giovedì 26 maggio 2011

Marcegaglia: “Sulla crescita l’Italia ha perso dieci anni, ma la politica ha altre priorità”


L’Italia “ha già vissuto il suo decennio perduto” in termini di “minore competitività” e di “mancata crescita”. Ora “dobbiamo muoverci in fretta. Il tempo è un fattore discriminante”. Così il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, incalza il governo nella sua relazione all’assemblea annuale degli imprenditori e chiede “semplificazioni e liberalizzazioni subito, infrastrutture e riforma fiscale”. Un discorso che è “un forte richiamo al governo e al Paese”, secondo il presidente del Senato, Renato Schifani. Che ha anche annunciato la discussione in Aula del ddl anticorruzione il prossimo 7 giugno. L’Italia “è forte e sana, consapevole delle sue capacità – risponde prendendo la parola il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani -. La nostra economia ha retto”. Ma “accettiamo la vostra sfida e non è un percorso semplice”, aggiunge. Polemiche anche sul ruolo della Fiat, su cui Marcegaglia ha dichiarato: “Non pieghiamo le regole della maggioranza per le esigenze di un singolo”, ha dichiarato. Pronta la replica del presidente dell’azienda automobilistica, John Elkann, per cui un’uscita del Lingotto dall’associazione: “Non è un tema d’attualità”.

“Se il risultato elettorale finale – dice il presidente nel passaggio della relazione dedicato alla politica – convincerà governo e maggioranza di avere davanti a se ancora due anni di lavoro la loro agenda deve concentrarsi su un’unica priorità: la crescita. Temporeggiare o muoversi a piccoli passi è un lusso che non possiamo più permetterci. I concorrenti non stanno lì a guardare e le speranze dei giovani non aspettano”, aggiunge la leader di Confindustria, spiegando che la sua associazione ha “incessantemente incalzato la politica sulla priorità della crescita, ma ha poi dovuto prendere atto che le priorità della politica erano altre e diverse”. Il ministro Romani ammette “tanti punti critici, molte difficoltà e infinite necessità” nell’economia del Paese, ma rilancia: “Non siamo stati fermi”. Adesso – aggiunge - bisogna puntare a fattori che possono essere più competitivi per il Paese. Ad esempio, siamo rallentati dalla burocrazia, nonché dai tempi della giustizia”. Davanti al capo dello Stato Giorgio Napolitano, Marcegaglia ha chiesto “uno scatto d’orgoglio di tutta la classe dirigente del Paese”, e che “si abbassino i toni della polemica politica: che cessino attacchi e delegittimazioni reciproche”. La Marcegaglia lancia poi un “avviso finale” alla politica. “Attenti – aggiunge -, in un momento così noi saremo pronti a a batterci per l’Italia, anche fuori dalle nostre imprese, con tutta la nostra energia, con tutta la nostra passione, con tutto il nostro coraggio”.

“Non agiamo sotto la pressione di nessuno” ha poi continuato la presidente. Il riferimento è alla Fiat e il passaggio riguarda la parte della relazione sul tema dei contratti, al centro del confronto tra l’associazione degli industriali e l’azienda automobilistica. Staccandosi dal testo, Marcegaglia fa una digressione e specifica: “Sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l’agenda di Confindustria, proseguiremo a modernizzare le regole sindacali senza strappi improvvisi che fanno male al sistema delle imprese e del Paese”. Il dovere che sente come guida dell’associazione, spiega, è quello di “rappresentare tutti: piccoli, medi e grandi”. “Non ci sono soci di serie A e di serie B”, conclude.




Watson: "Liberali di Milano votate Pisapia".mp4




Bari, a 78 anni l’ex vice sindaco vince lo strano concorso dell’Università. - di Roberto Rotunno


Egidio Pani spacca l'opinione pubblica. Non solo perché questo concorso sembra essergli stato cucito addosso, ma anche perché, dopo aver vinto, ha tentato di calmare le acque rinunciando allo stipendio. L'atto sarà poi smascherato. pani incassa 21mila euro

Un settantottenne tra gli studenti pugliesi. Così può essere definito Egidio Pani, vincitore di unconcorso pubblico per un posto da consulente presso l’ufficio stampa dell’Università di Bari. Giornalista pubblicista prestato alla politica. Un nome che ha fatto la storia della città di Bari, avendo rivestito, tra l’altro, la poltrona di vice sindaco. Una pensione da ex dirigente regionale e una soddisfazione raccolta alle soglie degli ottanta: conquistare il posto bandito dal rettore universitario prendendosi gioco dei suoi concorrenti. Una schiera di quarantenni, trentenni, magari precari, che in quel concorso avevano intravisto l’ancora di salvezza.

Il bando presentava le sue mille ambiguità già dal giorno della sua pubblicazione, lo scorso natale. Quando l’Assostampa protestò contro un requisito definito assurdo: iscrizione all’albo dei pubblicisti da almeno 25 anni. Una condizione che avrebbe escluso l’accesso al posto almeno agliunder 45. Fu l’Università a fare un passo indietro e a rimuovere la clausola. Ma nei fatti cambiò poco, perché non veniva fissato un tetto massimo di età per i partecipanti. E 30 dei 50 punti richiesti venivano acquisiti con l’esperienza.

Il risultato è stato quanto mai scontato. L’ “esperto” Pani ha sbaragliato la concorrenza ottenendo tutti quei punti. E lo scorso marzo gli è stato assegnato l’incarico dal rettore Corrado Petrocelli. Suscitando l’ira del sindacato dei giornalisti, dei giovani precari, di alcune associazioni studentesche e persino del sindaco di Bari, Michele Emiliano.

A questa ondata di malumori, l’eterno ragazzo ha risposto con un atto simbolico. La rinuncia al compenso. Decisione definita dal presidente dell’Assostampa Raffaele Lorusso (giornalista diRepubblica) un ulteriore errore. “Accettando una prestazione professionale gratuita – si legge nel comunicato – per giunta da parte di un pensionato, l’Università di Bari avalla l’idea che il lavoro giornalistico non vale niente”.

Tutto inutile. Egidio Pani non demorde e si tiene bella stretta la poltrona. La polemica si affievolisce fino a quando pochi giorni fa l’Università di Bari pubblica nell’ambito delle prescrizioni del decreto Brunetta i compensi ai consulenti. Tra questi spunta una voce: Egidio Pani, al quale viene destinata la retribuzione di poco più di 21 mila euro per l’incarico annuale, a partire dal 20 maggio 2011. Senza nessuna comunicazione di rinuncia, di fatto smascherando la promessa disattesa.

L’Università ribadisce ancora una volta che il giornalista rinuncerà alla sua busta paga e che la somma prevista verrà utilizzata per “attività dell’ufficio stampa, di giornalisti professionisti esterni alla struttura e a borse di studio per gli allievi del Master in giornalismo”. Insomma, in un Italia precaria, c’è chi si può permettere di lavorare gratis a 78 anni. Per giunta nell’Università, la casa dei giovani per eccellenza. Dove è stato inutile sperare che a guidare la comunicazione fosse un trentenne. Magari una donna. Laureata e con tanto di master. Alla ricerca di un lavoro che sia fonte di sostentamento e di crescita personale.

Un po’ quello che è l’identikit di Manuela Lenoci. La seconda classificata al concorso, che ha esternato tutto il suo disappunto. “Ho già lavorato per enti pubblici – racconta Manuela – e la mia specializzazione è la comunicazione istituzionale, dato che ho frequentato un master a Tor Vergata, dopo aver vinto una borsa di studio. Egidio Pani ha detto che per lui questo lavoro sarà un sacrificio. Per me era un’opportunità. E l’Università, anziché destinare la somma per cose imprecisate, dovrebbe rispettare la graduatoria di merito. Sarei ben lieta di affiancare Pani. Non voglio attaccare la persona, ma che senso ha presentarsi ad un concorso e poi rinunciare al compenso?”.



Quanto ci sono costate le leggi ad personam?



Quanto costa avere un premier come Berlusconi? Le leggi ad personam che riguardano la giustizia per il Presidente del Consiglio sono costate al Paese, dal 2001 al 2011, una somma pari a 2.259.355.509 euro, intendendo il prezzo dell’impegno del Parlamento per l’esame di questi provvedimenti. Oggi, presso la Sala Stampa di Montecitorio, l’Italia dei Valori ha presentato il dossier: "Ecco quanto gli italiani hanno pagato per garantire l’impunità al premier. Numeri e cifre da capogiro che parlano chiaro". Sono intervenuti Antonio Di Pietro, presidente di Italia dei Valori, Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato, Antonio Borghesi, vicepresidente gruppo Idv Camera, Silvana Mura, tesoriera Idv.

«Il governo Berlusconi è alla fine dei suoi giorni e noi tiriamo le somme di una storia politica che ha più preso che dato, umiliato le istituzioni, impoverito le famiglie - ha spiegato Di Pietro -. La morale di tutto questo è che la prima cosa che dovrà fare il prossimo governo è risolvere il conflitto di interessi. Anche il decreto Omnibus che oggi la Camera approva è solo un carro cui aggiungere altre leggi personali, in questo caso per gli interessi della cricca». Con questa iniziativa, «e con altri studi di settore che presenteremo», Di Pietro ha chiarito che Italia dei valori intende «chiudere la parentesi di opposizione al governo Berlusconi e aprire la parentesi dell'alternativa liberale e riformista. Prepariamoci a governare il Paese -ha concluso il leader Idv -. Mi auguro il più presto possibile dopo la chiusura dei ballottaggi delle amministrative e delle urne dei referendum».

Lo studio si limita a quantificare quanto le leggi ad personam sono costate ai cittadini - calcolando le ore impiegate da Aula e commissioni di Camera e Senato (oltre 700 per la Camera, poco meno a Palazzo Madama) - senza analizzare le conseguenze politico-sociali, che potrebbero essere anche peggiori. Si va dal legittimo sospetto al lodo Schifani, dalla ex Cirielli al lodo Alfano, dal legittimo impedimento al processo breve.

Le fasi propedeutiche al calcolo dei costi sopra citati sono state:

  • Somma di giorni e ore dedicati alle leggi ad personam in Commissione e Aula rispettivamente alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, sulla base dei dati delle due camere, reperibili on-line nella banca dati dei siti ufficiali, da Ottobre 2001 a fine aprile 2011.
  • Per il calcolo complessivo delle ore di lavoro delle Camere e del loro costo, sono stati presi a riferimento i dati relativi agli anni 2009- 2010, per avere un dato attualizzato al costo della vita.
  • Somma su base annua delle ore di funzionamento dell’aula e delle singole commissioni (dividendo le ore totali dei lavori delle Commissioni permanenti per il loro numero ovvero 14 ). Le Commissioni permanenti non lavorano, quando c’è Aula, ed le commissioni permanenti spesso lavorano in contemporanea. Le Commissioni interessate alle Leggi ad personam, sono state prevalentemente, la commissione giustizia, la commissione Affari Costituzionale e la commissione Bilancio. Per tale operazione ci siamo avvalsi di una media che abbraccia il biennio 2009 - 2010 (anche se le leggi ad personam iniziano dal 2001 fino ad oggi) sui dati delle statistiche reperibili on-line nella banca dati dei siti di Camera e Senato.
  • Calcolo della media del bilancio consuntivo 2009 e del bilancio preventivo 2010 per Camera e Senato al netto dei rimborsi dei partiti. Abbiamo deciso di non contabilizzare i trasferimenti ai partiti perché è una semplice partita di giro, non rilevante ai fini del calcolo dei costi delle leggi ad personam.
  • Calcolo del costo medio per ora di lavoro di Camera e Senato dividendo il costo annuale delle Camere per la somma su base annua delle ore di funzionamento dell’Aula e delle ore medie di lavoro delle Commissioni permanenti;
  • Calcolo del costo del lavoro di Camera e Senato per le leggi ad personam. Il risultato è frutto di una moltiplicazione tra il costo medio per un’ora di lavoro rispettivamente di Camera e Senato e il numero complessivo di ore di Aula e Commissione sempre di Camera e Senato.

Di seguito il dossier completo in Pdf.

quanto costano le leggi ad personam.pdf

http://www.italiadeivalori.it/interna/5141-quanto-ci-sono-costate-le-leggi-ad-personam


Propaganda tossica. - di BARBARA SPINELLI



SOSTIENE Berlusconi: "Con la sinistra Milano diverrebbe una città islamica". O "diverrebbe Zingaropoli". O cadrebbe nelle mani violente dei centri sociali. O peggio ancora, senza più condizionale: "Sarà Stalingrado". La campagna del premier non potrebbe essere più tossica, menzognera. Ancora una volta, tenta la seduzione degli elettori immettendoli in una bolla d'inganni: non idilliaca stavolta ma cupa, sinistra. Nella sua retorica, idillio e fiele combaciano, l'insulto si fa incontinente. La bolla è chimerica anche quando non offre una vita al riparo da crisi e mutamenti (una sorta di Milano-2 allargata, tranquillizzata dal recinto che la protegge da incursioni straniere), perché il miraggio della vita in nero non è meno scollato dall'oggi.

Non ha rapporto con la crisi economica cominciata nel 2007, e dal premier sempre negata, né col disastro che colpisce ormai più generazioni - di ventenni, trentenni, perfino quarantenni - condannate a un precariato senza futuro in cui sperare. Non ha rapporto con quello che sta accadendo in tanti paesi, da Spagna a Islanda: l'onda di collera verso politici incapaci di dominare, spiegare, intuire quel che la stasi della crescita rende necessario nei paesi sviluppati: più competizione ma trasparente, più bisogno di veder riconosciuto il merito, più giustizia e dunque legalità. Gli indignados delle amministrative italiane, lo vedremo, hanno ritenuto che il Nuovo stesse in luoghi inesplorati della politica.

La chimera unita all'insulto ha come scopo quello di produrre allucinazioni, immagini distorte delle realtà vissute. È ancora peggio dell'illusione, perché l'allucinazione è una droga che ti mangia da dentro. I dizionari spiegano che è una percezione di sensazioni senza alcun oggetto esteriore che la faccia nascere. Chi è in preda all'allucinazione non vede il tempo scorrere o lo vede correre caoticamente, non è in grado di smascherare l'inganno che l'ha cattivato, e incattivito. Vive come il popolo imprigionato nei sotterranei del film di Kusturica: sulla superficie la terra è cambiata, il Muro è caduto. Underground, sottoterra, è sempre Stalin contro Hitler, e guerra fredda infinita. Il cattivato voterebbe perfino Jack lo Squartatore, se gli dicessero che in cambio non ci saranno Zingaropoli, centri sociali, Stalingrado.

Così nella propaganda di Berlusconi: nulla sulla superficie della terra conferma l'esistenza di orde di zingari che premono alle porte delle città con il coltello fra i denti, nulla fa pensare a Stalingrado (icona della seconda guerra mondiale e della guerra fredda), con le bandiere rosse sventolanti ovunque. Ma l'allucinato non se ne cura: sullo schermo vede proiettato non l'oggetto delle vere paure quotidiane ma una paura cosmica, così potente che oltrepassando la realtà cerca nemici fittizi per placarsi. Hai paura dell'inferno? chiede Berlusconi: non ci siamo che noi per tenerlo a bada, riscattarti, redimerti. Continua a spaventarti, perché lo spavento è la tua e quindi la mia forza. Solo noi, Uomini Nuovi, abbiamo la tenacia e la faccia di bronzo per sventare il caos. Hayek chiama tutto questo fatal conceit. È l'idea che "l'uomo sia capace di forgiare il mondo che gli sta intorno secondo i propri desideri". Accusava il comunismo, ma ogni ideologia monocratica si nutre della paura del diverso, è concezione fatale insidiata dall'errore.

Il fatto è che quelli che si presentano come Uomini Nuovi o non lo sono più, o non lo sono mai stati. Non lo è Berlusconi: affermando che Mani Pulite fu un atto sovversivo inteso a liquidare i partiti che avevano dato all'Italia benessere e progresso, si è dichiarato l'erede, se non la reincarnazione, del vecchio regime eroso da corruzione e patti mafiosi. La Lega è un caso diverso: quando nacquero le leghe, negli Anni 80, la novità c'era anche se colorata di populismo e razzismo d'altri tempi: vituperare Roma ladrona indicava desiderio di disfarsi delle partitocrazie rivelandone corruttele e doppi Stati.

Secondo la ricostruzione di Roberto Biorcio, professore di sociologia a Milano, la Lega contribuì in maniera decisiva non solo a Mani Pulite, ma al successo popolare delle inchieste giudiziarie (La rivincita del Nord, Laterza 2010). Accettare che si parli di quei magistrati e di quelli che oggi indagano su corruzione e mafia come di brigatisti, di un cancro, di gente antropologicamente diversa, è per la Lega un rinnegare se stessa. (Rinnegamento assente, invece, nella destra di Fini).
Progressivamente i leghisti si son trasformati in tutori di interessi particolari, bigotti, ostili al cambiamento, sia quando il nuovo si presenta come società non più omogenee, già multiculturali, sia quando si presenta come società della crisi, di giovani tagliati ormai fuori non solo dal lavoro ma anche dagli studi (2,1 milioni, secondo l'Istat). È quello che si fatica a capire, alla vigilia del ballottaggio di domenica prossima. Il Nuovo che berlusconiani e leghisti promettevano non ha dato risultati. Delle promesse non resta che una smorfia: altro non è la pernacchia di Bossi teletrasmessa lunedì. I votanti magari premieranno tale degenerazione ma credo che pochi lo faranno sperando alcunché.

Il primo turno ha mostrato quali possono essere i volti nuovi, dopo falsi inizi e tracolli della seconda Repubblica. Nuovi non solo rispetto a berlusconiani e leghisti, ma anche a una sinistra che per 17 anni ha sottovalutato l'anomalia di Berlusconi, legittimandone l'ascesa, il successo, l'intreccio (mai percepito davvero come conflitto) fra l'utile personale-aziendale e l'utile politico. Non è un caso che le novità appaiano nelle due città più inferme d'Italia: Milano e Napoli. Milano secolarmente allettata dall'estraneità al bene pubblico e allo Stato unitario. Napoli infiltrata dalla camorra, guastata da giunte di destra e di sinistra. L'appoggio dato per anni a Bassolino ha fatto un male incalcolabile al Pd, ed è grave che questi se ne sia accorto solo fra il primo e il secondo turno di queste elezioni.

Certo non sono ancora chiari, i programmi di Pisapia o De Magistris. Ancor meno lo erano quelli della Lega, nei primi Anni 90. Ma la rottura di continuità c'è, e assai meno equivoca di allora. Così come c'è rottura di continuità in Fini, che ha scelto di ricostruire una destra fondata sull'unità nazionale e la legalità. Quando Beppe Grillo dice che Pisapia e Moratti sono la stessa cosa è anch'egli parte del vecchio, pur respinto da tanti suoi elettori. Di un vecchio che trascura le mutazioni economiche nel loro insieme e non cerca la soluzioni adatte. Che tuona contro Marchionne senza provare a udirne gli argomenti, con la stessa foga con cui i sindacati difesero la vecchia Alitalia nel governo Prodi.

Il vecchio è un Paese malato non solo a causa di Berlusconi, ma di una classe dirigente che non affronta le cose come stanno, lavorando sull'armonizzazione tra necessità economiche, tutela dei diritti della persona, equità e legalità da resuscitare. Che non dice quel che andrebbe detto: una società che vuol guarire dovrà nascere dall'insieme di culture e religioni che ormai la compongono, e sentirsi responsabile di una gioventù minacciata, che la generazione del '68 ha sacrificato pur di attribuirsi buone pensioni. Se c'è una cosa che in Italia è mancata non è la concordia, ma un vero conflitto di generazioni. Ne aveva e ne ha bisogno, per non patire degli odierni ingiusti squilibri. Invece di un sano conflitto generazionale abbiamo avuto per quasi un ventennio il malsano, osceno conflitto d'interessi. E abbiamo, in fine corsa, la pernacchia di Bossi. L'appello del card. Bagnasco a destra e sinistra, perché smettano "risse inguardabili e noiose" e approvino il testamento biologico, è fuorviante. Un appello morale alla responsabilità non può sorvolare, oggi, sull'essenziale: la riscoperta del bene comune e della legalità, a Milano e Napoli.

Tre marce su Roma sono partite da Milano (Mussolini, Craxi, Berlusconi) e hanno portato o alla guerra o alla stasi. Forse è venuta l'ora di rompere la bolla, di capire che ripetere il passato è solo distruttivo. Non ha senso ripetere il '68, incurante della legalità e non ancora messo alla prova dall'immigrazione. Né ripetere il voto del '48, gridando al lupo comunista. Stalingrado è spettro del mondo di ieri, non di oggi. Del mondo che vive underground, convinto che nessun muro è ancora caduto.



in metro a Roma pro referendum.





mercoledì 25 maggio 2011

Ciancimino: " Ecco chi è Mister X". - di Giuseppe Pipitone



"Giancarlo Rossetti o Carlo Rosselli" sarebbero le possibili identità di Mister X, il puparo che ha avrebbe fornito documenti falsi a Massimo Ciancimino.

Continuano i colpi di scena in quello che è diventato l'affaire Ciancimino. Dopo il provvedimento del gip di Palermo Riccardo Ricciardi - che ha negato la scarcerazione del figlio di don Vito per il rischio di reiterazione del reato - adesso all'orizzone si fa più nitida l' indentità del presunto Mister X, il burattinaio che a detta dello stesso Massimo Ciancimino gli avrebbe fornito documenti dall'aprile del 2010.

Massimo Ciancimino, attualmente ristretto nel carcere palermitano Pagliarelli, ha detto di non ricordare esattamente il nome dell'uomo, indicando due nomi: "Giancarlo Rossetti o Carlo Rosselli". Ciancimino Juonior, accusato di calunnia e detenzione d'esplosivo, ha confermato che si tratterebbe di un colonnello dei Carabinieri in passato autista del generale Giacinto Paolantonio, conosciuto nell'aprile 2010 a Palazzo Steri, a Palermo, dopo la presentazione del libro Don Vito, scritto insieme a Francesco La Licata.

Rossetti / Rosselli avrebbe fornito a Massimo Ciancimino una serie di documenti tra cui anche il falso elenco di funzionari dello Stato in cui è annotato anche il nome di de Gennaro, che è costato il carcere al figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo.

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