Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 21 gennaio 2012
To know or not to Know …- di Claudia Petrazzuolo
Nel regno di Bengodia, divenuto famoso nel mondo per le facezie dei suoi governanti, per la profonda conoscenza del genere umano dei suoi arcivescovi, per la sapidità dei suoi poeti, per l’eclettismo dei suoi naviganti (rispettivamente: il nano, l’arcivescovo Nosiglia, l’on. Bondi ed il comandante Schettino, ndr) ogni giorno si va incontro a novità eclatanti e di sicuro effetto scenografico quando non si riesca, ma non sempre questo è possibile, ad assurgere alle vette Himalaiane della “sepsi cerebrale”.
Ma prima di dare spiegazione di quanto affermato, lasciatemi fare una divagazione; un mio amico una volta si lasciò andare a questa affermazione:” TRA IL BIANCO ED IL NERO CI SONO INFINITE SFUMATURE DI GRIGIO “.
Oh!, non è che lui volesse negare l’esistenza dei colori, intendeva solo dire che ogni aspetto della vita, ogni accadimento e persino ciascuno di noi, tutto e tutti insomma, se osservati e non semplicemente guardati, istante per istante, mostriamo una soggettiva, singolare, ed a volte, sincera verità. La cosa, a pensarci bene, è così vera che se, ad esempio, volessimo dare una spiegazione a ciò che accade, si riuscirebbe a trovare non solo argomenti in tal senso, ma addirittura giustificazioni anche ai fatti più efferati, prova ne sono le argomentazioni naziste al processo di Norimberga che pur sbagliate avevano, comunque, una loro logica. Quindi, una infinità di sfaccettature possibili legano due punti pur distanti tra loro, due visioni opposte della vita, due conseguenti comportamenti.
Ora succede, in questo paese geneticamente caotico, politicamente irriverente, tendenzialmente fascista, profeticamente schiavo, in nome di non si capisce bene quali interessi economici, Sua Maestà Giorgio I re di Napoli ed imperatore delle terre Italiche, abbia imposto al giullare di corte che reggeva “l’anormale” amministrazione di lasciare il passo ad altri per non nuocere ulteriormente al regno; e, succede anche, che coloro che erano stati eletti in funzione di una pseudo idea o per assonanza di intenti o, ancora, per interessi di lobby, si siano guardati in faccia e, appellandosi ognuno alla sua personale, singolare, sfaccettatura, abbiamo risposto, in coro ed all’unisono, all’invito alla sostituzione con il classico : “ Tu si’ pazz’ “ esponendo, molto chiaramente nell’idioma comprensibile al sovrano, la loro furbizia nel non togliere castagne dal fuoco con le quali sicuramente si sarebbero bruciati nel corso delle, prima o poi, possibili elezioni. E’ stato, così, ex abrupto nominato un nuovo cavaliere della tavola emicicla, al quale è stato affidato il rognoso compito di continuare a VESSARE ed IMPALARE un popolo remissivo, abituato bue quando già non lo fosse di suo.
Ma la parola POPOLO, che nell’accezione bengodiana, indica un termine astratto così come l’altra parola, molto spesso usata, GENTE, nella realtà quotidiana si rivela piena di densi significati ed entità che si chiamano PERSONE. Queste ultime, però, sono quelle che circadianamente, giorno per giorno, devono fare i conti con le varie sfaccettature dei singoli momenti e che quindi devono fare fronte alle bollette in scadenza, ai debiti accumulati, ai mutui, ai rifornimenti di carburante, ai vari canoni (TV, Bollo auto, assicurazioni …), ai vari versamenti al regno, e giù, sempre più giù, fino ad arrivare a dover fare il conto con la pura e semplice sopravvivenza. Capita, perciò, che ad un certo punto le PERSONE, ed all’inizio solo una parte di esse, si stanchino di vivere una vita fatta di ogni surrogazione possibile, e capita, persino, che ad un certo punto queste persone, prima singolarmente e poi in gruppo decidano di dire basta e decidano di ricorrere alla sepsi cerebrale dando dimostrazione di sé e della loro rabbia in maniera, forse sbagliata, ma comunque giustificabile, dando ascolto al primo che intuendone la capacità rivoluzionante ne solleciti e ne incalzi la legittima indignazione.
Le altre persone, QUELLE CHE ANCORA CREDONO ALLA LORO PERSONALE SFACCETTATURA ATTENDISTA, rimaste sorprese dal coraggio delle prime, forse un po’ pentite di non essere al primo posto o forse un po’ invidiose o, forse ancora, perché non ancora hanno raggiunto l’acme saturo della propria condizione, cominciano a cercare dietrologie, cominciano a fare dei distinguo, cominciano ad accusarli di un passato ignave, senza mai chiedere a sé stessi, però, nulla della propria singola dietrologia, dei propri distinguo, del PROPRIO PERSONALE IGNAVE PASSATO, correndo l’immenso rischio di PERDERE UN OCCASIONE, di MANCARE AD UN SUPPORTO, di PARTECIPARE, unificandolo, ad un TENTATIVO DI CAMBIAMENTO.
“ La LIBERTA’, diceva un grande, NON E’ STAR SOPRA UN ALBERO …, LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE … “
Buon week end amici, perché io potrò dire, a torto o a ragione: “ IO C’ERO! ”.
https://www.facebook.com/notes/claudia-petrazzuolo/to-be-or-not-to-be/232815323464748
Chissà cosa si fuma Calderoli - di Marco Travaglio
Ha un curriculum agghiacciante: dal finto rogo di leggi inutili alla difesa di Igor Marini, dalla moneta padana a cui voleva dare il suo nome agli aerei di Stato usati per andare a trovare la fidanzata. Eppure, in Italia, uno così è ancora in giro a pontificare.
Se non fosse l'autore della legge elettorale appena imbalsamata dalla Consulta, per gli amici "porcellum"; se con una t-shirt antislamica non avesse provocato una rivolta a Bengasi costata la vita a 11 persone; se non avesse riscritto mezza Costituzione in una baita del Cadore; se non fosse stato ministro delle Riforme e poi della Semplificazione; se non avesse preso soldi da Gianpiero Fiorani ai tempi della scalata ad Antonveneta e del salvataggio di Credieuronord; se non chiamasse i gay "culattoni ricchioni" e gli immigrati "bingo-bongo"; se non avesse proposto il "Maiale Day" contro la moschea di Bologna; se non avesse depenalizzato la banda armata a fini politici per salvare i leghisti imputatii al Tribunale di Verona per le camicie verdi, tra i quali se medesimo; insomma se non fosse Roberto Calderoli, Roberto Calderoli sarebbe un tipo simpatico.
E' stato il più antiberlusconiano e il più berlusconiano dei leghisti. Ha proposto di rimpiazzare la lira con una moneta padana chiamata "calderolo". Ha definito Igor Marini, il pataccaro della Telekom-Serbia, "una persona di una memoria che fa impallidire Pico della Mirandola, intelligente, sveglia, preparata". Ha salutato l'elezione di papa Ratzinger dicendo "a Benedetto XVI avrei preferito Crautus I".
Divenuto ministro, ha confessato: "Su di me non avrei scommesso un euro".
Due anni fa convocò giornalisti e cameraman perché lo immortalassero mentre incendiava con la fiamma ossidrica un cumulo di carte che spacciò per "375 mila leggi inutili che ho abrogato come ministro della Semplificazione". Si scoprì poi che il Parlamento, per produrre 375 mila leggi, avrebbe dovuto lavorare ininterrottamente per 150 anni, compresi quelli di guerra e i mesi di ferie, dall'Unità d'Italia a oggi, con una media di 7,8 norme al giorno. Dunque non s'è mai capito che diavolo abbia bruciato Calderoli quel giorno. E soprattutto che si era fumato.
Di recente, passato all'opposizione, ha scagliato un'interrogazione parlamentare contro Mario Monti, reo di aver cenato la sera di San Silvestro con i parenti stretti nell'alloggio di servizio di Palazzo Chigi, per invocarne le immediate dimissioni e sapere "se risponda al vero la notizia secondo cui la notte dell'ultimo dell'anno si siano tenuti dei festeggiamenti presso la presidenza del Consiglio" e "chi ha sostenuto gli oneri diretti e indiretti della serata", perché "mentre i cittadini sono costretti a tirare la cinghia dalle misure del governo, sarebbe davvero incredibile, oltre che gravissimo, se venisse confermato che il premier ha utilizzato un palazzo istituzionale e il relativo personale per una festa di natura privata".
Monti ha risposto sobrio e mesto che "gli acquisti di cotechino, lenticchie, tortellini e dolce sono stati effettuati a proprie spese dalla signora Monti", che ha pure cucinato e servito in tavola. Oneri per lo Stato: zero. Ma il Pota non s'è dato per vinto: la cena "è assolutamente inaccettabile" perché "la signora Monti che sparecchia e lava i piatti e Monti che scende ad aprire il portone non me li vedo, sicuramente c'erano quelli della sicurezza e i commessi... Avessi proposto io una cena con famiglia al ministero, avrebbero chiamato il 118".
Ora però si scopre, come rivela "Libero", che Calderoli è indagato dalla Procura di Roma con l'accusa di aver truffato la presidenza del Consiglio per usare un aereo di Stato che non gli spettava.
Il 19 gennaio 2011 si librò da Roma, atterrò a Levaldigi (Cuneo) per visitare il figlio della sua compagna Giovanna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo), finito in ospedale dopo un incidente stradale. Fatti privati spacciati da Calderoli per "comprovate inderogabili esigenze di trasferimento connesse all'esercizio di funzioni istituzionali". Costo della trasvolata: 10.271,56 euro.
Il Tribunale dei ministri ha chiesto al Senato l'autorizzazione a processarlo. Ma il Senato la negherà, come fa sempre e com'è giusto che sia. Calderoli dev'essere per forza innocente. Se davvero avesse speso 10 mila euro di soldi nostri per i comodi suoi e avesse poi chiesto le dimissioni di Monti per un cotechino, bisognerebbe chiamare il 118.
(L'Espresso 20/1/2012)
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=314061098632095&set=a.139700576068149.13581.139696202735253&type=1
venerdì 20 gennaio 2012
Intimidazioni e minacce ai commercianti Ombra della mafia sul Movimento dei Forconi. - di Claudia Campese
Emblematico il caso di Lentini, in provincia di Siracusa, dove i manifestanti girano in squadre per convincere i negozianti ad abbassare le saracinesche. Il leader della protesta, Martino Morsello, ha iniziato uno sciopero della fame per sollecitare le autorità ad accertare "la verità di tali gravi affermazioni e conoscere i nomi dei criminali che potrebbero esserci vicini".
“Le squadre stanno girando”. E’ la formula che in questi giorni passa di bocca in bocca tra molti commercianti siciliani che subito si apprestano ad abbassare la saracinesca delle proprie attività. Rendendo impossibile in paesi comeLentini, in provincia di Siracusa, trovare anche solo un panificio aperto. E’ l’effetto delle proteste di autotrasportatori e agricoltori che da lunedì stanno bloccando l’isola. E’ l’ombra della mafia nella manifestazione, denunciata più volte e a vari livelli. Intimidazioni, raccontano i commercianti. Tentativi pacifici di convincere quanti più siciliani è possibile ad aderire, rispondono i manifestanti che respingono ogni accusa. “Ma dire ‘poi non vi lamentate se mettono le bombe’ vi sembra un garbato invito?”, sbotta un negoziante di Lentini. Il leader dei Forconi, Martino Morsello, ha iniziato uno sciopero della fame per sollecitare le autorità ad accertare “la verità di tali gravissime affermazioni e conoscere i nomi dei personaggi mafiosi che potrebbero essere vicini al nostro movimento”, spiega.
Nel Catanese, una trentina di commercianti si sono rivolti alla Confcommercio locale. Che ieri ha girato le loro segnalazioni al viceprefetto vicario etneo chiedendo “un passo più fermo”, spiega il presidente Riccardo Galimberti. Non contro la protesta in sé – con cui molti solidarizzano – ma nei confronti dei metodi intimidatori e dei danni provocati da queste chiusure forzate. “Danni che ammontano già a circa 500 milioni di euro” continua Galimberti. “I negozianti hanno paura delle ritorsioni” conferma Salvatore Giuffrida, dell’associazione antiracket lentinese. “Come posso rischiare? – chiede un commerciante – Un incendio al negozio distruggerebbe in pochi minuti il sacrificio di anni”.
Cittadini e negozianti raccontano di un metodo ormai rodato. I manifestanti – o più spesso gli amici degli amici – girano in squadre, sui motorini, per il paese. Quando trovano un negozio ancora aperto chiamano a raccolta gli altri. “E arrivano in dieci a chiederti di chiudere. Ma sempre gentilmente, eh”, spiega amaro un altro esercente che preferisce restare anonimo. E così Lentini sembra ormai “un paese fantasma”. Negozi chiusi e blocco autostradale all’ingresso. Rallentamenti consistenti in uscita. Da ieri, su Facebook, gira la nota di un produttore agrumicolo lentinese. “Ho passato un po’ di tempo ad osservare questi blocchi, non c’era ovviamente nessuna facoltà nel poter scegliere di aderire o meno – scrive – I toni ed i modi erano semplicemente intimidatori, in una maniera che nessun siciliano che voglia campare cent’anni potrebbe mai fraintendere”.
E a notarlo non sono solo i cittadini siciliani. “Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene”, commentano dalla centrale operativa dei Carabinieri di Augusta, da cui Lentini dipende. “Eppure qui di denunce ne sono arrivate poche”. Senza quelle è impossibile intervenire, lamentano. “Se vuoi la mia denuncia, devi guadagnartela – risponde un commerciante – Come faccio a fidarmi se anche un vigile urbano mi consiglia di chiudere?”. Stessa amarezza del produttore agrumicolo: “Il fatto che le forze dell’ordine abbiano assistito passivamente a questi eventi, con i finestrini delle macchine ben chiusi per non sentire il carattere intimidatorio dei pacifici manifestanti nei confronti degli autisti dei mezzi è gravissimo”.
“Quando c’è disperazione e mancanza di prospettive per il futuro, la situazione diventa sempre complicata – commenta Armando Rossitto, di Libera Lentini – Siamo allarmati dai racconti dei commercianti, ma dire che il problema è solo la presenza della mafia è riduttivo. Anzi, se fosse così, sarebbe tutto molto più semplice da risolvere”. Per i negozianti, però, di sicuro c’è solo che “lo Stato sta perdendo contro questi delinquenti”.
Nel Catanese, una trentina di commercianti si sono rivolti alla Confcommercio locale. Che ieri ha girato le loro segnalazioni al viceprefetto vicario etneo chiedendo “un passo più fermo”, spiega il presidente Riccardo Galimberti. Non contro la protesta in sé – con cui molti solidarizzano – ma nei confronti dei metodi intimidatori e dei danni provocati da queste chiusure forzate. “Danni che ammontano già a circa 500 milioni di euro” continua Galimberti. “I negozianti hanno paura delle ritorsioni” conferma Salvatore Giuffrida, dell’associazione antiracket lentinese. “Come posso rischiare? – chiede un commerciante – Un incendio al negozio distruggerebbe in pochi minuti il sacrificio di anni”.
Cittadini e negozianti raccontano di un metodo ormai rodato. I manifestanti – o più spesso gli amici degli amici – girano in squadre, sui motorini, per il paese. Quando trovano un negozio ancora aperto chiamano a raccolta gli altri. “E arrivano in dieci a chiederti di chiudere. Ma sempre gentilmente, eh”, spiega amaro un altro esercente che preferisce restare anonimo. E così Lentini sembra ormai “un paese fantasma”. Negozi chiusi e blocco autostradale all’ingresso. Rallentamenti consistenti in uscita. Da ieri, su Facebook, gira la nota di un produttore agrumicolo lentinese. “Ho passato un po’ di tempo ad osservare questi blocchi, non c’era ovviamente nessuna facoltà nel poter scegliere di aderire o meno – scrive – I toni ed i modi erano semplicemente intimidatori, in una maniera che nessun siciliano che voglia campare cent’anni potrebbe mai fraintendere”.
E a notarlo non sono solo i cittadini siciliani. “Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersene”, commentano dalla centrale operativa dei Carabinieri di Augusta, da cui Lentini dipende. “Eppure qui di denunce ne sono arrivate poche”. Senza quelle è impossibile intervenire, lamentano. “Se vuoi la mia denuncia, devi guadagnartela – risponde un commerciante – Come faccio a fidarmi se anche un vigile urbano mi consiglia di chiudere?”. Stessa amarezza del produttore agrumicolo: “Il fatto che le forze dell’ordine abbiano assistito passivamente a questi eventi, con i finestrini delle macchine ben chiusi per non sentire il carattere intimidatorio dei pacifici manifestanti nei confronti degli autisti dei mezzi è gravissimo”.
“Quando c’è disperazione e mancanza di prospettive per il futuro, la situazione diventa sempre complicata – commenta Armando Rossitto, di Libera Lentini – Siamo allarmati dai racconti dei commercianti, ma dire che il problema è solo la presenza della mafia è riduttivo. Anzi, se fosse così, sarebbe tutto molto più semplice da risolvere”. Per i negozianti, però, di sicuro c’è solo che “lo Stato sta perdendo contro questi delinquenti”.
Il governo Monti e lo spirito del finanzcapitalismo. - di Alberto Asor Rosa.
Il governo Monti - nella sua colossale pulsione neocentrista - esprime una "tecnicità" tutta inscritta nell'orbita di valori - culturali, ideali, economici ma soprattutto, antropologici - che caratterizzano l'attuale orizzonte tecnopolitico europeo. Per fronteggiare questa "saggezza" ci vuole un pensiero altrettanto globale e onnicomprensivo di quello su cui essa si sostiene e motiva.
E se cercassimo di ricostruire l'intera vicenda politica italiana recente almeno nei suoi passaggi fondamentali? Il vantaggio sarebbe duplice: potremmo innanzitutto organizzare dei focolai di discussione intorno a ognuno di quei passaggi al fine di decidere più meditatamente se li abbiamo letti bene oppure no (a suo tempo e oggi): e potremmo in secondo luogo arrivare a conclusioni meno precarie e instabili e, se non più tranquillizzanti, almeno dotate di una più ampia prospettiva strategica.
La mia tesi di fondo, che enuncio subito per amor di chiarezza, è che abbiamo assistito a novità molto più straordinarie e profonde di quanto comunemente non si dica. Il carattere davvero insolito del processo che si è dipanato qui da noi nel corso degli ultimi mesi non è però (almeno non del tutto) improvvisato; ossia, più esattamente: dato quel che che si è visto, non può esserlo. Questo rende le (suddette) novità probabilmente più durature di quanto non si pensi, contrapponendosi loro, in caso di fallimento, una crisi verticale di sistema (la quale resta comunque, fin dall'inizio, una delle principali motivazioni, anzi giustificazioni, anche sul piano etico e locale, di tale esperimento). Ma vediamo.
1. Per essere documentali e precisi dovremmo risalire all'indietro fino, almeno, a vent'anni fa, e cioè alla genesi e alle fortune, imprevedibili in qualsiasi altro paese europeo che si rispetti, di Silvio Berlusconi e del berlusconismo e alla contemporanea decadenza e frantumazione e impotenza del restante quadro politico italiano. Siccome non lo possiamo fare (ma vorremmo comunque che il lettore con la coda dell'occhio lo seguisse e lo tenesse presente), fermiamoci al 2011, al progressivo, rapidissimo, sconvolgente degrado della situazione italiana, ai vizi pubblici e privati da ogni parte debordanti, alla perdita clamorosa di ogni credibilità nazionale (inserita bensì, come sappiamo, in una crisi economica globale ed epocale, ma destinata a renderla più catastrofica che altrove), fino alle prime, drammatiche giornate di novembre.
In questa situazione il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appena al di qua del baratro, mette fuori gioco il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, con l'inedita formula: «prima l'approvazione in Parlamento della manovra, poi le dimissioni» (dimissioni sulle quali, come recitò un comunicato del Quirinale, non poteva esistere «nessuna incertezza»). Berlusconi dunque non fu sfiduciato (nel senso letterale del termine) dalle Camere: ma indotto alle dimissione da una moral suasion spinta oltre qualsiasi traguardo precedente.
E' vero: nell'operazione di avvicendamento non c'è stata (io penso) una vera e propria forzatura costituzionale. Ma una formidabile pressione politica sì, non mi pare possa essercene alcun ragionevole dubbio. Può dolersene uno come me che era arrivato a richiedere l'intervento dei carabinieri per liberarci dalla sempre più catastrofica presenza del governo Berlusconi? Evidentemente no. Anzi: chapeau!(potrei, se mai, pretendere che mi sia restituito l'onore che mi era stato strappato ai tempi della mia sparata: in fondo, gli strumenti, i mezzi, la capacità di manovra, la lungimiranza sono stati ben diversi - e come avrebbe potuto essere altrimenti? -, ma le intenzioni e soprattutto gli effetti gli stessi).
2. Date le premesse, è abbastanza ragionevole che nessun governo "politico" fosse in grado di subentrare al governo Berlusconi: ed è perciò che la presidenza del Consiglio è stata affidata dalla presidenza della Repubblica a un "tecnico", il professor Mario Monti, che ha formato intenzionalmente e dichiaratamente un governo di soli "tecnici". Rinuncerei ad entrare nel merito dell'ormai stucchevole questione se il governo Monti, sia al tempo stesso anche un governo "politico": è chiaro che ogni governo "tecnico" è anche "politico", e ogni governo "politico" è anche "tecnico", ammesso che voglia governare; ma - e questo è fondamentale nel mio ragionamento - un governo "tecnico" resta nonostante tutto un governo "tecnico", ben diverso da uno stricto sensu "politico".
E' la prima volta che questo accade in questa misura estrema in Italia. Gli uomini della Destra storica erano in parte dei tecnici, ma prestati da lungo tempo alla politica (facevano, insomma, "partito"). Lo stacco fra "il governo" e "la politica" si fa dunque attualmente più marcato che in qualsiasi altro momento della storia italiana. Per dirla più semplicemente: per governare non è più necessario essere "rappresentanti del popolo", cioè passati attraverso il filtro del voto. I "rappresentanti del popolo" divengono ormai solo l'interfaccia del potere: colloquiano con il potere e in qualche modo tentano d'influenzarlo, ma restandone (almeno per ora) totalmente all'esterno. La meccanica decisionale cambia radicalmente: il "sistema democratico" tende a conformarsi come un "duopolio del potere".
La "tecnicità" di questo governo potrebbe cioè essere una caratteristica non transeunte della gestione del potere in un paese dalla fragile democrazia e dai non irreprensibili costumi come l'Italia. Il primo pilastro dell'esperimento testè iniziato si presenta insomma come uno "strumento decisionale" di tipo nuovo, stabilmente e (molti dicono) finalmente sottratto alle fluttuazioni delle interne (ed esterne) contrattazioni e agli interessi di parte continuamente ricorrenti (la violenta campagna in atto da mesi contro la "casta", certo non priva di motivazioni, tuttavia non ha fatto che accentuare questa richiesta di una governance sottratta alla tabe della politica). Insomma: un governo non più "di parte", ma singolarmente "super partes", e quindi autorevole ed efficace non a dispetto ma in considerazione esattamente della sua natura non rappresentativa.
3. A garantire la persistenza del rapporto fra le due componenti del duopolio (governo tecnico e rappresentanza politica parlamentare) ci pensa l'oculata presenza del Presidente della Repubblica, cui non a caso, ovviamente, va ricondotta l'origine di tutta l'operazione. Il secondo pilastro - ma primo in ordine di tempo e d'importanza - è dunque la presidenza della Repubblica (non a caso gli editorialisti del Corriere della sera Panebianco e Galli della Loggia pretenderebbero che si dia veste anche formale alla innovazione, transitando dalla Repubblica parlamentare a quella presidenziale).
E' giocoforza, di conseguenza, osservare che in una situazione del genere il "duopolio", oltre che dal basso verso l'alto (cioè dal parlamento verso il governo), si genera anche dall'alto verso il basso, e cioè al vertice del potere. Senza voler togliere niente a nessuno (lo dico con autentico rispetto), è il Presidente della Repubblica che dà la linea e il Presidente del Consiglio la interpreta e realizza (il discorso di fine anno di Napolitano conferma in maniera decisiva questa impressione). Per dirla in modo meno tranchant: fra i due esiste un interscambio continuo, che discende da un'assoluta uniformità di vedute su questioni di fondo e da una precisa divisione dei compiti e delle funzioni (una cosa così non s'improvvisa, è evidente che era in gestazione da tempo: altrimenti non avrebbe potuto funzionare così bene).
Come è potuto accadere - e in Italia, poi - un mutamento così rapido e profondo? Qui entriamo nel vivo della questione. Il fatto è che, dietro l'uno come dietro l'altro di questi due protagonisti c'è l'Europa: ovvero, meglio, quell'insieme di valori, comportamenti, giudizi e pregiudizi, orientamenti di politica economica e visioni civili, che tradizionalmente promana dalla tecnocrazia di Bruxelles, più che dal ceto politico per ora dominante in Francia e in Germania: Sarkozy e Merkel hanno certo recitato la loro parte in questa vicenda italiana - non c'è bisogno di pensare alla famosa telefonata in cui la Merkel avrebbe chiesto a Napolitano la liquidazione di Berlusconi, per arrivare alle medesime conclusioni -, ma la stella polare dei nostri due eroi è a Bruxelles, non altrove. Come sia stato possibile che a questa assolutamente non posticcia convergenza di propositi e, direi, di culture politiche siano pervenuti contemporaneamente un raffinato politico iscritto per più di cinquant'anni al più grande partito comunista dell'Occidente e un professore di chiaro orientamento conservatore formato e cresciuto nella più autorevole università privata del nostro paese, è un'altra delle singolarità di questa storia, sulla quale non abbiamo né il tempo né lo spazio per qui soffermarci (ma che di certo, ai fini di migliore conoscenza storica, andrebbe meglio studiata).
4. Il "governo tecnico" prodotto da questo duplice, inedito duopolio del potere, è formato da personale proveniente dalle università (prevalentemente private, e anche questo occupa un suo posto di chiaro rilievo nel mio ragionamento), dalle banche, da iniziative imprenditoriali pubbliche e private, dal personale tecnico-amministrativo dei ministeri corrispondenti, ecc. ecc. Profilo generalmente dignitoso, in qualche caso molto elevato; il salto di stile rispetto al "governo politico" che lo ha preceduto (e anche di molti altri governi degli anni passati) è assolutamente marcato. Quando Monti è apparso per la prima volta in televisione a Strasburgo accanto a Merkel e Sarkozy, mi sono sorpreso a pensare quanto fossero buffi il francese Sarkozy e la germanica Merkel di fronte all'eleganza dignitosa e riservata dell'italiano Monti. E il mio italico cuore non ha potuto reprimere un sobbalzo d'orgoglio.
5. Un altro tratto accomuna i componenti del "governo dei tecnici" Monti: l'essere a fortissima (esclusiva?) caratterizzazione cattolica. Insomma: tutti questi "onesti uomini" ministri e queste "onestissime donne" ministre la domenica vanno a messa. Una cosa del genere non s'era mai vista neanche nei governi della fase di assoluta predominanza democristiana successivi al 1948, nei quali sedevano, e sia pure in posizione di assoluta subalternità, esponenti di chiara, anche se fragile, ascendenza laica. In sé e per sé la cosa non avrebbe motivo di suscitare reazioni. Tuttavia, se il fenomeno da individuale si fa collettivo, esso tende a far massa e a produrre effetti conseguenti (ci si può chiedere fin d'ora, infatti, quale sarebbe l'atteggiamento del governo Monti di fronte a un nuovo caso Englaro). Naturalmente questa spiccata connotazione religiosa non va inscritta automaticamente (mi pare) in nessuna reale o ipocrita vocazione partitica: e questa è un'ulteriore connotazione di novità, da cui il fenomeno appare contraddistinto. Ciò, infatti, apre un fronte di rapporti inediti con la Chiesa di Roma, non mediati, appunto, dai (spesso scomodi) filtri partitici, e perciò più diretti, e insieme più liberi e flessibili: la felice esperienza pluridecennale della Comunità di Sant'Egidio, non a caso assunta direttamente nell'organigramma di questo governo, potrebbe rappresentarne un utile precedente, e magari un ulteriore coagulo nei prossimi mesi, e forse anni. Non stupisce perciò che la Chiesa di Roma, dopo il lungo (e alquanto abnorme) idillio con il governo Berlusconi, si schieri urbi et orbi dietro il governo Monti: esso rappresenta per lei l'ottima chance per rimediare agli errori commessi e recuperare il tempo perduto in un vano inseguimento alla falena Berlusconi.
Il Governo Monti poggia dunque, almeno in questo suo inizio, su questi quattro formidabili pilastri: la sua propria "tecnicità", che va intesa, più che come superiore sapienza ed esperienza, come estraneità alle procedure e allo spirito del tradizionale gioco politico italiano: la Presidenza della Repubblica; l'Europa di Bruxelles; la Chiesa di Roma: autorità d'indiscutibile prestigio, tutte convergenti, in maniera probabilmente non casuale, verso il medesimo obiettivo.
6. Il governo Monti è stato costituito e messo alla prova esplicitamente per arrestare la catastrofe economica nazionale. Le misure di pronto intervento sono state assunte dal governo sotto la pressione di una formidabile urgenza: non si poteva fare di più e soprattutto di meglio nello spazio consentito dall'incalzare degli eventi (per lo stesso motivo è stato esorcizzato il ricorso alle urne, che sarebbe stato il normale metodo per far fronte a una crisi di governo parlamentare irrimediabile). Questo spiega perché tali misure siano apparse da subito così tradizionali: tagliare qualcosa a tutti invece che tagliare molto ad alcuni è, tecnicamente, molto più semplice, rapido ed efficace - se si prescinde, naturalmente, dalle reazioni delle grandi masse duramente toccate dalla manovra. Intervenire sulle pensioni, aumentare l'età pensionabile, tornare a tassare e/o tassare più violentemente la proprietà immobiliare senza distinzioni di ceto né di situazioni sociali poteva venire in mente (lo dico senza ironia) a ognuno di noi comuni mortali. E poi, a seguire: gas, energia elettrica, autostrade, benzina, ecc. ecc.: la logica è sempre la stessa, tutti, più o meno, vengono colpiti, perché il colpo, per così dire, sia universalmente doloroso ma non mortale per nessuno.
La tecnicità, in prima battuta, c'entra poco, mi sembra. Qui converrebbe piuttosto chiamare in causa un'altra, importante caratteristica di questo governo (dopo tecnicità e cattolicesimo): e cioè il fatto che questa tecnicità è a sua volta tutta inscritta nell'orbita di valori - culturali, ideali, economici ma soprattutto, mi verrebbe voglia di dire, antropologici - che caratterizzano l'attuale orizzonte tecnopolitico europeo. Se gli elettori dei rispettivi paesi mandassero a casa, come si spera, Sarkozy e Merkel, forse qualcosa potrebbe cambiare (ma intanto gli elettori spagnoli hanno mandato a casa Zapatero). Per ora, però, il quadro - ferreo quadro - è questo e tout se tient.
Dati quei parametri, quei meccanismi finanziari, quelle scelte civili oltre che economiche (bisognerebbe rendere obbligatorio a sinistra, e anche altrove, la lettura di Finanzcapitalismo di Luciano Gallino), il resto quasi automaticamente ne consegue, e il governo Monti non ha fatto per ora che interpretare questa logica. La «fase due» si profila incerta all'orizzonte. Se essa dovesse imperniarsi, come sembra, sulle liberalizzazioni dei taxi, delle farmacie e delle professioni (che una volta, ormai paradossalmente, si dicevano "liberali"), la tecnicità avrebbe dato per la seconda volta in pochi mesi una prova sostanzialmente modesta. Se invece, com'è pressoché inevitabile, dietro questa cortina sostanzialmente fumogena, si andassero a toccare i rapporti e i diritti del lavoro, il quadro logico-tecnico-politico di questo governo non potrebbe che risultarne ancora più coerente e, nella prospettiva, consolidato: ma anche, al tempo stesso, più energicamente e fino in fondo contestabile.
7. Portato in parlamento il governo Monti ha ricevuto una maggioranza schiacciante; portata in parlamento la manovra ha ricevuto una maggioranza alquanto inferiore, ma sempre straordinaria. Anche questo fenomeno non s'è mai visto in queste dimensioni nella storia dell'Italia unita (dico: dell'Italia unita) se si esclude ovviamente la "parentesi del fascismo". L'esperienza che da questo punto di vista gli si avvicina di più è quella del ministero guidato da Luigi Luzzatti (a modo suo anche lui un tecnico: era stato più volte in precedenza ministro del tesoro), il quale, fra il marzo 1910 e il marzo 1911, in un breve interregno della lunga egemonia giolittiana, ne formò uno composto da uomini di professioni politiche assolutamente eterogenee, con il compito, peculiarmente, di varare una nuova legge elettorale (che invece poi fu bocciata) ed ebbe alla Camera l'astronomica maggioranza di 386 voti favorevoli su 415 votanti. Naturalmente le affinità finiscono qui (anche se anche nel ministero Luzzatti, come in ogni governo «tecnico» che si rispetti, la carica di ministro degli Esteri fu ricoperta da un ambasciatore). Per quel che riguarda il ministero Monti, la cosa ha infatti una rilevanza politica ben maggiore. Il ministero Luzzatti ebbe la sua spropositata maggioranza in base ad una consultazione parlamentare in gran parte preventiva: il ministero Monti l'ha avuta solo dopo, in conseguenza della scelta delle principali forze politiche - fino a quel momento di maggioranza come d'opposizione - di convergere su di esso, una volta formato il governo.
Si presenta qui con forza, a far da quinto pilastro al governo Monti, un protagonista indispensabile e di primissimo piano di tutta la vicenda, e cioè l'Italia, del resto continuamente evocata nel corso del 2011, l'anno del suo centocinquantenario, a far da riferimento o da ammonimento a tutte le azioni politiche in corso nella Repubblica. Superfluo rammentare il ruolo decisivo esercitato anche in questo senso dal Presidente della Repubblica. E' in nome della salvezza della comune e unica patria di cui tutti disponiamo ("la Nostra Patria", appunto, non la patria di questo o di quello), che i partiti rappresentati in parlamento si sono, "con senso di responsabilità" (l'espressione è di Berlusconi, ma rapidissimamente è stata fatta propria da tutti gli altri protagonisti della storia unione), adattati all'inedita e in larga misura imprevista situazione. E' ovvio che una componente di natura nazionale (nazionalistica?) faccia parte di ogni esperienza emergenziale.
8. Ma non esistono più in Italia una Destra e una Sinistra? Non ci sono più diversità e contrapposizioni di logiche, programmi, culture, non ci sono più antagonismi storici, oggettivi, insormontabili, tra i diversi settori dell'elettorato? Qual è la mano santa che riconduce tutto questo all'unità di una sola proposta e manovra di governo? Nel determinare il fenomeno intervengono due fattori, provvisoriamente (solo provvisoriamente?) convergenti, l'uno di natura oggettiva, l'altro eminentemente soggettivo, o anche, a dir la verità, un poco artificioso.
Quello oggettivo, non c'è bisogno di descriverlo molto, è sotto gli occhi di tutti: lo spappolamento in Italia della struttura delle classi, la comparsa di un gigantesco, proteiforme contenitore sociale, dove sacche residue di vecchio proletariato industriale convivono gomito a gomito con fasce di piccola e piccolissima borghesia in sfacelo, e i soggetti dotati ancora di una precisa identità sociale si trovano isolati e circondati da masse anonime di consumatori sempre più allo stremo; e a far da collante a tutto questo una spropositata, crescente (e in larga misura motivata) sfiducia nella politica e nei suoi principali strumenti, i partiti e la cosiddetta "classe dirigente". È in situazioni del genere, contraddistinte da una congenita fragilità democratica, che il capitale rinuncia a servirsi delle tradizionali, ormai inefficaci e inconcludenti, mediazioni politiche e passa a gestire la cosa pubblica in proprio (non a caso pretendendo, come linea generale di condotta, che sia il pubblico ad adattarsi a regole e consuetudini del privato per poter funzionare).
Un governo il quale, per l'appunto, non è dichiaratamente né di destra né di sinistra, e cioè non è un "governo politico" nel senso tradizionale del termine, proprio perché è un "governo tecnico", può pescare consenso, oltre che fra ceti decisamente dominanti, nelle grandi masse prive di identità (la "moltitudine" negriana, ma risolutamente rovesciata in negativo), più di ogni altro settore sociale a rischio.
Su questa realtà oggettiva - e dunque non senza motivazioni e giustificazioni reali - interviene la manovra soggettiva (e artificiosa). I partiti che siedono attualmente in parlamento sono (salvo che qua e là, in zone limitate del paese) larve di organizzazione, non più in grado di secernere il grano dal loglio, perché la confusione sociale circostante si è riversata anche al loro interno (basti pensare al Pd e alle sue molteplici e contraddittorie anime: dalla giraffa comunista non è nato, come io auspicavo anni fa, un buon, normale cavallo occidentale, ma un grifone con la testa d'uccello e gli zoccoli da quadrupede). In questa situazione era normale che i principali protagonisti dell'aspro scontro politico-sociale dell'era berlusconiana convergessero sull'ipotesi dell'appoggio al medesimo "governo unico": non avevano scampo, perché non c'era scampo.
I primi effetti "politici" (questa volta da intendersi in senso tradizionale) di questa manovra sono stati la scomparsa dalla scena del patto di Vasto, l'unico ragionevole marchingegno pre-elettorale che il buon Bersani fosse riuscito con grande fatica a mettere in piedi (Di Pietro, che non ne ha mai sofferto, è stato improvvisamente precipitato nella partita del dubbio amletico; Vendola ha scelto di tacere, perché anche lui non aveva altra scelta); e l'emarginazione del gioco della Lega, che, non avendo a che fare né con la Presidenza della Repubblica, né con i professori universitari, né con l'Europa, né con la Chiesa, è stata costretta a ricacciarsi nei suoi provinciali nidi di partenza. Non irrilevante anche, in questo quadro, che Silvio Berlusconi, depravatissimo e deprecatissimo come Presidente del Consiglio, sia stato restituito a una sua tranquilla, rispettabile e da tutti rispettata onorabilità in quanto leader di uno dei partiti che sostengono l'attuale governo. Non ci sono più escort in giro, la vita privata del Cavaliere è diventata improvvisamente impenetrabile e ingiudicabile, i suoi atti non sono più gravati dal conflitto d'interesse e dalle grane giudiziarie: lo si consulta perciò normalmente e disinvoltamente e lo si ascolta e commenta con grande attenzione quando sussurra, con astuta parsimonia, le sue riflessioni sul bene del popolo e della Nazione. Per forza: se toglie l'appoggio, il castello genialmente creato crolla di colpo.
Quel che strategicamente emerge è dunque una colossale pulsione neocentrista: ossia la spinta a creare al Centro un'aggregazione imponente (non necessariamente un nuovo partito: anzi), che proprio nella tecnicità troverebbe il suo esemplare punto di riferimento e di "rappresentazione". Non a caso esulta più di chiunque altro Casini che, sia pure per ora non in prima persona, si vede idealmente proiettato (e senza sforzo alcuno)... al centro dell'operazione; e nel Pd trionfa di nuovo Walter Veltroni, il quale finalmente scorge le sue pulsioni antibersaniane di sempre colorarsi di realtà.
In Italia, storicamente, questa convergenza delle ali verso il Centro ha preso il nome di trasformismo: nella sua versione nobile una forma della politica destinata a sopperire alle carenze dei singoli partiti, trovando fra i rappresentanti del popolo, nei momenti considerati più gravi, quelli disposti a mettere l'interesse del paese al di sopra di quello delle singole fazioni politiche e, naturalmente (sebbene in accezione puramente o prevalentemente ideale) dei singoli stessi. Nel caso odierno potremmo dire di trovarci di fronte a un esempio di trasformismo di altissimo livello, di cui sono protagonisti non i singoli "individui" ma i partiti stessi, consapevoli di fare responsabilmente il bene del paese e, più sotterraneamente, di non avere neanche loro altra strada al di fuori di questa.
Se l'esperimento di Monti andasse avanti fino, oppure oltre, la scadenza elettorale del 2013, l'ipotesi neo-centrista qui ipotizzata arriverebbe ad avere manifestazioni spettacolari. Del resto, se c'è un solo programma valido, ed è quello che dall'Europa promana all'Italia, come potrebbe essere che la prospettiva del grande, anzi grandissimo Centro non si affiancasse a Presidenza della Repubblica, tecnicità, Europa, Chiesa e Italia, a fondare il sesto pilastro della manovra?
9. Il settimo pilastro della saggezza è di natura squisitamente ideologica e si avvale di strumenti mediatici poderosi. Non solo, infatti, la manovra, e il governo Monti che la raccomanda ed esprime, sono considerati e detti come necessari, e dunque indispensabili, e dunque inevitabili. Ma ciò che si presenta oggettivamente come necessario, e dunque indispensabile, e dunque inevitabile (e come tale potrebbe persino essere accettato da una quota di non consenzienti: insomma, l'invito a "baciare il rospo"), viene presentato come un "sistema di valori" destinato a fondare la "nuova Italia", attraverso l'adozione di generalizzati comportamenti conseguenti. È, insomma, la "coesione sociale" (Napolitano, Bagnasco), il "superamento degli steccati tradizionali" (Casini, Alfano), l'"equità" da raggiungere, però passando attraverso il "sacrificio" (tutti): e cioè, in sostanza, l'idea che il "passaggio" possa essere effettuato soltanto se restiamo tutti uniti, se attenuiamo al massimo i conflitti, e di conseguenza accettiamo più o meno in toto il pacchetto di misure e - di più, molto di più - la prospettiva sociale, politica e civile, che attraverso di esse ci viene proposta. Non vuole dire anche questo che ci vuole sempre meno politica (e conseguentemente, o primariamente, meno politici), se vogliamo andare avanti? Curiosamente, in politica (e i politici) sopravvivono ancora a livello locale e regionale, mentre a quello nazionale li si considera vieppiù superflui e distorcenti. E così il quadro è completo, e si può chiudere.
10. Il pacchetto della saggezza va assunto per intero, per essere efficace (anche la Chiesa di Roma? Sì, almeno nel senso che anche un laico deve riconoscere la funzione positiva che essa attualmente svolge nel grande concerto comune). Nessuna alternativa è considerata come ragionevolmente possibile. Persino quella modesta rivoluzione, puntualmente contemplata e regolamentata all'interno di qualsiasi sistema democratico, che è in caso di necessità, oltre che alle scadenze normali, il ricorso al voto, viene additata come da evitare.
C'è qualcosa di totalitario nel sistema finanzcapitalistico. Non solo ne sono sconosciuti, - e imprevedibili, e non sanzionabili, almeno finora - i grandi protagonisti, cui l'ultimo grande salto tecnologico, quello informatico, ha consentito di agire sempre e ovunque al di fuori di ogni controllo (la tecnica, nel corso del processo storico degli ultimi tre secoli è sempre stata, prevalentemente, dalla parte del capitale e contro il lavoro). Ma il dissenso, la prospettazione di una diversa strategia, persino la sacrosanta difesa di un interesse "particolare" - si tratti del diritto di rappresentanza sindacale in fabbrica, negato a coloro che non firmano accordi con l'impresa, come della difesa di una valle alpina dalla devastazione tecnologica, per giunta, come tutti sanno, economicamente improduttiva - vengono sempre più considerati atti ostili alla soluzione dei problemi di questo sistema e come tali aspramente combattuti. La difesa dei diritti umanitari e della persona riemerge solo ai margini del sistema: l'atteggiamento di solidarietà e di comprensione nei confronti degli immigrati e dei "reietti della terra", più volte recentemente e molto autorevolmente evocato, ne rappresenta una testimonianza (del resto, questo duplice e contraddittorio nesso è stato praticato per secoli con successo dalla Chiesa di Roma). Ma quel che accade in conseguenza delle logiche interne di sistema, e fra coloro che, anche senza affatto volerlo, ne sono principali protagonisti e vittime, questo viene affrontato e ridotto al rango di una pura, necessaria revisione sistemica: tanto più efficace - e ovviamente indiscutibile - quanto più il governo della cosa pubblica è oggi nelle mani di un manipolo di onest'uomini invece che di una banda di predoni di strada.
11. L'ultimo paragrafo di questo discorso riguarderebbe, ce ne avessi la forza e la capacità, l'assenza di una risposta critica e alternativa adeguata al livello dei problemi che mi sono sforzato di discutere (del resto, se la risposta non fosse rimasta assente per troppi decenni, i problemi non sarebbero ingigantiti fino a questo punto che ha assunto la bronzea parvenza dell'oggettività pura e semplice). Qualcosa, certo, è stato già detto ed enunciato; e altro si può, senza grande sforzo, elaborare e dire. Ma quel che mi parrebbe ora giusto sarebbe fissare con chiarezza il "punto di partenza" del nuovo discorso. L'altissimo concentrato di "saggezza", di cui io parlo, non è un'invenzione di parole: è un fatto drammaticamente reale e presenta dimensioni formidabili. Per fronteggiare questa "saggezza", poggiata su pilastri di tale consistenza, ci vuole un pensiero altrettanto globale e onnicomprensivo di quello su cui essa si sostiene e motiva: una "saggezza" persino più scaltrita e raffinata; e al tempo stesso più corposa e vicina al mondo dei normali esseri viventi, degli individui umani a loro volta pensanti, non, come oggi pare, semplici oggetti, distanziati, semintelliggenti destinatari delle manovre altrui, quali che siano; e quindi, come tutte le vere "saggezze" capaci di cambiare il mondo e di arrestarne la presunta inevitabilità del corso, anche un po' folle (del resto come tutti sanno, c'è una logica in questa follia). E a questo pensiero, e a questa diversa "saggezza", deve corrispondere un'organizzazione adeguata (questo nesso non è semplicemente storico: è eterno; se non c'è, niente funzione). Da questi due punti di vista noi siamo ancora alle primissime battute: il vecchio che è in noi supera di gran lunga quello che ci fronteggia e sovrasta. Per colmare le lacune e i ritardi ci verranno decenni. Ma intanto bisognerebbe cominciare a farlo.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-totalitarismo-del-finanzcapitalismo/
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