L’interrogativo su cui stanno lavorando al momento i magistrati è capire il reale motivo della mancata riconferma del democristiano Vincenzo Scotti al vertice del ministero dell’Interno.
E’ durato un’ora e mezza l’interrogatorio di Ciriaco De Mita davanti ai magistrati palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra nel periodo 1992 – 1993. Negli uffici della sede operativa della Dia a Roma l’ex presidente del Consiglio è stato infatti ascoltato stamattina come teste dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Antonio Ingroia e dal sostituto Paolo Guido. Un’audizione, quella di De Mita, dai contorni squisitamente politici.
La testimonianza dell’ex segretario della Dc infatti è stata quasi tutta focalizzata sulle manovre politiche che ruotarono intorno alla nascita del governo guidato da Giuliano Amato nel giugno 1992. In particolare l’interrogativo su cui stanno lavorando al momento i magistrati è capire il reale motivo della mancata riconferma del democristiano Vincenzo Scotti al vertice del ministero dell’Interno, ruolo che aveva ricoperto nel precedente esecutivo guidato da Giulio Andreotti. L’operato di Scotti al vertice del Viminale fino a quel momento era stato parecchio attivo in uno scenario dai contorni inquietanti che sarebbe poi deflagrato nelle stragi di Capaci e di via d’Amelio. Il politico napoletano già nel marzo del 1992 era intervenuto davanti la Commissione Affari Costituzionali del Senato sottolineando come non avesse intenzione di “gestire il ministero dell’Interno con una condizione di silenzio e di misteri e senza mettere su carta le cose che si fanno.”
La sostituzione di Scotti al vertice del Viminale quindi presta il fianco a molteplici letture, soprattutto perché avvenuta in un momento in cui Cosa Nostra stava mostrando tutta la ferocia del metodo stragista. Situazione che era stata per certi versi anticipata nel marzo del ’92 (proprio durante la gestione Scotti) in una nota riservata dell’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi in cui si leggeva come, secondo una fonte confidenziale fossero “state rivolte minacce di morte contro il signor presidente del Consiglio e ministri Vizzini e Mannino…per marzo – luglio campagna terroristica contro esponenti Dc, Psi et Pds … Strategia comprendente anche episodi stragisti”. Allarmi – quelli lanciati da Parisi e dallo stesso Scotti davanti la commissione parlamentare – definiti dall’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti come “una patacca”.
Dopo la defenestrazione di Scotti nel nuovo governo Amato il ruolo di Ministro dell’Interno venne ricoperto da Nicola Mancino, uomo della sinistra dc, corrente capitanata all’epoca proprio da De Mita, che proprio per questo è stato ascoltato stamani.
L’ex segretario della Dc, per stessa ammissione dei magistrati, avrebbe risposto a tutte le domande. Secondo il racconto di De Mita però il turn over al vertice del Viminale sarebbe probabilmente da imputare soltanto a questioni interne alle correnti politiche della Dc.
A chiamare in causa De Mita è stato lo stesso Scotti che nel dicembre scorso è stato sentito dai magistrati a Palermo. L’ex Ministro dell’Interno ha raccontato come la notte precedente al varo del nuovo governo Amato, De Mita lo chiamò chiedendogli di accettare il dicastero degli Esteri, come una sorta di contro partita. Proposta che sul momento Scotti rifiutò. Salvo accertarla quando, la mattina successiva, apprese di essere stato ugualmente nominato al vertice della Farnesina. “Cambiai idea – ha detto Scotti – solo dopo prendendo atto delle insistenze del presidente Amato in relazione ad urgenti impegni internazionali”. Un mese dopo si dimise.
Nonostante le dichiarazioni odierne di De Mita però i dubbi sulla sostituzione di Scotti con Mancino restano. Ancora oggi Scotti ammette di non aver mai compreso i reali motivi della sua sostituzione come Ministro dell’Interno. “Chiesi spiegazioni ai miei colleghi di partito – ha raccontato il politico ai magistrati – sulle ragioni del mio avvicendamento, anche con un’accorata lettera all’allora segretario Dc Forlani. Non ho mai avuto convincenti spiegazioni , ma solo una missiva di risposta e una lettera dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro nel settembre – ottobre 1992. In questa missiva Scalfaro mi scriveva che “se ci fossimo parlati, forse le cose sarebbero andate diversamente”.
L’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro è stato già sentito nei mesi scorsi dai magistrati nell’ambito della stessa indagine sulla Trattativa. Nei prossimi giorni poi toccherà all’ex segretario democristiano Arnaldo Forlani essere interrogato dagli inquirenti. Il 20 gennaio invece Scotti deporrà come teste davanti la quarta sezione penale di Palermo che sta processando il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995.
La testimonianza dell’ex segretario della Dc infatti è stata quasi tutta focalizzata sulle manovre politiche che ruotarono intorno alla nascita del governo guidato da Giuliano Amato nel giugno 1992. In particolare l’interrogativo su cui stanno lavorando al momento i magistrati è capire il reale motivo della mancata riconferma del democristiano Vincenzo Scotti al vertice del ministero dell’Interno, ruolo che aveva ricoperto nel precedente esecutivo guidato da Giulio Andreotti. L’operato di Scotti al vertice del Viminale fino a quel momento era stato parecchio attivo in uno scenario dai contorni inquietanti che sarebbe poi deflagrato nelle stragi di Capaci e di via d’Amelio. Il politico napoletano già nel marzo del 1992 era intervenuto davanti la Commissione Affari Costituzionali del Senato sottolineando come non avesse intenzione di “gestire il ministero dell’Interno con una condizione di silenzio e di misteri e senza mettere su carta le cose che si fanno.”
La sostituzione di Scotti al vertice del Viminale quindi presta il fianco a molteplici letture, soprattutto perché avvenuta in un momento in cui Cosa Nostra stava mostrando tutta la ferocia del metodo stragista. Situazione che era stata per certi versi anticipata nel marzo del ’92 (proprio durante la gestione Scotti) in una nota riservata dell’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi in cui si leggeva come, secondo una fonte confidenziale fossero “state rivolte minacce di morte contro il signor presidente del Consiglio e ministri Vizzini e Mannino…per marzo – luglio campagna terroristica contro esponenti Dc, Psi et Pds … Strategia comprendente anche episodi stragisti”. Allarmi – quelli lanciati da Parisi e dallo stesso Scotti davanti la commissione parlamentare – definiti dall’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti come “una patacca”.
Dopo la defenestrazione di Scotti nel nuovo governo Amato il ruolo di Ministro dell’Interno venne ricoperto da Nicola Mancino, uomo della sinistra dc, corrente capitanata all’epoca proprio da De Mita, che proprio per questo è stato ascoltato stamani.
L’ex segretario della Dc, per stessa ammissione dei magistrati, avrebbe risposto a tutte le domande. Secondo il racconto di De Mita però il turn over al vertice del Viminale sarebbe probabilmente da imputare soltanto a questioni interne alle correnti politiche della Dc.
A chiamare in causa De Mita è stato lo stesso Scotti che nel dicembre scorso è stato sentito dai magistrati a Palermo. L’ex Ministro dell’Interno ha raccontato come la notte precedente al varo del nuovo governo Amato, De Mita lo chiamò chiedendogli di accettare il dicastero degli Esteri, come una sorta di contro partita. Proposta che sul momento Scotti rifiutò. Salvo accertarla quando, la mattina successiva, apprese di essere stato ugualmente nominato al vertice della Farnesina. “Cambiai idea – ha detto Scotti – solo dopo prendendo atto delle insistenze del presidente Amato in relazione ad urgenti impegni internazionali”. Un mese dopo si dimise.
Nonostante le dichiarazioni odierne di De Mita però i dubbi sulla sostituzione di Scotti con Mancino restano. Ancora oggi Scotti ammette di non aver mai compreso i reali motivi della sua sostituzione come Ministro dell’Interno. “Chiesi spiegazioni ai miei colleghi di partito – ha raccontato il politico ai magistrati – sulle ragioni del mio avvicendamento, anche con un’accorata lettera all’allora segretario Dc Forlani. Non ho mai avuto convincenti spiegazioni , ma solo una missiva di risposta e una lettera dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro nel settembre – ottobre 1992. In questa missiva Scalfaro mi scriveva che “se ci fossimo parlati, forse le cose sarebbero andate diversamente”.
L’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro è stato già sentito nei mesi scorsi dai magistrati nell’ambito della stessa indagine sulla Trattativa. Nei prossimi giorni poi toccherà all’ex segretario democristiano Arnaldo Forlani essere interrogato dagli inquirenti. Il 20 gennaio invece Scotti deporrà come teste davanti la quarta sezione penale di Palermo che sta processando il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995.