mercoledì 28 aprile 2010

Je t'aime, (moi non plus) - Andrea Scanzi




La prima e unica esegesi quasi-integrale del Redde Rationem tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.
Dopo averla letta, non sarete più gli stessi. O forse sì. Che è anche peggio.

Ho fatto un sogno. Indossavo infradito, bevevo Ronco e ascoltavo Povia. A quel punto ho preferito svegliarmi.
fini_berlusconiHo così potuto vedere, ebbro di gioia e satollo di gloria, il redde rationem tra Ho Chi Finh e il Sultano Tascabile. L’ho trovato eccitante.
Alcune considerazioni.
1) Nemmeno dopo lo scontro, che sembra (ho detto
sembra) aver fiaccato il dominio berlusconiano, Pigi Bersani ha abbandonato quell’aria compassata da triglia agonizzante nei fondali del Vingone.
2) Ha fatto meglio Darko Pancev all’Inter che il Pd in Italia (questa non è mia ma di un lettore, Felix Fè).
3) Ha detto più cose di sinistra Ho Chi Finh in un intervento di dieci minuti che il Dalai Lema in tutta la sua vita. E le ha dette insistendo su temi (legalità e informazione) ritenuti desueti quando non indesiderabili dal Partito Disastro.
4) La tentazione di deificare il Gianfri è, da più parti, alta. Purtroppo ho buona memoria. Di Fini (non) amo ricordare il suo impeccabile operato durante le mattanze al G8 di Genova, la Legge Bossi-Fini (che non si chiama così per omonimia), le parole su Carlo Giuliani (
Un punkabbestia) e Benito Mussolini (Il più grande statista del secolo). Ma capisco che in tale contesto postatomico, persino Fini assurga a meno peggio nel centrosinistra.
5) Ho Chi Finh ha impiegato sedici anni, vissuti mollemente da maggiordomo del Sultano Tascabile, per accorgersi di chi forse è (sia?) Silvio Berlusconi. Nemmeno la Duna smarmittata in salita aveva simili tempi di reazione.
6) Gli uomini più di sinistra in questo paese, oggi, sembrano Antonio Di Pietro, Beppe Grillo, Marco Travaglio e Gianfranco Fini. Ovvero un ex magistrato di destra, un ex comico generalista, un giornalista liberale cresciuto con Indro Montanelli e un ex fascista. Forse c’è un vuoto a sinistra (e non sarà la Serracchiani a riempirlo). Ma forse, eh.
7) Rischio elezioni anticipate. Panico nella sinistra (cit).
8 ) Quando vedo in tivù Renzi e Lady Debora, gggiovani del Pd (acronimo di una bestemmia sprecata), ho quasi nostalgia di Natta. Anzi, tolgo il quasi.
FINI, BERLUSCONI, LA RUSSA, VERDINI9) Il concetto di contraddittorio berlusconiano è stato pienamente mostrato durante il convegno guerreggiante del 22 aprile. Quando parlava Ho Chi Finh, il Sultano Tascabile aveva il microfono e gli interveniva sopra per interromperlo. Quando parlava il Premier, Ho Chi Finh non aveva il microfono e sembrava un pesce fuor d’acqua. E’ laimpar condicio, baby.
10) Si attende a breve un duro e fermo intervento del Dalai Lema, nel corso del quale esorterà a riprendere il dibattito con la maggioranza
, per preservare la democrazia, la Costituzione e soprattutto la sua barca.

Ciò detto, si percepisce un’urgenza di esegesi. Un desiderio, nitido e quasi virulento, di abbeverarsi allo scibile della conoscenza. Si sono per questo scelti dei passaggi cardine, debitamente, acriticamente e doviziosamente sbobinati. Solo per voi, empi comunisti esecrabili.

Arcaismi littori

Gianfranco Fini, quanto a retorica e capacità linguistica, mangia in testa (che poi è anche facile) a Silvio Berlusconi. Ho Chi Finh
defeats Sultano Tascabile 6-3 6-1 3-0 ret. Proprio per questo, in Italia, vince il secondo. Gli italiani si eccitano quando li arringa un furbacchione compiaciuto. Si sentono a casa. E’ un po’ come guardarsi allo specchio.
Fini, al contrario, non solo assurge a “traditore”, titolo che per il centro-destra è spendibile per tutti coloro che anche solo non partecipano alle gare di rutti organizzate ogni mese da Salvini e Borghezio nel sottoscala trevigiano di Gentilini.
Ho Chi Finh è detestato dai suoi (ex) alleati soprattutto in virtù della sua cultura.
Già il Gianfri è sempre stato l’unico, insieme a un mio eteronimo che gioca a Fantatennis, a usare “vi” invece di “ci”. E’ una cosa così desueta da imbarazzare perfino quelli della Crusca. Fini però si compiace di questi suoi arcaismi littori. E per certi aspetti fa bene, rivelandosi sontuoso cesellatore linguistico. Lo si ascolti in questo passaggio, tratto dal
redde rationem di cui sopra. Non berlusconi-fini-largenascondo che, sentendolo, mi sono sentito come Al Bano quando Michael Jackson gli copiò i cigni e la balalaika (?).
Così Ho Chi Finh: “Vedi (
rivolto a Berlusconi) il tradimento, che certamente è sempre nel novero (primo arcaismo littorio) dei comportamenti umani poco dignitosi (Bondi alza lo sguardo, sentendosi subito chiamato in causa), alligna (secondo arcaismo: “alligna” credevo di usarlo solo io) in coloro che sono adusi (terzo arcaismo: anche “adusi” credevo di sfoderarlo solo io in questa rubrica, uffa) all’applauso e in molti casi alla critica approvazione, salvo poi, quando i leader girano le spalle, dire tutt’altro. Raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume, in pubblico e in privato, la responsabilità delle proprie azioni”.
A questo punto, comprensibilmente, dopo aver sentito parlare di coscienza e coerenza, Berlusconi lo interrompe. Non si parla di corde in casa dell’impiccato (cit).

L’irata reprimenda (Parte 1)
Berlusconi reagisce e troneggia: “Noi siamo il partito della moderazione (e dell’ammmmmore), io pregherei anche (anche) tutti di f_23bd9f59d7707458276b7211e2c228d0essere moderati in (?) qualunque espressione dovesse capitare (un perfetto inizio berlusconiano, che nega dalle fondamenta tutto ciò che di lì a poco seguirà). (..) Il nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio (porca di una miseria ladra, questi qua del centrodestra mi copiano. MI COPIANO. Ma chi usa ancora “aduso”, “pubblico ludibrio” e “alligna” a parte me? Chi? Se domani li sento dire “zimbellato” e “daje”, giuro che faccio la marcia su Roma indossando la Tenuta Balilla in latex equino di Gasparri) da parte di presenze in televisione di Bocchino, di Urso, di Raisi (e aggiungerei anche di Maurizio Lupi, che però a Berlusconi gli carica. Si veda reperto audio poco sotto). (Tripudio tra la folla, sembra quasi di essere ai concerti di Povia. Se solo ai concerti di Povia ci fosse il pubblico). E… anche… prendo atto con piacere(Fini, seduto, ripete a bassa voce: “Non te lo consento”) che Gianfranco ha cambiato posizione, ma quando io e Gianni Lett… (Fini si alza e ripete: “Non te lo consento”). Hai cambiato totalmente posizione. Allora Gianfranco, allora parliamoci chiaro (e sarebbe anche ora). Sono venuto da te martedì e davanti a Gianni Letta mi hai detto: Punto primo (non credo che Fini abbia iniziato bondiuna frase così) mi sono pentito di avere collaborato a fondare il Popolo della Libertà (come non capirlo: però i tempi di reazione restano quelli della Duna smarmittata). Punto secondo (non credo che Fini parli come un file word con l’indice numerato) voglio fondare un gruppo parlamentare diviso (Fini gli ricorda il caso Sicilia-Miccichè. Attenti, qui Berlusconi dà il meglio di sé). Punto terzo… e io ti ho chiesto (?) La Sicilia ti rispondo subito. Per iniziativa di Ignazio La Russa (andiamo bene, vai) abbiamo fatto una riunione coi tre coordinatori ed (ED? ED?? ED??? Ma come si fa a usare la “ed” eufonica, peraltro qui sbagliata, nel parlato? Cos’è, uno scherzo????) in presenza di una campagna elettorale abbiamo deciso io hooooo assunto (mah) ascoltato la loro decisione (boh) mi sembrava molto saggia (come tutto quanto nasce da una iniziativa di La Russa, certo) di soprassedere ad affrontare il problema della Sicilia per dopo le elezioni regionali (l’urgenza della questione morale), perché era inutile (senz’altro) proporre anche il problema della Sicilia nel mezzo di una campagna elettorale. E se mi consenti, se è vero che è stato Gianfra….eeehhhh….Gianfranco Miccichè, il…leader (parola grossa, “leader”, applicata a Miccichè) di questa situazione, sei stato tu che hai dato l’acconsentito (sob) ai tuoi uomini di partecipare alla decisione stessa (mi sono perso). Ed è ci sono (?) otto uomini tuoi mi pare in quello che si chiama Popolo della Libertà Sicilia, su cui (???) nell’ultima riunione dei coordinatori si è deciso da (di) intervenire da martedì prooooossimo. Quindi questa è la realtà: non cambiamo le carte in tavola (ci pensa lui da solo)”.

Intermezzo ameno 1: quel gran figo del Lupi

Maurizio Lupi, con quel volto increspato di chi ha annusato i propri calzini rimanendo deluso dagli effluvi, vive e glorifica su RaiDue
Maurizio_Lupialla vigilia del redde rationem: “Guarda Italo (Bocchino) se andiamo avanti così, stiamo dando uno spettacolo pessimo della politica e pessimo del partito (l’unica cosa condivisibile che ha mai detto Lupi in vita sua). (..) Queste cose (di Bocchino) le sentivo da Di Pietro, le ho sentite da Travaglio e adesso le sento da te (Urso grida “Basta Lupi basta!”). Ma basta cosa? Ma cosa stai dicendo? (Urso insiste e gli chiede di dissociarsi dagli attacchi del Giornale di Feltri a Fini). No aeeeh (uagliò, in goppa jamme jà) guarda che non sei in An o nel vecchio Msi, eh (Urso incalza). Calma eh, ueeeh (e niente, dai: quel giorno Lupi si sentiva Cannavaro in quel vecchio spot, “Capo ridatece o’ pallone, ah”). Eh io non condivido il tit… uehhh (eddai)…aspetta ‘Basta’ non lo dici a nessuno. Ascolta un po’. Fai una domanda e ti rispondo. Non condivido… Ooooooooohhh mi fai rispondere o no? (urla con la manina destra semichiusa, tipo Pulcinella: tu vuo’ fa il napoletano, napoletano, ma si nato a Milano’). Ma sei fuso? Ma sei un po’ nervoso, eeehh? (momenti di altissima televisione. Bocchino lo zimbella per aver fatto parte di Comunione e Liberazione – in effetti). Italo, forse è meglio se vai presto via (al confino)”.
Lupi è una garanzia. Come la Nutella rancida.

Le comiche

Silvio Berlusconi tiranneggia: “Io credo che anche per quanto riguarda
Il Giornale bisogna dirne una, Gianfranco. Te l’ho spiegato…cento volte… che io non parlo con il direttore del Giornale (ahahahahahah), che non ho alcun modo per influire (AHAHAHAHAHAH), ma che a seguito eh ah eggg (solita citazione da Java, l’amico neanderthaliano di Martin Mystère) della posizione del Giornaleho convinto un mio familiare (uno qualsiasi, eh: mica il fratello) a mettere in vendita il Giornale. E ti ho anche detto ‘Se c’è qualche imprenditore vicino a te che vuole entrare nella compagine azionaria (brusio: questa è troppo grossa anche per loro) amico di uegheeeeehhhueeegheghe (testuale) può entrare nella compagine azionaria (tanto per dare ulteriore nitore alla libertà di stampa italiana).

Il giustizialista Ho Chi Minh

Fini qui esagera: “E’ arrivato il momento di dirle davanti a tutti, altrimenti ci prendono entrambi per matti (
in effetti). Quando si ipotizzava fini_berlusconi_(platea inferocita, Fini sta difendendo i magistrati: SACRILEGIO) quando si ipotizzava la prescrizione breve, 600mila processi che venivano cancellati dalla sera alla mattina, un’amnistia mascherata (Berlusconi interviene: “Su otto milioni”. Come se fosse un’attenuante) ma mi spieghi che cosa significa tutela della legalità, riforma della giustizia, lotta alla politicizzazione della magistratura se poi passano questi messaggi?”. Qui non faccio ironia: dico solo che il Pd non ha mai detto un decimo di quanto asserito (?) in quei pochi secondi da Gianfranco Fini.


L’irata reprimenda (Parte 2)

Berlusconi vivifica: “Scusami, ma io intendo (?) che un Presidente della Camera non debba potere fare dichiarazioni politiche (che non lo glorifichino: se invece parla Schifani gli va bene) e fare l’attività dell’uomo politico (gesticola nervosamente: passare da Fini a Berlusconi, per un esteta della lingua, è come slittare da John McEnroe ad Andreasssssseppi). Vuoi…. Eeeegggggaaahhh (qui si è sfiorata la tragedia, già Cicchitto piangeva) averelapossibilitàdifarequestedichiarazioni (tutto attaccato). Ti accogliamo a braccia aperte (sì, come no), le fai da uomo politico nel partito e non da Presidente della Camera (un ragionamento che ovviamente non ha alcun senso, e per questo parte l’applauso della platea. Il nonsense democratico li gasa).

Io quasi quasi me la porto via, democrazia (cit)
Berlusconi al Secolo XIX: “È quasi finita, manca un niente e finalmente è fuori, non ne potevo più. Basta con quei suoi modi arroganti (ha parlato Galateo), con quel suo tono sprezzante. Lo avete visto? Sembrava uno venuto dalla Luna, l’ho provocato e poi umiliato (ma anche no). Ma ora glieli sfilo uno per uno (regalandogli dei Suv), me li compro tutti“ (a lui queste cose gli caricano, Viva l’Italia, viva Berlusconi, cit).

Intermezzo ameno 2, Don Abbondi prefigura (prefigura, prefigura, etc)
Sandro Bondi cesella: “Non è uno yes man (allude a chi come lui ha il culto del Premier). Non ci sono tra di noi uomini sandro-bondi-pregaliberi (d’accordo) e servi (un po’ meno d’accordo). Questa è una dicotomia che non esiste, non esiste questa dicotomia (Bondi parla spesso così: dice la stessa frase sette volte, ma la spezzetta cambiando l’ordine degli addendi. Più che poesia è algebra, ma il pubblico va in visibilio e plaude). (..) Si esercita da tempo nella critica de-mo-li-tri-ce (quel comunista di Fini, fanculo a lui e al suo amico Fidel) della nostra storia (che non esiste) e della leadership di Berlusconi (sempre sia lodato) prefigurando prefigurando – è legittimo farlo (si risponde da solo) – prefigurando prefigurando (HO CAPITO, CAZZO) – è legittimo farlo (HO CAPITOOOOO) – prefigurando (BASTAAAAAAA) non un partito che cresce insieeeemeeee (a te non ci sto più, guardo le nuvole lassù, finisce quaaaaaaaa-ah-ah-ah-ah-ahhhhh), ma prefigurando (ORA SPACCO QUALCOSA, GIURO) un’altra destra (magari) un’altra politica (volesse il cielo) un’altra Italia (vamos). E tutto rispetto ad un supposto tramonto di Berlusconi (che non accadrà mai, giacché se anche accadesse Egli risorgerebbe) e del leghismo trionfante. Il Dottor Filippo Rossi, un altro esponente di Farefuturo (quegli stronzi) non si è fatto scrupolo nel parlare di uno scontro (alza il ditino cicciuto) e di una differenza culturale tra Fini e Berlusconi (nel senso che in un caso c’è e nell’altro no), una differenza tra chi – cito testuale amici (amico mio NO di sicuro) – “tra chi considera il potere una cosa privata, fine a se stessa, senza ideali, senza contenuti, senza obiettivi (bravo, ‘sto Dottor Rossi) e chi lo considera al servizio dei cittadini, al servizio (qui non sa leggere, si guarda smarrito: è abituato alle sue poesie, che hannobondi prefigural’unico merito di durare poco) del paese. Purtroppo queste parole, che io ritengo personalmente (mano al cuore, cioè in un punto a caso del pingue sterno) non solo infondate, ma perfino offensive (molto offensive: perfino intelligenti, oserei dire) queste opinioni non sono mai state contraddette (tripudio nella folla). Non sono mai state contraddette (oddio ricomincia con l’effetto eco. BASTAAAAA). Non sono mai state … (oddio no, no, no: non RIDIRLO)… non sono mai state smentite (non ne posso più: ti vuoi chetare una buona volta?) né quantomeno corrette (o meglio ancora messe al rogo, possibilmente con l’autore stesso). Mi chiedo amici (guardatevi da chi vi chiama “amici”, sicuramente è astemio e indossa le infradito anche lui), si può stare in un partito e sostenere che il suo fondatore (cioè Dio, o uno comunque da Egli unto di persona) che ha avuto forse un certo ruolo nell’evoluzione della destra in Italia, si può stare in un partito e sostenere che il suo fondatore (L’HAI GIA’ DETTO, CAZZO. L’HAI GIA’ DETTO. ORA GLI TIRO UN TRONCO) rappresenterebbe un modello da ripudiare?”.
E fu Apoteosi. La loro. E Golgota. Il nostro.

Epilogo (il Sonno di Dini)

Durante tutto questo gran casino, mentre Berlusconi e Fini urlavano, Lamberto Dini – seduto poco distante dall’ex delfino di Giorgio
dini regnaAlmirante – dormiva. Sì: dormiva: Beato, rilassato. Non si è mai svegliato, nonostante le urla, i lazzi e i frizzi. Lui dormiva.
Quasi come un bambino rugoso, quasi come Brad Pitt nelle scene iniziali di Benjamin Button.
Qualcuno ha ironizzato: come faceva a dormire, in mezzo a quel disastro?
Forse però aveva ragione lui. Forse il sonno di Dini era una reazione del sistema immunitario.
Forse il suo
ronf era la recensione migliore di questo perdurante scempio.

P.S. E ora scusatemi, ma vado a iscrivermi su Facebook al gruppo Quelli che amano Sandro Bondi quando spacca la chitarra sul palco dopo aver suonato Foxy Lady.

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Bossi e l’overdose di viagra: la Lega infuriata con Pietro Citati


Da una parte lo scrittore Pietro Citati, dall’altra la Lega Nord, al culmine dell’indignazione in difesa dell’onore ferito del suo leader Umberto Bossi. In mezzo la pietra dello scandalo, ovvero due pasticche di Viagra. Scrive Citati, in un articolo pubblicato su Repubblica martedì 27 aprile, che all’origine dell’ictus che nel 2004 ha colpito il Senatur, icona del “celodurismo” della Lega ancora giovane, ci fu nientemeno che un’overdose di viagra.

A dire il vero Citati non si limita a scriverlo, lo racconta con fare divertito: «A sera per provare i suoi doni sessuali, Bossi andò con una ragazza in uno degli innumerevoli alberghi che decorano i paesotti e le cittadine della Pianura Padana. Per accrescere la propria forza, ingoiò non una ma due pasticche di viagra. Gli venne un colpo; e di notte, segretamente, venne portato in una clinica svizzera. Ora, se lo vedi alla televisione, balbetta, biascica, sbrodola».

La licenza letteraria di Citati, però, ha fatto infuriare le truppe di Bossi, primo tra tutti il direttore di Radio Padania Matteo Salvini. L’eurodeputato leghista, sulle prime trova a trattenersi e si limita a dire che inviterà lo scrittore a confrontarsi con gli ascoltatori di Radio Padania. Per inciso gente tranquilla, moderata e abituata a trattare con rispetto il dissenso come dimostra la condanna alla radio leghista per diffamazione e offese a sfondo razziale contro il giornalista Gad Lerner che si era permesso il lusso di difendere i rom. È accaduto che dopo le parole di Lerner in radio hanno iniziato a chiamare ascoltatori inferociti che hanno bollato il conduttore dell’ “Infedele” con epiteti offensivi. Il conduttore della radio Leopoldo Siegel, però, non solo non le ha condannate, ma ci ha messo il carico dando al giornalista del “nasone ciarlatano” e dicendo che sarebbe “volentieri andato a prenderlo per il collo in sinagoga”.

Quel che è lecito contro Lerner, evidentemente, è inammissibile contro Bossi. E Salvini alla fine sbotta trovando una parafrasi leggermente più elegante per dare a Citati del vecchio rancoroso: «C’è ottantenne e ottantenne. Ce ne sono alcuni dalla mente brillante come Enzo Bettiza (che sul Corriere ha elogiato il Carroccio come erede dello spirito austro-ungarico). E poi ci sono ottantenni invidiosi, gelosi e rancorosi, che io vedrei meglio ai giardinetti del parco. Comunque, lunga vita: è grazie a questo genere di commenti che la Lega cresce».

Di sicuro tra Citati e gli ascoltatori padani non ci sarà nessuna tenzone nell’etere, lo scrittore ha declinato l’invito con un no senza grazie: «Io non parlo con loro. Penso che Bossi sia uno dei colpevoli, anzi, il massimo colpevole del degrado della vita politica italiana».

In difesa del leader leghista, in ogni caso, non è sceso in campo solo Salvini. Il neo presidente della Regione Veneto Luca Zaia è scandalizzato e parla di caduta di stile: «E’ venuta meno qualsiasi regola della normale decenza. Bossi è stato male davvero e non certo per le pasticche di cui parla Citati. Ma qui siamo oltre: manca il rispetto per la persona, per i suoi familiari, per chiunque». Parole dure anche da Roberto Castelli che dà a Citati del vecchio incavolato e dimenticato: ci sono, spiega il senatore leghista, «una serie di giornalisti e intellettuali che, passati gli ottant’anni, son sempre più incavolati perché nessuno gli dà più retta. E così finiscono con il perdere anche l’umanità. Penso sia questione di invidia, invidiano gli altri per la loro vita attiva. E uno come Bossi, che ha dato una prova di forza incredibile, indispone questi vecchi».

Il “vecchio rancoroso e inattivo”, però, non fa una piega. Al contrario è soddisfatto per aver fatto centro: «Sono arrabbiati? Lo spero bene: era il mio scopo». Di sicuro i leghisti sono più disturbati dalle allusioni all’impotenza che da quelle al nazismo. Lo stesso Citati, infatti, ad agosto 2009 scrisse un altro pezzo al vetriolo contro Bossi: nessuna allusione alla virilità in quella occasione, ma un “semplice” accostamento con il Mein Kampf di Hitler. Bossi, qualche giorno prima, aveva parlato a Crema tuonando contro il «capitalismo individualista e mondialista americano, guidato da venti potentissimi banchieri ebrei di Wall Street. Dopo la nascita dell’ Europa, questo capitalismo teme di perdere il proprio predominio sulla Francia, la Germania, l’ Italia; e perciò ha deciso di indebolire e scardinare dalle fondamenta tutte le nazioni europee. Non può permettersi di perdere. Non ha scrupoli nè incertezze, e usa tutti i mezzi possibili. In primo luogo, l’ immigrazione clandestina: Wall Street vuole esportare in Europa venti milioni di extracomunitari per corrompere il nostro sangue e la nostra economia. In secondo luogo, la droga, che viene dagli Stati Uniti. Basta vedere la guerra del Kossovo: gli americani si sbracciano contro Belgrado perché il Kossovo è la principale fabbrica di eroina nel mondo e gli americani non vogliono concorrenti. Noi, gente padana, stiamo con i serbi e Milosevic». Lo scrittore descrisse così il comizio: «Qua e là i lettori avvertono gli echi di un libro, Mein Kampf di Adolf Hitler, che Bossi dovette leggere, o di cui sentì parlare, quando era giovane». Ma Hitler, evidentemente, non scandalizza quanto il viagra.

Citati, forse, ha esagerato. Di certo è curioso che la Lega scopra solo oggi il bon ton e l’etichetta nella comunicazione politica.

http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/bossi-ictus-citati-viagra-349231/


martedì 27 aprile 2010

Fiumicino, 10 miliardi con danno ambientale - Alessandro Ferrucci


27 aprile 2010

Tre nuove piste per il Leonardo da Vinci, un’opera più costosa del Ponte di Messina, al centro la famiglia Benetton. Ma nessuno ne parla

TERRA. ARIA. ACQUA. Manca il fuoco, per completare i quattro elementi. Ma ci sono i soldi. Tanti, tantissimi, forse come non se ne sono mai visti prima. Anche oltre i 6,3 miliardi stanziati per il "Ponte di Messina". No, quelli non bastano per raddoppiare l’Aeroporto di Fiumicino. Ce ne vorranno almeno 10. Eppure nessuno ne parla. Silenzio. Dagli imprenditori coinvolti, agli organi di Stato, fino a gran parte della politica. Zitti tutti. Gli unici pronti ad alzare la voce sono uno sparuto gruppo di cittadini di Maccarese e Fregene, frazioni di Fiumicino, alle porte di Roma. Sono loro a gridare "aiuto, vogliono cementificare le nostre vite". Quindi ecco la terra: per realizzare l’opera sono necessari 1.300 ettari; aria: la motivazione data da Aeroporti di Roma è che il traffico aereo sulla Capitale raggiungerà, da qui al 2044, i 100 milioni di passeggeri, rispetto agli attuali 36. Acqua: la zona prescelta è a un chilometro, in linea d’aria, dal litorale, zona bonificata negli anni ’20 da contadini veneti e ora dedita ad agricoltura.

LA "MACCARESE SPA" E GLI IMPRENDITORI DI TREVISO. Agricoltura specializzata. In mano, per oltre il 98 per cento,alla "Maccarese spa", società nata negli anni ’30, di proprietà prima della "Banca Commerciale" e poi del gruppo "Iri", ma nel 1998 acquistata dalla famiglia Benetton per circa 93 miliardi "con l’impegno di mantenere la destinazione agricola e l’unitarietà del fondo", come recita l’accordo. Già, a meno di un esproprio. "Se l’Enac (il braccio operativo del ministero dei Trasporti, ndr) dovesse decidere che quella zona è necessaria per realizzare un’opera fondamentale per la collettività, allora verrebbero avviate le pratiche per ottenere le terre", spiega una fonte di AdR. Tecnicismi, che nascondono ben altro. Proviamo l’equazione: la “Maccarese spa” è di Benetton.Gemina possiede il 95 per cento di Adr. Gemina è di Benetton. Cai, quindi la nuova Alitalia, sta concentrando sulla Capitale quasi tutto il suo traffico aereo nazionale e internazionale. I Benetton, dopo Air France, il gruppo Riva e Banca Intesa, sono i quarti azionisti di Cai con l’8 e 85 per cento. Insomma gli "united colors" rivenderebbero allo Stato, quello che dallo Stato hanno acquistato, per poi ottenere i finanziamenti utili a realizzare un qualcosa da loro gestito e sul quale lavoreranno direttamente quanto indirettamente. "Questione di lobby, di business sulla testa delle persone – spiega Enzo Foschi, consigliere regionale del Lazio per il Pd – perché vede, non c’è alcuna necessità di raddoppiare, nessuna. Basterebbe organizzare meglio l’aeroporto e nell’attuale regime. Anche così il 'Leonardo da Vinci' sarebbe in grado di sopportare il raddoppio di passeggeri". Invece “si uccideranno le prospettive di un territorio – continua Foschi – vocato all’agricoltura, al turismo e all’archeologia, per le necessità di pochi, di pochissimi. È una vergogna".

Una vergogna "silenziosa". Come detto,
il Fatto ha più volte contattato gran parte della politica laziale per avere delle risposte. Dai big, come il neopresidente Renata Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il presidente della ProvinciaNicola Zingaretti, fino a consiglieri e assessori. Niente da fare. O al massimo un "sì, leggiamo e vedremo se intervenire. Grazie". "Sono mesi che poniamo interrogativi, sempre inevasi – spiega Marco Mattuzzo del ‘Comitato fuoripista’ –. Siamo choccati da tanto silenzio, ci sentiamo soli e inermi. Abbiamo interpellato tutti, compreso l’Enac per capire. Risultato? Non volevano darci neanche le informazioni di cui abbiamo diritto". Almeno per capire dove e quando.

Tutto nasce nell’ottobre del 2009. Conferenza stampa convocata da
AdR. Toni pacati, sorrisi grandi. Pacche sulle spalle e l’atteggiamento di chi dice: siamo alla svolta, chi non lo capisce è fuori dal mercato. È fuori tempo. L’occasione è presentare a governo ed Enac il piano di sviluppo. Il presidente di AdR, Fabrizio Palenzona, spiega: "Sono previsti investimenti per 3,6 miliardi di euro fino al 2020, nell’ottica di un progetto che punta a una capacità di 55 milioni di passeggeri nel 2020 e di 100 milioni nel 2040". Attenzione alle cifre: i 3,6miliardi sono solo per arrivare ai 55 milioni; per toccare quota 100 c’è chi osa sparare quel numero iperbolico: 10 miliardi("Basta moltiplicare il costo per il numero di passeggeri" ci spiega la nostra fonte in Adr). E per questo è necessario "un grande patto tra investitori e istituzioni – continua Palenzona – attraverso un quadro certo di regole e tariffe per consentire un così ingente piano di investimenti privati: un piano che ha il sostegno di imprenditori che rischiano, mettono soldi nel mercato, ma hanno bisogno di certezze".

"Tariffe", la parola magica. Come conferma
Gilberto Benetton: "Il tutto è vincolato nella prima fase all’ottenimento di un aggiornamento delle tariffe, nella seconda fase a una nuova convenzione che preveda anche un ritorno sugli investimenti futuri". Dichiarazione rilasciata sempre a ottobre, poco prima di un incontro ufficiale a Villa Madama, Roma. Presente anche il responsabile divisionecorporate e investment banking di Intesa Sanpaolo, Gaetano Miccichè. Guarda caso "Intesa" è il terzo socio di maggioranza in Cai.

LA PREOCCUPAZIONE DELLE BANCHE E LE CONDIZIONI. I soldi ci sono. Eccoli. Loro chiedono un adeguamento. L’adeguamento c’è. Dalla legge finanziaria presentata il 23 dicembre del 2009, si legge: “È autorizzata, a decorrere dall’anno 2010,e antecedentemente al solo periodo contrattuale, un’anticipazione tariffaria dei diritti aeroportuali per l’imbarco di passeggeri in voli all’interno e all’esterno del territorio dell’Unione europea, nel limite massimo di 3 euro per passeggero, vincolata all’effettuazione di un autofinanziamento di nuovi investimenti infrastrutturali urgenti". Più urgenti di un raddoppio? C’è un "però":AdR ha ottenuto un incremento di imbarco pari all’inflazione programmata del 2009 (l’1,5 per cento, quindi da 5,17 euro a 7,57). Ma secondo quanto riportato il 6 aprile da il Sole 24 Ore a firma Laura Serafini, AdR non ritiene di essere in grado di finanziare l’opera con le norme attualmente vigenti sulle tariffe. "Lo potrà fare solo con un nuovo sistema, tutto da negoziare con l’Enac entro la fine del 2010, che secondo quanto già dichiarato dai vertici di AdR dovrebbe riconoscere allo scalo la stessa convenzione data ad Autostrade, che dunque garantirebbe aumenti per i prossimi 34 anni (la concessione AdR scade infatti nel 2044)". Da qui lo scoglio: manca la garanzia che il ministero dell’Economia, chiamato ad approvare quel contratto assieme al ministero dei Trasporti dia il via libera a questo tipo di contratto. E le banche non vogliono rischiare. Vogliono vedere "nero su bianco". Per questo AdR pretende che il calcolo dell’inflazione parta dal 2001. "Quindi il raddoppio lo paghiamo noi cittadini – interviene Marco Mattuzzo– eppoi c’è qualcuno che vuole venderci la storia che conviene a tutti avere un aeroporto del genere. Anche a chi vedrà la propria casa rasa al suolo. Lo sa una cosa? Ora nessuno comprerebbe una casa ‘condannata’. A meno che non sappia niente del piano. Quindi il danno lo subiamo già ora". Non solo case, anche aziende. Nella zona interessata (nella pagina accanto c’è la piantina) vivono duecento famiglie e operano venti aziende, alcune delle quali affittuarie della "Maccarese Spa".

Gente che da anni lavora la terra, investe, cresce, offre primizie al mercato romano. Percorrere le tante stradine che costeggiano i campi è come fare un viaggio nelle "quattro stagioni": da una parte i prodotti dell’inverno, poi ecco i primi frutti della primavera. E così via. "Noi siamo qui dal 1987 – interviene il signor Caramadre, dell’omonima cooperativa –, e ci occupiamo di orticoltura biologica. Se sono disposto ad andarmene? Ma lei si rende conto quanto tempo ci vuole per mettere in piedi un’azienda del genere? Cosa vuol dire piantare e aspettare i frutti? Non siamo mica una fabbrica che compra i componenti e li mette in funzione. Per noi i periodi diventano anni, dai dieci ai quindici". Quindi di vendere non se ne parla "anche perché non ci darebbero mai la cifra necessaria per aprire una nuova attività – continua –. Così siamo all’interno di una forma ricattatoria: o cedi alla cifra che decidiamo, o vai in giudizio civile. Quindi 7-8anni per arrivare a sentenza. E nel frattempo mi hanno raso tutto al suolo".

Bene, ecco qui: “A 36 milioni di traffico, corrispondono 2623 dipendenti, di cui circa 635 a tempo determinato – spiegano da
Fuoripista. Quindi 80 occupanti ogni milione di passeggeri. Al contrario AdR parla di mille addetti ogni milione. Al 2044 sarebbero 100 mila posti di lavoro diretti". Il Fatto ha cercato di sentire tutte le parti. Ha chiamato Gemina, ha interpellato l’Enac. Per capire. Anche con loro, niente da fare. L’Ente nazionale ha risposto che i "tecnici stanno ancora valutando, quindi è presto". Gli uomini di Benetton si sono chiusi dietro un inespressivo no comment. E chi lavora con loro ci ha parlato a voce bassa e sotto una promessa: "Mi raccomando, io non vi ho detto niente. Non fate mai il mio nome altrimenti mi licenziano". Già,l’importante è tenere la voce bassa. Anche se in ballo ci sono 10 miliardi di euro.

LEGGI:
Il primo volo, Andreotti e il Vaticano Montanelli: "Una rapina" di Luca De Carolis

Da
il Fatto Quotidiano del 27 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2480582&yy=2010&mm=04&dd=27&title=fiumicino_10_miliardi_con_dann


Schifani fa causa a 'Il Fatto' -


27 aprile 2010

Il presidente del Senato chiede 720.000 euro di risarcimento per le inchieste pubblicate dal quotidiano. La direzione risponde: "Le indagini giornalistiche proseguono, noi non ci faremo intimidire".

Il presidente del Senato,
Renato Schifani, ci ha notificato ieri una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino, se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su il Fatto Quotidiano non siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non lo potrà che stabilire il giudice.

Certo, avremmo preferito che il presidente Schifani, proprio per l'importante incarico pubblico da lui ricoperto, avesse risposto alle numerose
e-mail contenenti dettagliate richieste di chiarimenti che gli abbiamo inviato prima di scrivere ogni pezzo. E ora ci saremmo aspettati almeno una querela penale che, da una parte, avrebbe consentito al pubblico ministero di svolgere autonomamente indagini sui fatti contenuti negli articoli in maniera più ampia rispetto a quanto si può fare in sede civile. E che, dall'altra, sarebbe potuta sfociare, in caso di un nostro rinvio a giudizio, in un dibattimento pubblico senz'altro interessante per chi vuol conoscere i trascorsi della seconda carica dello Stato.

In passato, quando Schifani era ancora il semplice capogruppo di Forza Italia al Senato, le cose andarono proprio in questo modo. Il nostro
Marco Lillo, all'epoca a l'Espresso, pubblicò un'inchiesta sui soci di Schifani poi condannati per fatti di mafia o finiti sotto processo per altri reati. Il pm stabilì che ciò che Lillo aveva raccontato era vero e la querela fu archiviata. Per questo, dopo aver riletto l'atto di citazione, oggi pensiamo che la causa miri più che altro a mettere una spada di Damocle economica sulla testa di un giornale appena nato. Ma se le cose stanno così, i nostri lettori possono stare tranquilli. Già domani dalle colonne de il Fatto Quotidiano spiegheremo dettagliatamente perché, a nostro avviso, la citazione di Schifani non è basata su argomentazioni serie e degne di un presidente del Senato. E nei prossimi giorni racconteremo altre storie inedite sulla vita del senatore, prima e dopo il suo ingresso in politica. Notizie che l'opinione pubblica deve conoscere.

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http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2480492&title=2480492