martedì 17 gennaio 2012

Scalfarendum. - di Marco Travaglio







Noi stimiamo Eugenio Scalfari, anche quando ci chiama “editorialisti qualunquisti, demagoghi” con “un disperato bisogno di ‘audience’ e quindi di avere sempre e comunque un nemico sul quale sparare. Prima avevano Berlusconi, adesso Monti e Napolitano. E anche il Pd”. Gradiremmo sapere da Scalfari quando mai abbiamo “sparato su Monti”, ma lo stimiamo lo stesso. E, proprio perché lo stimiamo, ci ha meravigliato leggere domenica su Repubblica queste sue parole: “I referendum elettorali andrebbero esclusi come lo sono quelli relativi ai trattati internazionali e alle leggi di imposta”. Ohibò, ci siamo detti: vuoi vedere che Scalfari la pensava così già vent’anni fa per gli altri due referendum elettorali, quelli promossi e vinti da Mario Segni il 9 giugno 1991 per la preferenza unica e il 18 aprile 1993 per l’uninominale al Senato? E invece, doppio ohibò: lo Scalfari di allora non andava proprio d’accordo con lo Scalfari di oggi. Anzi li sponsorizzò entrambi con gran trasporto contro l’odiato Caf (Craxi-Andreotti-Forlani). Nel ’91 cominciò attaccando (anzi, sparando su) Craxi che voleva il referendum per il presidenzialismo e sabotava quello elettorale: “Proprio quella parte che reclama a gran voce un referendum non previsto dalla Costituzione fa vibrata campagna contro la celebrazione di un referendum che la Costituzione invece prevede e che la Corte costituzionale ha dichiarato legittimo e ammissibile… Di una cosa c’è urgente bisogno in questo paese: di una nuova legge elettorale che dia alla maggioranza il diritto di governare e all’opposizione la possibilità di subentrarle… Questa è la Riforma. Il resto si chiama demagogia… Per bloccarla si ricorre alla gazzarra, al veto e alla minaccia di elezioni anticipate. E si usano le istituzioni contro le istituzioni” (la Repubblica, 26-5-‘91). Poi il referendum fu vinto e Scalfari, invece di proporne l’abolizione, esultò: “Questo 10 giugno è un giorno di festa della democrazia repubblicana. Il risultato… è stato ottenuto dal popolo, non porta l’etichetta di nessun partito, non è stato fiancheggiato da nessuna delle grandi reti televisive anzi è stato ignorato e trattato come una fastidiosa perdita di tempo. È un grande fatto di democrazia… Il popolo si è riappropriato della politica… Questo è il fatto nuovo, al quale siamo lieti d’aver contribuito… 30 milioni di elettori… e 27 milioni di sì… Non saranno gli Azzeccagarbugli insediati nei vari palazzi a poterne diminuire la valenza politica. C’era un quesito referendario cui rispondere: riguardava la riforma della legge elettorale della quale i partiti discettano da anni senza cavare un ragno dal buco, paralizzandosi con continui veti incrociati. I promotori dei referendum ne avevano presentati tre, ben altrimenti efficaci se fossero stati messi in votazione. Essi avrebbero dato, se approvati, una spinta robusta verso una legge maggioritaria fondata su collegi uninominali, dove è più stretto il rapporto tra elettori ed eletti… La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili due di quei tre referendum e ne ha lasciato in piedi uno solo; ma il popolo ha molta più intelligenza e saggezza di quanto i finti democratici non gli attribuiscano: ha capito la posta in gioco e ha deciso di conseguenza… La grande maggioranza dei cittadini vuole cambiare la legge elettorale in senso maggioritario e uninominale… vuole decidere questi problemi da sola, visto che il Parlamento è paralizzato dalla partitocrazia. Questo è il voto che sale dal popolo sovrano” (11-6-‘91). Ahiahiahi, avete capito bene: Scalfari criticava la Consulta che aveva bocciato due referendum elettorali su tre e diceva che, in materia elettorale, deve decidere il popolo e non il Parlamento. Infatti passava subito a sponsorizzare il referendum fissato per il ‘93. E auspicava che i partiti promotori dessero vita a una Lega Nazionale (“il partito che non c’è”) alle elezioni politiche del ’92.
Questa maggioranza è quella che pochi mesi fa votò il referendum di Segni contro l’espresso parere di Craxi e di Bossi… Ma bisogna che si manifesti e si faccia sentire, che si organizzi e si presenti al corpo elettorale. Bisogna insomma che nasca una Lega nazionale con un programma di riforme” (1-12-‘91). “Una grande forza trasversale, come quella che ha vinto il referendum del 9 giugno e ha già dato un milione di firme per i referendum del ’93” (5-1-‘92). Poi Scalfari avvertì la Consulta di guardarsi bene dal bocciare il referendum: “Può darsi che gli apparati riescano a bloccare la riforma… La scadenza referendaria è ormai alle porte, sempre che la Corte costituzionale non blocchi il referendum. Tutto è ancora possibile, ma sarebbe assai grave perché una dose supplementare di rabbia verrebbe inoculata nella cittadinanza. Speriamo vivamente che il Parlamento deliberi correttamente o che la Corte proclami il referendum. Se entrambe queste ipotesi fossero frustrate, la democrazia avrebbe perso una battaglia campale” (31-12-‘92). Ahiahiahi, par di leggere gli editorialisti demagoghi di oggi: se la Corte boccia il referendum è una sconfitta per la democrazia. “Il referendum del 18 aprile segnerà il punto di svolta e tanto più numerosi saranno i ‘sì’ tanto più netta sarà la condanna e il taglio nel passato. Bisognerà poi fare la legge elettorale per la Camera… ma avremo comunque profondamente riformato il metodo di elezione del Senato e reso manifesta la volontà popolare… Per questo bisogna smascherare le insidiose manovre in corso che tendono… all’affossamento del referendum e alle elezioni anticipate con la vecchia legge proporzionale” (14-3-‘93). Poi l’appello finale: ”Fate attenzione, cittadini elettori: dal referendum di domani nascerà direttamente, dal vostro ’sì’, la nuova legge elettorale per il Senato. Nascerà direttamente dalle urne così come il 2 giugno ‘46 nacque la Repubblica… Avete già delegato troppe volte il vostro potere sovrano, ma questa volta non fatelo poiché sarebbe fatale alle sorti di un paese già molto traballante… Qui non è in gioco la sorte dei partiti; qui è in gioco un sistema che sarà poi la regola dei nostri comportamenti politici per gli anni a venire. Perciò Repubblica raccomanda ai suoi lettori di votare ‘sì’” (17-4-‘93). Il 18 aprile fu un nuovo plebiscito e Scalfari giustamente lo cavalcò con un filino di enfasi, neppure sfiorato dall’idea di abolire i referendum elettorali: “È stata una marcia trionfale… Il paese ha ritrovato in un voto quasi plebiscitario le ragioni della sua unità; il ‘sì’ ha superato tutti gli steccati, geografici, sociali e di fedeltà ai partiti; esso è diventato da ieri l’elemento fondante d’una nuova nazione, la fonte di legittimità d’una democrazia che aveva visto crollare quasi tutti i suoi ancoraggi ideologici e politici. Il popolo è saggio, sa capire e decodificare anche problemi apparentemente astrusi, bada al sodo, semplifica non per superficialità ma per profondità di giudizio… Il popolo voleva voltare pagina sugli ultimi vent’anni di malcostume, degrado, inefficienza, ruberie… Esprimendo questo voto, che configura una vera e propria legge per il Senato e indica nettamente l’orientamento per la Camera, essi hanno votato ancora una volta, come già avevano fatto il 9 giugno ‘91, per la liquidazione della vecchia nomenklatura e del regime partitocratico. L’uninominale maggioritario imporrà nuovi soggetti politici… e un rapporto diretto tra elettori ed eletti. Indicazioni cogenti, che non potranno essere disattese dal Parlamento” (20-4-‘93). Chi l’avrebbe mai detto che 19 anni dopo lo stesso Scalfari avrebbe chiesto di abrogare i referendum elettorali, per appaltare la materia alle nomenklature del regime partitocratico. Qualche malpensante potrebbe insinuare che allora i referendum facessero comodo contro il Caf e Cossiga, mentre oggi disturberebbero Napolitano e Monti. Ma noi che stimiamo Scalfari non vogliamo nemmeno pensarci. Certo non vorremmo che Scalfari-2 sparasse su Scalfari-1 dandogli dell’“editorialista qualunquista e demagogo con un disperato bisogno di ‘audience’ e quindi di un nemico su cui sparare sempre e comunque”. Questo no, sarebbe troppo.
di Marco Travaglio,  IFQ

lunedì 16 gennaio 2012

Si è dimesso il sindaco Cammarata "L'ho fatto per amore della città". - di SARA SCARAFIA




Il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, si è dimesso dalla carica di primo cittadino dopo dieci anni di governo. Adesso la Regione nominerà un commissario che amministrerà la città fino alle elezioni di primavera. "Lombardo è stato ostile a Palermo, adesso dovrà assumersene la responsabilità". Smentito un suo ingresso in Mediaset.


Diego Cammarata si è dimesso dalla carica di sindaco di Palermo. Lo ha annunciato lo stesso primo cittadino nel corso di una conferenza stampa a Villa Niscemi. Si chiude così, dopo dieci anni, l'avventura dell'esponente del Pdl a Palazzo delle Aquile: "Mi dimetto per amore della città - ha detto il sindaco - mi sarei dimesso il 2 gennaio ma non ho potuto per ragioni tecniche, volevo essere sicuro che il Comune non avesse sforato il patto di stabilità. Ho avuto tanti momenti di paura per l'Amia, per la Gesip".

Il commiato del sindaco più impopolare"Il mio ruolo, una missione"

Adesso si profila l'arrivo di un commissario nominato dal presidente della Regione che amministrerà la città fino alle elezioni di primavera. Intanto Cammarata è andato all'attacco proprio del presidente della Regione: "Mi sono dimesso perché siamo in campagna elettorale e Lombardo che non ha mai rispettato gli accordi con il Comune potrebbe essere ancora più ostile". 

Diego Cammarata ha spiegato che prima di presentare le  dimissioni da sindaco di Palermo si è "confrontato e confortato con i dirigenti del Pdl e primo fra tutti con Berlusconi". Come da regolamento, Cammarata adesso rassegnerà il mandato nella mani del segretario generale del comune di Palermo. Non si presenterà invece davanti al Consiglio comunale. "E perché dovrei farlo? Reputo vergognoso l'atteggiamento avuto negli ultimi tempi", ha affermato.

Lombardo: "Il peggiore sindaco della storia di Palermo"
Il sindaco ha parlato anche del suo futuro: "Non ho nessuna poltrona pronta, torno a fare l'avvocato e mi occuperò della mia famiglia". Cammarata ha smentito un suo ingresso in Mediaset, ventilato nei giorni scorsi: "Ipotesi di fantasia".

Uscendo di scena, Cammarata non ha risparmiato una stilettata a Lombardo: "Il presidente della Regione Lombardo in questi anni non ha avuto nessuna attenzione per Palermo, figuratevi che atteggiamento potrebbe tenere nei prossimi mesi. Non intendo dare alibi a nessuno. Credo che una gestione commissariale costringerà la Regione ad assumersi piena responsabilità nei confronti di Palermo. Lombardo non lo ha fatto nel passato e con me sindaco non lo farebbe di certo nei prossimi mesi di campagna elettorale. Con una gestione commissariale e una maggioranza in consiglio comunale omogenea al governo regionale Lombardo dovrà fare quello che non ha mai fatto in questi anni, almeno spero".

Non sono mancate battute polemiche nei confronti del Consiglio comunale: "Tra le ragioni delle mie dimissioni c'è anche l'immobilismo del Consiglio comunale che da due anni è in mano al centrosinistra e ha prodotto solo gettoni di presenza per i consiglieri. Il Consiglio è stato vergognoso e l'atteggiamento sciagurato mi ha indignato".

Vado via, dice Cammarata, con la coscienza a posto: "Passo la mano con l'orgoglio di lasciare i conti in ordine e un bilancio strutturalmente sano. Ho chiesto alla ragioneria generale di predisporre un bilancio di fine mandato accompagnato da una relazione sullo stato delle nostre finanze - ha aggiunto - e ciò a scanso di equivoci e per evitare che qualcuno parli, o meglio straparli, in maniera irresponsabile di comune di Palermo sull'orlo del dissesto o di grave situazione di indebitamento". 

E su eventuali nuove avventure politiche ha aggiunto: "Vedremo, anche se non credo che la politica sia a tempo indeterminato". "Non mi sono mai sentito abbandonato dal mio partito, il Pdl. Anzi ho avuto al mio fianco Schifani, Alfano che mi sono stati sempre vicini nelle decisioni che ho preso nei momenti piu" difficili. Ringrazio Gianni Letta che ho martirizzato al telefono tante volte e soprattutto il presidente Berlusconi nei cui confronti non ci sono parole per poterlo ringraziare". 

Le reazioni. "Quella delle dimissioni da sindaco di Diego Cammarata è una notizia purtroppo tardiva che noi palermitani auspicavamo da troppo tempo", ha detto la deputata palermitana del Pd, Alessandra Siragusa, dopo le dimissioni del sindaco. "Cammarata ci consegna una città segnata da una grave crisi politica, finanziaria e amministrativa - ha aggiunto - . In questi dieci anni la sua amministrazione ha bruciato in maniera impropria e improvvida le risorse pubbliche, come emerso anche da inchieste giornalistiche e giudiziarie che lo hanno visto coinvolto a vario titolo. Una situazione insostenibile pagata a caro prezzo dei palermitani".

Crisi, dalla Sicilia parte la protesta del movimento dei forconi.


Cinque giorni di mobilitazione. Tir e trattori fermi sulle strade dell'isola. Una settimana di mobilitazione del movimento, alleati con i trasportatori. Per la terra che non produce reddito ma solo debito.

Il movimento dei forconi
Gli “indignati” di Sicilia hanno rispolverato un’icona di chi lavora la terra: il forcone. In Trinacria è diventato il simbolo di un movimento di agricoltori che vuol far sentire la propria voce. Quelli dei forconi sono assolutamente determinati. Perché non hanno più nulla da perdere. Le loro aziende agricole sono in default. Quello che producono non genera più profitto, è solo un costo. Arance e pomodori, grano e zucchine non hanno più valore. I prezzi al mercato ortofrutticolo sono alterati dalla globalizzazione, dalla grande distribuzione, da prodotti importati spacciati per locali. Un chilo di limoni ormai si vende a meno di 30 centesimi di euro. Trasportarlo su un tir che va al Nord costa più del doppio.

L’economia agricola, che nell’isola coinvolge un milione di persone, è al tracollo. La domanda dei “forconi” è semplice: che succede se in Sicilia l’agricoltura si ferma? Se la rabbia degli agricoltori si unisce a quella dei trasportatori? L’alleanza tra i forconi, i trattori e i tir forse stavolta farà la differenza. Gli autotrasportatori dell’Aias hanno aderito alla protesta e si fermeranno. La scommessa è quella di riuscire a trasformarsi in “una forza d’urto”. Cinque giorni di mobilitazione a partire da domani, lunedì 16 gennaio. In strada agricoltori, pastori, autotrasportatori, commercianti, pescatori, commercianti. Tutti insieme per chiedere la defiscalizzazione dei carburanti e dell’energia elettrica, l’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo per risolvere la crisi dell’agricoltura e il blocco delle procedure esecutive della Serit, l’agenzia siciliana di riscossione dei tributi.

“Occuperemo luoghi strategici e simbolici in tutta la regione: snodi autostradali, porti, raffinerie, aeroporti, banche e sedi della Serit”, annuncia Mariano Ferro, 52 anni, che ha smesso di coltivare ortaggi in serra ed è uno dei leader della protesta dei forconi. “Vogliamo scrivere una pagina nella storia della Sicilia. Siamo stanchi di false promesse. Della politica che non dà risposte. Vogliamo che la gente torni a manifestare la sua indignazione e la sua voglia di cambiamento. E che il governo di Palermo ci ascolti”. Ferro è di Avola, fino a qualche anno fa uno dei centri agricoli più ricchi della provincia di Siracusa. Per chi ha memoria anche luogo di una pagina triste, passata alla storia come i “fatti di Avola”: era il 2 dicembre del ’68, la polizia sparò su un blocco stradale di braccianti agricoli in sciopero, 48 feriti e due morti.

di Renata Storaci


“Aritmia cardiaca” per Mills, udienza saltata. Prescrizione più vicina per Berlusconi



L'avvocato afferma di aver avuto problemi di salute dopo l'interrogatorio del pm De Pasquale al processo per corruzione in atti giudiziari contro l'ex presidente del consiglio. La corte dispone una visita medica entro il 20 gennaio. I termini per arrivare a sentenza scadono a metà febbraio.


L’avvocato inglese David Mills non si è presentato in aula al Tribunale di Milano, dove avrebbe dovuto essere completare la sua testimonianza nel processo per corruzione in atti giudiziari contro Silvio Berlusconi, che corre verso il limite della prescrizione. Secondo quanto comunicato in una lettera affidata ai suoi legali, Mills avrebbe accusato “un’aritmia cardiaca” durante “l’interrogatorio del 22 dicembre scorso (data della testimonianza per rogatoria di fronte al pm Fabio De Pasquale, ndr)“. L’episodio di aritmia “si è protratto anche per alcune ore dopo”. Il difensore inglese ha aggiunto che “questo pomeriggio Mills si presenterà in ospedale, dove verrà effettuato un esame, poi tornerà a casa e i medici dovranno decidere se ricoverarlo o meno”.

Dopo altre questioni procedurali che hanno ritardato nei mesi scorsi l’inizio della deposizione del testimone chiave – che è già stato condannato per aver ricevuto da Berlusconi 600 mila dollari per edulcorare le sue deposizioni alcuni processi – il processo rischia di non arrivare a sentenza prima della prescrizione, che scatterà a metà febbraio. La testimonianza di Mills è stata rimandata al 20 gennaio, data entro la quale il collegio presieduto da Francesca Vitale ha disposto “una procedura di controllo medico sul testimone”. I giudici milanesi hanno chiesto alla corte inglese di valutare, nel caso, l’accompagnamento coattivo di David Mills qualora venisse accertato che le sue condizioni di salute non sono tali da impedirgli la testimonianza.

“Prima di espormi a qualsiasi evento che può causare stress e conseguente attacco cardiaco”, scrive ancora Mills nella lettera, “il medico mi ha consigliato di sottopormi ad accertamenti. Desidero sottolineare comunque la mia assoluta volontà a testimoniare, perché tale testimonianze può alleviare la posizione di Silvio Berlusconi e la mia”.

Regione Lombardia, ordine di arresto per l’ex assessore Pdl Massimo Ponzoni.



Il politico risulta "irreperibile". Provvedimento cautelare della Procura di Monza per altre quattro persone, tra le quali il vicepresidente della Provincia brianzola Antonino Brambilla e l'ex assessore Rosario Perri, già coinvolto nell'inchiesta Infinito sulla 'ndrangheta. Le accuse vanno dalle tangenti sui piani urbanistici di Desio e Giussano alla bancarotta dell'immobiliare Pellicano, dove erano soci diversi big del partito berlusconiano.



Il consigliere regionale Pdl Massimo Ponzoni
L’ex assessore regionale della Lombardia e attuale consigliere Pdl del Pirellone Massimo Ponzoni è stato colpito da un provvedimento di custodia cautelare emesso dal Gip di Monza. Ponzoni, che si trova all’estero e risulta “irreperibile”, è accusato di bancarotta nell’ambito del crac della società Pellicano e di diversi episodi di corruzione relativi ai Piani di governo del territorio di Desio e Giussano. Altri reati contestati sono concussione, peculato, appropriazione indebita e finanziamento illecito ai partiti.

Ponzoni è il signore incontrastato del Pdl in Brianza (alle ultime elezioni regionali ha raggiunto il record di 11 mila preferenze), saldamente legato al governatore Roberto Formigoni. E’ stato assessore regionale all’ambiente e ricopre attualmente la carica di consigliere segretario del Consiglio regionale della Lombardia.

I militari della Guardia di finanza di Paderno Dugnano e del Nucleo di polizia tributaria di Milano hanno arrestato anche Franco Riva, ex sindaco di Giussano, Antonino Brambilla, vicepresidente della provincia di Monza e Brianza, Rosario Perri, ex assessore provinciale e e storico dirigente dell’Edilizia comunale a Desio, Filippo Duzioni, imprenditore bergamasco accusato di aver pagato una tangente a Ponzoni.

Perri, agli arresti domiciliari, era stato coinvolto nell’inchiesta Crimine-Infinito sulla ‘ndrangheta in Lombardia del luglio 2010, e si era dovuto dimettere dalla carica di assessore della Provincia di Monza-Brianza. Un altro terremoto giudiziario si abbatte dunque sul Pdl lombardo, dopo l’arresto del vicepresidente del consiglio regionale Franco Nicoli Cristiani, per una presunta corruzione legata al settore dello smaltimento dei rifiuti speciali.

A Ponzoni sono contestati reati contro la pubblica amministrazione, in particolare diversi episodi di corruzione, concussione e peculato. Determinati, secondo la Procura di Monza, “dalla capacità di Ponzoni Massimo di determinare, almeno in parte, i contenuti dei Piano di governo del territorio di Desio e Giussano, assicurando ad imprenditori a lui vicini (referenti di importanti gruppi societari) cambi di destinazione di terreni (da agricoli a edificabili), grazie ai legami influenti e al posizionamento di propri uomini di fiducia in ruoli chiave delle varie amministrazioni (a loro volta destinatari di denaro e/o altri vantaggi, anche solo in termini politico elettorali)”. Un ruolo chiave nell’indagine ha assunto la figura del’imprenditore Duzioni, il quale, a capo di un gruppo di aziende di consulenza, avrebbe trattato grosse somme di denaro frutto degli accordi corruttivi. Duzioni è accusato tra l’altro di aver pagato a Ponzoni una tangente di 220 mila euro per operazioni urbanistiche a Desio.

La seconda tranche dell’indagine riguarda la bancarotta della Pellicano srl, che aveva sede a Desio, in provincia di Monza e Brianza, nella segreteria politica di Ponzoni. Tra i soci figuravano esponenti di punta del Pdl lombardo: l’attuale assessore regionale Massimo Buscemi, il consigliere regionale Giorgio Pozzi e Rosanna Gariboldi, ex assessore provinciale a Pavia e moglie del parlamentare berlusconiano Giancarlo Abelli, già condannata per riciclaggio. Immobili di lusso costruiti da Pozzi, con la società General Project & Contract, sono interessati al “condono” dei sottotetti attualmente in discussione in consiglio regionale.

L’indagine sulla Pellicano e sull’Immobiliare Mais nasce alla fine del 2009 e si è sviluppata su due fronti. Uno che riguarda reati contro il patrimonio (appropriazione indebita sfociata anche in ipotesi di bancarotta fraudolenta) e finanziamento illecito a esponenti politici in relazione al sostenimento di spese, sia per la campagna elettorale di Massimo Ponzoni sia per fini personali, addebitate a una serie di compagini societarie, riconducibili sempre a Ponzoni e amministrate dall’allora socio e uomo di fiducia, il ragioniere Sergio Pennati, anche attraverso il ricorso alle false fatturazioni. Le due sono state dichiarate fallite dal Tribunale di Monza nel 2010, a seguito degli accertamenti condotti nel corso delle indagini.

La casa popolare della Polverini: «A 130 euro al mese».




Anche Renata Polverini finisce al centro di «affittopoli». La governatrice del Lazio proprio l'altro ieri aveva istituito una «commissione ispettiva» sull'Ater (l'azienda dell'edilizia popolare) di Roma. Obiettivo: fare luce su eventuali abusi e favoritismi nei contratti di affitto e di vendita delle case pubbliche. Da settimane il centrodestra accusa la vecchia giunta Veltroni di aver svenduto case ad amici e amici di amici. Ma ieri, appena 24 ore dopo l'annuncio della linea dura, Renata Polverini si è ritrovata a sua volta sotto accusa. Tirata in ballo da un'inchiesta pubblicata sul sito internet de l'Espresso.

Secondo la ricostruzione del settimanale (suffragata da certificati anagrafici), l'ex sindacalista per 15 anni, fino al 2004, ha avuto la propria residenza insieme al marito Massimo Cavicchioli in una casa dell'Ater in via Bramante, all'Aventino, quartiere extra lusso, usufruendo di un canone ultra-popolare: circa 130 euro al mese per 4 vani più bagno e cucina. E ancora oggi, sostiene il giornale, Cavicchioli risulta residente nell'appartamento.
Renata Polverini, cercata tramite la propria portavoce, ha preferito non commentare: «Domani (oggi per chi legge, ndr) forse parlerà di questa storia». La governatrice - secondo la ricostruzione de l'Espresso - dal settembre del 2004 abita e ha la propria residenza in un elegante appartamento a San Saba, altra zona extra lusso in pieno centro della Capitale. Si tratta di una casa acquistata nel 2002 dallo Ior: nove stanze, due box e tre balconi, pagata appena 272 mila euro (somma con la quale all'epoca a Roma si acquistavano sul mercato al massimo 70-75 metri fuori dal centro). E sempre nello stesso stabile aveva poi comprato nel 2004, quando ancora era residente nella casa Ater, un altro appartamento gemello, stavolta a 666 mila euro (valore sempre di molto inferiore rispetto ai prezzi di mercato), di proprietà di una società in affari con la Santa sede.

Concordia: trovato sesto cadavere. Mancano all'appello 16 persone.




(AGI) - Isola del Giglio, 16 gen. - Sale a 6 il numero delle vittime della Concordia. E' stato trovato il cadavere di un uomo, si tratterebbe di un passeggero. Si trovava nel secondo ponte, addosso ancora il giubbotto salvagente. Scende cosi' a 16 il numero dei dispersi, tra loro una bimba di 5 anni che viaggiava con il papa' e con la sua compagna. Proseguono, intanto, ininterrottamente, le ricerche.
Sull'isola sono operativi insieme ai sommozzatori dei Vigili del Fuoco, gruppi di speleosub dei Cnsas (Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico) e della Fias (Federazione italiana attivita' subacquea) che utilizzano attrezzature avanzate per la ricerca mirata di dispersi), grazie anche al possesso della mappatura della nave.
Sono arrivati anche 9 cani dell'unita' cinofila toscana dei Vigili del Fuoco addetti al ritrovamento di persone disperse.
Sono sbarcati al Giglio anche le squadre di sub della Protezione Civile con attrezzature particolari in grado di individuare i cadaveri in mare.
PREOCCUPAZIONE PER CAMBIO CONDIZIONI METEO
Cambia il tempo, previsto per le prossime ore un temporale, si increspa il mare e c'e' preoccupazione per la Concordia che potrebbe spostarsi rendendo sempre piu' complicate le operazioni di ricerca dei 16 dispersi, tra cui una bimba di 5 anni. Al momento un gruppo di sommozzatori dei vigili del fuoco e' salito a bordo per verificare la situazione.