martedì 12 luglio 2011

Alitalia, spunta la norma “blocca Fantozzi” A rischio la causa civile. - di Matteo Cavallito


Un articolo nelle pieghe della manovra prevede la nomina di due commissari extra

L’amministratore straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi sarà affiancato presto da due commissari extra con cui dividere il potere decisionale. Lo impone un comma della nuova legge di stabilizzazione Finanziaria che, affermano fonti vicine ai mercati, avrebbe scatenato la rabbia dello stesso amministratore facendogli considerare anche l’ipotesi delle dimissioni. Il nodo, riferiscono le stesse fonti, nell’ostacolo imposto implicitamente dalla nuova norma all’ipotesi di un’azione di responsabilità contro l’ex numero uno dell’azienda Giancarlo Cimoli.

La potremmo chiamare “difesa preventiva” visto che gli elementi a disposizione, per ora, non consentono di andare oltre. Ma certo il sospetto non manca, soprattutto a fronte dei rumors che iniziano a circolare negli ambienti finanziari. Da sempre critico nei confronti della mala gestione che negli anni passati ha contribuito in modo decisivo ad affossare Alitalia, facendo lievitare al contempo il costo di ristrutturazione scaricato sui contribuenti e sui piccoli risparmiatori, il commissario straordinario Augusto Fantozzi rischia ora di perdere buona parte della propria autonomia con la concreta ipotesi di ritrovarsi di volta in volta in “minoranza”. E’ questa, in sintesi, la possibile conseguenza dell’ultimo provvedimento assunto dal Governo e inserito tra le pieghe del decreto di stabilizzazione finanziaria. Un’iniziativa criptica, formalmente lecita ma anche terribilmente discutibile. Soprattutto a fronte di un malcontento generale che non sembra proprio destinato a placarsi.

L’articolo è sepolto nei meandri della nuova legge, all’articolo 15, comma 5: “Al fine di contenere i tempi di svolgimento delle procedure di amministrazione straordinaria delle imprese di cui all’articolo 2, comma 2 del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 e successive modificazioni, nelle quali sia avvenuta la dismissione dei compendi aziendali e che si trovino nella fase di liquidazione, l’organo commissariale monocratico è integrato da due ulteriori commissari, da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro dello sviluppo economico”. Traducendo: nelle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, come Alitalia magari, l’amministratore straordinario, uno come Augusto Fantozzi ad esempio, sarà affiancato da due nuovi commissari graditi al Governo e nominati formalmente da Paolo Romanioppure direttamente da Silvio Berlusconi ma, in ogni caso, scelti di fatto dal premier.

Augusto Fantozzi, è noto, non ha voluto fino ad oggi cedere alle pressioni di chi da due anni invoca un suo intervento diretto contro la precedente gestione della compagnia. Ma al tempo stesso ha avuto parole fortemente critiche nei confronti degli sprechi che avevano portato l’azienda al collasso. Un tracollo divenuto conclamato nel 2007, quando per la prima volta si iniziò a parlare con sempre maggiore convinzione di una cessione salvifica ai concorrenti di Air France che, all’inizio dell’anno successivo, avrebbero formalizzato un’offerta da 1,7 miliardi di euro per l’acquisizione dell’impresa e, particolare non da poco, di tutti i suoi debiti. Il seguito è noto: dopo l’inconsistente ipotesi di cordata promossa da Antonio Baldassarre (che costerà all’ex presidente della Corte Costituzionale una sanzione da 400 mila euro da parte della Consob e un rinvio a giudizio con l’accusa di aggiotaggio)Air France entra nella proprietà della compagnia acquisendo il 25% delle quote Alitalia per la cifra di 300 milioni. E i conti ovviamente non tornano visto che una simile operazione identifica un valore totale dell’azienda pari a 1,2 miliardi (500 milioni in meno della prima offerta sdegnosamente rifiutata) e che, rieccoci al “particolare non da poco”, quel prezioso 25% risulta, al contrario di prima, perfettamente sano. Già, perché tutti i debiti di Alitalia, nel frattempo, sono stati convogliati in una bad company che sopravvive grazie a un prestito pubblico (cioè dei contribuenti) pari a 300 milioni di euro e impone una sostanziale svalutazione di fatto dei titoli azionari in mano ai piccoli risparmiatori. Alla fine il conto finale dell’operazione Alitalia si collocherà tra i 4 e i 5 miliardi di euro.

Il commissario straordinario Fantozzi viene chiamato in causa nel giugno del 2009 quando il rappresentante degli obbligazionisti della compagnia Gianfranco Graziadei invita la Consob a chiedere chiarimenti al nuovo numero uno dell’azienda. Fantozzi avvierà un’azione di responsabilità portando in tribunale, sede civile, i vecchi amministratori dell’azienda? La domanda inizia a farsi strada anche se il commissario preferisce non esprimersi. Un fatto è però certo: Fantozzi non ha propriamente un atteggiamento assolutorio nei confronti dei suoi predecessori, anzi. “Alitalia è morta di grandeur” dichiarò più di due anni fa l’amministratore straordinario. Come a dire che una gestione più oculata avrebbe potuto salvare la compagnia immolata, al contrario, sull’altare degli sprechi. “Nella mia relazione sulle cause dell’insolvenza dico chiaramente che l’azienda ha sperperato – spiegò allora Fantozzi – . Non è un mistero che ci sono cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei conti che indaga”. L’ex numero uno di Alitalia Giancarlo Cimoli ha ricevuto una liquidazione d’oro intascando 5 milioni di euro. Per i suoi primi due anni di lavoro, Fantozzi ha ricevuto un compenso totale di 6 milioni.

Il commissario, come detto, non ha mai promesso alcuna azione civile contro gli ex dirigenti di Alitalia ma non per questo l’ipotesi può essere esclusa. Anzi. Fonti interne agli ambienti finanziari confermano questa possibilità sostenendo che da qualche tempo Fantozzi stia, o forse sarebbe meglio dire “stesse”, pensando di portare in tribunale proprio Cimoli e i suoi colleghi per contestare le loro responsabilità di ex gestori. Un’intenzione che dovrebbe fare i conti oggi con l’opinione dei due nuovi amministratori “promossi” proprio dal già citato comma 5 dell’articolo 15 con i quali l’amministratore (presto non più) unico dovrà dividere il potere decisionale con il rischio di ritrovarsi eventualmente anche “in minoranza”. Le stesse fonti di cui sopra riferiscono di un Fantozzi particolarmente arrabbiato e pronto, in extrema ratio, a dare addirittura le dimissioni. Consolandosi, a quel punto, con una liquidazione proporzionata al suo attuale stipendio.

Intanto, l’agenda Alitalia parla di una nuova class action alle porte. A renderlo noto è l’Anelta, Associazione Nazionale Ex Lavoratori Trasporto Aereo, che, in un conferenza stampa in programma oggi, spiegherà i dettagli del procedimento con il quale intende portare davanti al Tar del Lazio i ministri che a suo tempo siglarono l’accordo di ristrutturazione della compagnia (Trasporto, Lavoro e Politiche Sociali e, di concerto, la Presidenza del Consiglio) e per questo responsabili, secondo il presidente dell’Anelta Mario Canale, di aver “smembrato la compagnia aerea di bandiera, lasciando che solo pochi potessero gioire delle positività dell’azienda, mentre i più dovessero piangerne i debiti”. Raggiunto telefonicamente, Canale chiarisce così il suo pensiero. “L’avvio di una azione di responsabilità contro gli ex dirigenti da parte di Fantozzi? Non lo so, non credo. Diciamo che ho più fiducia nella magistratura che sta indagando. Certo, ormai la frittata è fatta. Ma sarebbe comunque bello recuperare un po’ del maltolto da coloro che se ne andarono con liquidazioni così generose”.




Manovra Finanziaria 2011, BTP, Bund Tedeschi, TAV, Rifiuti. Di questo passo dove andremo a finire?


Il popolo chiede più informazioni, cosa encomiabile, ma se i media gli rispondono proponendogli emozioni e gossip lui li accetta e non fa una piega. Non si dice che dovrebbe fare la rivoluzione, ma premiare i mezzi di informazione più sobri a scapito dei più cialtroni, questo almeno potrebbe farlo. No. Se mai il contrario.

E allora viene il dubbio che si chiedano più informazioni sull’onda dell’antico slogan “più informazioni più potere”, ma in realtà si cerchino emozioni e conforti. Che i media si comportino come si comportano non per protervia ma per diretta conoscenza dei propri fruitori finali, dei quali fino a prova contraria sono l’espressione.

Nasce il sospetto che l’informazione che si cerca sia solo quella utile a sostenere le proprie convinzioni, da non approfondire più di tanto, per non correre il rischio di imbattersi in incongruenze che potrebbero ingenerare dubbi e mettere in confusione.

I media lo sanno e si limitano a proporre il solito gioco delle parti, buono per attizzare lo spirito di campanile e fare tiratura. Sorvolando sul merito, il cui approfondimento complicherebbe il lavoro e non interesserebbe nessuno.

Col risultato che si sa cosa ne pensano Calderoli e De Magistris, ma non i motivi per cui i rifiuti di Napoli si smaltiscono per strada, secondo prassi consolidata, da vent’anni e passa. Né aiuta a far luce l’intemerata del cardinale Sepe(1). Ohibò, Eminenza!

Così ci si stupisce che i pesi della manovra finanziaria ricadano ancora una volta sugli stessi, i lavoratori dipendenti e i pensionati, che già pagano le tasse, e se ne trae motivo d’indignazione. Come se fosse possibile lasciar fuori dalla manovra i pensionati, quasi 17 milioni per 235 miliardi di €/anno e i lavoratori dipendenti, pressappoco altrettanti, per altri 425 miliardi di €/anno.

Sarà pure iniquo tirare in ballo sempre loro, ma come si fa a pensare che si possano lasciare fuori due categorie che messe insieme fanno più del 40% del PIL?

Da dove nasce una simile convinzione? Da una mancanza di informazione, o dalla precisa volontà di non informarsi?

I dati sono lì, basta leggerli.

Prendiamo quelli di questi ultimissimi giorni.

Il 28 giugno è stata inaugurata la linea ad alta velocità Pechino-Shanghai, 1318 km percorribili in cinque ore. Lavori iniziati nel 2008, costo complessivo dell’opera 24 miliardi di euro(2).

Da noi, il 3 luglio, ci sono state le ennesime manifestazioni contro l’Alta velocità-Alta capacità Torino-Lione e ora siamo qui a fare il tifo chi pro e chi contro.

Un’opera di cui s’è cominciato a parlare prima che cadesse il muro di Berlino.

Per la quale fu firmato un accordo nel 2001, tra il ministro dei Trasporti francese e quello italiano (Bersani). Costo stimato21mila miliardi di lire. Apertura della tratta entro il 2015.

E siccome i residenti e gli ambientalisti protestavano venne istituito l’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione, “sede tecnica di confronto di tutte le istanze interessate, per l’analisi delle criticità e l’istruzione di soluzioni per i decisori politico-istituzionali (3). Correva l’anno 2006.

Risultato: la commissione intergovernativa italo-francese sulla TAV s’è accordata in questi giorni per “spalmare” i cantieri e i costi in due fasi: la prima dal 2013 in avanti, la seconda dopo il 2025. La prima fase riguarderà solo la costruzione del tunnel di base e le stazioni internazionali ad alta velocità di Saint-Jean de Maurienne e di Susa.

Secondo le stime, la linea ad alta velocità, solo per la parte italiana, avrebbe un costo tra i 15 e i 20 miliardi di euro, solo per un terzo finanziato dall’Unione europea(4).
Venerdì 8 luglio, la nostra Borsa ha fatto flop, -3,47%, mentre lo spread tra i nostri BTP decennali e gli equivalenti Bund tedeschi è schizzato a 244 punti base. Il che vuol dire che per finanziare il nostro debito pubblico dovremo spendere, ogni anno, 40 miliardi di euro in più di quelli che spenderemmo se avessimo presso i mercati la stessa credibilità che hanno i tedeschi.

Quali altre informazioni ci servono per capire dove vanno gli altri e dove siamo diretti noi?

http://www.mentecritica.net/manovra-finanziaria-2011-btp-bund-tedeschi-tav-rifiuti-di-questo-passo-dove-andremo-a-finire/informazione/fma/20522/



“Iscritti indagati o condannati, ma gli ordini professionali non avviano procedimenti”. - di Eleonora Bianchini


La denuncia, fatta dal procuratore della Dna Pietro Grasso, ha provocato l'indignazione dell'ordine degli Architetti di Torino. Da qui la protesta dell'Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio Pizzo.


Ordini professionali che non avviano procedimenti disciplinari sugli iscritti indagati e attendono le sentenze dei tribunali. Anche se le norme deontologiche sono state violate. L’accusa era stata rivolta a febbraio dal procuratore generale antimafia Piero Grasso che, nel corso di un convegno a Palermo, ha dichiarato che gli ordini non fanno la loro parte in tema di lotta alla mafia e di rispetto del codice etico. E a raccogliere la sua denuncia, a fronte dell’indignazione degli Architetti di Torino condivisa da altri ordini in tutta Italia, è stata l’Associazione Liberi Professionisti di Palermo, la “terza gamba” della lotta al racket insieme a Libero futuro e Addio pizzo.

Secondo il procuratore antimafia, infatti, gli ordini dovrebbero garantire il corretto esercizio della professione da parte degli iscritti perché il controllo deontologico è indipendente dagli esiti giudiziari. L’ordine degli architetti di Torino, però, ha scritto al procuratore generale che “un Consiglio dell’Ordine non può avviare un procedimento disciplinare a carico di un proprio iscritto – quando sia indagato per fatti di rilevanza penale, quindi anche per mafia – a prescindere dall’esito del procedimento penale, perché non ci è consentito dall’ordinamento giuridico e numerose sentenze di Cassazione lo confermano”. Un’affermazione del tutto “priva di fondamento” secondo l’associazione Liberi Professionisti, che presta il fianco al rischio di infiltrazioni criminali e violazioni deontologiche.

“La lettera di replica alle parole di Grasso, rilanciata anche dall’ordine di Palermo, è stata rintracciata online qualche giorno fa da un nostro iscritto”, spiega il portavoce dell’associazione Giorgio Colajanni. “Nel mondo delle professioni ci sono decine di condannati ma spesso non c’è azione di applicazione delle norme sulla responsabilità disciplinare”. Da notare che “la procedura penale e quella disciplinare stanno su due piani diversi. Ogni albo, a fronte di comportamenti in violazione delle norme etiche, deve effettuare accertamenti e valutazioni diverse e indipendenti da quanto possa stabilire un Tribunale”. Un concetto ribadito anche dall’assessore siciliano per la Salute Massimo Russo, secondo il quale “gli ordini professionali devono promuovere la cultura della legalità e sapere intervenire quando vi sono comportamenti che – a prescindere dal rilievo penale – mettono in crisi il decoro e la dignità della loro comunità professionale”. Il riferimento va alla vicenda di Domenico Miceli, medico siciliano condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e mai sospeso dall’Ordine, ma Colajanni ricorda anche Totò Cuffaro, il senatore condannato per associazione mafiosa e radiato dall’ordine dei medici solo dopo la condanna. Tra i casi celebri anche quello del cardiochirurgo Carlo Marcelletti accusato, tra l’altro, di truffa ai danni dello Stato e detenzione di materiale pedopornografico. Ma anche nei suoi confronti non era stata avviata alcuna azione disciplinare.

“Sappiamo che gli ordini non hanno poteri di polizia giudiziaria – precisa Colajanni – ma devono impegnarsi a raccogliere elementi in contraddittorio con l’interessato e prima di una sentenza. Preferiscono però evitare di consultare gli atti depositati nelle Procure per evitare di assumersi le proprie responsabilità. In questo modo ritroviamo centinaia di mascalzoni conclamati, condannati anche in via definitiva che continuano ad esercitare la professione indisturbati”. E non a caso, conclude il portavoce, “Grasso aveva posto l’accento sulla mafie che oggi hanno bisogno di professionisti. Infatti, secondo un’indagine della Dia di Palermo, oltre 400 sono coinvolti oggi in vicende di criminalità organizzata”.

Colajanni non sa se trincerarsi dietro alle indagini giudiziarie sia dovuto “a un eccesso di corporativismo o collusione”. In ogni caso gli Ordini devono ribadire che la sede disciplinare è diversa da quella giudiziaria e sollevare la necessità di procedimenti istruttori per acquisire fatti ed elementi. “Il nostro compito è quello di costituire un movimento collettivo per chiamare ogni iscritto alla responsabilità individuale”, conclude il portavoce. L’obiettivo è quello di raccogliere entro ottobre 1000 firme di professionisti per il manifesto contro le mafie e la corruzione. Un impegno per la legalità in cui gli Ordini sono chiamati a partecipare.




Ha fondato il comitato “Silvio ci manchi” Adesso è indagata per falso a Napoli. - di Vincenzo Iurillo



Emanuela Romanello, ex assessore a Castellammare di Stabia, è diventata famosa per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia. Da lì, poi, andò ospite a villa La Certosa.


Non chiamatela Papi girl, altrimenti querela. Ma ora tocca a Emanuela Romano difendersi nelle sedi giudiziarie. L’accusa: false attestazioni a pubblico ufficiale, nell’ambito di un’inchiesta sulla sua elezione al Corecom Campania. Il capo d’imputazione è incartato in un avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm di Napoli Giancarlo Novelli, del pool dei reati contro la pubblica amministrazione. Una fastidiosa gatta da pelare per la cofondatrice del comitato ‘Silvio ci manchi’, che accoglieva con striscioni e scene di giubilo le frequenti puntate di B. a Napoli prima e dopo le elezioni del 2008. La Romano è poi diventata famosa l’anno successivo per gli scatti che la ritraevano insieme a Francesca Pascale e a Virna Bello scendere da un aereo del premier, a Olbia, per essere ospite nella residenza sarda del Cavaliere a Villa Certosa. Negli anni successivi la Pascale è diventata consigliere provinciale di Napoli, la Romano assessore a Castellammare di Stabia e poi componente del Corecom, la Bello ha fatto parte per un po’ della giunta di Torre del Greco.

La Procura di Napoli ha indagato la Romano perché quando ha presentato la candidatura al Corecom autocertificò di non trovarsi in nessuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge regionale. Peccato però che la Romano, al momento di firmare la domanda, fosse assessore alle Politiche Sociali del Comune di Castellammare di Stabia. Una carica che la legge prevede espressamente come condizione di incompatibilità. La Romano si è poi dimessa dalla giunta stabiese. Ma secondo la Procura le dimissioni sarebbero avvenute “fuori tempo massimo”, solo dopo la nomina nel Corecom, avvenuta il 13 gennaio scorso in consiglio regionale.

Oltre alla Romano, per lo stesso reato risulta indagato anche un altro componente del comitato che vigila sulle comunicazioni e sulla composizione delle graduatorie per l’erogazione dei contributi alle emittenti televisive regionale, Andrea Palumbo. Anche lui, sostiene il pm, sarebbe incompatibile perché ha svolto il ruolo di consulente di direzione aziendale, marketing e sviluppo del gruppo di televisioni locali Tele A, Tele A+ e Tv Capital.

L’inchiesta è nata in seguito all’esposto di Remigio Del Grosso, segretario nazionale della Lega consumatori delle Acli, uno dei 386 presentatori di domanda al Corecom, non eletto. Va detto che l’insediamento del Corecom ha attraversato numerose vicissitudini. Una sentenza del Tar, proposta da 8 dei 9 componenti del vecchio organismo, aveva congelato le nomine, compresa quella della Romano. Ma il Consiglio di Stato ha concesso la sospensiva, insediando di nuovo gli eletti del 13 gennaio. Il 4 novembre dovrebbe uscire la sentenza nel merito.

Prima di diventare assessora e poi componente del Corecom, la Romano, laureata in psicologia con master in Publitalia, nel 2006 partecipò nella lista di Forza Italia alle elezioni della municipalità San Lorenzo Vicaria. In un primo momento risultò eletta. Ma nel ricalcolo delle preferenze dovette lasciare lo scranno a Nunzia Stolder, la figlia del boss Raffaele. Nel 2009 per la Romano stava per spalancarsi la grande occasione: aveva partecipato insieme ad altre giovani e belle ragazze come lei, alcune provenienti dal mondo dello spettacolo, al corso di formazione politica che doveva essere il preludio della candidatura all’Europarlamento nelle fila del Pdl. Ma gli strali di Veronica Lario sul “ciarpame senza pudore” fecero piazza pulita delle “euro veline”, tutte depennate all’ultimo minuto, con l’eccezione di Barbara Matera. Il padre della Romano non la prese bene. Si cosparse di benzina e minacciò di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli. La chance è arrivata solo l’anno dopo, con la candidatura alle elezioni regionali. Ma non è andata bene: ultima su 31 candidati Pdl, con 3669 preferenze. Poche settimane dopo, la Romano è stata ‘ripescata’ nella giunta stabiese guidata dall’ex pm Luigi Bobbio.




Palermo, morto il consigliere comunale Angelo Ribaudo




Palermo, morto il consigliere comunale Angelo Ribaudo

Stroncato da un grave male. Aveva 56 anni. Tanti i messaggi di cordoglio su Facebook

PALERMO. È morto questa notte, stroncato da un grave male, il consigliere di Italia dei Valori al Comune di Palermo Angelo Ribaudo. Aveva solo 56 anni. Già molti i messaggi di cordoglio pubblicati sulla bacheca del suo profilo facebook.
Al Comune la camera ardente.


http://www.gds.it/gds/sezioni/politica/dettaglio/articolo/gdsid/165002/



L'avevo conosciuto su face book, una persona splendida.



lunedì 11 luglio 2011

Ponzio Pilato.



Credetemi, non ho ancora capito se il Ponzio Pilato de noatri, Napolitano, quello che si lava le mani e lancia moniti che si perdono nell'etere, ci è o ci fa.

Pertini il piccolo Grande uomo, già avrebbe agito, avrebbe già sciolto le camere e avrebbe dato mandato di formare un governo tecnico ad una persona responsabile e di pluriennale esperienza in attesa di nuove elezioni.

Napolitano, invece, si limita a firmare tutto quello che gli passano sotto il naso e accetta la nomina a ministro della Repubblica di un indagato per mafia.

Stanno travolgendo la nostra Costituzione, la stanno sporcando, fanno leggi inutili o addirittura dannose.

Assistiamo quotidianamente a episodi di corruzione a tutti i livelli, dal più basso al più alto.

Siamo fermi, immoti, l'Italia tutta è bloccata in una terrificante morsa da limbo.
L'economia è statica, non c'è lavoro e quello che c'è è assai precario.

Hanno permesso che tante aziende si trasferissero all'estero per non abbassare il costo del lavoro; per non rinunciare ai loro privilegi, stanno facendo crollare l'intera economia...e nessuno fa niente.

Abbiamo ministri che abitano inconsapevolmente in case pagate da altri, faccendieri che promettono posti di prestigio a chiunque ricambi il favore con regali costosissimi.

E nessuno fa niente.

Abbiamo ministri nominati da un corruttore con il conflitto di interessi, ministri scelti tra faccendieri e amichette di vita privata. E nessuno fa niente.

Siamo senza speranza di riscatto morale ed economico?

Se dobbiamo fidarci di chi ci amministra oggi, non credo che andremo molto lontano, perchè siamo già arrivati al punto di non ritorno!


Fine vita: fermate questi due. di Silvia Cerami


Paola Binetti e Maurizio Gasparri

Con la regia di Gasparri e Binetti, la Camera domani potrebbe approvare il sondino di Stato: una legge medioevale e probabilmente anticostituzionale. Da Veronesi a Ignazio Marino, ecco perché è un obbrobrio.

«Una norma ingiusta», «impietosa», «massimalista sul piano ideologico e fragilissima dal punto di vista giuridico». «Una legge di una gravità inaudita», peggio «anticostituzionale». «Una sopraffazione giocata sulla pelle dei cittadini», «una soluzione irrazionale e in aperto contrasto col principio del rispetto della persona umana», perché «si parla di Stato di diritto, ma qui i diritti vengono violati».

Martedì, dopo due anni di rinvii, la Camera vota sul disegno di legge relativo al testamento biologico e lo scontro si riapre. Il testo non sarà definitivo, perché il provvedimento dovrà essere votato anche al Senato, ma la maggioranza prova la spallata decisiva.

Punto chiave l'articolo 3 del ddl con cui si stabilisce la platea della Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT) e si affronta la questione dell'alimentazione e dell'idratazione assistita. Per le opposizioni si tratta di una decisione che calpesta i diritti individuali tutelati dalla Costituzione e non riconosce la sovranità della libertà di coscienza.

Ecco le voci di chi si oppone a questa legge obbrobrio.

Umberto Veronesi: «Il Parlamento sta prendendo decisioni che calpestano i diritti individuali tutelati dalla Costituzione italiana e alcuni suoi principi fondamentali , come quelli contenuti nell'articolo 31. Per questo l'alternativa più ragionevole in questo momento é fermare l'iter legislativo : l'assenza di una legge sia un male minore rispetto a una cattiva legge. Il movimento a favore del Biotestamento , che io stesso ho promosso in Italia, aveva auspicato una legge, come forma di tutela ulteriore della volontà della persona e come estensione naturale del Consenso Informato alla Cure , che è già norma in Italia. Ma paradossalmente ora il disegno di legge al voto nega il principio stesso per cui è il biotestamento è nato nelle democrazie avanzate e, unico caso in occidente , dice no all' autodeterminazione dell'individuo rispetto ai trattamenti che vuole o non vuole ricevere. La mancanza di una normativa permetterebbe a tutti , medici e cittadini, malati e famigliari , di decidere in scienza e coscienza a seconda dei casi e delle proprie convinzioni, la propria fede o l'assenza di fede, rispettando così l'unico punto fermo nel dibattito : la volontà della persona e la sua inviolabile dignità . Viviamo in un Paese civile e dovremmo credere nelle nostre capacità di scelta come individui e come comunità. Inoltre siamo aiutati in questo da strumenti condivisi anche a livello internazionale, come il nuovo codice di deontologia medica e la Convenzione di Oviedo sui diritti del malato, che il nostro Paese ha sottoscritto nel 1997».

Emma Bonino, Radicali: «Con questa legge la Camera deciderà che il cittadino non ha diritto di scegliere sulla cosa più difficile e importante della sua vita, cioè sulla propria morte. Eppure noi radicali chiediamo una cosa semplice, quasi banale: che ogni individuo possa scegliere se continuare a vivere ad ogni costo - anche quando si tratta non più di "vita" ma di mera "esistenza" allo stato vegetativo - o se smettere le cure e morire in pace. Chiediamo che sia l'individuo, nella Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT), a poter elencare - primo - le cure cui vorrà fare ricorso e - secondo - quelle a cui non vorrà essere sottoposto in caso di malattia terminale o di morte celebrale. Grazie al voto di domani la seconda possibilità gli sarà sbarrata: non saremo quindi noi padroni dei nostri ultimi istanti, saranno altri a decidere. Al grido "Nessun altro caso Englaro", stanno per imporre lo stato vegetativo per legge. Da domani ci sarà una libertà di scelta fondamentale in meno per noi e il rischio di un reato in più per i medici».

Ignazio Marino, Pd
: «La legge sul testamento biologico votata alla Camera dei Deputati è una sopraffazione giocata sulla pelle dei cittadini. E' una normativa contraddittoria che il centrodestra ha voluto esclusivamente per ragioni di basso tatticismo politico e con cui si lascia allo Stato il potere di decidere come gli italiani dovranno curarsi nel momento in cui dovessero perdere coscienza, senza alcuna ragionevole speranza di recupero dell'integrità intellettiva. In nome del principio della indisponibilità della vita, l'individuo viene privato del diritto di scegliere le terapie che ritiene di poter accettare e indicare quelle alle quali non vuole essere sottoposto. La legge dello Stato, al contrario, potrà imporre l'accanimento terapeutico sul corpo del malato, anche contro la sua volontà. La legge introduce il testamento biologico ma sarà un pezzo di carta senza valore, infatti non sarà vincolante per il medico, che potrà non tenerne conto, e inoltre troverà applicazione solo per i pazienti che si trovino in stato di "accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale", ovvero che siano praticamente morti. Sarà possibile indicarvi le prestazioni terapeutiche cui si desideri essere sottoposto in caso di perdita di coscienza, ma non quelle che si intende rifiutare o sospendere. Non sarà possibile dire no ad una procedura medica che ritenuta sproporzionata, né ci si potrà sottrarre all'idratazione e alla nutrizione artificiali somministrate attraverso un tubo inserito nell'intestino anche avendo indicato chiaramente in precedenza di non accettarli. Ha ragione chi dice che si introduce il "sondino di Stato". Gli italiani sono sempre stati favorevoli ad una legge che lasci al singolo libertà di scegliere e che garantisca nello stesso modo sia chi decide di avvalersi di ogni tecnologia, presente e futura, sia chi, al contrario, intende rinunciare ad un inutile accanimento. Questo governo non li ha ascoltati»

Antonio Di Pietro, IdV: «Consideriamo qualsiasi norma che impedisce alla persona umana di scegliere cosa fare della propria vita e anche della propria morte ingiusta. E trovo un'anomalia che una legge imponga un obbligo. Ognuno deve poter essere libero di scegliere, senza alcuna imposizione».

Benedetto Della Vedova, Fli: «E' una legge sbagliata, massimalista sul piano ideologico e fragilissima dal punto di vista giuridico. Si prevedono le DAT e li si nega con vincoli irragionevoli. Se questa fosse la legge, dopo i primi inevitabili ricorsi, resterà il principio delle DAT e cadranno i vincoli (ci riflettano i fautori di questo testo). Meglio fermarsi e fare una "soft law" in cui riconoscersi tutti perché non è la legge di nessuno: no all'eutanasia, no all'accanimento terapeutico; decidano i medici secondo il codice di deontologia medica con i famigliari, caso per caso. L'Italia capirebbe».

Pietro Ichino, Pd
: «La libertà di coscienza del cittadino deve essere sovrana. Il governo e il parlamento dovrebbero riconoscere e proteggere, come impone la Costituzione, nella zona tra i due confini - della certezza di vita umana da una parte, della certezza di morte dall'altra -, quella band of reasonableness delle opzioni possibili, all'interno della quale ogni cittadino, cristiano o no, deve poter decidere e agire secondo la propria coscienza. Penso inoltre che la testimonianza di una Chiesa cristiana non debba mai consistere nell'indicare la soluzione giuridico-legislativa specifica da preferire, né tanto meno le concrete modalità dell'impegno politico; penso che essa invece debba educare i cristiani all'esercizio responsabile della propria coscienza, lasciando che proprio quest'ultima resti il punto di riferimento fondamentale per ciascuno di loro nelle scelte politiche, giuridiche, tecniche. Personalmente in una situazione nella quale, come nel caso di Eluana Englaro, fosse ragionevole ritenere irreversibile la mia totale perdita di coscienza, sentirei gravemente lesa la dignità della mia persona se quel corpo venisse mantenuto in vita per lungo tempo».

Flavia Perina, Fli: «E' una legge che non serve a niente, esageratamente prescrittiva. A mio avviso si tratta di una legge bandiera, con cui il Pdl cercare di accattivarsi una certa parte del mondo cattolico. Di fatto tentano di recuperare i valori persi con gli scandali, ma questo manifestino per dire che sono rispettosi, non avrà alcun effetto. Non serve alle persone, alle famiglie, ai malati terminali. E' solo un atto di prepotenza. Due anni fa infatti il presidente della Repubblica rifiutò di controfirmare il decreto su Eluana Englaro e fu allora che si aprì il primo scontro tra Berlusconi e Napolitano».

Ivan Scalfarotto, Pd: «Considero questa legge di una gravità inaudita, perché fa diventare etica di Stato quelli che sono i valori di una parte del Paese. Si privano i cittadini malati del diritto alla propria autodeterminazione e si consegna alla maggioranza una sfera delicatissima che appartiene alla parte più intima di ognuno di noi».

Enzo Raisi, Fli: «E' incomprensibile. Si parla di Stato di diritto e qui i diritti vengono violati. E lo dico da uomo di destra. Una legge così è anticostituzionale. Piuttosto che una situazione del genere avrei preferito un vuoto legislativo. Nei momenti finali della propria vita una persona deve essere libera di decidere, io personalmente non accetterei l'alimentazione forzata perché lascerei la natura al suo corso e questo non significa eutanasia». Gianni Cuperlo, Pd: «La Camera licenzierà una legge ideologica, incostituzionale e lesiva della dignità della persona. Una norma che sottrae al malato la responsabilità di decidere. Il testo prevede una soluzione irrazionale e in aperto contrasto col principio del rispetto della persona umana sancito dall'articolo 32 della Costituzione. E' necessario garantire il diritto di ognuno a essere rispettato se in discussione è la vita e la decisione su di sé. In tanti, nei mesi passati, hanno denunciato i rischi di una legge impietosa e hanno spiegato che a fronte di una brutta legge sarebbe preferibile non legiferare. Ci batteremo per questo ed è bene che le voci si levino alte. Sarebbe un errore grave se la politica, per ragioni di convenienze, chinasse gli occhi di fronte a uno sbrego di civiltà».

Pippo Civati, Pd: «Questa legge dimostra che nel nostro Paese non esiste una destra liberale, non c'è mai la possibilità di costruire un fronte laico. Proprio su questi argomenti la maggioranza, a partire dal caso Englaro, ha dato il peggio di sé».

Marco Cappato, Radicali: «E' una legge contro la Costituzione e ci organizzeremo per cercare di smontarla attraverso i ricorsi individuali, come per la legge 40. Se fossimo in democrazia, un testo del genere non potrebbe passare. E' una legge che va contro l'opinione pubblica, visto che tutti i sondaggi dicono che l'80 per cento degli italiani è a favore del fatto che uno possa scegliere per sé della propria vita. Se passa è solo perché nessuna trasmissione di approfondimento politico ha dato spazio alla questione e nemmeno le opposizioni si sono mobilitate».