lunedì 26 aprile 2010

Un anno dopo. Le Ecoballe di Bertolaso _ Pietro Orsatti

A quasi un anno di distanza da quando è stato realizzato, riproponiamo questo reportage. La ragione è evidente. La situazione nella “terra dei fuochi” non è cambiata una virgola.

Come non è cambiato il pudore di gran parte dei media nazionali nel parlare di un territorio che è totalmente sfuggito fuori dal controllo dello Stato e dove a volte (troppo spesso) lo stesso Stato diventa una parte, e non piccola, del problema. Quel giorno eravamo in quattro. Francesco Piccinini, Nello Trocchia, un fotografo napoletano di cui non ricordo il nome e io. Stravolti, anche se ci aspettavamo in gran parte quello che poi ci siamo trovati davanti, a sera ci ritrovammo a mangiare dagli amici di NCO (Nuova Cucina Organizzata) a Casale: si cercava di ridere, ma a fatica. Non è facile far scattare l’interrutore che ti consente di tornare alla normalità dopo una giornata del genere. Non so gli altri. Io i vestiti che indossavo quel giorno li ho buttati.

REPORTAGE – Un milione di metri cubi di rifiuti. Abbandonati e senza controllo nella discarica di Ferrandelle, dove il percolato cola nei canali dell’acqua destinata a irrigare immensi campi di grano e rifornire i tre caseifici della zona

La terra dei fuochi è in piena attività. Un vulcano in eruzione. Ribolle di puzza, liquami, immondizia e fiamme. L’emergenza rifiuti in Campania, e in particolare nella provincia di Caserta feudo dei Casalesi, è scomparsa e risolta solo nei Tg nazionali e nei proclami dei commissari e degli accondiscendenti emissari di governo. Non serve leggere rapporti, perizie e lanci di agenzia per accorgersene. Non serve fare anticamera dall’assessore di turno e meno che mai chiedere “permesso” alle forze dell’ordine. Basta andarci, nella terra dei fuochi, per scoprire questo ennesimo, raccapricciante e pericolosissimo inganno messo in piedi dal Titanic mediatico che fa capo all’attuale maggioranza di governo e in particolare al premier e al suo braccio armato Bertolaso. Basta salire in auto e fare una manciata di chilometri dall’uscita della Domiziana cercando di dimenticare cosa si rischi a prendersela con gli affari dei Casalesi.

A Casal di Principe è morto lo Stato per suicidio. Se qualcuno vi dice il contrario o è spaventato a morte o è un complice. Peppe è uno che lavora nel sociale, si batte da anni contro la camorra e il degrado. Ed è spietato nel suo giudizio: «Prima, quando ci battevamo contro la “monnezza” smaltita irregolarmente dalla camorra ci dicevano “bravi, andate avanti così”, oggi che ci battiamo contro la “monnezza” smaltita sempre irregolarmente, ma dallo Stato, ci danno dei camorristi».
Che vuoi dire? «Vatti a vedere che cos’è Ferrandelle». E andiamo a vedere. Ferrandelle è il più grande sito di smaltimento (provvisorio, si diceva) dell’era Bertolaso bis, quella della rinascita del governo Berlusconi terzo. Sta in un’area posta a metà strada fra Santa Maria la Fossa e Casal di Principe. In un’azienda agricola confiscata a Sandokan, Francesco Schiavone, il boss che più di altri capì anticipatamente che la “monnezza” è oro. Un milione di metri cubi di rifiuti, ecco cosa conterrebbe questo sito “di interesse strategico nazionale” (di conseguenza vincolato a segreto di Stato per non avere rompiscatole che vadano a ficcare il naso). E ad aprile scorso il blocco per raggiunti limiti.

 Discarica immensa, a cielo aperto, parzialmente abbandonata. Se c’è una vigilanza all’ingresso principale, di lato si arriva quasi a toccarle le montagne di rifiuti e non risulta alcun controllo neppure a distanza. Ci si rende conto immediatamente che sono saltate, se mai sono state attuate, tutte le norme di sicurezza e di contenimento degli inquinanti. Il percolato cola nei canali di scolo mischiandosi con l’acqua (se è possibile chiamare acqua il liquame maleodorante che scorre in quei fossi) che andrà a irrigare gli immensi campi di grano della zona. Le coperture sono saltate. Molte delle piscine (fatte di teli impermeabilizzanti) hanno ceduto e i rifiuti sono a contatto direttamente con il terreno. Come del resto anche nel sito limitrofo, a ridosso di una base militare praticamente in disuso, dove si lavora per preparare le strutture non per ricevere i rifiuti ma per consentire lo svuotamento di Ferrandelle, ormai collassata. Ma anche in questo sito già ci sono rifiuti smaltiti irregolarmente senza alcuna barriera di contenimento del percolato. «Andatevene che arrivano i militari». Anche se siamo per strada, non in zona militare. Perché anche questo è un sito militarizzato, anche se di soldati non se ne vedono.
La situazione diventa paradossale davanti l’ingresso principale di Ferrandelle. Dall’altra parte della strada una serie di capannoni e di aree di stoccaggio di ecoballe. In uno di questi, allagato, le ecoballe galleggiano. Lo stesso spettacolo al quale si assiste nell’area limitrofa all’aperto, senza neppure la provvisoria copertura garantita dalle tettoie. I teli a terra sono posizionati in modo che il percolato (che si riforma inevitabilmente a contatto dell’acqua) defluisca all’esterno del sito. Anche questo posizionato a pochi metri da terreni coltivati e dai tre caseifici presenti nell’area.

Il mostro è lì sotto gli occhi di tutti, ma nessuno vede. Pomeriggio di festa, Casal di Principe. Il sabato di giugno da queste parti sembra essere destinato ai matrimoni. Fa un certo effetto vedere la sposa con il suo vestito avanzare verso l’ingresso della chiesa con sullo sfondo cumuli di immondizia e un branco di cani randagi ansimanti per il caldo. Fa effetto a noi, non agli invitati con il vestito della festa. Potere dell’abitudine. Perché vivere “co a munnezza” per strada ormai è consuetudine. Altro che raccolta differenziata ed emergenza rientrata. Qui, la “monnezza” da schifo è diventata panorama. “Monnezza” e ville di boss piccoli e grandi, pacchiani monumenti alla camorra più mafiosa, nella sua declinazione tecnica tradizionale.
Identità, capacità di differrenziare attività lecite e illecite, controllo uniforme e militare dell’intero territorio. E infiltrazione, a ogni livello, di amministrazioni, organi tecnici ed elettivi e di interi comparti economici. Altro che mafietta tamarra e gratuitamente violenta.

I Casalesi assomigliano, e tanto, a Cosa nostra. E il bello è che lo sanno talmente tanto bene da imitarne anche i comportamenti “accomodanti” dei clan siciliani. «Siete proprio sicuri che quel pazzo sanguinario di Setola sia stato preso senza il consenso, anche se passivo, delle famiglie?». È uno dei tanti investigatori a parlare, anonimamente. Uno di quelli senza giubba blu che danno la caccia a boss latitanti da decenni. Ride e accende una sigaretta. «Anche qui, come in Sicilia per Provenzano, dovrete seguire “un sacchetto di mutande” per prenderli?». La risata è più eloquente di una risposta. «Speriamo non ci vogliano trent’anni per seguirlo sto sacchetto». Una mezz’ora dopo l’ultimo lancio di riso sul sagrato di una chiesa, si alza una colonna di fumo a poche centinaia di metri. All’incrocio di due vie, in mezzo alle case basse protette da muri da fortino spagnolo, in un pezzo di terreno incolto una discarica “estemporanea” (identica alle altre centinaia presenti sul territorio) ha preso fuoco. Incendio spontaneo coatto con tanto di aiutino in forma di benzina. Sotto gli occhi di una piccola folla tre uomini, uno anziano con un secchio gli altri più giovani con pompe da giardino, bagnano il perimetro per impedire che il fuoco si allarghi fuori dalla discarica. Amianto, frigoriferi, copertoni, spazzatura “semplice”, barattoli di vernice: tutto brucia velocemente e il fumo avvolge tutto, denso, irrespirabile. «Avete già chiamato i pompieri?», chiediamo all’uomo con il secchio. «No». «E perché no?» Con uno sguardo che scioglierebbe anche un carrozziere: «Perché no». Ma i pompieri, comunque, qualcuno li ha chiamati lo stesso. E appena arriva l’autopompa la strada si svuota. Dei tre uomini e delle decine di spettatori nessuna traccia.


VISITA: orsatti.it

Tratto da: gliitaliani.it

domenica 25 aprile 2010

Scajola, storia di un ministro al di sotto di ogni sospetto - Peter Gomez


25 aprile 2010

Settanta giorni in carcere prima di essere assolto, gli insulti a Marco Biagi, la parentopoli a Imperia e ora gli interrogativi per mezzo milione di euro provenienti dalla "cricca": ma uno come lui può ancora stare al governo?

"Certo, c'è bisogno di una moralità più forte, ma anche di non destabilizzare il sistema". Quando in febbraio a finire sotto inchiesta era stato
Nicola Di Girolamo, il senatore abusivo entrato in Parlamento grazie ai voti della 'ndrangheta e a falsi documenti che attestavano la sua residenza all'estero, il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, aveva invitato tutti alla prudenza. Gli italiani si stavano riprendendo a stento dalle rivelazioni sul sistema di appalti truccati che ruotava attorno a una serie di ex stretti collaboratori del sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso, che adesso si apriva un altro fronte. Così Scajola, 62 anni, era apparso preoccupato. E aveva paventato il rischio destabilizzazione. Molti pensavano che si riferisse al sistema politico e a quello economico. Ma in realtà, come si comincia a intuire adesso, Scajola parlava di se stesso. Sì, perché intorno a "u ministru", come lo chiamano nel suo feudo elettorale del Ponente Ligure, ruota un vero e proprio sistema – elettorale e familiare – che finora lo ha salvato da qualsiasi rovescio. E che oggi, c'è da giurarlo, lo salverà anche dall'accusa di aver intascato un assegno da mezzo milione di euro gentilmente offerto nel 2004 da uno degli uomini della "cricca" che si era raggrumata dalle parti della Protezione civile: l'architetto Angelo Zampolini,alter ego e forse testa di legno del costruttore Diego Anemone.

Certo, in un altro Paese (anzi in altri paesi), di fronte a un sospetto del genere, un ministro come lui che lo scorso anno ha gestito fondi per cinque miliardi destinati a incentivi a fondo perduto e contributi alle imprese private, non resterebbe sulla sua poltrona un minuto di più. Anche perché Scajola è pure di fatto lo sponsor, assieme al
premier Silvio Berlusconi del grande affare dei prossimi 15 anni: il ritorno delle centrali nucleari. Un po' troppo insomma per non chiedersi se, in tempi di ristrettezze economiche, non sia il caso di sostituirlo con qualcuno che non abbia l'imbarazzo di dover spiegare i motivi per cui il suo splendido appartamento romano con vista sul Colosseo sia stato acquistato, secondo i pm, anche con soldi in nero, gentile dono della cricca.

Ma Scajola, spesso soprannominato Sciaboletta dai giornali per la non slanciata statura, è assieme a
Giulio Tremonti l'uomo più influente del governo. Ha saputo collezionare deleghe pesanti come Attività produttive, Comunicazioni e Commercio con l'estero e, soprattutto, ha dimostrato nel tempo di essere fatto d'acciaio. La politica, del resto, ce l'ha nel sangue. Anzi nell'albero genealogico. La sua famiglia ha regalato a Imperia tre sindaci dc: il padre Ferdinando (costretto a dimettersi negli anni ’50 perché sospettato di aver favorito il cognato per un posto di primario),Alessandro, e infine lui, Claudio, nel 1982. L’anno seguente, però, Scajola è già in manette. Arrestato dai carabinieri per ordine dei giudici milanesi che indagavano sullo scandalo dei casinò: una storia nera di clan mafiosi siciliane che han messo le mani sulle case da gioco di Sanremo e Campione d’Italia, accordandosi con i politici locali. Scajola è accusato di essersi incontrato in Svizzera il 20 maggio del 1983 con il sindaco di Sanremo e il conte Borletti – che aspirava al controllo del casinò sanremese – e di avergli chiesto 50 milioni a titolo di "rimborso spese" per l’impegno profuso dai politici di Imperia e Sanremo. Settanta giorni a San Vittore. Lui si difende ammettendo di aver visto Borletti – ma solo perché nominato tra i saggi incaricati dal partito di capire che cosa stava accadendo intorno al casinò – e dicendo di aver chiesto al conte non tangenti, ma un maggiore equilibrio politico nella gestione della casa da gioco. Alla fine lo assolvono. Si fa rieleggere sindaco, poi nel ’95 si ricandida con una lista civica. Di Forza Italia, alleata con An, non ha una grande opinione: "Sono solo dei fascistelli". Poi cambia idea e passa con loro.

Carriera folgorante. Berlusconi lo promuove responsabile organizzativo, lui in pochi anni trasforma il partito di plastica in una macchina da guerra. E intanto incensa il capo. "Berlusconi è il sole al cui calore tutti vogliono scaldarsi", dice serio, ricordando a tutti di aver ricevuto "l’incarico di lavorare affinché il presidente possa essere fiero del movimento che ha creato". Nel 2001 arriva il premio: ministro dell’Interno. Per la prima volta siede così al Viminale un uomo che ha conosciuto le patrie galere dal di dentro e non durante le consuete visite umanitarie. Scajola si allarga. "Nel giro di due anni manderemo in pensione la carta d’identità cartacea. La nuova carta elettronica potrà sostituire anche la tessera elettorale" promette nell'estate del 2002 parlando di un progetto (mai realizzato) costato alle tasche dei contribuenti 36 milioni di euro. È il (provvisorio) canto del cigno. Subito dopo ecco l'indimenticabile frase che gli costerà il posto: "
Marco Biagi? Era solo un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza", dice a chi gli chiedeva come mai, nonostante le insistenze, al giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse il suo ministero non avesse dato la scorta.

Poco male. Pochi mesi dopo è di nuovo ministro prima come responsabile dell'Attuazione del programma e poi (2005) allo Sviluppo economico. Il via vai nei dicasteri ha delle importanti conseguenze ad Albenga, dove esiste un piccolo aeroporto. Tutte le volte che "u ministru" diventa tale, viene inaugurata la tratta per Roma. Inizialmente si vola con
Alitalia, anche se, secondo un'interrogazione parlamentare il record massimo di passeggeri raggiunge solo quota 18. Poi, dopo la prima sospensione, si passa ad AirOne che fruisce, per la cosiddetta continuità territoriale, di contributi pubblici messi a disposizione dal governo. Quindi arriva Prodi e tutto si ferma, per ricominciare nel 2008.

Meglio va con le carriere dei familiari che, al contrario degli aerei, sono sempre in volo. Qualche esempio: suo fratello Alessandro, ex segretario generale della Camera di Commercio di Imperia, è vicepresidente della banca
Carige. L'altro fratello Maurizio è l'attuale segretario generale di Unioncamere Liguria. Mentre Marco (figlio di Alessandro) è vicesindaco di Imperia e neo consigliere regionale. Poi c'è la moglie, Maria Verda, insegnante di storia dell'arte in una scuola superiore. In università la signora Scajola è diventata vicepresidente di un master sul turismo alla facoltà di economia. Per tenere il corso erano necessarie almeno 18 iscrizioni (circa 2.700 euro l'una). Alla fine sono state 26. Quindici erano quasi interamente coperte da una borsa di studio. Chi pagava? Il contribuente. O meglio Promuovitalia, braccio operativo del dicastero dello Sviluppo. Sì proprio quello di Claudio, il potente ministro che davanti agli scandali difendeva il sistema e chiedeva serio "una moralità più forte".

Da il Fatto Quotidiano del 25 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2479225&title=2479225



omaggio alla resistenza delle due sicilie 1861-77


Berlusconi: «Bisogna costruire insieme l'Italia del futuro»

Il premier: «Scriviamo una nuova pagina della nostra storia». Omaggio di Napolitano all'Altare della Patria

MILANO - «Scriviamo insieme una nuova pagina della storia italiana». Questo uno dei passaggi più importanti del messaggio tv di Silvio Berlusconi in occasione delle celebrazioni del 65esimo anniversario del 25 aprile. «Bisogna costruire insieme uno stato moderno - ha affermato il premier - costruire l'Italia del futuro» andando oltre «il compromesso dei padri costituenti» e accantonando «le differenze politiche». «I nostri padri - ricorda il presidente del Consiglio - seppero accantonare le differenze politiche più profonde e sancirono nella Costituzione repubblicana il miglior compromesso possibile per tutti». «Dopo 65 anni - prosegue - la nostra missione è ora andare oltre quel compromesso e di costruire l'Italia del futuro sempre nel rispetto assoluto dei principi di democrazia e di libertà». «La sfida, ora, è nei fatti - ribadisce Berlusconi - dobbiamo scrivere insieme una nuova, condivisa pagina di storia della nostra democrazia e della nostra Italia». «Il nostro obiettivo - afferma il premier- è quello di rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948, che è già stata in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo, sulla base del federalismo. Uno Stato moderno più efficiente nelle Istituzioni e nell'azione di Governo, uno Stato più equo nell'amministrazione di una giustizia veramente giusta». «Vogliamo farlo insieme a tutte quelle forze politiche che come fecero i nostri padri costituenti non rifiutano a priori il dialogo e hanno a cuore la libertà. Quelle forze politiche che si preoccupano per l'avvenire delle nuove generazioni e che lavorano per il benessere di tutti gli italiani».

ALTARE DELLA PATRIA - In mattinata, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deposto una corona d’alloro all’Altare della Patria, rendendo omaggio al Milite Ignoto. Accolto dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il capo dello Stato era accompagnato tra gli altri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente della Corte costituzionale, Francesco Amirante, dalla vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, dai vertici delle Forze Armate. Alla cerimonia erano presenti anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e il prefetto della Capitale, Giuseppe Pecoraro.

LA CONTESTAZIONE - La presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta San Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla «buu, buu» e dal lancio di uova, frutta e alcuni fumogeni. Un limone ha colpito all'occhio il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che le era accanto. La Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso; ha rinunciato a parlare e ha lasciato la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele «Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita». Anche Zingaretti, che portava visibile il segno del limone che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta San Paolo. Sul palco con loro, nei primi istanti, anche il presidente dell'Anpi Massimo Rendina che invitava la folla alla calma.

http://www.corriere.it/politica/10_aprile_25/napolitano-25-aprile-polverini-contestata_53c5fa0c-504a-11df-a78b-00144f02aabe.shtml

Hanno anche il coraggio di parlare di storia, parole senza senso per loro, buttate a caso dall'alto della loro alterigia.

"Loro" che non sono degni di calpestare il suolo della nostra bella e storica nazione!

Tassare Internet per salvare i giornali? - Federico Mello


24 aprile 2010

La proposta della Federazione italiana degli editori per dare ossigeno alla carta stampata. Ma la Rete dice no.

Spesso solo con un paradosso si può capire il nostro Paese. In Italia (quasi) tutti i giornali ricevono laute sovvenzioni statali. La diffusione di Internet, invece, non è aiutata in nessun modo: i fondi sulla banda larga non arrivano e mezza in Italia ancora non è connessa al web. Suona perciò come uno scherzo di cattivo gusto la proposta lanciata giovedì dal presidente della Federazione italiana degli editori
Carlo Malinconico. Per dare ossigeno alla carta stampata in crisi da tempo, Malinconico ha proposto "un prelievo di entità minima, l’equivalente di un caffè al mese, su chi ha la connessione a Internet, per realizzare una dote di risorse per aiutare l’editoria ad affrontare la grave crisi che attraversa".

Visto che la carta stampata è in crisi, per il presidente degli editori devono essere i navigatori ad accollarsi i costi di giornali che non riescono a vendere. "Sarebbe come se la Pepsi in crisi chiedesse al governo americano una tassa sulla Coca Cola per risollevare i propri bilanci" il commento (paradossale appunto) dell’avvocato
Guido Scorza su Punto Informatico; come lui moltissime voci on-line (compresoOscar Giannino su Chicago-blog) si sono uniti in una levata di scudi contro la "Tassa su Internet".

Anche
Paolo Bonaiuti, oltre che portavoce di Berlusconi anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria si è detto contrario: "Non è tempo di tassare ma di incentivare: dobbiamo fare posto al nuovo salvando quello che c’è da salvare del vecchio ma non con un sistema di finanziamenti a pioggia".

Ieri Malinconico ha parzialmente ritrattato: la tassa non sarebbe in carico agli utenti ma "alle imprese che gestiscono gli accessi". Sarebbero in pratica i provider a pagare, probabilmente riversando poi sugli utenti il costo della tassa. Tutto molto paradossale, tutto molto italiano: business cattivo cerca sempre di cacciare business buono.

Da
il Fatto Quotidiano del 24 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2478963&yy=2010&mm=04&dd=24&title=tassare_internet_per_salvare_i



Napolitano e Berlusconi alla Scala. Fuori contestazioni e proteste



Si festeggia la liberazione con la repressione............

Apocaliss mo' - Marco Presta

25 aprile 2010

Stefania Prestigiacomo

Il nostro Ministro dell’Ambiente si è battuta con la veemenza di un posacenere in alabastro contro le nuove norme comunitarie, per fortuna bocciate, che avrebbero permesso di allungare la stagione venatoria e annoverare nuove specie tra quelle cacciabili: oltre ad alcuni migranti, erano stati inclusi i postini, i lavoratori di call-center e gli elettrauti molisani. L’ iniziale entusiasmo della Lega per la nuova normativa si è però spento, non appena è stato chiarito un increscioso equivoco: con la parola “migranti” non si intendevano purtroppo gli extracomunitari, ma i volatili che si spostano da un continente all’altro. In molti si sono chiesti: ma dov’é il Ministro Prestigiacomo? Perché non dice nulla? Cosa sta facendo? Probabilmente, stava caricando la doppietta. Oppure, con squisita sensibilità, era caduta in letargo per solidarietà con alcune specie a rischio, come il ghiro e la marmotta. Bisogna capirla: Stefania è Ministro dell’Ambiente ma, considerato quelli che la circondano, è più che altro Ministro in un Ambientaccio. Di certo, ha preferito sorvolare su un argomento così delicato e che ha diviso la stessa maggioranza. Non ha considerato però un grave rischio: se fossero passate le nuove norme, qualsiasi cosa fosse passata sorvolando, gli avrebbero sparato.

Luca Cordero di Montezemolo

Ha lasciato la Presidenza della Fiat, dichiarando testualmente di “aver concluso il traghettamento” (trattandosi della casa automobilistica torinese, sarebbe stato forse più indicatoCaronte). Si era sparsa nei giorni scorsi la voce inquietante che il simpatico ciuffettone volesse entrare in politica. Un brivido d’orrore ha percorso il Paese: di miliardari divorziati con la passione delle donne e dello sport ne abbiamo già uno al potere, due sarebbero veramente troppi. Per fortuna, Montezemolonon è il Premier Berlusconi: troppi capelli li dividono. Appena si è dimesso, il titolo Fiat ha guadagnato il 9% a Piazza Affari: quando si dice “essere stimati nel proprio ambiente”. Con quella di Luca Cordero di Montezemolo, il “piano rottamazioni” della Fiat ha raggiunto il suo naturale epilogo. Finalmente si può ripartire, con immutato ottimismo. Ora tocca al giovane John Elkann, inspiegabilmente preferito al fratello Lapo, un ragazzo equilibrato e riflessivo che stava lavorando, con ardita intuizione, ad alcuni modelli straordinariamente innovativi, tra cui la Fiat Paguro, la Fiat Colica Renale e il prototipo di una nuova monovolume a sette posti dal nome accattivante: “Salite, imbecilli!”.

Calisto Tanzi

Come l’omonimo Santo, anche il Calisto della Parmalat si era creato un’affascinante catacomba, contenente una serie di scheletri veramente impressionante. In questi casi, purtroppo, c’è sempre qualcuno che viene a rompere gli zebedei: nell’antichità le Guardie dell’Imperatore, oggi la Guardia di Finanza. Di fronte ai giudici della Corte d’Appello di Milano, i difensori del noto imprenditore hanno ricostruito in maniera inconfutabile la dinamica dei fatti che portarono al crac: la colpa non è affatto della famiglia Tanzi, né tanto meno delle banche. E’ delle mucche che fornivano il latte all’azienda di Collecchio e che fuorviarono, con malizia tutta bovina, l’operato di Calisto, fornendogli consigli basati su squallidi interessi di categoria. Del resto, l’impressione che l’economia italiana stia andando in vacca, l’abbiamo tutti già da parecchio tempo. "Chiedo perdono a tutti – ha detto Tanzi davanti ai magistrati – I bond che avevamo emesso erano buoni, genuini, ne sono sicuro, li avevo scritti io stesso con i pennarelli. Vi prego di una cosa: non chiamate truffa la vicenda accaduta alla Parmalat. Chiamatela Antonietta, come mia zia. Le volevo tanto bene". E’ inutile piangere sul latte versato: di questi tempi, è un proverbio attuale più che mai.

Mariastella Gelmini

Un, due, tre… Mariastella! Vista la situazione della scuola nel nostro Paese, più che della Pubblica Istruzione, la Gelmini si propone come Ministro della Pubblica Distruzione. Ha realizzato una rivoluzione impensabile, al punto che il vero insegnamento privato oggi è quello statale: privato di fondi, privato di strutture, privato di personale. Dopo il metodoMontessori, che ci ha reso famosi in tutto il mondo, nella pedagogia italiana è ora il momento del metodo Monte di Pietà. In questi giorni scanzonati il Ministro ne ha pensata un’altra delle sue: il maestro “regionale”, scelto da graduatorie locali e possibilmente in abiti tradizionali. Vibranti proteste sono annunciate in Sardegna, dove i professori si rifiutano di entrare in classe vestiti daMammuttones. Nel centrodestra tutti sembrano essere d’accordo con la scelta di un rigido criterio regionale da applicare alla scuola. Una domanda allora turba il nostro animo ingenuo: come mai la lombarda Gelmini, laureatasi all’Università di Brescia in Giurisprudenza, ha sostenuto l’esame di Stato a Reggio Calabria? Forse perché in Calabria è più semplice, o forse semplicemente perché il Ministro conosce la geografia come l’italiano.

Illustrazioni di
Portos

Da
il Misfatto del 25 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2479192&yy=2010&mm=04&dd=25&title=apocaliss_mo