lunedì 21 novembre 2011

Gli sprechi di Palazzo Silvio. - di Emiliano Fittipaldi






Lo scorso anno la presidenza del Consiglio ha speso 4,7 miliardi. Con un aumento record tra staff, viaggi, show, indennità, mobili, jet e auto blu. Ecco la lista inedita.


Mario Monti ha promesso "sacrifici". Ma ha detto pure che chi governa deve avere il coraggio di metter finalmente mano ai "privilegi". Da premier incaricato non ha specificato a chi o cosa si riferisse, ma è assai probabile che ce l'avesse con le lobby, le corporazioni, gli evasori fiscali e, soprattutto, con i politici e le loro prebende. "Monti non è uno stupido, e sa che se vuole far trangugiare l'amara medicina agli italiani, dovrà innanzitutto tagliare le franchigie e gli sperperi della Casta", chiedono in coro commentatori ed economisti.

Qualcuno consiglia l'abolizione immediata delle Provincie, altri puntano sul dimezzamento dei parlamentari, ma di sicuro il professore potrebbe cominciare a fare le grandi pulizie cominciando dalla sua nuova casa. Palazzo Chigi è infatti un mostro succhiasoldi, l'istituzione più costosa d'Italia: "l'Espresso" ha letto le spese (inedite) della presidenza del Consiglio del 2010, scoprendo che la corte di Silvio Berlusconi è costata oltre 4,7 miliardi di euro in 12 mesi, con un aumento del 46 per cento rispetto alle uscite registrate nel bilancio 2006.

La crescita può in parte essere spiegata con la decisione di Romano Prodi di trasferire alcune competenze sotto la presidenza del Consiglio (che così ha inglobato le politiche per lo Sport, per la Famiglia e la Gioventù), né bisogna dimenticare che una grande fetta dello stratosferico budget viene mangiata dagli interventi "attivi" dei vari dipartimenti, Protezione civile su tutti: nel 2010 l'emergenza per il terremoto in Abruzzo ha pesato sui conti per oltre 800 milioni di euro. Ma l'anno scorso - come, va detto, succedeva anche ai tempi dei governi di centrosinistra - una valanga di denaro è servita anche a far sopravvivere il Palazzo: centinaia di milioni di euro sono partiti per il funzionamento dell'ufficio del presidente Berlusconi e del sottosegretario Gianni Letta, dell'ufficio stampa retto da Paolo Bonaiuti e dei vari "servizi" controllati dal segretariato generale, senza dimenticare le strutture di diretta collaborazione e i dipartimenti guidati da sottosegretari e ministri senza portafoglio. Alla fiera degli sprechi hanno partecipato tutti.



Andiamo con ordine. Per il solo "funzionamento" di Palazzo Chigi nel 2010 lo Stato ha impegnato quasi mezzo miliardo di euro, che se ne vanno in stipendi ai dipendenti, indennità, missioni, affitti e comitati di ogni forma e specie. Eppure, nel maggio di un anno fa, in piena crisi economica, il Cavaliere aveva promesso solennemente di ridurre la spesa pubblica. "La spesa è ingente, capillare e non più sostenibile, soggetta a pessime gestioni e malversazioni". La colpa? "I governi consociativi" della Prima Repubblica e "il governo della sinistra" che avrebbe fatto esplodere i costi. Che fare, dunque? La ricetta migliore, spiegava l'ex capo del governo, è semplice: "Limare gli sprechi degli enti, dell'amministrazione pubblica e della politica".

Se l'ex presidente del Consiglio predicava bene, la sua presidenza del Consiglio ha razzolato male. Per fare un confronto tra le spese di Berlusconi e quelle dell'ultimo governo di centrosinistra basta prendere il bilancio del 2007, l'ultimo gestito da Prodi e il suo staff. Per il segretariato generale (l'ufficio comandato da Manlio Strano che gestisce le funzioni istituzionali, le spese di rappresentanza, i voli blu, la biblioteca di Palazzo Chigi e il servizio per "il raccordo organizzativo tra le varie strutture della Presidenza") nel 2010 la spesa corrente è arrivata a 631 milioni di euro, di cui 363 milioni inghiottiti dai costi fissi per stipendi e uffici vari. Sono cifre degne di una reggia imperiale, che non conoscono freni: così l'anno scorso per il funzionamento del segretariato il Cavaliere ha speso 80 milioni in più rispetto al 2007.

L'ufficio stampa di Palazzo Chigi, che già con Prodi costava mezzo milione l'anno, con il Cavaliere è schizzato a quota 645mila: i comunicati di Paolo Bonaiuti e dei vari collaboratori per diffondere il credo di "Silvio" e le opere del primo ministro ci sono costati in pratica 1.700 euro al giorno. Altri 81 mila euro sono finiti nell'acquisto di giornali, 77 mila per le pubblicazioni on line della Biblioteca Chigiana.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/gli-sprechi-di-palazzo-silvio/2166761

domenica 20 novembre 2011

«Società e posti di lavoro ai figli: così pagavano i politici». - di Fiorenza Sarzanini

Un'immagine di archivio di Guido Pugliesi (sito Enav)
Un'immagine di archivio di Guido Pugliesi (sito Enav)


Le accuse: con la valigetta nell'ufficio dei centristi. Matteoli, Brancher e Tremonti referenti dell'ad.


ROMA - Posti di lavoro e consulenze affidate ai figli e ad altri familiari di politici. Quote di società private intestate a parlamentari oppure a loro parenti che ottengono appalti dalle aziende pubbliche. Eccolo il «sistema di illegalità» illustrato dal giudice Anna Maria Fattori che porta all'Enav e ad aziende del Gruppo Finmeccanica. Ecco come «il potere politico, distratto dalla cura della res pubblica, esige di trarre dall'esercizio del potere economico di cui individua i detentori, utilità per i singoli e per i partiti che li sostengono». Sono le rivelazioni del consulente Lorenzo Cola, dell'imprenditore Tommaso Di Lernia, del commercialista Marco Ianilli a delineare «con dichiarazioni ripetute e concordanti la serie di rapporti, relazioni, cointeressenze e conflitti di interessi personali e imprenditoriali». E così a descrivere il meccanismo delle «frodi fiscali da cui generano risorse extracontabili utilizzate per erogare somme non dovute a infedeli apparati e uomini dello Stato e delle imprese per ottenere appalti e nomine».
I politici di riferimento
Nell'ordinanza vengono citati come politici di riferimento di Guido Pugliesi, l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il senatore Giulio Andreotti, l'ex ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Ma la lettura delle carte processuali fa ben comprendere come gli «omissis» nei verbali dello stesso Cola, apposti dal pubblico ministero Paolo Ielo, nascondano un quadro ben più ampio nel quale sono inserite personalità tuttora al centro di verifiche e accertamenti. Una ricerca che, dice il giudice, è invece già terminata in maniera positiva per ricostruire quanto accadde il 2 febbraio 2010 nella sede dell'Udc in via Due Macelli a Roma.


È Di Lernia a raccontare di aver versato 200 mila euro al tesoriere Giuseppe Naro alla presenza di Pugliesi. Scrive il giudice: «Nell'interrogatorio del 25 maggio 2011 l'imprenditore afferma che Pugliesi aveva sempre rifiutato le offerte di denaro, tuttavia "nell'ultimo periodo" gli aveva sollecitato un'offerta di denaro presso l'ufficio dell'onorevole Casini; che a tale richiesta aveva aderito prelevando 200 mila euro da un conto acceso presso un istituto della Repubblica di San Marino dove si era recato accompagnato dalla segretaria Marta Fincato; che la consegna era avvenuta negli uffici dell'Udc dove era potuto accedere solo dopo che il Pugliesi, che ivi già si trovava, era sceso e lo aveva con sé sopra condotto; che a ricevere il denaro era stata una persona che gli veniva presentata come tesoriere dell'Udc, "forse un parlamentare"; che a questi Di Lernia era stato presentato dal Pugliese come "uno che lavora con Selex". Tali dichiarazioni sono state ribadite e circostanziate nel corso dell'interrogatorio del 13 luglio 2011 durante il quale Di Lernia riconosceva nell'effige fotografica di Naro Giuseppe la persona alla quale aveva consegnato il denaro e che non lo fece accedere nello studio personale in quanto vi era in corso una "bonifica"».


Date e incontri nell'agenda di Pugliesi
Questa versione viene confermata da Cola, che aggiunge un dettaglio: della tangente si parlò durante un incontro avvenuto a casa sua proprio con Pugliesi e Di Lernia. La segretaria di quest'ultimo conferma di averlo accompagnato in via Due Macelli «e in quell'occasione aveva con sé la valigetta solitamente utilizzata per il trasporto di documenti e denaro». Secondo le verifiche effettuate dai carabinieri del Ros «il 29 gennaio 2010 Di Lernia ha effettuato un prelievo per 206 mila euro dal conto corrente "Ciclamino" acceso in San Marino presso la banca commerciale Sammarinese».


Ma l'ultimo e più importante riscontro, secondo il giudice, è arrivato dall'agenda di Pugliesi perché «le annotazioni danno contezza sia di un pregresso appuntamento del 19 gennaio 2010 con Naro e altri due soggetti l'uno dei quali Di Lernia (come può agevolmente dedursi dal nominativo Naro collegato con due barre l'una al nome Di Lernia l'altro a nominativo che sembra indicare "Optimatica"), sia di un appuntamento il giorno 2 febbraio 2010 alle ore 9.30 con Naro, e alle 12.30 dello stesso giorno ancora con il Di Lernia e il Cola presso l'abitazione di quest'ultimo».


Nella «rete» Matteoli e Tremonti 
Per misurare «il grado di potere di Pugliesi» il giudice evidenzia «il numero di appuntamenti riportati sulla sua agenda, nonché lo spessore dei politici di riferimento dall'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti al senatore Andreotti nel cui studio effettua incontri, oltre che da annotate frequentazioni con i deputati Brancher e Naro». Poi si sofferma sul ruolo dell'ex ministro dei Trasporti Altero Matteoli: «Giova osservare, sebbene potrà essere oggetto di approfondimento investigativo, che secondo quanto dichiarato da Di Lernia nel corso dell'interrogatorio del 26 luglio 2010 nella vicenda "Optimatica" vi era l'interesse del ministro Matteoli in quanto tale società avrebbe finanziato una fondazione che a quello faceva capo, così come di interesse investigativo potranno essere gli altri emersi riferimenti sui rapporti tra società collegate a Enav da elargizioni a partiti attraverso rapporti personali dei quali Pugliesi si rendeva promotore».


In questo quadro Di Lernia e Cola, in due diversi interrogatori, indicano «i vantaggiosi incarichi a parenti di uomini politici, nonché la titolarità di quote». E che altri nomi altisonanti possano essere contenuti negli atti ancora segreti si capisce quando il giudice afferma: «Se è vero che i rapporti, gli incontri, gli appuntamenti tra Pugliesi e Naro sono di per sé privi di valenza indiziaria, tuttavia proprio in considerazione delle modalità di influenza politica delle quali Pugliesi deriva la propria nomina, tali rapporti - calati come si deve in un contesto ambientale che denuncia continui interessi privati nelle scelte imprenditoriali dell'Enav e delle società da essa controllate, perdono siffatta neutralità significando piuttosto atti preparatori di concrete forme di "ringraziamento" di Pugliesi a coloro i quali, a ragione del ruolo politico parlamentare ricoperto, doveva il permanere del suo potere in Enav».


«Borgogni è un ladro di polli»
Altre tangenti, dunque, un fiume di denaro. Un meccanismo che, dice l'accusa, aveva tra i suoi snodi la Selex Sistemi Integrati amministrata dall'ingegner Marina Grossi. «Braccio operativo» per il sistema di false fatturazioni che avrebbero consentito di creare "fondi neri" sarebbe stato Manlio Fiore, direttore commerciale di Selex. È stato Cola, durante l'interrogatorio del primo settembre scorso, a indicare in Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni istituzionali di Finmeccanica, «colui che conferì a Manlio Fiore il sistema delle sovrafatturazioni». E al termine delle verifiche effettuate dal pubblico ministero il giudice sottolinea come «Fiore costituisse lo snodo operativo in Selex per la costituzione del "sistema Enav" inteso come meccanismo di attribuzione di commesse che attraverso sottesi illeciti rapporti personali con sviamento dei poteri pubblici e privati garantiva illecite contribuzioni di denaro a singoli e a partiti». E quando motiva la scelta di detenzione in carcere sottolinea come fosse proprio lui «a indicare i soggetti a cui corrispondere utilità senza giusta causa».


Un sistema che anche Borgogni avrebbe gestito. In questo filone gli viene contestato di aver convinto gli imprenditori Di Lernia e De Cesare a pagare le rate della barca del parlamentare Pdl Marco Milanese, allora stretto collaboratore del ministro Tremonti. Si tratta di 224 mila euro per cui Milanese sarà processato con rito immediato a febbraio per illecito finanziamento. Il giudice non crede che Borgogni sia coinvolto nell'affare illecito e per questo ha negato il suo arresto. Tra gli elementi a discarico cita un verbale di Cola durante il quale il consulente indagato «riferisce, sia pure incidentalmente, della disistima di Milanese verso Borgogni, definito dal primo "un ladro di polli"». Del resto già le intercettazioni allegate al fascicolo processuale sull'operazione Digint avevano rivelato i contrasti tra i due con lo stesso Borgogni, che dopo aver accusato il ministro Tremonti di essere l'ispiratore delle inchieste contro Finmeccanica, citava Milanese tra «i suoi scagnozzi». 


Fiorenza Sarzanini


http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_20/sarzanini-societa-posti-lavoro-ai-figli_e0e40114-134d-11e1-8f9c-85bd5d41d537.shtml

Mille anni alla 'ndrangheta del N0rd Condannati 110 affiliati alle cosche.



Il magistrato Ilda Boccassini (Newpress)

Dagli imputati applausi ironici e urla contro il giudice
«Danni di immagine a Regione e Comuni»

MILANO - Dagli arresti alla sentenza di primo grado in appena 14 mesi: quasi mille anni di carcere, inflitti dopo 32 ore di camera di consiglio dal giudice dell'udienza preliminare Roberto Arnaldi a 110 imputati su 119, hanno chiuso la prima metà processuale dell'operazione di 'ndrangheta «Infinito», istruita dalla Procura con zero pentiti ma 1 milione e 494mila contatti intercettati in due anni su 572 utenze, 25mila ore di telefonate, 20mila ore di colloqui registrati in auto-casa-campagne-ristoranti-lavanderie, e 63mila ore di video.
IL FILMATO - Compreso il filmato, «storico» non solo sul versante giudiziario, dei 22 partecipanti ripresi dai carabinieri il 31 ottobre 2009 mentre proprio dentro un centro sociale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino nel Comune di Paderno Dugnano - e sotto l'egida del boss incaricato di "commissariare" i clan lombardi dopo i tentativi "autonomisti" stroncati con l'assassinio di Carmelo Novella - eleggevano il temporaneo referente della 'ndrangheta in Lombardia e il capo della "locale" di 'ndrangheta a Milano.
LE COSCHE IN LOMBARDIA - La sentenza riguardava due terzi dei 170 arrestati nel luglio 2010 dall'Antimafia milanese del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dei pm Alessandra Dolci e Paolo Storari nel blitz coordinato con il fermo di altre 130 persone da parte della Procura di Reggio Calabria di Giuseppe Pignatone: una operazione che, a detta allora dei gip Ghinetti e Gennari, «a dispetto dell'apparente "non visibilità" del fenomeno 'ndranghetista in terra lombarda» comprovava «che la Lombardia è già da tempo sede stanziale di gruppi organizzati anche con modalità militare, che rivendicano e purtroppo realizzano un controllo del territorio antagonista a quello dello Stato», intuibile nei 130 attentati incendiari a danno di imprenditori e nei 70 episodi intimidatori negli ultimi tre anni in Lombardia pur senza denunce. 
I DANNI D'IMMAGINE - Significativo appare il riconoscimento dei danni d'immagine (seppure non quantificati dal giudice, che non ha concesso provvisionali immediatamente esecutive ma ha rinviato alla determinazione in sede di cause civili) a favore non solo del ministero dell'Interno e della presidenza del Consiglio, ma anche della Regione Lombardia, dei Comuni di Pavia, Bollate, Paderno, Desio, Seregno e Giussano, e della Federazione antiracket, costituitisi parti civili per le ripercussioni patite dal territorio a causa dei traffici delle 'ndrine.
LA REAZIONE - Applausi ironici, un battere sulle sbarre e sfottò di «buffone-buffone» e «lega lombarda» si sono sollevate alla lettura del verdetto, che non ha assolto alcuno degli imputati ai quali il pm che si è sobbarcata il peso del dibattimento, Dolci, muoveva l'accusa di associazione di stampo mafioso. Il giudice ha invece limato l'entità delle richieste di pena perché ha concesso le attenuanti generiche ai soli "partecipi" (non ai capi e promotori) e agli incensurati.
LE CONDANNE - Le pene più alte ad Alessandro Manno che ha avuto 16 anni, Pasquale Varca 15, Pasquale Zappia (che alla lettura si è sentito male) e Cosimo Barranca e Vincenzo Mandalari 14, e poi via via condanne da 12 a 4 anni: tutte incorporano lo sconto di un terzo legato alla scelta del rito abbreviato (cioè allo stato degli atti) anziché del dibattimento ordinario, in corso invece per altri 39 degli arrestati del luglio 2010. Tolti 6 proscioglimenti per «ne bis in idem» e uno per morte, gli unici assolti sono Francesco Barbaro, Rinaldo La Face, e su richiesta del pm l'ex assessore provinciale (indagato per corruzione) Antonio Oliverio nella giunta Penati 2007-2009 e poi nell'Udeur, mentre è stato condannato a 1 anno e 4 mesi per turbativa d'asta l' ex sindaco pdl di Borgarello (Pavia), Giovanni Valdes. Confiscati ai condannati molti dei beni sotto sequestro, che fino a 3,6 milioni di euro andranno a pagare le spese processuali, tra cui quelle per le intercettazioni.

L’ennesimo avviso a pagamento sul Corriere.



http://www.giornalettismo.com/archives/170267/lennesimo-avviso-a-pagamento-sul-corriere/

Berlusconi: “Se Monti mette la patrimoniale non potrà andare avanti”.



“Se Monti prenderà misure in contrasto con la linea dei partiti che lo sostengono, come per noi la patrimoniale, non potrà andare avanti”. Lo dice Silvio Berlusconi, in un’intervista al Corriere della Sera. L’ex premier ribadisce che “il governo è composto datecnici di elevata competenza, ma questo non significa che avranno carta bianca su tutto”. Quanto alla durata dell’esecutivo, Berlusconi sottolinea che il governo “deve arrivare al 2013. I provvedimenti che deve portare in Aula non sono pochi – afferma – e con i tempi e le regole vigenti richiedono un periodo non brevissimo. Così si completano i cinque anni e poi ci si rivolge agli elettori”.

Rispetto alla reintroduzione dell’Ici, l’ex presidente del Consiglio fa sapere che potrebbe accettare la formulazione di una imposta in linea con i parametri europei. “Monti ha fatto intendere che porterà la tassazione degli immobili – sottolinea Berlusconi – in linea con la media europea, mentre ora è al di sotto. E’ possibile che questo comporti l’introduzione di un’imposta simile all’Ici, da noi già prevista con il federalismo”. Sul tema della legge elettorale, Berlusconi aggiunge che “c’è molta ipocrisia” perchè “chi critica il parlamento dei nominati – rileva l’ex premier – finge di non sapere che se si tornasse ai collegi uninominali i candidati sarebbero indicati sempre dai partiti” e poi precisa che nel 2013 non si ricandiderà mentre, sin da ora, lavorerà in Parlamento “per assicurare la governabilità e le buone leggi” e nel partito “per prepararlo alle prossime elezioni e vincerle”. Alle prossime consultazioni elettorali il candidato premier del Pdl verrà scelto attraverso le primarie e Berlusconi dice di avere “la ragionevole convinzione che a vincere sarà Angelino Alfano”. Infine, a proposito di una eventuale candidatura di Monti alle prossime politiche, l’ex premier ripete: “Monti mi ha detto che se il governo andrà avanti è logico che lui non approfitterà della situazione per candidarsi. Un impegno assunto alla presenza del Capo dello Stato”. L’intervento del Cavaliere arriva a meno di 24 ore dalla presa di posizione del segretario politico Pdl Angelino Alfano, che ha avvertito: “Sosterremo il governo ma non saremo subalterni. No a forzature”.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/20/berlusconi-monti-mette-patrimoniale-potra-andare-avanti/171987/

Pier Silvio Berlusconi detta le condizioni al governo. Obiettivo: salvare Mediaset. - di Stefano Feltri



Il figlio dell'ex premier manda messaggi chiari al nuovo presidente del Consiglio. In sintesi: lasciate stare le televisioni di famiglia e tutto andrà bene. Sottinteso: toccatele e all’improvviso la base parlamentare del governo potrebbe dimostrarsi parecchio fragile.





Nessun pasto è gratis, dicono gli economisti. E la massima funziona anche in politica. Chi pensava che dietro il fair play istituzionale di Silvio Berlusconi nei giorni della transizione dal suo governo a quello di Mario Monti ci fosse soltanto senso dello Stato e percezione della crisi, deve ricredersi. Sul Corriere della Sera di ieri, in un’intervista al vicedirettore Daniele Manca (interlocutore di fiducia per Marina Berlusconi, di solito), manda messaggi chiari al nuovo premier. In sintesi: lasciate stare Mediaset e tutto andrà bene. Sottinteso: toccate Mediaset e all’improvviso la base parlamentare del governo potrebbe dimostrarsi parecchio fragile. Visto che Monti è ancora poco abituato al linguaggio della politica attiva, almeno in Italia, gli può essere utile una traduzione.

SOLLIEVO. “Se devo essere sincero questo governo Monti per noi di Mediaset potrebbe rappresentare una boccata di ossigeno”. Traduzione: Mediaset conta che il governo non approfitti della debolezza di Berlusconi per fare una legge sul conflitto di interessi. E spera che l’andamento in Borsa del titolo non sia più condizionato dalle performance politiche del Cavaliere.

TIMORI. “Quello che temo è che in una situazione di mercato così delicata, una classe politica ideologica possa utilizzare trovate regolamentari per danneggiare un’industria italiana che si fa onore anche all’estero”. Traduzione: Caro Monti, non lasciare che quella piccola parte del Pd (con l’appoggio dell’Idv) che ancora si pone il problema del conflitto di interessi tenti qualche blitz in Parlamento.

SPOT.”Ho letto dichiarazioni riferite a Mediaset in cui si sosteneva che non è normale avere il 30 per cento di ascolti e una quota più alta dei ricavi pubblicitari tv. A parte che i nostri ascolti sono intorno al 40 per cento nonostante tutta la nuova concorrenza, ma che ragionamento è?”. Traduzione: cari investitori pubblicitari, continuate a mantenere i vostri budget. Il fatto che Berlusconi non sia più a Palazzo Chigi non è una ragione sufficiente per tagliare le inserzioni.

BEAUTY CONTEST. A proposito delle frequenze digitali regalate dallo Stato, con la procedura del beauty contest ancora in corso, Pier Silvio dice: “Se ottenessimo quelle frequenze dovremmo cominciare a spendere mettendoci contenuti altrimenti sarebbe come non averle. E visto che siamo in giornata di paradossi ne segnalo un altro: se l’assegnazione delle frequenze dovesse avvenire con un’asta a rilanci, vorrei vedere quale operatore tv sarebbe disposto a partecipare davvero”. Traduzione: meglio, caro Monti, che non Le salti in mente di rimettere in discussione il gran regalo del beauty contest. Se dovesse decidere di fare un’asta, per fare cassa, sappia che Mediaset ha più soldi degli altri. E quindi il risultato finale potrebbe essere che il Biscione si pappa tutta la torta. Vale la pena rafforzare così tanto la posizione delle tv berlusconiane per i prossimi decenni in cambio di qualche miliardo?

PREZZO. “Spero solo che da ora Mediaset sia valutata realmente per i suoi meriti e i suoi errori, e non con il pregiudizio che tutto sia merito o colpa non di chi ci lavora, ma di qualcun altro”. Messaggio ai mercati. Sappiate, dice Pier Silvio, che oggi il titolo Mediaset è sottostimato perché sconta la fine del governo. Quindi correte a comprarlo finché è un buon affare.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/20/mediaset-pier-silvio-detta-le-condizioni-al-governo/171918/

Turismo, i nuovi incarichi d’oro ordinati dalla Brambilla vengono bloccati al fotofinish.



Fermato da una fronda interna al ministero il blitz per dare altri 130 mila euro al direttore dell'Enit Paolo Rubini, che sarebbe diventato consigliere di Convention Bureau, un carrozzone dotato di 7 milioni, finito in rosso in tre mesi.





Stava diventando un manager pubblico da guinness dei primati. Uno capace di raddoppiare le sue entrate in appena due anni, da quasi 190 mila euro a oltre 400 mila, in barba alla crisi e alle promesse del governo di contenere gli emolumenti dei dirigenti. Paolo Rubini, 49 anni, direttore dell’Ente per il turismo (Enit) non ha raggiunto il traguardo per un soffio. È stato bloccato in extremis da una specie di fronda interna al ministero del Turismo guidato dal capo del Dipartimento per lo sviluppo, Caterina Cittadino, che non se l’è sentita di dare pedissequamente seguito alle disposizioni del ministro uscente, Michela Vittoria Brambilla, perentoriamente impartite attraverso il capo di gabinetto, Claudio Varrone. In base a quell’ordine a Rubini e a Mario Resca, amicissimo di vecchia data di Silvio Berlusconi, consigliere Mondadori e direttore dei Beni culturali, dovevano essere versati 130 mila euro all’anno ciascuno per i loro incarichi rispettivamente di consigliere delegato e presidente di Convention Bureau, società voluta a tutti i costi dalla Brambilla ufficialmente per incrementare il turismo dei convegni, ma che in pratica si è rivelata un’inutile costola dell’Enit, una specie di carrozzone in fasce, nato con la bella dotazione di circa 7 milioni, ma capace di accumulare 567 mila euro di passivo in appena 3 mesi di vita.

Se avesse avuto anche i quattrini di Convention Bureau, Rubini avrebbe fatto Bingo cumulando questa somma ai circa 190 mila euro di direttore dell’Ente del turismo, onnicomprensivi secondo il contratto, ma che poi si sono gonfiati con altri 5. 639 euro al mese che lo stesso Rubini si è assegnato per la reggenza della sede turistica di Tokyo, più 2. 639 per quella di Francoforte, più 406 euro per la reggenza della Direzione informatica. Senza contare i 16. 558 euro disposti e incassati dallo stesso Rubini a titolo di una tantum per la gestione dell’ufficio di Pechino dal 6 maggio al 24 agosto. Le storie intrecciate di Rubini e Convention Bureau sono esemplariPrima di diventare direttore dell’Enit, Rubini era stato uno dei più stretti collaboratori della Brambilla in quell’avventura dei Circoli della Libertà berlusconiani passati come una meteora tra un rifrullo di quattrini e mille polemiche. Da dirigente dell’ente turistico si è messo in luce, tra l’altro, per l’ambizioso progetto di portare in mostra in giro per il mondo le opere di Michelangelo.

Un tentativo abortito e sostituito da un programma assai più sobrio, basato sull’esposizione dei lavori di un certo Roberto Bertazzon, “pittore, scultore e conceptual design”, un artista nato a Pro-secco a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, che ama dipingere e scolpire rane. Rubini si è distinto anche per il progetto Magic Italy in Tour, un programma studiato per rilanciare l’immagine dell’Italia in 19 città di 12 paesi europei attraverso una mostra su un camion in cui era presentato il meglio della cucina e della produzione agricola nazionale. Costo oltre 3 milioni di euro e organizzazione incerta, stando almeno a quel che ha raccontato alcuni giorni fa Laura Garavini del Pd in un’interrogazione alla Brambilla. Secondo la Garavini, per esempio, a Madrid in pieno luglio il camion è rimasto aperto nelle ore del solleone micidiale e delle piazze deserte, dalle 2 alle 8, per di più nel quartiere periferico di Madrid Rio.

Nelle intenzioni della Brambilla, Rubini avrebbe dovuto essere la colonna portante anche di Convention Bureau. La nascita di questa società ha seguito un percorso tortuoso. Il primo atto è una lettera dello stesso ministro Brambilla con cui si stabilisce che la nuova azienda sia finanziata con i soldi del ministero, ma sia formalmente costituita e partecipata da Promuovi Italia, altra società pubblica dipendente da Enit che di fatto, però, si occupa in prevalenza di faccende lontane dal turismo. Il passaggio chiave è del 26 gennaio e porta la firma del capo di gabinetto del ministro, Varrone, il quale impone in sostanza al Dipartimento del Turismo di derogare ai propri poteri di controllo su Enit e controllate. In questo modo da quel momento in poi sarà la stessa Enit, cioè Rubini, a vigilare sulla gestazione della nuova società relegando in un scomoda posizione subalterna Promuovi Italia.

Quest’ultima, però, prende la cosa seriamente: mette in campo un’ipotesi di piano aziendale e studia la forma societaria più appropriata. Anche se volesse, del resto, non potrebbe prendere la faccenda sottogamba, visto che per ottemperare alla volontà del ministro è costretta a una variazione di statuto e a un aumento di capitale impegnativo: da 120 mila euro a 1 milione e 120 mila. L’atteggiamento cauto dei vertici di Promuovi Italia irrita però i vertici del ministero, i quali alla fine impongono lo statuto di Convention Bureau e nominano un consiglio di amministrazione composto in prevalenza da fedelissimi del ministro. Siamo tra febbraio e marzo di quest’anno e la situazione è già talmente compromessa e pasticciata che il consiglio di amministrazione non resta in carica che per il tempo necessario a insediarsi. A maggio il vecchio consiglio viene azzerato e in quello nuovo entrano Resca e Severino Lepore, proprietario dell’Harry’s Bar di via Veneto a Roma. E subito la società comincia a spendere soldi. Tanto che, siamo in luglio, Resca convoca un’assemblea straordinaria dei soci per un aumento del capitale sociale da 500 mila euro a 1 milione e per chiedere all’azionista Promuovi Italia nuovi soldi per ripianare i debiti. Da Promuovi Italia esce così un altro milione e 500 mila euro per rimettere in corsa la società.

L’ultima stranezza arriva proprio nei giorni della caduta di Berlusconi. Poco dopo che il tabellone elettronico della Camera certifica la fine del governo, dal ministero parte la richiesta di aggiungere un altro milione alla dotazione di Convention Bureau, soldi che dovrebbero essere sottratti proprio alla dotazione di funzionamento di Promuovi Italia. Per i dirigenti di quest’ultima società è la goccia che fa traboccare il vaso, tanto che ora stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di liquidare Convention Bureau o di cedere la partecipazione, anche gratis. Per sottrarsi a un abbraccio non voluto e soffocante.

di Fabio Amato e Daniele Martini 



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/19/brambilla-incarichi-doro-al-fotofinish