martedì 13 luglio 2010




Il giorno dell'Udienza sul "Lodo Alfano", si incontrano al bar dell'Hotel Eden di Roma, da sinistra, Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martini.





Piovono rane di Alessandro Gilioli




Toghe azzurre – e pure un po’ sporche



Il presidente della Corte di Cassazione – mica un pretore di Peretola – ma anche il capo della procura di Firenze, alcuni vertici del Csm e perfino giudici costituzionali.

A leggere i verbali sul cenacolo di gentiluomini che gravitava attorno a Flavio Carboni si scopre che – dopo 15 anni di strilli sulla “magistratura politicizzata” – in effetti parecchi giudici importanti erano pappa e ciccia con i politici.

Peccato che fossero i politici di Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/13/toghe-azzurre-e-pure-un-po-sporche/


La “cricca” delle toghe e il silenzio della stampa di regime


di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2010


Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate tipo l’“uso politico della giustizia” o la “magistratura politicizzata”. Gli Ostellini, i Panebianchi, i Sergiromani, i Pigibattista, los Politos, i Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo e i suoi manutengoli.

Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime.

Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni.

Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Che faccio dopo la pensione?”. Pasqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob.

Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe a entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano col presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “o’ professo’”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresidente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofo’” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm.

Ora si spera che il Csm vicepresieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne.
Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre il plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?

(13 luglio 2010)



La grande abbuffata - Marco Travaglio


domenica 11 luglio 2010

Indovina chi viene a cena -



Berlusconi e i summit per la "sua" giustizia. Cade la prima testa: si dimette Martone

Sono arrivate le prime dimissioni per lo scandalo della “nuova P2”. Il magistrato della CassazioneAntonio Martone, secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano, venerdì ha presentato al Csm una lettera in cui chiede di lasciare la toga. Martone era presente alla cena del 23 settembre 2009 nella casa romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. Con lui c’erano il collega Arcibaldo Miller, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il faccendiere Flavio Carboni, il senatore Marcello Dell’Utri e il giudice tributario Pasquale Lombardi. Non un banchetto conviviale tra amici, ma una riunione a tavola per decidere la strategia di condizionamento dellaCorte costituzionale che doveva esprimersi sul Lodo Alfano. Cioè sullo scudo per salvare Berlusconi dai processi milanesi Mediaset e Mills. I commensali fanno la conta dei giudici costituzionali favorevoli e contrari al Lodo. E cercano il modo di assicurarsi una maggioranza che confermi la legge salva-premier.


Ordini e scambi
Dopo la cena, Lombardi telefona a Martone e gli detta le istruzioni: “Io farei una ricognizione, i favorevoli e i contrari. Poi vediamo come bisognerà per vedere di raggiungere i contrari… Ci sono tutti i mezzi possibili”. Le manovre non vanno a buon fine: il 7 ottobre del 2009, il Lodo viene bocciato. Ma Martone, avvocato generale (in aspettativa) presso la Cassazione, ha comunque di che rallegrarsi: a dicembre viene nominato dal ministro Renato Brunetta presidente della Commissione “per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”.

Collezionista d’incarichi, Martone è stato fino all’anno scorso anche presidente della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. Vicino a Unicost, la corrente moderata del sindacato delle toghe, in passato è stato anche membro del Csm e nel 1999 ha presieduto l’Anm. Le dimissioni ora gli evitano un eventuale (e infamante) procedimento disciplinare da parte del Csm, dopo quasi 45 anni di servizio.
Martone ha fatto la sua scelta in sordina. Un altro partecipante alla cena di casa Verdini, invece, il sottosegretario
Caliendo, ha ieri pubblicamente dichiarato di aver partecipato all’incontro, ma ha escluso “nella maniera più assoluta che, me presente, si sia discusso di possibili pressioni sui giudici della Corte”. Caliendo si è in effetti allontanato mentre la cena era ancora in corso. Ma a metterlo al corrente delle manovre in atto ci ha pensato, subito dopo, Lombardi che lo ha chiamato al telefono. Senza alcuna protesta del sottosegretario, che non si è certo opposto all’operazione.

I tentativi di influire sulla Corte per ottenere la conferma della legge salva-Berlusconi vengono compiuti nonostante lo scandalo scoppiato appena due mesi prima. Nel luglio 2009 un articolo di Peter Gomez su
l’Espresso aveva rivelato una prima cena, avvenuta nel mese di maggio a casa del giudice della Consulta Luigi Mazzella. Vi avevano partecipato un altro componete della Corte, Paolo Maria Napolitano, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini e Silvio Berlusconi in persona. Nel pieno della polemica, il presidenteFrancesco Amirante aveva dichiarato: “La Corte costituzionale nella sua collegialità deciderà come ha sempre fatto, in serenità e obiettività, le questioni sottoposte al suo giudizio”.


Bravi, bis
Quattro mesi dopo la prima cena, e a 14 giorni dal verdetto della Consulta, ci riprova Verdini che convoca i “fratelli” e i loro alleati. Fra loro, anche il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller, in passato salvato da un imbarazzante trasferimento per incompatibilità ambientale. Due boss pentiti, Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, avevano accusato Miller, allora pm della procura di Napoli, di avere rapporti con la camorra. Da quelle dichiarazioni erano nate due indagini a carico del magistrato, finite con l’archiviazione. Al Csm Miller aveva ammesso le frequentazioni con gli imprenditori Sorrentino, legati alla camorra: “È uno sbaglio che riconosco di aver fatto e ne subirò le conseguenze”. Le conseguenze non ci sono state. Miller ha lasciato la procura napoletana per l’ufficio degli ispettori del ministero, che ha guidato con i governi di centrodestra e di centrosinistra.

di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali

da
il Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2010


Leggi anche:


La verità sui ddl intercettazioni.


Perchè venga fatta chiarezza e non si debba continuare a dire che la legge sulle intercettazioni proposta dall'attuale governo sia migliorativa rispetto alla precedente proposta dalla sinistra, ecco i riferimenti, tutti.

D.L. 259/06
Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche
Decreto Legge n. 259 del 22 Settembre 2006, G.U. n. 221 del 22 Settembre 2006
Convertito nella legge n. 281 del 20 Novembre 2006, G.U. n. 271 del 21 Novembre 2006
Testo coordinato G.U. n. 271 del 21 Novembre 2006

Sul decreto 259/06 trovo solo questo:
http://dirittoditutti.giuffre.it/psixsite/Archivio/Articoli%20gi_%20pubblicati/Primo%20piano/default.aspx?id=711

Qui il successivo ddl di conversione n. 281/06:
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/06281l.htm

Come è facile intuire, il decreto faceva riferimento solo ai "Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali" a seguito dello scandalo suscitato dalle intercettazioni Telecom.

L'attuale decreto, invece, tende ad annullare tutte le intercettazioni, anche quelle ordinate dalla magistratura e ne vorrebbe determinare anche la durata.

Non è possibile, pertanto, affermare che siano simili o che il precedente fosse peggiorativo, chi continua ad affermare una simile bestialità è in assoluta "MALAFEDE"!

Il patto della prostata - Marco Travaglio


Chiuso per lutto il salotto di Maria Angiolillo, chiuso per ferie il salotto di Porta a Porta, il tenutario Vespa ha dovuto aprire quello di casa sua, anzi di Propaganda Fide, con vista su Trinità dei Monti, e apparecchiare un frugale pasto per alcuni noti senzatetto, strappandoli alla mensa della Caritas: il signor B., la figlia Marina, Piercasinando, il banchiere Geronzi, il governatore Draghi, Letta-Letta con gentil consorte e il cardinal Bertone che passava di lì in sottana di ordinanza a riscuotere la pigione (10 mila euro al mese).

Assente giustificato Flavio Carboni, trattenuto da un precedente impegno a Regina Coeli. Sempre schivo e modesto, l’insetto ha spiegato di aver voluto festeggiare i suoi primi “cinquant’anni di giornalismo” (lui lo chiama così) con “pochi amici”: la prova che B. è perseguitato dai poteri forti e Vespa è un giornalista equidistante.

O, come dice Gian Antonio Stella, equivicino. In realtà la soirèe doveva riattizzare la passione fra due vecchi amanti un po’ in freddo: Silvio e Pier.

E il mezzano à pois si è volentieri prestato, con la collaborazione della sua signora Augusta Iannini, giudice distaccata al ministero della Giustizia per mettere in italiano le leggi ostrogote che escono dalla penna di Al Fano su misura per Al Nano.

La sora Augusta sfaccendava in cucina, raccomandando agli ospiti di mettere le pattine per non sporcare in giro, chè poi tocca a lei lucidare in mancanza di Anemone.

La notizia ha sovreccitato i retroscenisti di palazzo, scatenati nella caccia al menu dell’imperdibile serata, già paragonata per la sua portata storica alla cena in casa Letta del 1997, quella del “patto della crostata” tra B. & Max D’Alema in fregola di Bicamerale.

Ora, vista l’età media dei commensali, siamo al patto della prostata.
Ma si diceva del menu.
Il Geniale parla di “una forchettata di spigola e un sorbetto al limone”.

La Stampa aggiunge “una pasta col pesce, un’immancabile caprese di cui il Cavaliere è assai goloso” e poi un imprecisato “gelato”.

“Discordanti”, per La Stampa, “le testimonianze sul vino”: è certo che fosse bianco, forse un Greco di Tufo.

Il sensale Bruno, vestito da pinguino con le code di rondine, svolazzava felpato tra gli ospiti coi piedi dolci e il tovagliolo bianco sul braccio:

“Vogliamo cominciare con un prosciutto e melone? Abbiamo anche degli antipastini caldi.
Signori, facciano loro, sono qui per servirli”.

Come sempre, del resto.
Nessun cronista da riporto fa cenno ai piatti tipici della casa: la lingua d’insetto in tutte le salse e il leccalecca al gusto di tuttifrutti.

Pare che B. avesse chiesto un Fini alla vaccinara, ma non c’è stato il tempo.

A fine pasto, a un segnale convenuto dell’anfitrione maculato, Bertone attaccava a illustrare il dogma dell’Immacolata concezione del cardinal Sepe.

Draghi spiegava gli standard di onorabilità dei banchieri a un incuriosito Geronzi.

Letta e Vespa discutevano animatamente della legge bavaglio, concludendo che per loro non cambia nulla.

Le tre pie donne si ritiravano in tinello a caricare la lavastoviglie.

La consegna infatti era di consentire ai due piccioncini Silvio & Pier di appartarsi dietro il separè, nella speranza che riscoccasse la scintilla dei bei tempi che furono.

Per agevolare il compito a Cupido, il dàlmata dei mezzibusti metteva su un disco romantico e modulava luci soffuse.

Silvio, per fare colpo, si ritirava in bagno a incipriarsi il naso e rifarsi il trucco.

Poi passava ai preliminari, insistendo molto sulla benedizione vaticana e sulla comune appartenenza al Ppe.

Ma Pier faceva la ritrosetta, allora il premier le ha offerto la vicepresidenza del Consiglio più lo Sviluppo Economico, vacante per le dimissioni di Scajola, o gli Esteri, vacanti per la presenza di Frattini Dry.

Intanto, in punta di piedi, gli altri ospiti si dileguavano l’uno dopo l’altro, lasciandoli soli.

Quel che è accaduto dopo, a luci spente, lo lasciamo all’immaginazione dei lettori.

Per saperne di più, dovremo attendere il prossimo libro di Vespa.

A meno che Piercasinando, memore di un illustre precedente, abbia registrato tutto.


Da il Fatto Qotidiano dell'11 luglio 2010