lunedì 17 ottobre 2011

Inchiesta sulla banca di Verdini Dell'Utri tra gli indagati.




Cinquantacinque persone stanno ricevendo l'avviso di chiusura indagine relativa al filone sui Grandi Appalti, che ha analizzato la gestione del Credito Cooperativo Fiorentino.


Cinquantacinque persone stanno ricevendo l'avviso di chiusura indagine relativa al filone dell'inchiesta sui Grandi Appalti, che ha analizzato la gestione della Banca Credito Cooperativo Fiorentino, di cui è stato presidente il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Fra gli indagati, oltre a Verdini, anche Marcello Dell'Utri.

Gran parte del complesso accusatorio della Procura si basa sui rapporti dei commissari inviati da Bankitalia a gestire l'Istituto di Credito.

Verdini è indagato da tempo, ma l'ipotesi di reato è passata dal mendacio bancario all'associazione per delinquere finalizzata, tra l'altro, all'appropriazione indebita. Dell'Utri è invece accusato di appropriazione indebita. L'accusa nei suoi confronti farebbe riferimento ad un affidamento con scoperto di conto che si aggirerebbe intorno ai 3 milioni di euro. Fra gli indagati gran parte dei vertici del Credito Cooperativo Fiorentino e della Btp, all'epoca presieduta da Riccardo Fusi.



http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/10/17/news/inchiesta_g8_verdini_e_dell_utri_tra_i_cinquantacinque_indagati-23365204/?ref=HREC1-5

 

Lega, il video del congresso di Varese Bossi impone Canton e si scatena la protesta

A una settimana dal congresso provinciale di Varese, che ha definitivamente spaccato la base del Carroccio dal fantomatico cerchio magico di Umberto Bossi, spunta il primo video di quanto accaduto durante i lavori. I circa trecento delegati si erano riuniti a porte chiuse, cacciando i giornalisti fuori dalla struttura dove si sarebbe dovuto svolgere l’elezione. Ma Bossi ha imposto un candidato unico: Maurilio Canton; pretendendo anche l’acclamazione. Quando Gibelli ha spiegato l’intenzione del Capo dalla sala si è levato il coro: “Voto, voto, voto”. Roberto Maroni, seduto in prima fila, assisteva quasi soddisfatto alla scena. Il voto non c’è stato, Canton è stato nominato segretario provinciale e si è scatenata la polemica interna, con molti sindaci e amministratori locali che si solo ribellati e hanno contestato apertamente il Senatùr. Le polemiche non si sono mai placate.
Lunedì scorso, infatti, davanti alla sede provinciale era apparso un manifesto che esprimeva chiaramente il sentimento dei militanti, delusi dall’atteggiamento tenuto dal Senatùr: “Canton segretario di chi? Di Nessuno”. E per tutta la settimana le polemiche si sono rincorse, tanto che è apparsa persino una lista di 47 leghisti considerati vicini a Maroni e quindi da epurare dal partito. Elenco stilato da via Bellerio ma poi smentito da Canton. Eppure il sindaco di Varese, Attilio Fontana, inserito al numero uno della lista, ha scritto una lettera al segretario provinciale: “E’ vero che ci vuoi espellere?”, ha scritto il primo cittadino. La parte più rilevante della missiva è nel finale. In un post scriptum: “Questa mia richiesta viene fatta anche a nome dei tanti bravi amministratori e militanti che si vedono ingiustamente additati come dei reprobi. Non solo… Ho ricevuto proprio in questo momento una telefonata del Ministro Maroni, che si sente offeso dal non essere stato inserito in questa ipotetica lista, al numero 1!”.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/17/lega-il-video-del-congresso-di-varesebossi-impone-canton-e-si-scatena-la-protesta/164385/

Luttwak: "Usa preoccupati per l'Italia immobile".

Edward Luttwak

"I politici italiani con senso di responsabilità devono mettersi assieme per accelerare il risanamento dei conti dello Stato e lo sviluppo dell'economia produttiva. Bisogna fare in fretta. Non c'è tempo per aspettare le elezioni anticipate in primavera. Bisogna agire subito. E siccome il governo Berlusconi non sembra in grado di farlo, ci vuole un nuovo governo con le migliori personalità trasversali".

Così, con la consueta franchezza che sfiora la brutalità, Edward Luttwak, consulente della Presidenza americana, attento osservatore del nostro Paese, interpellato da Tmnews, conferma dagli Usa le gravi apprensioni espresse questa mattina sul "Corriere della Sera" da Mario Monti. 

"Le autorità statunitensi - dice Luttwak - guardano con grande preoccupazione al circolo vizioso dell'economia italiana fatto di aumento degli interessi sul debito pubblico e di riduzione della crescita, che rischia di far affogare le banche e ridurre il credito per le imprese. Le difficoltà dell'Italia paralizzano l'Europa e rischiano di avere effetti molto negativi sull'economia globale. Ecco perché Washington segue con grande apprensione le vicende italiane". Che cosa si dovrebbe fare? "Bisogna agire con più decisione. La manovra da 58 miliardi non basta. Ci vorrebbe una manovra da 158 miliardi, una manovra all'inglese in grado di trasformare il circolo vizioso in circolo virtuoso, fatto di riduzione dei tassi, recupero di credibilità sui mercati, riduzione del debito pubblico, aumento del Pil. L'Italia potrebbe crescere del 4-5% se facesse le cose necessarie, potrebbe essere il Paese industrializzato più brillante".

Come si valuta a Washington la possibilità che il Governo Berlusconi possa guidare la riscossa del Paese? "Berlusconi non gode più la fiducia delle istituzioni americane. E sorprende la mancanza di reazione della politica italiana all'urgenza dei fatti".

E' per questo che il Presidente Obama non ha ringraziato l'Italia per la sua azione in Libia nel discorso all'Onu del 20 settembre? O si è trattato di una dimenticanza o, come qualcuno ha detto in Italia, di "una cafonata". "Nessuna dimenticanza, nessuna cafonaggine. Obama non ha ringraziato l'Italia consapevolmente, per non dare un tributo a Berlusconi, che tiene il Paese bloccato con una maggioranza immobile, non riesce a fare le riforme necessarie e non viene più invitato agli incontri dei leader dove si parla dell'Italia, come il recente vertice Sarkozy-Merkel, che il bravo ministro Frattini è stato pure costretto a criticare".

Ma poi, al vertice della Nato, il Segretario alla Difesa Panetta il ringraziamento all'Italia l' ha fatto e proprio oggi il ministro La Russa è in visita a Washington. "Proprio perché - dice Luttwak - quella di Panetta era una valutazione istituzionale sulla politica estera e di difesa italiana, che gli Usa apprezzano molto anche per il grande impegno dei militari italiani".

Ma quali sarebbero le misure da adottare subito? "Quelle di cui si parla da anni: liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni burocratiche, drastico taglio della spesa pubblica. Perché non si alza l'età pensionabile come negli altri Paesi europei? Perché non si tagliano le pensioni sopra i 4 mila euro? Perché i dirigenti pubblici italiani, a partire dal Governatore della Banca d'Italia - conclude Luttwak - hanno stipendi che sono il doppio o il triplo dei loro colleghi francesi, tedeschi e americani e spesso prendono anche ricche pensioni? Con che faccia chiedono aiuto agli altri europei che guadagnano meno di loro?".



http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=157488

I cellulari portatori di batteri?



E' indubbiamente una notizia che mette tutti all'erta quella che arriva dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine. Quest'ultima, attraverso uno studio, ha rilevato la possibilità che i telefoni cellularipossano trasmettere batteri virus intestinali.
Tra i tasti, infatti, si nasconderebbero persino ceppi dell'Escherichia Colio dello Stafilococco aureo.  La causa? La mancanza di igiene, frutto della cattiva abitudine di non lavare le mani, soprattutto dopo essere stati in luoghi pubblici (in primis nei bagni).
La ricerca ha preso in esame 390 cellulari di 12 città del Regno Unito: il92% presentava dei germi. Per maggiore chiarezza sono state analizzare anche le mani dei proprietari e cosa si è scoperto? Che l'82%presentava batteri di ogni tipo.
Molti potrebbero dire che si tratta di un fenomeno prettamente inglese, dato che le malelingue da sempre sostengono la mancanza di igiene della popolazione anglosassone, ma in realtà è una cosa che si verificaanche in altri paesi, Italia compresa (dove non tutti, diciamolo, hanno un rapporto stretto con l'acqua e il sapone!).
Il consiglio degli esperti? Naturalmente lavarsi sempre le mani e soprattutto asciugarle bene, per non lasciare scampo a germi e batteri.

PROCREAZIONE, SCOPERTO "INTERRUTTORE" NATURALE FERTILITA'.



(AGI) - Londra, 17 ott. - Alcuni scienziati hanno scoperto un enzima che agisce come "interruttore" della fertilita' femminile e ritengono che questa scoperta possa essere utile nella cura dell'infertilita' e nella prevenzione degli aborti spontanei, oltre che per lo sviluppo di nuovi anticoncezionali.
I ricercatori dell'Imperial College London, autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine Sunday, hanno scoperto che livelli alti di una proteina chiamata SGK1 sono legati all'infertilita', mentre livelli bassi di questo enzima aumentano il rischio di aborto spontaneo.



http://www.agi.it/salute/notizie/201110171233-hpg-rsa1008-procreazione_scoperto_interruttore_naturale_fertilita

Crisi, finanza e lavoro: tutte le politiche che si possono fare.



Il sistema che ha portato alla crisi è un “surrogato del capitalismo” fondato sull’ideologia del libero mercato. Le risposte che sono state date alla crisi hanno cambiato assai poco, il sistema resta fondamentalmente ingiusto. Ma ci sono politiche economiche che possono cambiare le cose, aumentare l’uguaglianza, l’occupazione e i salari

di  
Joseph Stiglitz, da sbilanciamoci.info

Forme diverse di economia di mercato esistevano anche prima della crisi attuale, e ad esse erano associati differenti modelli di policy. Per molti aspetti il “modello nordico” – quello dei paesi del Nord Europa – è riuscito a ottenere nel lungo periodo risultati migliori rispetto ai modelli alternativi, incluso quello americano, e il dibattito di politica economica si è chiesto se il “modello nordico” potesse essere applicato a paesi con condizioni differenti: potrebbe funzionare anche altrove e portare ad alti livelli di innovazione per un lungo periodo di tempo?

La crisi ha messo in dubbio i punti di forza e di debolezza dei vari modelli, e i criteri con i quali valutiamo i quadri alternativi di policy. Alcuni paesi hanno resistito meglio di altri alla tempesta, altri hanno avuto gravi responsabilità nel crearla. Alcune politiche, a lungo difese dai mercati finanziari e dalle istituzioni finanziarie internazionali, hanno contribuito alla diffusione della crisi in tutto il mondo.

C’è stato un momento in cui ogni economista era diventato keynesiano e un altro in cui Alan Greenspan ha messo in dubbio la capacità dei mercati di autoregolarsi. Ora tutto questo è passato. I mercati finanziari stanno spingendo per un ritorno alle vecchie maniere e, visto l’elevato debito pubblico, per il consolidamento dei bilanci degli stati – il che quasi sempre significa tagliare i servizi essenziali per i lavoratori e le lavoratrici. In un mondo già segnato da alti livelli di disoccupazione, le politiche di austerità pretese dai mercati porteranno a livelli di disoccupazione anche maggiori; e questo, a sua volta, provocherà una pressione verso il basso sui salari. Ma i conservatori negli Usa hanno continuato con il loro ritornello: la colpa della crisi sarebbe del governo che ha facilitato l’acquisto della casa e che ha creato rigidità nei salari: se solo i lavoratori fossero “flessibili” nelle loro richieste salariali, potremmo rimettere il mondo al lavoro.

Ogni sistema economico deve essere giudicato in base alla sua capacità di garantire miglioramenti sostenibili di benessere al maggior numero di cittadini possibile: questo è il messaggio chiave della Commissione internazionale per la misurazione delle performance economiche e del progresso sociale. In anni recenti, il sistema economico americano non ha ottenuto buoni risultati, anche prima della crisi. La classe media americana ha visto il suo reddito ristagnare o diminuire. Oggi la maggior parte degli americani sta peggio di quanto non stesse un decennio fa – e il saldo non considera la crescente insicurezza dovuta al rischio di disoccupazione e di perdita della copertura sanitaria, viste le inadeguate protezioni sociali Usa.

La crescente disuguaglianza negli Usa e in molti altri paesi è legata – secondo una Commissione di esperti dell’Onu – all’insufficienza della domanda aggregata globale, che a sua volta è al centro della crisi attuale. In un certo senso, alle classi più povere degli Usa è stato detto di non preoccuparsi della diminuzione dei loro redditi, ma di mantenere i loro standard di vita prendendo a prestito del denaro. Questa politica ha funzionato nel breve periodo, ma era chiaramente insostenibile nel lungo. E sarà difficile ripristinare un robusto e sostenibile livello di consumi senza ridurre le disuguaglianze. Sfortunatamente, le pressioni verso il basso sui salari causate dalla disoccupazione ci portano su una strada opposta, uno degli aspetti che dimostrano che i mercati di per sè non sono stabili.

Per la stessa ragione, gli appelli a una maggiore flessibilità dei salari – che nascondono una riduzione dei salari per i più vulnerabili – finiranno per indebolire la domanda aggregata ed essere controproducenti. Queste richieste sono particolarmente insensate quando siamo di fronte ad una moltitudine di contratti di debito che non sono indicizzati. Salari più bassi renderanno più difficile per i lavoratori ripagare i loro debiti, aggravando il disagio sociale e aggravando l’agitazione di mercati finanziari già molto instabili.

Non sorprende che alcuni paesi con migliori sistemi di protezione sociale abbiano fatto meglio dei paesi che hanno sistemi inadeguati, anche quando hanno affrontato shock esterni decisamente più consistenti. Negli ultimi decenni le cosiddette riforme hanno avuto l’effetto involontario di indebolire gli stabilizzatori automatici dell’economia, diminuendo la sua capacità di recupero. La maggior parte dell’aumento del debito pubblico in molti paesi industrializzati all’indomani della crisi è il risultato del funzionamento di questi stabilizzatori automatici, e sarebbe un errore ridurli.

I conservatori sostengono che in questo momento i tagli alla spesa sono indispensabili, se gli Stati Uniti non vogliono ritrovarsi in una crisi analoga a quella di Grecia e Irlanda. L’Irlanda è andata incontro alla crisi soprattutto perché ha creduto nell’ortodossia del libero mercato: mercati finanziari senza controllo hanno portato ad un rigonfiamento del settore finanziario che ha messo a rischio l’intera economia; mentre i politici si vantavano della crescita (i cui benefici non erano diffusi uniformemente), hanno dato poca importanza ai rischi a cui stavano esponendo l’economia. La lezione fondamentale dell’esperienza irlandese – e di quella degli Usa – è che non è possibile basarsi su mercati incontrollati e autoregolamentati.

Il caso della Spagna fornisce una risposta a chi sostiene che tutto ciò che bisogna fare è rendere più rigidi i vincoli di Maastricht ed evitare che i governi possano aumentare i deficit pubblici. Prima della crisi, la Spagna era in surplus. Il governo spagnolo avevano riconosciuto che i mercati stavano producendo profonde distorsioni nell’economia, ma non ha avuto né il tempo né gli strumenti per intervenire: oggi la Spagna è in forte deficit, con il 20% di disoccupazione e il 40% di disoccupazione giovanile.

E’ singolare come economisti ragionevoli, quando viene assegnato loro il compito di ragionare sulle scelte politiche, perdano rapidamente i loro punti di riferimento. Quando guardano alla salute di un’impresa, considerano cash flow e bilancio, attività e passività. Ma quando passano ad analizzare i bilanci pubblici, si concentrano esclusivamente sulle passività. Non si può fare a meno di pensare che questa cecità sia di natura politica: riducendo il debito sperano di forzare (in tempi come questi) i tagli alla spesa sociale. C’è però una risposta economica più razionale: aumentare gli investimenti, anche se finanziati col debito, può migliorare la solidità complessiva di una nazione e anche ridurre il rapporto deficit/Pil nel medio termine. Per paesi come gli Stati Uniti, con investimenti che non vengono più realizzati da anni e con la possibilità di contrarre prestiti a tassi vicini allo zero, una politica di questo tipo avrebbe risultati positivi: le entrate fiscali aumenterebbero molto più degli interessi da pagare, portando a una riduzione del debito e un aumento del Pil. Con un numeratore inferiore e un denominatore più alto, la crescita economica diventa più sostenibile.

Queste sono politiche “a somma positiva”. Ci sono altre politiche che possono migliorare l’efficienza dell’economia e promuovere una crescita di lungo periodo. Costringere le imprese a pagare i costi che impongono all’ambiente significa eliminare un sussidio distorto, aumentando l’efficienza. Il benessere sociale è stato migliorato dall’introduzione della regolamentazione ambientale, che ha portato a un’aria più respirabile e un’acqua più sicura. Utilizzando incentivi di mercato – tassando le attività “cattive” invece delle “buone”, come il lavoro o i risparmi – è possibile generare reddito e allo stesso tempo aumentare l’efficienza. I titoli finanziari tossici americani hanno inquinato l’economia globale e imposto costi enormi sulle spalle di altri. Esiste un’ampia gamma di imposte sul settore finanziario – compresa la tassa sulle transazioni finanziarie – che potrebbero generare un ammontare considerevole di entrate fiscali e magari portare anche a un’economia più stabile. Allo stesso modo, tasse sui derivati del petrolio e sulle attività che provocano emissioni di carbonio potrebbero incrementare l’efficienza energetica dell’economia, fornendo al tempo stesso le risorse necessarie per ridurre il deficit pubblico.

Infine, ci sono politiche che comportano pesanti trade-off , in cui non tutti hanno benefici nel breve periodo. Se il consolidamento fiscale ci dev’essere, questo non dovrebbe pesare sulle spalle di chi ha sofferto per il malfunzionamento del sistema durante l’ultimo quarto di secolo, ma piuttosto sulle spalle di chi ha beneficiato di questo sistema. Negli Stati Uniti, per esempio, con circa un quarto dell’intero reddito nazionale che appartiene all’1% più ricco della popolazione, moderati incrementi delle tasse sul reddito, sui guadagni in conto capitale e sul patrimonio potrebbero portare grandi entrate fiscali senza compromettere lo standard di vita. Anche una piccola tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe far recuperare grandi risorse.

Il sistema economico è governato da un insieme di regole. Ogni insieme di regole favorisce alcuni giocatori alle spese di altri. E le regole influiscono sul funzionamento dell’intero sistema. Negli ultimi trent’anni, abbiamo cambiato molte regole in modo frammentario, sotto l’influenza di un’ideologia per la quale le regole migliori erano quelle che interferivano il meno possibile con i mercati. Questo, almeno, era ciò che sostenevano i loro difensori. Ma, nella pratica, il loro programma è stato ben diverso. La deregolamentazione, infatti, non ha portato a meno, ma a più interventi sul mercato: c’è stata una minore interferenza negli anni precedenti alla crisi, ma molti più interventi nel periodo successivo. Tutto ciò era prevedibile ed era stato previsto. Ciò che i sostenitori del cosiddetto “libero mercato” stavano creando era un sistema che ho chiamato un “surrogato del capitalismo”, il cui elemento essenziale è la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei guadagni. Questo “surrogato del capitalismo” è strettamente legato al capitalismo delle grandi imprese promosso da Bush e da Reagan. In alcuni casi non c’è trasparenza su chi finisce per pagare i regali fatti alle imprese: alla fine, naturalmente, a pagare sono i cittadini – come consumatori o contribuenti – spesso in modi che non sono facili da riconoscere, per esempio, attraverso la tassazione o l’aumento dei prezzi dei beni acquistati.

Alcune delle modifiche alla legislazione durante gli anni di Bush hanno colpito le persone più vulnerabili. Le norme che hanno reso la vita più difficile alle persone più indebitate – insieme alla mancanza di limiti ai tassi da usura che le banche potevano applicare – hanno reintrodotto negli Stati Uniti vincoli di servitù. Questo ha permesso alle banche di essere più avventate nel concedere prestiti, sapendo che esse avevano una maggiore possibilità di vederseli restituiti, con interessi, non importa quanto oltraggioso fosse il contratto. Si poteva sperare che scrupoli morali potessero prevenire il verificarsi di queste diffuse pratiche predatorie, ma l’avidità ha trionfato; con i regolatori del mercato che andavano a braccetto con le banche o erano accecati dall’ideologia del libero mercato, non c’è stato alcun controllo su tali pratiche abusive. Le banche avevano scoperto che c’era del denaro alla base della piramide sociale e hanno creato tecniche, e un sistema legale, per farlo muovere verso l’alto. Nessuno, guardando a ciò che è accaduto, direbbe che queste transazioni “volontarie” ma spesso ingannevoli hanno accresciuto il benessere di quelli che stavano alla base della piramide. Alla fine, a farne le spese è stato tutto il sistema mondiale.

Quattro anni dopo l’esplosione della bolla speculativa americana sul mercato mobiliare, che ha trascinato nel baratro l’economia globale, il prezzo di questi misfatti non è ancora stato pagato del tutto. La produzione rimane ben al di sotto del suo potenziale in molti paesi industrializzati, con perdite misurate nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari. A queste vanno sommate le perdite dovute alla cattiva allocazione del capitale da parte del settore finanziario e alla cattiva gestione del rischio prima della crisi. A parte i periodi di guerra, nessun governo è stato mai responsabile di perdite cosi ingenti come quelle causate dalla condotta del settore finanziario. E tuttavia, quattro anni dopo, le regole del gioco, le regolamentazioni che il governo impone alle banche, devono ancora essere cambiate. Gli incentivi al rischio e alla speculazione di breve periodo rimangono; il problema dell’azzardo morale posto dalle banche “troppo grandi per fallire” si è aggravato, non si è ridotto. In alcune aree ci sono stati miglioramenti, ma anche in questi casi le leggi rimangono piene di esenzioni ed eccezioni, basate non su ragioni economiche ma sul bruto potere delle lobby.

Ogni società si fonda su un senso di coesione sociale e di fiducia, sul senso di equità. Non dovremmo sottovalutare le conseguenze che la crisi – e il modo in cui è stata affrontata – hanno avuto nello spezzare il contratto sociale e tutti quegli elementi che garantiscono il corretto funzionamento di una società. Che i banchieri abbiano perso la fiducia dei loro clienti è ovvio; una banca che aveva attuato pratiche ingannevoli ha semplicemente sostenuto che prendere precauzioni era responsabilità di altri; le banche di cui ci si possa fidare appartengono chiaramente al passato. La disuguaglianza viene di solito giustificata con il fatto che chi è pagato molto ha reso un maggiore contributo alla società, di cui tutti beneficiamo. Ma quando chi paga le tasse finanzia i bonus dell’ordine di milioni di dollari che vanno ai banchieri – che sono stati responsabili di perdite dell’ordine di miliardi di dollari per le loro aziende, e dell’ordine di migliaia di miliardi per la società – tutto questo non ha più alcun senso. Quando un esponente dell’amministrazione Obama ha annunciato il “doppio standard” – i lavoratori dovevano riscrivere i loro contratti per rendere le imprese dell’auto più competitive, ma i contratti dei banchieri erano sacrosanti e non potevano essere rivisti – anche questo ha mostrato che il sistema è fondamentalmente ingiusto, e che il governo, piuttosto che correggere le iniquità, vuole mantenerle.

Quel che è peggio, ai cittadini è stato chiesto di subire politiche di austerità, maggiore disoccupazione e tagli ai servizi pubblici per pagare i debiti provocati dal comportamento della finanza e in parte per proteggere gli azionisti e i possessori di titoli delle banche.

Un’economia non può funzionare senza la fiducia, e quando le banche insistono a voler tornare ai comportamenti di prima della crisi i cittadini sono giustamente scettici. La fiducia non tornerà fino a quando non saranno introdotte regole buone e rigide, fino a quando non verrà ristabilito un nuovo senso di equilibrio. Il settore finanziario dovrebbe servire l’economia – non viceversa. Abbiamo confuso i fini con i mezzi.

Oggi abbiamo le stesse risorse – in termini di capitale umano e fisico – che avevamo prima della crisi. Non c’è ragione per cui dovremmo aggiungere agli errori che ha fatto la finanza nella cattiva allocazione del capitale prima della crisi, l’ulteriore errore di sottoutilizzare le risorse della società dopo la crisi. La tecnologia moderna ha la capacità di accrescere il benessere di tutti i cittadini – e tuttavia in molti paesi – Stati Uniti inclusi – abbiamo creato un’economia in cui lamaggior parte dei cittadini peggiora la propria condizione anno dopo anno. Possiamo anche vantarci dell’aumento del Pil, ma cosa c’è di buono se quest’incremento non si trasforma in benefici per i comuni cittadini? Se la crescita economica non porta a più ampi miglioramenti del benessere? O se questi incrementi sono effimeri e non sostenibili sia dal punto di vista economico che ambientale?

Le sfide che i governi, le nostre società e le nostre economie devono affrontare sono enormi. Forse non siamo più sull’orlo del baratro in cui eravamo nell’autunno del 2008, ma non siamo ancora fuori dai guai. Anche se profitti, bonus e crescita sono tornati, non potremo cantare vittoria fino a quando la disoccupazione non sarà tornata ai livelli di prima della crisi, e fino a quando i redditi reali dei lavoratori non saranno aumentati e non avranno recuperato le perdite subite in questi anni. Possiamo farcela – ma solo se sapremo correggere gli errori del passato, cambiare direzione e tenere bene a mente quali sono i veri obiettivi per i quali dobbiamo batterci.

[Questo testo è apparso come prefazione al volume dell’Istituto Sindacale Europeo-ETUI Exiting from the crisis: towards a model of more equitable and sustainable growth (ETUI, 2011) scaricabile dal sito. Scritta prima del precipitare della crisi dell’estate, l’analisi di Stiglitz presenta le alternative di politica economica per affrontare la crisi]

Traduzione di Silvio Majorino



http://temi.repubblica.it/micromega-online/crisi-finanza-e-lavoro-tutte-le-politiche-che-si-possono-fare/