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lunedì 23 marzo 2020

Remain Italian. - Francesco Ersparmer



È normale che quando a essere minacciata è la nostra esistenza e a essere stravolte sono le nostre consuetudini, il pericolo sembri molto maggiore e di conseguenza esploda la nostra ansietà. Non è normale che si stia perdendo completamente il senso delle proporzioni e che troppi italiani si stiano abbandonando a una visione cupa del futuro o addirittura apocalittica: che è il modo migliore per esentarsi dalla responsabilità di agire, la facile giustificazione per evitare di doversi rimboccare le maniche, smetterla di adorare le solite celebrity e di guardare i soliti programmi televisivi, fare una seria e onesta autocritica per capire come mai ci si trovi in questa situazione. All’apocalisse, per definizione, non c’è rimedio e dunque è inutile contrastarla: molto comodo. Gente che per decenni non è andata a votare e adesso si lamenta della politica; lombardi e veneti che per pagare meno tasse e potersi comprare il SUV hanno preteso la “razionalizzazione” della sanità pubblica (la Lombardia, quattro mandati a Formigoni e poi, non pentita, a Maroni e Fontana; il Veneto, tre mandati a Galan per poi passare a Zaia) e adesso sono indignati per le sue carenze; milioni di italiani che in cambio di qualche gadget di plastica hanno accettato e sostenuto privatizzazioni, delocalizzazioni e globalizzazione e adesso recriminano per la debolezza dello Stato.
I popoli hanno i governi che si meritano e anche le epidemie che la loro disattenzione ha favorito. Tanti italiani in questi giorni si stanno sacrificando, stanno tenendo in piedi il paese, come hanno sempre fatto. Tanti stanno dimostrando generosità, partecipazione, abnegazione a anche immaginazione – le immagini dei cittadini che cantano insieme sui balconi hanno fatto il giro del mondo e sono riuscite a ridare credito al nostro paese, un credito di cui avrà enorme bisogno fra qualche mese, annullando l’effetto negativo provocato dalle interviste anti-italiane di Renzi e Salvini e mostrando l’Italia che gli stranieri ammirano e invidiano, capace di una solidarietà diffusa, un mosaico di vere comunità. Ma non avrebbe dovuto essere necessario che tanti dessero tanto. Sarebbe bastato che tutti facessero la loro parte; sarebbe stata sufficiente un po’ di vigilanza contro gli stronzi e i pagliacci che hanno gradualmente occupato le posizioni di potere nelle istituzioni, nell’economia, nella televisione. Cos’altro credete che fossero la Milano da bere di craxiana e berlusconiana memoria, i vincenti della Leopolda, i rampanti leghisti? Come avete potuto pensare che una minoranza (ma vasta) abituata a infrangere impunemente il codice della strada (protetta dai garantisti liberal e radicali) si sarebbe dimostrata disciplinata e avrebbe obbedito alle limitazioni alla sua sacra libertà (individuale) di fare quello che le pare?
La tolleranza nei confronti del male produce il male. Gli italiani non sono dei puritani e neppure dei tedeschi; il nostro modello di società consente eccezioni, trasgressioni, pentimenti. Ma entro certi limiti: l’Italia è sempre stata anche una società morale, in cui le abitudini, le tradizioni e i legami familiari supplivano a una autorità centrale abbastanza debole. Poi sono arrivati i liberisti alla Berlusconi, alla Veltroni, alla Renzi, alla Salvini, alla Bonino, a diffondere il modello americano, l’omogeneizzazione senza responsabilità e identità, passiva, indotta dalla pubblicità, fondata sul mero consumismo.
Il coronavirus è una prova e un’occasione, esso segna un momento epocale, il momento in cui abbiamo la possibilità di scegliere, e se non scegliamo vincerà per default la posizione dei ricchi e dei corrotti: se tornare a essere quello che siamo sempre stati riscoprendo la nostra cultura e rigettando trent’anni di edonismo liberista, o se completare la trasformazione e diventare la brutta copia (tutti i difetti, nessuna virtù) degli Stati Uniti. Altro che “stay human”, un’astrazione. Si tratta di rimanere italiani.