Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 18 aprile 2010
Emergency, Frattini: liberi i tre operatori italiani. «Felici, ma passati momenti terribili»
I tre operatori di Emergency arrestati la scorsa settimana in Afghanistan con l'accusa di terrorismo sono stati liberati. Lo riferisce il ministro degli Esteri Franco Frattini in una nota. I tre operatori di Emergency, secondo quanto rende noto la stessa organizzazione, si stanno dirigendo verso l'ambasciata italiana a Kabul.«Abbiamo ottenuto quello che era il nostro obiettivo prioritario, e cioè la libertà per i nostri connazionali senza mettere in discussione la nostra posizione di ferma solidarietà con le istituzioni afgane e la coalizione internazionale nella lotta contro il terrorismo in Afghanistan», si legge nella nota. I tre operatori italiani di Emergency del centro di Lashkar-gah, Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, e i loro sei colleghi afghani sono stati fermati sabato 10 aprile, con l'accusa di aver preso parte ad un complotto per assassinare il governatore della regione di Helmand, Gulab Mangal. I tre italiani di Emergency sono stati rilasciati perchè «non colpevoli». Lo dice un comunicato del
Nds, i servizi di intelligence afghani, diffuso oggi.
«Mi sembra una bella conclusione», dice Gino Strada.«È fallito il tentativo di screditarci» È un lungo elenco di ringraziamento quello che arriva da Gino Strada, fondatore di Emergency, dopo la liberazione dei tre operatori dell'associazione in Afghanistan. Dopo le tensioni con il governo italiano, Gino Strada ringrazia l'esecutivo per il contributo dato alla liberazione e scherza «invierò una maglietta di Emergency al ministro Frattini, come mi aveva chiesto». Nessun contatto oggi con il ministro degli Esteri: «Non l'ho sentito al telefono, ma l'ho fatto nei giorni scorsi», sottolinea Strada. «Ringrazio la diplomazia, il ministro degli Affari Esteri e il rappresentante dell'Onu che ha preso a cuore la vicenda, ma anche tutti gli operatori di Emergency che hanno mostrato fermezza e compattezza straordinaria». Strada non dimentica anche l'affetto degli italiani che hanno partecipato alla manifestazione di ieri a Roma. «Gli italiani amano Emergency e il nostro lavoro». Ma il ringraziamento del fondatore di Emergency va anche ai «moltissimi cittadini afghani che hanno mostrato la loro solidarietà. Diecimila persone hanno raggiunto a piedi il nostro ospedale in Afghanistan per firmare un appello di solidarietà per il nostro lavoro». Strada, visibilmente soddisfatto, ha infine ringraziato tutti quelli che «si sono dati da fare per smontare questa montatura».
«Siamo molto contenti di essere fuori, soprattutto contenti di questo perchè sia io che i miei compagni abbiamo passato momenti terribili». Lo ha detto Marco Garatti, uno dei tre operatori di Emergency liberati in Afghanistan, parlando nella residenza dell'ambasciatore italiano a Kabul. Siamo soprattutto contenti di essere fuori con il nostro nome completamente pulito. La nostra reputazione e quella di Emergency sono intatte».
Nelle ultime 48 ore, i tre italiani ono stati trattenuti dalle autorità afghane all'interno di una guest house, dunque non in carcere. Lo riferiscono fonti dell'intelligence sottolineando che «sono stati trattati bene» e che «probabilmente l'epilogo della vicenda sarà l'invito da parte delle autorità di Kabul a lasciare l'Afghanistan». La liberazione dei tre è avvenuta «nel momento in cui gli investigatori afghani hanno verificato che non sono stati raccolti riscontri significativi alle accuse formulate in un primo momento». Il rilascio degli operatori di Emergency è avvenuto «al culmine di una intensa attività di intelligence da parte del personale dell'Aise e diplomatica da parte del personale già presente sul posto e inviato dalla Farnesina in Afghanistan».
«La liberazione dei tre operatori di Emergency in Afghanistan è motivo di sollievo per noi tutti e, in primo luogo naturalmente, per i famigliari. L'intesa raggiunta tra le autorità afghane e il governo italiano garantisce il rispetto dei diritti fondamentali delle persone bruscamente arrestate e pesantemente quanto genericamente accusate, e, nello stesso tempo, la piena corretta disponibilità, nel rispetto delle istituzioni afghane, all'approfondimento delle indagini, sulla base di ogni eventuale ulteriore elemento, da parte della magistratura italiana». È quanto afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Il governo, e per esso il ministero degli Esteri, ha operato con accortezza e fermezza, aderendo alle preoccupazioni espresse da una vasta opinione pubblica», si conclude la dichiarazione del Capo dello Stato.
«Sono su di morale, forte, sto bene e vi saluto tutti». Sono le prime parole dette da Matteo Dell'Aira, al telefono da Kabul, alla compagna Paola, a Milano. Le ha riferite la mamma di Matteo, Daniela, dopo essersi sentita con la compagna del figlio.«Siamo molto, molto felici che i nostri tre operatori siano stati finalmente liberati e che abbiano potuto contattare le loro famiglie dopo otto giorni di angoscia»: è il commento 'a caldò di Cecilia Strada, presidente di Emergency e figlia di Gino Strada, pochi minuti dopo l'annuncio della liberazione a Kabul di Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell'Aira. «Non avevamo dubbi sul fatto che tutto si sarebbe risolto bene - ha detto Cecilia Strada - perchè abbiamo sempre saputo che sono innocenti, così come lo sapevano le centinaia di migliaia di cittadini italiani che ci hanno sostenuto in questi giorni». I tre operatori, ha detto, stanno bene e sono felici di essere liberi. In questo momento si trovano nell'Ambasciata italiana a Kabul. Una liberazione, quella dei tre operatori arrestati nove giorni fa, che secondo Emergency è stata possibile «grazie al lavoro di tutti coloro che si sono adoperati in questi giorni». Non sa ancora, Cecilia Strada, se e quando i tre operatori potranno tornare in Italia: «Ora è il momento della gioia, poi si ragionerà su cosa fare».
«Una conferenza stampa di domenica in genere si giustifica solo con un'emergenza. Questa volta, per fortuna, è una... Emergency positiva», dice Gianni Letta aprendo la conferena stampa del governo sulla liberazione dei tre volontari italiani. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio affianca il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ed aggiunge una seconda battuta, in tema con l'agenda sportiva della giornata. «Non vi vogliamo rovinare la domenica del derby - dice infatti Letta ai giornalisti - Vi vogliamo dare una buona notizia, che d'altro canto già conoscete, perchè il governo in fondo il suo derby l'ha vinto..». «Questa azione è stata condotta al di là e al di fuori di ogni polemica politica. Non abbiamo voluto rispondere a nessuna delle accuse
o delle insinuazioni o delle polemiche. Abbiamo voluto come sempre - ribadisce Letta - fare il nostro lavoro in coscienza,
con determinazione, sicuri di aver scelto la strada giusta».
È Franco Frattini a dare ai giornalisti il film della crisi di questi giorni, e della sua felice conclusione, nella conferenza stampa a Palazzo Chigi. Il ministro degli Esteri richiama i suoi «primi e immediati contatti, con il ministro degli Esteri afghano, attraverso l'inviato speciale che si è trasferito subito a Kabul, l'ambasciatore Iannucci, con il presidente Karzai ed il consigliere per la sicurezza nazionale, che tra l'altro è mio ex collega e mio personale amico». «Il duplice obiettivo - spiega - era accertare tutta la verità nel tempo più breve possibile. Secondo il codice afghano - rileva - i servizi segreti, nelle indagini in cui si contestano azioni criminose del genere, ha 15 giorni prima di formulara l'accusa, e dopo 7 giorni non solo non lo è stata ma, non essendovene elementi sufficienti, è stato deciso, su nostra pressante richiesta, di mettere in libertà piena i tre connazionali arrestati, che nelle prossime ore - annuncia - saranno accompagnati in Italia con un volo speciale italiano e che ora si trovano all'ambasciata di Kabul».
Frattini rivendica «un'azione diplomatica condotta preferendo che a parlare fossero i fatti, che sin dal primo momento sono stati chiari: impegno a trasferire da Helmand a Kabul, mantenuto prima del previsto. A un trattamento assolutamente decoroso, e sono stati subito trasferiti in una guest house che non è una prigione ma una struttura nuova e non paragonabile a una camera di sicurezza, sono stati visitati subito dal nostro ambasciatore come promesso». Poi «si è aggiunto un contatto delle ultime ore che, ieri, mi ha persuaso fosse possibile proporre al governo afghano la liberazione, sulla base di un impegno di fiducia verso le istituzioni italiane. Il governo afghano ha richiesto che vi fosse l'impegno formale del governo italiano, qualora emergano successivamente delle accuse nuove, o si approfondiscano quelle originali, che siano le autorità giudiziarie italiane, secondo la legge italiana, ad occuparsi del caso: un evidente gesto di fiducia verso l'Italia», ribadisce Frattini che rimarca anche che «non si riteneva accettabile da parte nostra che si continuasse a prendere tempo».
«Voglio dare atto a Cecilia Strada(presidente di Emergency, ndr) di aver gestito la vicenda con sobrietà e evitando strumentalizzazioni» al contrario di «una minoranza delle forze parlamentari che ha ottenuto come risposta i risultati di oggi», ha aggiunto Frattini. «Anche il Pd ha tenuto un atteggiamento misurato e prudente, senza fughe in avanti e senza richiesta strane e inaccettabili, come invece qualcuno dell'opposizione, non del Pd, ha voluto avanzare».
«Sta bene, è contento non sa niente di quello che è successo in Italia, ma gli abbiamo già raccontato che tutta Italia era con lui»: così la madre di Matteo Pagani, appena pochi minuti dopo l'annuncio della Farnesina che il figlio è stato liberato. «Pensava di essere prigioniero da nove giorni», ha detto il padre, Massimo. «Gli abbiamo spiegato che sono otto, ma lui insiste... È comunque sereno, anche se ha vissuto giorni di ansia. Sicuramente non è stato in un hotel. E l'ambasciata, dove si trova ora con gli altri operatori, deve essergli sembrata un paradiso». «Gli abbiamo raccontato dell'enorme solidarietà che c'è stata in Italia: abbiamo avuto riconoscimenti e attestazioni da tutto il mondo. Ci ha scritto una bellissima lettera persino un sacerdote con cui aveva lavorato in Venezuela». Il giovane -trent'anni appena, ma già una vita dedicata agli altri- era stato già in Sri Lanka, Brasile, Argentina e poi era approdato a Lashkar Gah, con un progetto di cinque mesi per Emergency. Soddisfatta, con una voce che tradisce una gioia straripante, la signora Pagani è convinta che suo figlio non si farà dissuadere dalla difficile esperienza in Afghanistan a cambiare vita: «È la vita che vuole fare. Ce lo aveva ripetuto anche quando era partito per l'Afghanistan. "Ma chi vuoi che vada a bombardare un ospedale?", diceva per tranquillizzarci. Non avremmo mai creduto di ritrovarci in una situazione così pazzesca, ma l'importante è che sia finita».
Francesco Garatti, fratello di Marco -il medico di Emergency arrestato sabato scorso a Lashkar Gah, nella provincia di Helmand e liberato oggi a Kabul- non ha ancora parlato con il suo congiunto, ma tiene a ringraziare tutti coloro che si sono adoperati per la positiva soluzione della crisi. «La vicenda si è risolta molto rapidamente rispetto alle previsioni nere dei giorni scorsi. Vogliamo davvero ringraziare tutti: le istituzioni, il ministro Frattini, in primis, che ci aveva telefonato stamane preannunciandoci che c'era qualcosa nell'aria. Grazie anche a Cecilia Strada, che ci ha tenuto costantemente aggiornati e a Paolo Corsini, il deputato Pd che è il politico locale che ha sostenuto e incoraggiato un contatto diretto tra la nostra famiglia e il ministro stesso». «Grazie -conclude Garatti, raggiunto telefonicamente- anche a tutte le persone che ci sono state vicine, che ci hanno dato testimonianze incredibili di affetto e solidarietà. Quanto alle polemiche, lasciamole alle spalle: come avrà visto, anche nei giorni scorsi siamo rimasti riservati, convinti che non fosse il caso di fare polemiche».
Emergency opera in Afghanistan dal 1999 con tre centri chirurgici, un centro di maternità e una rete di 28 centri sanitari. Gli altri sei italiani impiegati nella struttura di Emergency a Lashkar-gah sono stati trasferiti a Kabul il 13 aprile, lasciando il controllo del centro alle autorità afghane. L'Italia è in Afghanistan con oltre 3.000 truppe, parte del contingente internazionale guidato dalla Nato per combattere la ribellione talebana e sostenere il governo Karzai.
sabato 17 aprile 2010
Scontro Fini-Berlusconi: andranno fino in fondo?
Una destra che non c’è mai stata - Luca Telese
La domanda è: ma può esistere la destra liberale che sognaGianfranco Fini? Problema antico. Non è esistita, ai tempi del Regno, una destra nazionalista seria: c’è stato l’avventurismo interventista dei Salandra. Non è esistita, negli anni Venti, la destra romantica (ma non eversiva) sognata daD’Annunzio:èmorta con la marcia su Roma. Non è esistita, negli anni Trenta, una destra modernizzatrice ma non totalitaria: il cipiglio diMussolini era seduto sulla bara di Matteotti, come nelle vignette di Scalarini. Non è esistita, dopo il ‘43, la destra socialista sognata dai repubblichini di sinistra (“compagni in camicianera”),tutta riforme sociali e partecipazioni: c’erano stragi e rastrellamenti nazisti. Non è esistita, nel dopoguerra, la destra liberale vagheggiata da Montanelli, che infatti si turava il naso e votava Dc. Non è esistita la destra moderata ma illuminata desiderata da Guareschi, e nemmeno quella eclettica, colta e disincantata immaginata da Longanesi.
Prezzolini era un profeta autoesiliato oltreoceano: in Italia i rari intellettuali si dividevano fra la tigre antisistema di Evola, le polverosità reazionarie e monarchiche di Michelini e il doppiopetto dell‘Almirante Dio-patria-e-famiglia. Insomma, la destra ghibellina disegnata dai “vietcong finiani” di FareFuturo - laica, progressista e integrazionista - è bella e impossibile. La destra che c’è ha la faccia etnico-xenofoba della Lega e quella servile e aziendalista del berlusconismo. Se Fini fa nascere la destra che non c’è mai stata, sarebbe un prodigio. Per provarci deve mettere su i gruppi entro poche ore, strangolare le (finte) “colombe”, resistere 3 anni. Se ce la fa, la votiamo pure noi di sinistra, ovvio.
Da il Fatto Quotidiano del 17 aprile
Chiesa complice del 'Caudillo' - Marco Politi
C'è un mondo cattolico moderato, che attende di uscire dalla palude berlusconiana. Una fascia di popolo che “ama l’Italia”, ha un’idea decorosa di Stato sociale, teme lo sfascio istituzionale causato dal Cavaliere e aborre l’isteria leghista con gli scenari di scolari “insolventi” senza pasto e musulmani perseguitati fin nei cimiteri. Ma questo mondo ha bisogno di un punto d’appoggio programmatico, che alle elezioni regionali non ha trovato. E’ chiaro che nessuno sbocco positivo potrà aprirsi, se le forze di centro e di sinistra non troveranno i punti essenziali di un’“agenda Italia”, che risponda alle esigenze drammatiche di famiglie, aziende, giovani, disoccupa-ti e precari. Se Udc e Pd, se Idv e SeL non riusciranno a convergere su poche, essenziali battaglie sociali e costituzionali, la situazione si incancrenirà.
Senza una sponda concreta anche l’aspirazione di Fini a costruire un partito liberal-conservatore, attento alla coesione nazionale, rischierà di sfrangiarsi. E il caudillismo di Berlusconi e il suo patto di ferro con la Lega non saranno davvero messi in crisi. La Chiesa potrebbe fare molto per indirizzare la crisi verso la visione di un Paese, degna di Sturzo, De Gasperi e Moro, una visione alta quale emerge dalle sue Settimane sociali e dal recente convegno Cei sul Meridione. Ma ai vertici ecclesiastici Oltretevere sembra più caro l’utile compagno di strada Berlusconi. Perisca l’Italia, al dunque, purchè continui il sabotaggio della Ru486 e del testamento biologico.
Da il Fatto Quotidiano del 17 aprile
Lo colpiranno in ogni modo - Peter Gomez
Tempi duri per Gianfranco Fini. Nei prossimi giorni l’ex numero uno di An sarà calunniato, spiato, dossierato. I media del premier, che già in settembre avevano iniziato a sparargli contro, lo descriveranno come un malfattore, un poco di buono, forse un malato di mente, o peggio. Se poi davvero i finiani arriveranno a costituire un gruppo in parlamento, verrà bandita un'asta per convincerli, uno a uno, a desistere. Saranno offerti loro incarichi, prebende, denari. Inutile scandalizzarsi. Le cose, nell’Italia di B., vanno così. Il Cavaliere, del resto, a differenza dei suoi coriferi, sa che le ultime regionali sono andate bene per il centro-destra, ma malissimo per il Pdl. Più di due milioni di elettori hanno voltato le spalle al partito. Sono i voti degli astenuti che ora Fini spera legittimamente di recuperare, pensando pure di attingere qualcosa nel campo avverso, dove la linea del Pd, se esiste, appare ormai opposta a quella del suo elettorato.
I sondaggi parlano chiaro: il Fini moderato nei toni, ma inflessibile sui principi (dalla giustizia, ai diritti civili) piace. Anche a sinistra. Per questo il Cavaliere si prepara ad ucciderlo (politicamente). B ha bisogno di una truppa compatta perché per lui le riforme sono la (nuova) ultima spiaggia. Solo cambiando la Costituzione potrà reintrodurre una qualche immunità che lo metta per sempre al riparo dalla sua grande ossessione: i processi. L’abbraccio con la Lega (di-sposta a tutto per il federalismo) si spiega in buona parte così. Ma con un Fini forte, nemmeno Bossi e il debole Pd basteranno più. Dunque il Cavaliere olia il fucile. Dice di essere in forma. Ma ha 74 anni. E forse, per fortuna di Fini e del Paese, la sua mira non è più quella di un tempo.
Da il Fatto Quotidiano del 17 aprile
Un colpo a salve e ora aspetta - Maurizio Chierici
Fini sa come navigare, un colpo a salve e aspetta. Per il momento non succederà niente. I suoi trombettieri scelgono le parole con l’accortezza delle signore dalla mano dubbiosa sopra il vassoio delle cioccolate. Questa o questa? Lasciano capire senza compromettersi. Certo che la crisi fra i fondatori del partito quasi unico soffia come un uragano. Dietrologie raffinate provano a spiegare l’irriconoscenza verso l’uomo che l’ha sdoganato dall’ombra del fascismo. Fini geloso di Bossi? Delle banche, dei governatori e dell’egemonia nella quale avvolge Berlusconi? Si dice sia la tracotanza dei peones la goccia che ha traboccato il vaso.
Ore prima del famoso incontro non digerito, il senatore Gian Paolo Vallardi, Lega di Vittorio Veneto, aveva presentato un disegno di legge: dà la possibilità ai sindaci di battezzare col nome di personaggi locali le nuove scuole, insinuando che vecchi licei, piazze e strade possono essere titolati ai protagonisti della Padania. Basta con Garibaldi: chiamiamola Marcantonio Flaminio. Ma come cancellare da Torino a Vittorio Veneto scuole e piazze nelle quali è cresciuta l’Italia? Per Vallardi solo Nizza ne ha diritto. E la Francia inaugura il battaglione Garibaldi della Legione Straniera. Anche Fini ha qualche dubbio sulla vanità di Berlusconi puntellata dal Bossi salvato dalle fideiussioni del Cavaliere quando la sua banca stava tirando le cuoia. Ha perfino comprato il simbolo della Lega per scongiurare nuovi tradimenti. Per amor della patria unita Fini rimonterà, come è il segreto.
Da il Fatto Quotidiano del 17 aprile