Il fiore è finalmente sbocciato, 30.000 anni dopo. Quello che David Gilichinsky, ricercatore dell'Istituto dei problemi chimico fisici e biologici del suolo che l'Accademia delle Scienze di Russia possiede a Pushchino (120 chilometri da Mosca) è riuscito a far germogliare (nella foto) e a vedere (lo studioso è venuto a mancare una settimana fa), è il più antico organismo multicellulare oggi vivente sulla Terra. Un autentico fiore della speranza.
Tutto inizia, come riporta il gruppo di David Gilichinsky sui Proceedings of National Academy of Science, quando scavano fino a 40 metri di profondità il terreno lungo il fiume Kolyma, in Siberia, imbattendosi in una rete di oltre 70 cunicoli scavati da scoiattoli vissuti decine di migliaia di anni fa. Molti di quei cunicoli erano ancora pieni di centinaia di frutti e di semi raccolti con paziente solerzia dai simpatici roditori prima che l'ecosistema della tundra - chiamata la "tundra dei mammut", perché frequentata anche da quei giganteschi pachidermi - fosse sommersa dal ghiaccio.
Prima che i ricercatori di Pushchino li riportassero alla luce, per decine di migliaia di anni tutto - i mammut, gli scoiattoli, ma anche i frutti e semi - sono rimasti seppelliti nel permafrost e perfettamente congelati. Così perfettamente che gli studiosi dell'Istituto dei problemi chimico fisici e biologici del suolo pensarono bene di farli germogliare, quei semi. E già pregustavano gli effetti della performance. Fino a quel momento l'organismo più antico riportato alla vita aveva 2.000 anni. I semi delle piante che si tentava di risvegliare avevano, invece, 30.000 anni. Erano piante del paleolitico.
I semi di diversi specie di piante, messi a coltura, sembrarono risvegliarsi. Ma poi il tentativo di germogliare sistematicamente falliva e tutte motivano. È a questo punto che David Gilichinsky ha un'idea: estrarre i tessuti placentali dai semi di una di quelle specie, la Silene stenophylla (una piante erbacea) e farli sviluppare in vitro. La tecnica ha funzionato: i tessuti placentali hanno prodotto dei nuovi semi che sono stati coltivati in vitro e sono germogliati, producendo dei fiori che, agli occhi dei ricercatori, non sono apparsi mai così splendidi.
La storia, riportata su PNAS, dimostra che il permafrost possiede dei tesori nascosti e ben conservati di inestimabile valore. Che il materiale genetico degli organismi viventi possono restare integri per decine di migliaia di anni. E che il loro orologio biologico può ritornare a ticchettare come se tutto quel tempo non fosse passato. Dal punto di vista scientifico questo consente sia di spalancare una finestra sugli ecosistemi del passato, sia di comprendere l'evoluzione fine che molte specie hanno subito nel corso di migliaia di anni.
Resta ancora da capire se la capacità di rinascere resta accesa anche per organismi più complessi, come quelli animali: gli scoiattoli che hanno raccolto quei semi o addirittura i mammut che si aggiravano in zona.
Per noi tutti, che esperti non siamo, quel fiore rinato a Pushchino dimostra tutta la gentile tenacia e potenza della vita.