lunedì 20 giugno 2011

Geppi Cucciari, la regina di quorum Che fa ridere pure Sallusti. - di Federico Mello


Lunedì pomeriggio, nell'ultimo giorno di voto per i referendum, la comica era ospite nello speciale di Enrico Mentana. E con le sue battute ha steso pure 'Mitraglia'. "Berlusconi prenderà atto del quorum? Sì, dalle isole Cayman". Un'intervista che passa anche per la campagna acquisti di La7 e la sua esperienza a Mediaset

“Caro Enrico resta un dato: il referendum è stato un trionfo e anche il premier ha detto che bisogna prenderne atto. Lui ne prenderà atto dalle isole Cayman”. Mentre lunedì pomeriggio arrivavano i dati sul referendum, nello speciale di Enrico Mentana su La7 (14 per cento di share) le battute di Geppi Cucciari lasciavano il segno: “Mi ha colpito che anche Sallusti abbia sorriso. È stata una sorpresa per me, anche dal punto di vista umano” ci dice lei ancora divertita. Trattenersi non era facile: “Ha chiamato Obama, ha chiesto se può avere anche lui un programma su La7”, il suo esordio nello speciale dopo la telefonata diCelentano, ma non solo: “Tutti gli elettori che hanno raggiunto i venti timbri sulla scheda riceveranno in omaggio un trolley dal Viminale con l’autografo del ministro Maroni e una dedica: ‘A soreta’”.



Geppi, Mentana è soprannominato ‘Mitraglia’ ma anche tu non scherzi…
È vero: l’ironia e la comicità sono legati al ritmo. Poi io sicuramente avrei bisogno di un logopedista: qualche volta prendo una marcia inspiegabile. Sono una con un ritmo vivo, vivace.

Siete una bella coppia…
Abbiamo delle conversazioni a telecamere spente molto generose dal punto di vista comico. A volte irripetibili e fortemente legate al reciproco istinto all’improvvisazione.

Santoro, Fazio, Saviano, Floris, Gabanelli. Tutti a La7?
E mi sembra giusto: è un paradiso felice. Ma stanno predisponendo delle eliminatorie all’ingresso: così si accomodano uno per uno a dialogare con chi di dovere. Scherzo: li aspettiamo a braccia aperte.

Qualcun altro che ti piacerebbe vedere a La7?

Fiorello, lo adoro, ma mi sa che andrà alla Rai.

Tu lavori anche per Mediaset: hai appena finito Italia’s got talent su Canale5.
Di Italia’s got talent amo la sua dimensione legata all’intrattenimento puro. È chiaro che nessuna delle battute che ho fatto lunedì avrebbe avuto senso in quel contesto.

E Gday, la tua striscia pre-tg su La7, sarebbe immaginabile su un’altra rete?
No, Gday è un programma fatto sulle notizie, con un gruppo di autori che comincia a lavorare otto ore prima della diretta. Si parla di attualità e quindi può capitare William e Kate così come il legittimo impedimento. Fino a tre mesi fa non avevo mai pensato che il proprietario della rete potesse avere un’influenza sul mio lavoro. Perché mi muovevo in un ambito di intrattenimento più leggero. Gday è un’altra cosa, ma comunque spero di poter dire quello che penso ovunque.

In Gday mischiate filmati, sketch, sondaggi e fate parlare la gente.

Escono tre ragazzi la mattina e chiedono “la notizia del giorno”. Le risposte che non ti aspetti sono le più interessanti.

Per strada raccogliete anche pareri su leggi “surreali”, tipo l’obbligo di pagare 5 euro per andare a votare ai referendum.

Qualcuno non ci crede, alcuni sì. Questo dimostra che la televisione ha ancora una credibilità maggiore di quella che meriterebbe.

Lunedì scorso, durante una conferenza stampa a Villa Madama con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyah, Berlusconi scherzava sul “bunga bunga dell’800″ a proposito di un quadro che raffigura il Parnaso.
È sempre un diversivo per parlare di altro, una tecnica completamente bancaria: “Guarda c’è un delfino dietro di te”. Poi ti giri e non lo vedi mai. Mostrare i dipinti e parlare di bunga bunga è la stessa cosa.

Si dice che con la politica italiana sia difficile il mestiere del comico. È vero?
Stai parlando con una persona che si cimenta con questa comicità da pochi mesi. Ma, secondo me, osservare con una lente comica quello che succede, fare satira di costume, anche un po’ politica, darà sempre qualcosa in più rispetto a qualsiasi politico.



“Casus belli? Non importa se i ministeri sono belli” figuraccia epica di Salvini su La7 – Video



Storica figuraccia di Matteo Salvini (Lega Nord) in collegamento da Pontida con il TgLa7. Alla domanda di Mentana “Il tema dei ministeri a Roma può costituire il casus belli?”, Salvini risponde: “Quanto belli, quanto grandi, quanto splendenti siano i ministeri a Roma onestamente mi interessa molto poco…”. L’espressione ‘casus belli’ (‘motivo di guerra, di scontro’) viene clamorosamente confusa da Salvini con l’aggettivo belli, riferito ai ministeri. Vabbè, che ci volete fare. Il latino lo parlavano i romani, mica i padani.


P4: Presidenza del Consiglio, Rai ed Eni Altri contatti nella rete di Bisignani.


L’inchiesta per la Loggia P4 si allarga. A interessarsene anche la Procura di Roma. A cui i colleghi di Napoli hanno inviato per competenza parte del fascicolo. Tre i casi capitolini contestati al lobbysta Luigi Bisignani: appalti poco chiari con enti pubblici come Eni e Poste, una trattativa riservata da cento milioni di euro per cedere un immobile alla presidenza del Consiglio, una presunta influenza su nomine e contratti in Rai. Intanto i pm partenopei continueranno a indagare sul coinvolgimento di diversi politici: dal sottosegretario Gianni Letta alle ministre Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini. La prima intercettata nell’ufficio di Bisignani, la seconda che ha ammesso i contatti frequenti con Bisignani durante la sua testimonianza.

Si allunga così anche la lista dei contatti del lobbysta, un tempo affiliato alla P2. Come l’ex direttore generale di viale Mazzini, Mauro Masi. Dalle intercettazioni contenute nel fascicolo degli inquirenti emergono gli stretti rapporti tra i due, che un giorno avrebbero discusso anche di Michele Santoro. E’ Bisignani a passare all’ex dg alcune notizie riguardo alle indagini della Procura di Trani sulle presunte pressioni di Silvio Berlusconi su Giancarlo Innocenzi, dipendente dell’Autorità garante per le comunicazioni, affinché facesse chiudere ‘Annozero’. Durante l’interrogatorio, entrambi hanno confermato. Ma Masi non sarebbe stato l’unico contatto di Bisignani adatto a influenzare la tv pubblica. Frequenti erano infatti i suoi rapporti anche con l’avvocato Salvatore Lo Giudice, consulente della presidenza del Consiglio in materia di giornali e tv. Attraverso di lui, Bisignani avrebbe tentato di trattare per i contratti di alcuni conduttori. I più scomodi per il Cavaliere, come Milena Gabanelli e Giovanni Floris.

Ma Palazzo Chigi è coinvolto anche in un altro capitolo dell’inchiesta passata a Roma dai magistrati campani che per primi indagano sulla presunta Loggia P4. Il nuovo filone riguarda anche le trattative, poi sfumate, per la vendita di un immobile alla presidenza del Consiglio da parte di Bisignani. Prezzo su cui accordarsi: circa cento milioni di euro. Contratto poi saltato forse proprio per l’apertura delle indagini. Ma il contatto c’è stato e la proposta di vendita pure: a confermarlo è lo stesso Bisignani durante il suo interrogatorio.

Ultimo filone di indagini, infine, i rapporti con diverse aziende pubbliche. Come l’appalto preso con la Ilte, società di Bisignani, per stampare la rivista dell’Eni. O la “concessione per la stampa delle bollette” delle Poste e “non soltanto”, tramite un’altra società, la Postel, crerata proprio con Poste italiane. E’ quanto riferisce nella sua testimonianza Alessandro Bondanini, collaboratore di una delle commercialiste del lobbysta. Rapporti, compresi quelli con i vertici dell’Enel, che emergono anche da altre testimonianze ascoltate dagli inquirenti. Che adesso voglio essere sicuri che si tratti di appalti puliti e che Bisignani, con le sue conoscenze, non abbia influenzato contratti o sponsorizzazioni in aziende pubbliche.



domenica 19 giugno 2011

L’hanno rimasto solo. - di Marco Travaglio.



“M’hanno rimasto solo, ‘sti quattro cornuti. Me so’ ‘nfilato dentro lo scarico della mondezza, l’ho presa tutta addosso. Cinque ore so’ lì dentro, coi bacherozzi e i sorci…”. Niente di meglio dell’ “Audace colpo dei soliti ignoti” per immortalare il tramonto del Grande Comunicatore che non comunica più. O meglio: ci prova, ma non trova più nessuno a cui comunicare. Incomunicabilità totale. Mediaset perde ascolti a rotta di collo. Un paio di milioni d’italiani, pur di non vederlo, non perdono un istante della festa della Fiom. E dalle ultime intercettazioni sulla P4 la sua voce non risulta nemmeno una volta. Non pervenuta. Chi conta e vuole contare chiama altri (a proposito, un appello ai pm: intercettatelo di nuovo, foss’anche mentre racconta una barzelletta del secolo scorso, sennò ne fa una malattia).

Tristi anche gli avvistamenti di Zappadu, tornato nei pressi di villa Certosa sul luogo del relitto dopo un paio d’anni di assenza: quel luogo un tempo meta di goderecci pellegrinaggi di decine di ragazze, ministre, ballerine, mignotte, menestrelli di corte, pare improvvisamente troppo vasto, smisurato, sproporzionato per quell’omino flaccido e stanco in tuta blu da benzinaio, affiancato da appena due Papi girl sfuggite alla decimazione giudiziaria e piuttosto annoiate. Una mestizia infinita.

L’altro giorno, poi, l’agghiacciante immagine della saletta deserta di un hotel calabrese, una distesa di poltroncine bianche che ascoltano in religioso silenzio la benedizione telefonica del premier: “Pronto! Vi porto il saluto di tutto il governo, un saluto di cuore a tutti!”. Tecnici ed elettricisti che, dopo il raduno ormai concluso della Fondazione John Motta, stanno smontando gli impianti di amplificazione non credono alle loro orecchie quando sentono giungere dall’oltretomba una voce un tempo nota e ascoltata da folle osannanti. “Ma chi è? Un saluto a tutti chi?”. “Ma che, è proprio Berlusconi?”. “Ma sì, è proprio lui”. E giù a ridere. Chi glielo dice, al pover’uomo, che sono andati via tutti? Riconvocati d’urgenza alcuni relatori strappati al buffet, fra cui Nucara, quello che doveva reclutare folle di “responsabili” ma non ne acchiappò nemmeno uno (provvide poi Verdini, coi suoi metodi persuasivi, a scilipotare la fu maggioranza). Neanche Nucara ha il cuore di svelare al premier che è tutto finito, non c’è più nessuno, nemmeno uno Scilipoti. E allora gli passa un tale avvocato John Motta, uno zio d’America che parla come Stanlio e Ollio e ringrazia tanto il Presidente a nome di tutte le poltroncine bianche all’ascolto. Alcuni camerieri, portabagagli e addetti alle pulizie racimolati alla bell’e meglio si spellano le mani per simulare una platea brulicante. E lui, il Presidente Telefonista, parte in quarta col monologo-fiume. S’è anche preparato, poveretto: “Saluto il nostro Gianni Motta che ha cambiato nome in John Mott e dopo una vita difficile ce l’ha fatta…”. Poi, dopo una ventina di minuti, chiude il comizio tutto accaldato: “Viva gli Stati Uniti d’America che gl’italiani, i figli e i nipoti di italiani hanno contribuito a rendere grandi! Viva la Calabria! Viva l’Italia”. Clap clap. Ora Nucara accusa la solita informazione dell’odio di aver manipolato le immagini, ben sapendo ciò che l’attende al rientro a Roma.

Ieri poi il processo Mills: il primo senza scudo, il primo con un testimone – Attanasio – che osa parlargli contro. Fino a un mese fa ogni udienza richiamava folle di tifosi pro e contro. Ieri invece, a parte i giornalisti, alcuni poliziotti in assetto antisommossa e qualche passante incuriosito da cotanto spiegamento, il deserto. Nemmeno un Lassini sfuso, una cugina della Santanchè, nessuno. Stavolta una voce pietosa, forse quella dell’on. avv. Ghedini, ha avvertito l’insolito ignoto: “Presidente, inutile uscire dall’ingresso principale, ci sarebbe un pertugio secondario. Pazienza, è andata così, sarà meglio la prossima”. L’hanno rimasto solo anche lì, quei quattro cornuti.



Signore e signori buonanotte.



Tratto dal film, il migliore sarcasmo sulla politica italiana.


SUD ITALIA DAL 1861 TERRONI - VIDEO ILLUMINANTE FANTASTICO




Pontida, Bossi: “Guida di Berlusconi può finire. Rischio alleanza alle prossime elezioni”.

“Questa la risposta ai coglioni giornalisti: la Lega è rotta? Vi romperemo noi”. Così Umberto Bossi apre il suo comizio a Pontida. E a Silvio Berlusconi, dopo i ringraziamenti per il federalismo fiscale, manda a dire: “La tua leadership può finire”. Così come l’alleanza alle prossime elezioni. Insieme al giuramento dei 52 nuovi sindaci del Carroccio neoeletti, il discorso del Senatùr era il momento più atteso dal pubblico. ”La Lega è una, compatta, per il suo segretario federale – arringa il presentatore dal palco prima dell’intervento -. Facciamolo capire bene chi è il capo della Lega”. Che però parla guardando dal palco un grande striscione non dedicato a lui: “Maroni presidente del Consiglio”, recita. Un anticipo dell’ambiguità notata nel comportamento di Bossi, durante l’intervento, proprio nei confronti del ministro dell’Interno. Al fianco del leader stava il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Più defilata la posizione di Maroni, l’unico di tutto lo stato maggiore del Carroccio a indossare un abito anziché la tradizionale camicia verde.

Il primo passaggio del discorso di Bossi è dedicato al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Un seguito delle polemiche di ieri tra i colonnelli del Carroccio e il ministro riguardo all’urgenza di una riforma fiscale. ”Caro Giulio, se vuoi avere ancora i voti della Lega in parlamento ricordati che non puoi più toccare i comuni”. Il Senatùr contesta il patto di stabilità, che blocca diversi “miliardi” delle amministrazioni comunali. “Caro Giulio, va riscritto”, manda a dire Bossi. Perché “le persone sono più importanti del mercato” e “i soldi si possono trovare”. Qualche spunto lo fornisce lo stesso Bossi. Innanzitutto interrompere le missioni di pace all’estero, da cui si potrebbe recuperare “un bel miliardino”. Oppure tagliare i costi della politica, “gli sprechi”, li definisce il Senatùr. “Come le auto blu – dice -, io ho un’Audi, ma l’ho comprata io”. ”Secessione“, urlano intanto i militanti tra il pubblico. ”Se volete la secessione, ci si prepari – risponde Bossi dal palco -. La Lega verrà incontro ai popoli del nord che vogliono una pressione molto forte verso il centralismo, e lo avranno. L’altra volta ci ha fermato la magistratura, questa volta saremo ancora più incazzati”.

Ma se il leader leghista è polemico con Tremonti, dedica al premier parole di apprezzamento, prima dell’avvertimento. I padani, “schiavi del centralismo romano”, ricordano e ringraziano Berlusconi per l’aiuto sul federalismo fiscale che “non sarebbe passato senza i suoi voti”. Appena dopo, l’affondo: “La tua leadership è in discussione”, manda a dire Bossi al Cavaliere. “Può finire a partire dalle prossime elezioni – continua – se non ascolterà attentamente le proposte che facciamo”. E non darà risposte “in tempi certi”, fissati nei prossimi tre mesi. Elezioni, quelle ricordare dal leader del Carroccio, a cui comunque “non è detto” che la Lega sostenga il premier, precisa. “Qualcuno si illude e dice ‘Bossi non può più andare da solo’ – continua -. Invece noi possiamo andare da soli quando vogliamo”. Al momento però, precisa il Senatùr, l’idea non è quella di creare una crisi nella maggioranza. Non adesso almeno. “Questo è un momento favorevole alla sinistra – spiega Bossi – quindi far cadere il governo sarebbe fargli un favore”.

Ma se la leadership del premier può finire, quella di Bossi va dimostrata salda. “Il capo” lo chiama Calderoli durante il suo intervento sulle quote latte. In cui invita a “mangiare padano” e non “prendere gli escherichia coli degli altri”.”Questo sarà un anno in cui l’identità padana ritornerà a pigliare il volo – rassicura Bossi -. Sarà una grande battaglia e non ci saranno magistrati che potranno fermarla”. Né tanto meno la sinistra. “Bersani dice che abbiamo la spada moscia? – ricorda una provocazione del Pd, riferita al simbolo di Alberto da Giussano -. Lo sperano i nostri nemici, così non se lo prendono in quel posto”. Una battaglia che passa anche e soprattutto per ildecentramento dei ministeri. “Ci saremo io e Calderoli – ha spiegato – se viene anche Maroni, tutto di guadagnato”. Una frase non proprio incoraggiante. “Pensaci – ha insistito -, se vuoi venire lì c’è un tavolo anche per te”. Un’espressione che fa apparire il ministro distante dalla coppia Bossi-Calderoli, vicina anche sul palco. “Sui ministeri Berlusconi aveva già firmato il documento – conclude il Senatùr – poi si è cagato sotto”.

Maroni, defilato durante l’intervento del leader, parla per ultimo. E, al contrario di Calderoli, si riferisce a Bossi più spesso come “Umberto”. Tranne in apertura del suo discorso: “Il Capo ha già detto tutto, cose molto chiare e molto forti – prende la parola -. Chi ha orecchie per intendere, a Roma, ha già inteso”. Più che al Pdl e all’orgoglio padano, però, le parole del titolare dell’Interno sono rivolte ai risultati della sua attività di governo. Contro la criminalità organizzata e per arginare la crisi immigrazione, pur ostacolati “dalla magistratura che è tutta con i clandestini”, dalla Nato e dall’Unione Europea che non aiutano a bloccare i flussi dal nord Africa. A proposito di mafie, invece, poco prima era arrivata la punzecchiatura di Bossi: “Maroni, sai che la Brianza è piena di mafiosi? Dagli una soppressata”. Un passaggio è dedicato alla guerra in Libia, per cui il ministro chiede “uno stop”.”I missili non sono intelligenti – spiega – per fermare i profughi c’è solo un modo: fermare la guerra”.

Riunita ad ascoltare il Senatùr e i colonnelli c’è la base del partito, compresi i militanti “arrivati in bicicletta attraverso le strade dell’Insubria”. L’appello ai militanti è di andare al gazebo principale per firmare in favore del “decentramento dei ministeri”, una delle sorprese annunciate ieri da Bossi e ripresa nel suo intervento. “E’ un obbligo morale di tutti noi”, rimbomba la voce del presentatore del raduno nelle casse sparse per il prato di Pontida.