poi dichiarato trattarsi di uno stage. Tutto regolare, nessun lavoro nero, sostengono.

Uno spaccato illuminante nei giorni in cui il tema del salario minimo è tornato al centro del dibattito pubblico. Pd e M5s sono favorevoli all’introduzione di una legge che fissi un minimo sotto il quale un datore di lavoro non può scendere. Ma la misura – che attualmente è in vigore in 21 dei 27 Paesi dell’Unione Europea – trova il muro di Confindustria e non solo. In particolare, i sindacati confederali sostengono che il salario minimo depotenzierebbe lo strumento dei CCNL andando a comprimere i diritti dei lavoratori. Attualmente in Italia esistono oltre 900 contratti collettivi nazionali diversi e, nonostante questo, sono milioni i lavoratori che rimangono fuori dalla contrattazione collettiva nazionale, esposti a proposte di sfruttamento illegittime con stipendi bassissimi e zero diritti, come dimostrano le decine di offerte di aziende, commercianti e ristoratori che cercano manodopera al massimo ribasso. Se così tanti datori di lavoro non hanno remore a pubblicare annunci che fanno a pugni con il buon senso e le normative, non è che il problema non sono i giovani che non hanno voglia di mettersi in gioco ma la qualità delle offerte lavorative?

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/20/lavoro-sottopagato-ecco-cosa-offre-il-mercato-stipendi-da-fame-con-la-promessa-di-inquadramento-e-stage-truffa-con-il-requisito-di-due-anni-di-esperienza/6338427/

Irene Pivetti, chiusa l’inchiesta sul caso delle mascherine per l’ex presidente della Camera. Sequestro da 4 milioni di euro.

 

L'indagine, condotta dal sostituto procuratore Giovanni Tarzia, si concentra su una serie di operazioni commerciali, in particolare la compravendita di tre Ferrari Gran Turismo, che - secondo la ricostruzione della Procura - sono servite per riciclare proventi di un’evasione fiscale.

Il pasticcio – diventato un’inchiesta penale sulle mascherine importate dalla Cina e che ha coinvolto l’ex presidente della Camera Irene Pivetti – ha un primo punto fermo. La Guardia di finanza di Milano ha sequestrato 4 milioni di euro all’ex esponente leghista. Pivetti e un suo consulente sono indagati per riciclaggio e frode fiscale. L’indagine, condotta dal sostituto procuratore Giovanni Tarzia, si concentra su una serie di operazioni commerciali, in particolare la compravendita di tre Ferrari Gran Turismo, che – secondo la ricostruzione della Procura – sono servite per riciclare proventi di un’evasione fiscale. Le stesse accuse sono contestate, tra gli altri, anche al pilota di automobilismo Leonardo Isolani, alla moglie e alla figlia. La somma sequestrata dalle Fiamme gialle coincide con il profitto dei reati ipotizzati.

Nell’inchiesta è contestato anche l’autoriciclaggio, ipotizza il ruolo di intermediazione del gruppo Only Italia, presieduto da Irene Pivetti, in operazioni delle società di Isolani per nascondere appunti al fisco alcuni beni, tra cui le tre Ferrari, una delle quali è stata sequestrata dalle Fiamme Gialle tempo fa. Secondo la ricostruzione emersa dagli accertamenti i fatti risalgono al 2016. Isolani, che ha un suo “team racing”, avrebbe venduto tutti i beni (attrezzature, marchio e sito web) di una sua società indebitata con l’erario per diversi milioni di euro al fine di svuotarla. Beni che sarebbero andati ad un’altra sua società con base a San Marino, la quale avrebbe venduto di nuovo tutti i beni, e in più le tre Ferrari, ad una società di Hong Kong riferibile a Pivetti. Società quest’ultima che, poi, avrebbe rivenduto ancora gli asset al Gruppo Daohe, del magnate cinese Zhou Xi Jian.

La cessione è stata festeggiata con un evento a Palazzo Brancaccio a Roma organizzato proprio dall’ex esponente leghista. Nelle varie fasi dell’operazione di riciclaggio sono coinvolti anche un notaio e due imprenditori (di cui uno cinese). Gli indagati sono in tutto sette. Il 9 giugno dell’anno scorso c’erano state perquisizioni e nell’ottobre successivo un sequestro da 1,2 milioni a carico del pilota. Il sequestro di oggi è stato emesso in via d’urgenza dal pm Tarzia e riguarda 3,5 milioni di euro quale profitto della frode fiscale e 500.000 euro circa quale profitto delle condotte di riciclaggio dei proventi delittuosi dell’evasione fiscale. Oltre al sequestro preventivo da 4 milioni di euro il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf milanese sta notificando gli avvisi di conclusione dell’indagine e in vista della richiesta di rinvio a giudizio, a carico dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti, del pilota di rally Leonardo Leo Isolani e di altre 5 persone. Le indagini sono state estese, negli ultimi mesi, a “decine di giurisdizioni estere” attraverso rogatorie (verso Hong Kong, Cina, Macao, Svizzera, San Marino, Malta, Monaco, Gran Bretagna, Polonia e Spagna), ed è emerso che “parte del profitto della frode fiscale” era stato movimentato “sempre estero su estero”. Nell’inchiesta sono indagati anche la moglie di Isolani, Emanuela Mascoli e la figlia di lei Giorgia Giovannelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/18/irene-pivetti-chiusa-linchiesta-sul-caso-delle-mascherine-per-lex-presidente-della-camera-sequestro-da-4-milioni-di-euro/6396812/