mercoledì 4 gennaio 2012

Pdl, a Vicenza il primo caso di tessere false. Copiati i nomi dall’elenco di cacciatori. - di Eleonora Bianchini



Migliaia di persone sarebbero state iscritte a loro insaputa al partito di Silvio Berlusconi. La procura sta indagando per violazione di privacy. Secondo un esposto, infatti, sarebbero stati copiati e incollati i dati sensibili senza permesso dei diretti interessati.



L'homepage del sito del Pdl di Vicenza
“Vuoi dare più forza all’Italia? Iscriviti al Popolo della Libertà”. L’invito risalta a caratteri cubitali sulla homepage del Pdl di Vicenza, come se nella campagna di tesseramento fosse filato tutto liscio. Solo a inizio novembre, infatti, Angelino Alfano e i colonnelli del partito avevano annunciato di avere raggiunto un milione di iscritti, ma le prime zone d’ombra emergono a Vicenza. Infatti il Pdl è stato travolto dallo scandalo delle tessere false e finito nel mirino della magistratura per avere copiato e incollato i nomi di alcuni membri di associazioni di cacciatori della zona dell’Alto Vicentino, per poi iscriverli a loro insaputa nel partito di Silvio Berlusconi. Alcuni di loro, peraltro, risultano essere militanti e dirigenti locali di Lega Nord e Udc.

La notizia è stata pubblicata sul Giornale di Vicenza e ha scatenato un vero e proprio terremoto politico tra gli ambienti di centrodestra visto che il congresso provinciale è atteso tra fine gennaio e inizio febbraio. Tutto è partito da un esposto anonimo giunto in Procura che denunciava alcune iscrizioni false avvenute lo scorso ottobre. I diretti interessati, infatti, non avevano mai avanzato alcuna richiesta per ottenere la tessera di partito. C’è infatti chi avrebbe copiato e incollato le loro generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita) prelevandole da elenchi di associazioni venatorie della provincia. A seguito dell’esposto è stato aperto un fascicolo contro ignoti e le indagini potrebbero portare alla violazione della privacy, visto che la raccolta dati non era stata autorizzata dai diretti interessati. Ma, come se non bastasse, chi ha deciso di procedere nel tesseramento col trucco è caduto nella gaffe di includere anche militanti di altri partiti tra cui un consigliere della Lega Nord di Barbarano e un militante di Trissino, comuni entrambi in provincia di Vicenza, oltre alla dj leghista Adelina Putin, voce di RadioStellaFm e Ferruccio Righele, segretario dell’Udc di Schio.

Alla base della truffa delle tessere e della violazione della privacy ci sarebbe la guerra intestina tra le correnti del Pdl a Vicenza e in Veneto, pronte a prevalere anche con eventuali falsificazioni delle deleghe per il voto al prossimo congresso. Così la pensa Antonio De Poli, deputato e segretario regionale dell’Udc: “Si tratta di una lotta interna tra le correnti del Popolo della Libertà – commenta – sono metodi da condannare e rappresentano un copione già visto che purtroppo si ripete nella battaglia fratricida del centrodestra nella nostra regione”. E ora si sollevano di conseguenza numerose perplessità anche sull’autenticità dei 16mila tesserati della provincia. “E’ necessario che il Pdl predisponga degli organi di garanzia per garantire che tutte quelle tessere siano vere”, osserva il parlamentare, convinto che il Pdl debba avviare una campagna di trasparenza. “Deve richiedere, ad esempio, che al congresso chi è tesserato vada a controfirmare la sua adesione”.

Nei prossimi giorni i carabinieri sentiranno alcuni dei ‘finti’ tesserati e dalla settimana prossima saranno ascoltati anche alcuni dirigenti locali e provinciali del partito per rintracciare i responsabili e verificare quanto denunciato nell’esposto anonimo.

martedì 3 gennaio 2012

La vignetta di Vauro.



http://vauro.globalist.it/Detail_News_Display?ID=5927&typeb=0

P3, chiesti 20 rinvii a giudizio anche per Verdini e Dell'Utri. -



La procura di Roma ha chiuso l'inchiesta sull'associazione segreta "volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali". Un sodalizio impegnato in "delitti di corruzione, abuso d'ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata". Sollecitato il processo per Carboni, l'ex giudice Lombardi.


ROMA - Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pubblico ministero Rodolfo Sabelli hanno tirato le somme della clamorosa indagine sulla P3. E hanno chiesto al gup di rinviare a giudizio 20 persone, tra le quali il coordinatore del Pdl Denis Verdini e il senatore Marcello dell'Utri. Tutti sono accusati di aver violato la legge Anselmi per aver partecipato a un'associazione "caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell'attività e della composizione del sodalizio e volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale". Un sodalizio impegnato "a realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d'ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata".




In particolare, il rinvio a giudizio è stato chiesto per Fabio Porcellini e Alessandro Fornari (imprenditori indicati come finanziatori), Ignazio Farris (presidente di Arpa Sardegna), Pinello Cossu (presidente del consorzio Tea impegnato nell'attività di risanamento ambientale), Marcello Garau (dirigente Tea), Antonella Pau (indicata come prestanome di Carboni), Maria Scanu Concas (moglie di Carboni e sua prestanome), Stefano Porcu (direttore di banca), Giuseppe Tomassetti (prestanome di Carboni) e Pierluigi Picerno (imprenditore e indicato come finanziatore).

Al vertice e ai partecipanti del sodalizio denominato P3 i magistrati contestano l'accusa di associazione per delinquere ritenendoli responsabili di aver organizzato una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura, della politica e dell'imprenditoria anche attraverso l'attività di promozione di convegni e incontri di studio e una associazione culturale denominata 'centro studi giuridici per l'integrazione europea-diritti e libertà". A gestirla secondo la Procura della Repubblica di Roma Carboni, Lombardi e Martino.

Accanto a questo filone principale ce n'è un altro entrato nell'indagine. Si tratta in particolare di Nicola Cosentino, accusato di diffamazione e violenza privata nei riguardi di Stefano Caldoro, per aver, secondo l'accusa, tentato di indurlo a ritirarsi dalla competizione elettorale che poi lo ha visto essere eletto governatore della Campania, del deputato del Pdl Massimo Parisi, imputato per finanziamento illecito dei partiti, del governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, accusato di abuso d'ufficio, dell'ex primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, imputato di corruzione, e di Ernesto Sica, imputato di violenza privata e diffamazione sempre nei riguardi di Stefano Caldoro.

Dal fascicolo principale è stata stralciata la posizione dell'ex sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo inizialmente coinvolto nell'indagine ma risultato poi completamente estraneo ai fatti tanto che per lui è in arrivo una richiesta di archiviazione.

Nei capi di imputazione vengono tra l'altro ricordati una serie di fatti illeciti contestati alla P3. Tra questi il tentativo di influenzare la Corte Costituzionale a proposito del giudizio sul 'Lodo Alfano', l'intervento al Csm per pilotare l'assegnazione di incarichi direttivi, gli interventi sulla Corte di cassazione per risolvere in una certa maniera il cosiddetto 'Lodo Mondadori', il tentativo di screditare il candidato Caldoro al governo della Campania nonché l'intervento a Milano in favore dell'accoglimento di un ricorso riguardante la lista 'Pro Lombardia' di Roberto Formigoni.

Oltre all'accusa di associazione per delinquere e alla violazione della legge Anselmi vengono ipotizzati a seconda della posizione processuale i reati di concorso nella corruzione, nell'appropriazione indebita, nell'abuso d'ufficio, nella diffamazione e nella violenza privata.



http://www.repubblica.it/politica/2012/01/03/news/p3_richiesta_rinvio_a_giudizio-27548193/

Tagliare gli F-35? Si può fare. - di Francesco Vignarca






“Non credo proprio che sarà così” pare abbia detto il neo ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, a chi gli chiedeva se i “sacrifici” imposti dal Governo avrebbero riguardato anche le spese militari. “La crisi non fa venire meno funzioni fondamentali come la Difesa”. E i pacifisti potranno pure avere il diritto di esprimere la propria opinione ma “che sia corretta è da vedere” ha concluso il ministro.

Su questo tema il caso emblematico è quello dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35, il programma militare più costoso della storia guidato dagli Stati Uniti in compartecipazione con altri 8 Paesi tra cui l’Italia (che è partner di “secondo livello” come la Gran Bretagna). 

Da tempo e da più parti si chiede che questa spesa (i conti parlano per l’Italia di almeno 15 miliardi di euro in 11 anni) sia cancellata, o almeno ridotta, anche perché le stime di costo per ciascuno dei 131 velivoli che il nostro Paese si è impegnato ad acquistare hanno sfondato tutte le previsioni iniziali. “Impossibile - è la risposta più utilizzata -: il prezzo delle penali sarebbe maggiore della fattura di acquisto”.

La documentazione ufficiale dell’operazione si trova sul sito www.jsf.mil. Da questa si evince qualcosa di ben diverso: l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione. Lo prevede il “Memorandum of Understanding” del Joint Strike Fighter (in pratica, l’accordo fra i Paesi compartecipanti) sottoscritto anche dall’Italia con la firma apposta il 7 febbraio del 2007 dall’allora sottosegretario Giovanni Lorenzo Forcieri (governo Prodi). La sezione XIX del documento (l’ultimo aggiornamento ufficiale di fine 2009 è scaricabile qui a lato) stabilisce che qualsiasi Stato partecipante possa “ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificarsi agli altri compartecipanti” (par 19.4). In tale evenienza il Comitato Esecutivo del Jsf deciderà i passi successivi e il Paese che ha deciso di lasciare il consorzio continuerà a fornire il proprio contributo, finanziario o di natura operativa, fino alla data effettiva di ritiro.

Il Memorandum mette comunque al riparo tale mossa da costi ulteriori. In caso di ritiro precedente alla sottoscrizione di qualsiasi contratto di acquisto finale degli aerei nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva, altrimenti condivisi, potrebbero essere imputati (par. 19.4.2) e “in nessun caso il contributo finanziario totale di un Paese che si ritira – compresi eventuali costi imprevisti dovuti alla terminazione dei contratti – potrà superare il tetto massimo previsto nella sezione V del Memorandum of Understanding” (par. 19.4.3).

E cosa stabilisce questa sezione? Che i costi non-ricorrenti e condivisi di produzione, sostentamento e sviluppo del progetto siano distribuiti, secondo tabelle aggiornate a fine 2009, in base al grado di partecipazione al programma di ciascun Stato. Per l’Italia ciò significa, nell’attuale fase (denominata “PSFD”: Production, Sustainment, Follow-on Development), una cifra massima totale, calcolata a valori costanti del dollaro, di 904 milioni.
Niente di più, in caso di ritiro prima di un qualsiasi contratto di acquisto dei velivoli. 
Addirittura agli Stati Uniti è concesso, nel paragrafo 19.7, un ritiro unilaterale dal programma sebbene il totale previsto di 2.443 aerei da acquistare (cioè il 75% del totale) impedisca nei fatti di compiere tale scelta.

Proprio sulla base di queste parti dell’accordo Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione. 
Alle spesa che l’Italia ha già pagato per il programma Jsf occorre aggiungere inoltre il miliardo di euro circa pagato per la precedente fase di sviluppo SDD (System Development and Demonstration) e i circa 800 milioni (di euro) previsti complessivamente ed in autonomia per l’impianto Final Assembly and Check Out (Faco) di Cameri. L’insediamento costituirà il secondo polo mondiale di assemblaggio degli F-35, ed è stato voluto fortemente dal governo italiano in cooperazione con i Paesi Bassi. Cameri è la sede in cui Alenia (un’industria privata in un insediamento produttivo pubblico) dovrebbe costruire le ali (ma solo quelle sinistre) del velivolo. L’appalto è stato assegnato alla società controllata da Finmeccanica per sub-contratto.
Fatti due conti, il totale degli oneri già determinati a carico del contribuente italiano ammonta a 2,7 miliardi di euro. E ci si potrebbe fermare qui.

La situazione sarebbe completamente diversa in caso di sottoscrizione già avvenuta del contratto di acquisto degli aerei: non più un accordo tra Stati partner per la suddivisione di costi di un progetto congiunto, ma vero e proprio ordine di acquisto inoltrato all’azienda capo-commessa Lockheed Martin. In tale caso l’investimento andrebbe a lievitare sia per il costo in sé dei 131 velivoli previsti, sia per le penali in caso di ritiro che sicuramente l’impresa Usa non mancherebbe di esplicitare. Per questo Lockheed Martin ha cercato, negli ultimi anni, di premere per la costituzione di un consorzio di acquisto tra alcuni dei Paesi del progetto. 

Già dal 2007 i manager del board JSF hanno incoraggiato, con la promessa di prezzi più bassi, i partner a sottoscrivere contratti di acquisto. Ma questa ipotesi prevedeva sanzioni: qualsiasi cliente avesse annullato o ritardato le consegne avrebbe dovuto compensare gli altri membri del consorzio per l’aumento dei costi unitari derivanti. Una spada di Damocle che non è piaciuta a nessuno, tanto che fonti del governo australiano hanno dichiarato “morta” la trattativa già a fine 2009. Fonti militari ci confermano oggi che nemmeno lo Stato italiano, dopo il Memorandum del 2007, ha firmato ulteriori accordi a livello governativo.

L’impatto per le nostre tasche sarebbe ben diverso se l’Italia continuasse sulla strada intrapresa, arrivando a firmare un contratto con Lockheed Martin. L’ultima “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa” disponibile (quella per il 2011, perché nella Legge di Stabilità di fine anno del governo Berlusconi nessun dettaglio è riportato, nemmeno per i tagli lineari già previsti dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti) stanzia per tutta la fase di acquisto dei 131 caccia ipotizzati, da completarsi nel 2026, un costo complessivo di 13 miliardi di euro. 

In realtà le più recenti stime basate sui dati del Pentagono proiettano il costo finale di ciascun esemplare a più del doppio dell’ipotesi iniziale elaborata dai tecnici del programma; ciò significa che la fattura per l’Italia (compresi anche i propulsori, pagati a parte) potrebbe tranquillamente ammontare – e stiamo parlando di stime in continua crescita – ad almeno 15 miliardi di euro. Soldi da pagare in corrispondenza dei singoli contratti d’acquisto, spalmati su più anni. Senza contare che, in particolare per i progetti aeronautici, i costi maggiori si hanno con il mantenimento e la gestione dei velivoli. 

Dando retta alla tabella che distribuisce la produzione dei velivoli per singolo anno e singolo Paese, invero un po’ datata, l’Italia dovrebbe iniziare ad acquistare aerei nel 2012 (4 esemplari) per finire nel 2023 (10 esemplari con picco di 13 aerei tra il 2016 e il 2018). Le consegne effettive sono previste due anni dopo la firma di ciascun contratto. Proiettando il tutto in termini monetari ciò comporterebbe un costo dai 460 ai 1.495 milioni di euro all’anno da qui al 2023, con un costo medio annuale di almeno 1.250 milioni.

Eppure sarà difficile vedere un “dietro-front” del nostro Paese su questo progetto, almeno per mano del Governo “tecnico” attualmente in carica. È stato infatti proprio l’attuale ministro della Difesa Di Paola a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, l’accordo per la partecipazione italiana da un miliardo di euro alla prima fase SDD (come si vede nella foto accanto, diffusa dal Dipartimento della Difesa USA e disponibile sul sito del progetto JSF). Secondo il direttore del programma JSF del tempo Jack Hudson, l’ammiraglio Di Paola (a quell’epoca Segretario generale della Difesa) è stato un “formidabile sostenitore per il Jsf in Italia; la sua appassionata energia e la sua visione sono state di valido aiuto per il completamento dei negoziati”. Peccato che, durante i discorsi ufficiali, Di Paola non sia stato buon profeta nell’affermare che con il Jsf si sarebbe sperimentato un nuovo approccio al procurement militare ottenendo alti risultati “con un’attenzione stringente al controllo di costo”. La crescita vertiginosa del prezzo ha dimostrato ben altra realtà.

Visto che la “foglia di fico” delle penali si è rivelata solo fumo negli occhi, sarebbe il caso di mettere realmente in discussione un programma che ci costerà circa oltre un miliardo di euro all’anno solo per l’acquisto degli aerei, poi da mantenere. Nemmeno la giustificazione del ritorno industriale pare plausibile (si favoleggia del 75% dell’investito) e soprattutto sono da ridimensionare fortemente le stime occupazionali legate alla partecipazione dell’industria italiana al progetto. Le parti sociali, in particolare sindacali, hanno stabilito in 200 (più 800 nell’indotto) i posti di lavoro creati, mentre il ministero della Difesa prevede 600 occupati alla struttura FACO di Cameri. Non certo i 10.000 impieghi raccontati per anni da politici e manager compiacenti con il programma. Studi recenti dimostrano che spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili aumenterebbe del 50% il tasso di occupazione: addirittura del 70% se re-investiti in ambito sanitario. 

Un mondo senza conflitti, secondo i calcoli dell’australiano Institute for Economics and Peace che elabora il Global Index of Peace avrebbe creato un valore economico positivo di 8.000 miliardi di dollari, con un terzo di questa cifra derivante dalla riconversione dell’industria bellica.



http://temi.repubblica.it/micromega-online/tagliare-gli-f-35-si-puo-fare/

Senza legalità nulla cambia. - di Paolo Flores d'Arcais







L’emergenza è lo “spread”? Anche. Ma la vera emergenza strutturale in cui l’Italia si avvita da un ventennio, e la cui mancata soluzione rende impossibile affrontare tutte le altre urgenze, dal debito pubblico all’occupazione, dal fisco allo sviluppo, dalle grandi opere alla sicurezza e al welfare, ha un solo nome: legalità. La legalità è il “grande rimosso” del discorso politico e della coscienza collettiva, il grande assente nell’azione di governo e nel dibattito sui media.

Il Capo dello Stato ammonisce che evasione fiscale e corruzione sono pratiche intollerabili, ma sono vent’anni che lo sentiamo ripetere, rischia di essere una giaculatoria se alle parole non seguono immediatamente i fatti. Il governo Monti simpatizza col modello danese di flessibilità del lavoro, ma un ex-ministro rivela che dopo averlo studiato in loco il governo Prodi rinunciò a importarlo, perché mancavano le condizioni culturali che ne impedissero l’abuso: un diffuso senso dello Stato e della legalità, appunto. Ora si parla di “crescita”, dunque di opere pubbliche, di incentivi, di liberalizzazioni e privatizzazioni, ma un chilometro di ferrovia o di autostrada costa in Italia due o tre o quattro volte più che in Francia o Germania: il costo della mancata legalità. E in passato ogni bene pubblico è stato svenduto, coniugando impoverimento dello Stato, nuove inefficienze, indecenti arricchimenti di amici degli amici: su scala ridotta, il modello degli oligarchi putiniani. Per indigenza di legalità, anche qui.

Diventa retorico e rischia di apparire insultante, perciò, pronunciare una volta di più la parola “equità” se non si mette mano a una vera e propria “rivoluzione della legalità”. Sono due facce della stessa medaglia, esattamente come giustizia e libertà. La rivoluzione della legalità oltretutto, è l’unica riforma a costo zero. Anzi, a introito sicuro, progressivo, ciclopico. Tra evasione, corruzione, mafie, ogni anno vengono sottratte ricchezze equivalenti a cinque o dieci manovre “lacrime e sangue”. In questi vent’anni – esattamente il 17 febbraio del 1992 veniva arrestato Mario Chiesa e cominciava “Mani Pulite” – la politica ha fatto di tutto per favorire i “mariuoli” anziché la legalità. Portando l’Italia sul lastrico. Se il governo Napolitano-Monti-Passera vuole essere credibile, ed evitare la sacrosanta rabbia del “Terzo Stato” che monta, ha una strada maestra: abrogazione delle leggi ad personam, manette a evasori e per falso in bilancio e ostruzione di giustizia. Eccetera. La legalità presa sul serio.



http://temi.repubblica.it/micromega-online/senza-legalita-nulla-cambia/

Previsioni Maya?



Tutto predisposto. 


Le previsioni Maya pubblicate in vari siti, come a voler far credere che si tratti di fenomeni religiosi, e pertanto inspiegabili, sono verosimilari: siamo troppi, circa sette miliardi, già in tanti muoiono di fame; alcune sperimentazioni di laboratorio, assurde come quelle di un potenziamento del virus del H1N1, dovrebbero dare l'allarme. Ci hanno depauperato di tutto, dal diritto di scelta, al diritto di parola, dal diritto di pensare al diritto di "essere", dal diritto di sapere al diritto di esistere dignitosamente contando sulle proprie forze con il lavoro. 


Hanno deciso che siamo troppi e che dobbiamo essere sacrificati al dio benessere: il loro, naturalmente.
Quello che abbiamo visto in tanti film cult che mostrano le popolazioni ridotte ad automi al servizio di pochi potenti si è già realizzato.
Il Gruppo Bilderberg esiste: 
http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_Bilderberg

come esistono i Bunker in Norvegia: 
http://lavocedei3msul2012.xoom.it/virgiliowizard/bunker-in-norvegia?SESS4b3f60d76a4bca8e1200e555116860f5=046c21d47da72298c77b56a0777a9307


Apriamoli gli occhi, VEDIAMO FINALMENTE! 


Cerchiamo di capire ciò che sta succedendo, non facciamoci ancora sopraffare, c'è di mezzo il nostro avvenire, l'avvenire dei nostri figli e nipoti, aguzziamo l'ingegno: noi siamo tanti, "loro" sono pochi. 
Il loro denaro è carta straccia, noi abbiamo le braccia, noi "siamo la forza lavoro", senza di noi loro sono niente, facciamoglielo capire, non bonariamente, ma con lo spirito di chi vuole ciò che gli spetta di diritto!

Cocaina, escort e festini: le amicizie pericolose di Bossi jr "il trota". - di Paolo Berizzi



Un'amicizia "spericolata" rischia di portare nei guai giudiziari Renzo Bossi, figlio del leader della Lega. Il legame è quello con Alessandro Uggeri, fidanzato dell'assessore regionale Monica Rizzi, la cosiddetta "badante del Trota", una politicante leghista in carriera che ha "accudito" Bossi jr nella campagna elettorale delle regionali 2010. Un'amicizia stretta al punto che il "Trota" trovò ospitalità nella villa di Uggeri nelle settimane in cui combatteva per raccogliere preferenze. In quella villa erano però state segnalati festini con escort e cocaina. Le verifiche investigative hanno trovato conferma ai sospetti. E a quelle serate sexy risultava presente anche Bossi jr. Il consigliere regionale leghista non è formalmente indagato, ma l'inchiesta comunque lo riguarda.
È un altro "scivolone" in un curriculum movimentato. in origine furono dei falsi (non suoi) e una gita spericolata con una moto a quattro ruote nei boschi di Ponte di Legno.

I fatti si svolgono a Brescia, la circoscrizione nella quale Bossi jr è stato eletto con 13mila preferenze, e qualche polemica. Secondo i magistrati ad agevolarlo nella corsa al Pirellone sarebbero stati dei dossier fabbricati per eliminare dalle liste del Carroccio due avversari scomodi: un "aiuto" confezionato da un maresciallo delle Fiamme Gialle su mandato della Rizzi, bresciana, assessore regionale allo Sport e amica del Trota. Per questa vicenda la Rizzi è indagata con l'accusa di trattamento illecito di dati protetti (il fascicolo è 
in mano al pm Fabio Salamone). Una nuova grana che si aggiunge a quella relativa alla finta laurea in psicologia e alla presunta qualifica di psicoterapeuta infantile (l'assessore ha ammesso di avere millantato).
Ma torniamo a Bossi e alla campagna elettorale del 2010. La Rizzi viene incaricata dal Senatur in persona di  spianare la strada al figlio. Lei, che conosce Renzo da quando è piccolo, affronta l'impegno come una missione. Il candidato Bossi jr viene alloggiato in un villone di Roè Volciano, sulle colline vicine a Salò. Il proprietario di casa è appunto Uggeri: è con lui che a Ponte di Legno scorrazzano in quad in una riserva naturale distruggendo il campo di un contadino e imbattendosi in una guardia forestale (parte un colpo di pistola, dinamica ancora da accertare, indagano i carabinieri di Breno).

Uggeri è un tipo brillante. La sua villa, già teatro di feste in stile Billionaire con fuochi d'artificio e elicotteri in giardino, diventa il quartier generale di Bossi jr. Uggeri gli fa da bodyguard, autista, confidente. Assieme a Valerio Merola, in arte Merolone  -  ràs dei locali nella zona del Garda  -  diventa il suo compagno di scorribande notturne. Ma i carabinieri di Brescia e la Guardia di Finanza stanno tenendo d'occhio Uggeri per una presunta frode fiscale: l'uomo  -  secondo gli investigatori  -  apre e chiude società a un ritmo vorticoso. Un sistema che gli consente di evadere il fisco e realizzare profitti. Ed è nel corso di queste indagini che alcuni testimoni mettono i militari sulla pista dei festini con cocaina e prostitute.

Gli accertamenti sono alle battute finali. E confermerebbero che nella sua avventura bresciana il "Trota" si è affidato alle persone sbagliate. Incaricati di aiutarlo a fare incetta di voti, Uggeri & Co avrebbero utilizzato il giovane Bossi come cartina di tornasole. Forse anche come biglietto da visita per i loro affari. In ambienti investigativi si racconta che in almeno una delle sue società Uggeri avrebbe coinvolto il figlio del leader della Lega. Altre indiscrezioni riguardano alcuni episodi imbarazzanti che sarebbero accaduti nei mesi scorsi: episodi "pubblici" con protagonisti Uggeri e lo stesso Bossi, nelle loro serate tra feste e locali. Su questo punto, però, non ci sono conferme. L'indagine è ancora coperta da uno stretto riserbo: ma il deposito degli atti è imminente. Le ipotesi di reato più pesanti (droga, prostituzione), riguarderebbero Uggeri e un suo socio.



http://infoaltra.blogspot.com/2011/12/cocaina-escort-e-festini-le-amicizie.html